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Nuovi indizi sul melone nuragico

A due anni dal ritrovamento, indagini genetiche e morfologiche forniscono nuove informazioni sui semi di melone più antichi del Mediterraneo. RASSEGNA STAMPA
21 dicembre 2017
Dettaglio dell'immagine comparsa con l'articolo

di Sergio Nuvoli

Cagliari, 22 dicembre 2017 - Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR), struttura facente parte del Centro Servizi HBK (Hortus Botanicus Karalitanus) dell'Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l’IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.

Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell’introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.

È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all’analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi.

Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso.

Ancora una volta si è dimostrato la vitale importanza della salvaguardia delle varietà “antiche” appartenenti a ciascun territorio, un bacino genetico fodamentale da preservare per le future generazioni.

Autori:
Diego Sabato1, Cristina Esteras2, Oscar Grillo3,4, Leonor Peña-Chocarro1, Carmen Leida5, Mariano Ucchesu3, Alessandro Usai6, Gianluigi Bacchetta3, Belén Picó2

1- CSIC, Madrid (Spagna); 2- COMAV, Valencia (Spagna); 3- CCB, Cagliari; 4- SSGS, Caltagirone; 5- FEM, San Michele all’Adige; 6- Sopr. Arch. della Sardegna, Cagliari.

Figura:

Immagini degli esemplari moderni risultati geneticamente più simili ai semi Nuragici di Sa Osa: le varietà ameri e inodorus sono tipologie semi-dolci provenienti dalla Sardegna (AmITS10), Tunisia (AmTN84), Marocco (AmMA37), Russia (AmRU42) e Portogallo (InPT40). Tutte le altre varietà sono tipologie totalmente non dolci di un gusto simile al cetriolo. Nello specifico i due esemplari di melone chate o carosello (ChIT27, ChIT122) provengono dala Puglia, mentre l’ibrido LaML35 dal Mali e i meloni di tipo flexuosus o tortarello sono stati raccolti in Spagna (FxES82), Turchia (FxTR86), Afghanistan (FxAF174) e Sardegna (FxITS9), in quest’utimo caso questa varietà è conosciuta con il nome di facussa o cucummaru.

Didascalia nel pezzo
Didascalia nel pezzo

RASSEGNA STAMPA

LA NUOVA SARDEGNA del 23 dicembre 2017
Sardegna (Pag. 7 – Edizione NU)
Il melone nuragico non era dolce
La ricerca dell'università di Cagliari: il gusto era simile a quello del cetriolo

CAGLIARI - Il melone coltivato dai nuragici in Sardegna era una varietà non dolce, o moderatamente dolce. Il suo gusto era simile a quello del cetriolo, come quello di altre varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. È quanto emerge dalle indagini morfologiche e genetiche, condotte dall'Università di Cagliari in collaborazione con la Stazione consorziale sperimentale di granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l'Instituto de conservación y mejora de la agrodiversidad valenciana (Comav) dell'Università politecnica di Valencia sui contenuti dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano. In Italia questo tipo di meloni viene coltivato ancora oggi, soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi, come carosello, meloncella e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa, si coltivano tipologie simili, chiamate facussa o cucummaru, più conosciute con il nome di tortarello o melone serpente. L'aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel I° secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli arabi in epoca medievale, ma le analisi su questo aspetto sono ancora in corso. La prima identificazione dei semi contenuti nei pozzi nuragici di Oristano risale al 2015, quando la Banca del Germoplasma della Sardegna, struttura facente parte del Centro Servizi dell'orto botannico dell'Università di Cagliari, in collaborazione con il Csic di Madrid, l'Ivalsa-Cnr di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i beni archeologici della Toscana e della Sardegna e l'università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio che riguardava anche i semi di melone.

La Nuova Sardegna del 23 dicembre 2017
La Nuova Sardegna del 23 dicembre 2017

ANSA.IT
Melone nuragico, non dolce e allungato
Nuovo studio ricercatori Università di Cagliari
Venerdì 22 dicembre 2017 – 18:21

CAGLIARI, 22 DICEMBRE - Il melone coltivato dai nuragici in Sardegna era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. E' quanto emerge dalle indagini morfologiche e genetiche, condotte dall'Università di Cagliari in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l'Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell'Università Politecnica di Valencia sui contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
In Italia questo tipo di meloni viene coltivato ancora soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi, come carosello, meloncella e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa, si coltivano tipologie simili, chiamate facussa o cucummaru, più conosciute con il nome di tortarello o melone serpente. L'aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale, ma le analisi su questo aspetto sono ancora in corso.
La prima identificazione dei semi contenuti nei pozzi nuragici di Oristano risale al 2015, quando la Banca del Germoplasma della Sardegna, struttura facente parte del Centro Servizi dell'orto botannico dell'Università di Cagliari, in collaborazione con il Csic di Madrid, l'Ivalsa-Cnr di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l'Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio che riguardava anche i semi di melone.

ANSA.IT
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LANUOVASARDEGNA.IT
Il melone nuragico non era dolce
La ricerca dell’università di Cagliari: il gusto era simile a quello del cetriolo
Martedì 26 dicembre 2017

CAGLIARI. Il melone coltivato dai nuragici in Sardegna era una varietà non dolce, o moderatamente dolce. Il suo gusto era simile a quello del cetriolo, come quello di altre varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. È quanto emerge dalle indagini morfologiche e genetiche, condotte dall’Università di Cagliari in collaborazione con la Stazione consorziale sperimentale di granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de conservación y mejora de la agrodiversidad valenciana (Comav) dell’Università politecnica di Valencia sui contenuti dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano. In Italia questo tipo di meloni viene coltivato ancora oggi, soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi, come carosello, meloncella e cummarazzo.
Anche in Sardegna, in forma meno diffusa, si coltivano tipologie simili, chiamate facussa o cucummaru, più conosciute con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel I° secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli arabi in epoca medievale, ma le analisi su questo aspetto sono ancora in corso.
La prima identificazione dei semi contenuti nei pozzi nuragici di Oristano risale al 2015, quando la Banca del Germoplasma della Sardegna, struttura facente parte del Centro Servizi dell’orto botannico dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il Csic di Madrid, l’Ivalsa-Cnr di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i beni archeologici della Toscana e della Sardegna e l’università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio che riguardava anche i semi di melone.

LANUOVASARDEGNA.IT
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CASTEDDUONLINE.IT
Il melone nuragico? Non dolce ma con le caratteristiche del cetriolo
I dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata
Venerdì 22 dicembre 2017

Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR), struttura facente parte del Centro Servizi HBK (Hortus Botanicus Karalitanus) dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l’IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell’introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.
È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all’analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi.
Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso.
Ancora una volta si è dimostrato la vitale importanza della salvaguardia delle varietà “antiche” appartenenti a ciascun territorio, un bacino genetico fondamentale da preservare per le future generazioni.

CASTEDDUONLINE.IT
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SARDINIAPOST.IT
Melone nuragico, le ricerche sui semi del frutto più antichi del Mediterraneo
Venerdì 22 dicembre 2017

Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna, struttura facente parte del Centro Servizi Hortus Botanicus Karalitanus dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l’IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell’introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.
È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all’analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi.
Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso.
Ancora una volta si è dimostrato la vitale importanza della salvaguardia delle varietà “antiche” appartenenti a ciascun territorio, un bacino genetico fondamentale da preservare per le future generazioni.

SARDINIAPOST.IT
SARDINIAPOST.IT

VISTANET.IT
Lo sapevate? Il melone in Sardegna esisteva già in epoca nuragica: ma era uguale o no al melone che mangiamo noi?
Venerdì 22 dicembre 2017 – 11.23

Nuovi indizi sul melone nuragico: a due anni dal primo ritrovamento, indagini genetiche e morfologiche forniscono nuove informazioni sui semi di melone più antichi del Mediterraneo.
Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR), struttura facente parte del Centro Servizi HBK (Hortus Botanicus Karalitanus) dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l’IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell’introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.
È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all’analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi. Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente.
L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso. Ancora una volta si è dimostrato la vitale importanza della salvaguardia delle varietà “antiche” appartenenti a ciascun territorio, un bacino genetico fondamentale da preservare per le future generazioni.

VISTANET.IT
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SARDEGNAOGGI.IT
Melone nuragico, a due anni dal primo ritrovamento arrivano nuove rivelazioni
Nuovi indizi sul melone nuragico: a due anni dal primo ritrovamento, indagini genetiche e morfologiche forniscono nuove informazioni sui semi di melone più antichi del Mediterraneo.
Venerdì 22 dicembre 2017

CAGLIARI - Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR), struttura facente parte del Centro Servizi HBK (Hortus Botanicus Karalitanus) dell'Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l'IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l'Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell'introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l'Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell'Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.
È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all'analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi.
Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente. L'aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso.

SARDEGNAOGGI.IT
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TTECNOLOGICO.COM
Ricerca scientifica: nuove informazioni sui semi di melone più antichi del mediterraneo
Venerdì 22 dicembre 2017

Nel 2015, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR), struttura facente parte del Centro Servizi HBK (Hortus Botanicus Karalitanus) dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il CSIC di Madrid, l’IVALSA-CNR di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio sul contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
Furono identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche. Il ritrovamento di alcuni semi di melone fu uno dei risultati più interessanti, visto che fino ad oggi le prime evidenze dell’introduzione di questa pianta in Europa erano legate al periodo Greco-Romano. Questi semi risultarono essere molto antecedenti a tale epoca (1310–1120 a.C.) e costituiscono attualmente la testimonianza più antica del melone nel Mediterraneo. Le indagini morfologiche e genetiche, condotte in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia, permettono ora di fornire maggiori dettagli su questi ritrovamenti.
È stata creata una vasta collezione di varietà tradizionali di melone proveniente da tutta Europa, Africa ed Asia, oltre che varietà autoctone della Sardegna. I semi di queste piante sono stati scansionati e genotipati utilizzando una piattaforma di 123 marcatori genetici. Si è poi proceduto all’analisi morfologica e genetica de semi di melone archeologici. Per quanto danneggiato, è stato possibile estrarre una quantità minima di DNA antico dai reperti utile per le analisi.
Entrambe le analisi confermano alcune informazioni interessanti. In primo luogo che la pianta in questione apparteneva ad una specie coltivata e non selvatica, in secondo luogo che questi frutti erano ben lontani da quelli che troviamo attualmente sulle nostre tavole. Era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo. In Italia si coltivano tradizionalmente soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi volgari, come carosello, meloncella, e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa si coltivano tipologie con caratteristiche simili, chiamate a seconda dei casi facussa o cucummaru, più conosciute a livello nazionale con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel 1 secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale. A tal proposito le analisi sono ancora in corso.
Ancora una volta si è dimostrato la vitale importanza della salvaguardia delle varietà “antiche” appartenenti a ciascun territorio, un bacino genetico fondamentale da preservare per le future generazioni.

TTECNOLOGICO.COM
TTECNOLOGICO.COM

CAGLIARIPAD.IT
Il melone nuragico, non dolce e dalla forma allungata
Nuovo studio ricercatori Università di Cagliari
Venerdì 22 dicembre 2017

Il melone coltivato dai nuragici in Sardegna era una varietà non dolce, o moderatamente dolce, di un gusto simile al cetriolo, probabilmente simile ad alcune varietà locali coltivate oggi solo in ristrette regioni geografiche del Mediterraneo.
E’ quanto emerge dalle indagini morfologiche e genetiche, condotte dall’Università di Cagliari in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia (SSGS) e con l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidad Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia sui contenuto dei pozzi di epoca nuragica, ritrovati nel 2009 nella località di Sa Osa, in provincia di Oristano.
In Italia questo tipo di meloni viene coltivato ancora soprattutto in Puglia, dove sono conosciute con decine di nomi, come carosello, meloncella e cummarazzo. Anche in Sardegna, in forma meno diffusa, si coltivano tipologie simili, chiamate facussa o cucummaru, più conosciute con il nome di tortarello o melone serpente. L’aspetto interessante è che questi dati concordano con alcune rappresentazioni pittoriche egizie del terzo millennio a.C. che rappresentano il melone in forma allungata tipo cetriolo e con la descrizione che ne fanno Columella e Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. descrivendo il melone come un ortaggio da consumare in insalata. Rimane ancora poco chiaro quando e come si selezionarono le varietà da cui si originarono quelle dolci attuali, anche se si ipotizza che siano state importate dagli Arabi in epoca medievale, ma le analisi su questo aspetto sono ancora in corso. La prima identificazione dei semi contenuti nei pozzi nuragici di Oristano risale al 2015, quando la Banca del Germoplasma della Sardegna, struttura facente parte del Centro Servizi dell’orto botannico dell’Università di Cagliari, in collaborazione con il Csic di Madrid, l’Ivalsa-Cnr di Sesto Fiorentino, le Soprintendenze per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna e l’Università di Roma La Sapienza, pubblicarono uno studio che riguardava anche i semi di melone.

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