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Ad UNICA la redazione della rivista di antropologia ANUAC

INTERVISTA. E' on line il primo numero con la direzione del prof. Filippo Zerilli e sede nel nostro Ateneo
05 agosto 2015

A Cagliari, al prof. Filippo Zerilli, la direzione del prestigioso periodico dell’Associazione Nazionale Universitaria degli Antropologi Culturali, che avrà così sede nel nostro Ateneo, presso il Dipartimento di Scienze sociali e delle Istituzioni. Il nuovo numero, il primo del 2015, è disponibile su Unica Open Journals, la piattaforma gestita dal Sistema Bibliotecario di Ateneo per la creazione e gestione di pubblicazioni scientifiche digitali dell’Università di Cagliari.

di Valentina Zuddas 

Cagliari, 5 agosto 2015 - Dopo tre anni di direzione genovese sotto la guida di Luisa Faldini, la rivista ANUAC dell’Associazione Nazionale Universitaria degli Antropologi Culturali inaugura il primo numero del nuovo anno redazionale con una novità di rilievo: il mandato è stato conferito al prof. Filippo Zerilli, docente di Antropologia culturale e discipline demo-etnoantropologiche della Facoltà di Studi Umanistici.
 
Al Dipartimento di Scienze sociali e delle Istituzioni dell’Ateneo quindi il privilegio di ospitare i lavori della redazione e del rinnovato comitato scientifico, che continua a tenere alto il valore internazionale di una rivista peer-reviewed di classe A: dalla scelta di ospitare pubblicazioni in cinque lingue – oltre all’italiano, l’inglese, il francese, lo spagnolo e il portoghese – ai contributi di docenti e ricercatori che seguono la produzione scientifica antropologica da diverse università europee ed extracomunitarie, Anuac promette di attestarsi anche nella nuova direzione editoriale cagliaritana quale spazio aperto ai diversi orientamenti antropologici e tradizioni di ricerca dell’antropologia italiana ed internazionale. Il primo numero del 2015, online da fine luglio su UniCa Open Journals, la piattaforma per la gestione e la pubblicazione delle riviste scientifiche digitali gestita dal consorzio Cineca in collaborazione con la Direzione per i servizi bibliotecari dell’Ateneo, ospita articoli di ricerca, saggi, recensioni e rubriche tematiche. Sette i contributi maggiori, con focus sull’antropologia politica, l’illegalità e la nozione di credenza. 
 
 
 
"UNA PALESTRA INTELLETTUALE SULLE CONOSCENZE ANTROPOLOGICHE"
Intervista con Filippo Zerilli, neoeditor della prestigiosa rivista dell’Associazione nazionale Universitaria degli antropologi culturali
 
Professore, come si inserisce Anuac nel panorama delle riviste di antropologia culturale?
In Italia le riviste di antropologia non sono molte e – a parte rare eccezioni – sono tradizionalmente legate alla personalità di uno studioso influente e al gruppo dei suoi più o meno stretti collaboratori. Si tratta di riviste che coprono specifici ambiti tematici spesso riconducibili ad un orientamento teorico o ad un modo particolare di intendere la disciplina. Anuac sfugge a questa caratterizzazione ed è espressione dei più diversi orientamenti antropologici, senza predilezione per approcci teorici, ambiti e aree di ricerca particolari. Inoltre, diversamente dalle maggior parte delle riviste antropologiche disponibili anche su supporto cartaceo, Anuac è una rivista Open Access, cioè ad accesso libero e gratuito disponibile unicamente online. Last but not least l’impegno di direttore della rivista, che attualmente ho l’onore, l’onere, ma anche il piacere di ricoprire, non è un incarico permanente ma un impegno a tempo, al servizio di una comunità formata dai membri dell’associazione e dai lettori della rivista.
 
Chi saranno questi ultimi?
Docenti, studenti, ricercatori e studiosi esperti di antropologia, certamente, ma anche tutti quei lettori interessati alle prospettive più recenti dell’antropologia sociale e culturale, e in particolare ai modi in cui questa disciplina può fornire delle chiavi di lettura utili a comprendere i processi sociali e le trasformazioni recenti del mondo contemporaneo, provando a cogliere l’intreccio tra realtà locali e dinamiche globali. D’altra parte, Anuac ambisce a farsi leggere anche oltre i confini nazionali. Pur essendo la rivista di una associazione italiana, possiede infatti una forte vocazione internazionale. Basti pensare che sin dalla sua creazione, nel 2012, ospita regolarmente contributi in cinque lingue. Questa considerevole versatilità linguistica ci consente di raggiungere un pubblico di lettori più vasto, e rappresenta una notevole opportunità per i nostri autori – italiani e non solo – che pubblicando con noi possono rendere i risultati delle loro ricerche accessibili in lingue diverse. Questa valorizzazione della pluralità e della diversità linguistica mi pare un piccolo ma non irrilevante insegnamento dell’antropologia che Anuac restituisce ai propri autori e lettori.
 
Cosa significa studiare e fare ricerca antropologica nel 2015 in Italia? Cambia qualcosa all’estero? 
La spending review e le politiche di austerità imposte dai “regolatori” (governi nazionali e istituzioni sovranazionali) che gestiscono l’attuale congiuntura economica stanno accelerando il progressivo disimpegno dello Stato nei confronti del settore pubblico e del sistema della ricerca e dell’alta formazione. Mentre processi analoghi di neoliberalizzazione in Paesi paragonabili al nostro hanno visto accanto ai tagli crescere notevolmente gli investimenti per la ricerca (penso agli importanti stanziamenti per i centri di eccellenza in Francia e in Germania) l’Italia resta il fanalino di coda per gli investimenti per scuola, università e ricerca (l’8,6% del PIL contro il 12,9% della media europea, dati OCSE 2015). Per fare ricerca in antropologia non sono necessarie attrezzature particolarmente costose, ma i tagli imposti stanno determinando la riduzione dei finanziamenti e delle borse di studio e di ricerca al punto che i meccanismi necessari alla riproduzione del sapere antropologico sono oramai drammaticamente compromessi. Una recente analisi critica dello stato del campo accademico antropologico nel nostro Paese (v. B. Palumbo, La ricerca folklorica, 2013) mostra il declino progressivo dell’antropologia anche rispetto alle altre scienze sociali.
 
Cosa si può dire osservando “la ricerca antropologica ” in Italia nel 2015?
Stiamo attraversando un processo importante di de-esoticizzazione della nostra disciplina. Mentre larga parte del senso comune ci riconosce ancora come i portatori di una scienza del diverso e dell’esotico (sa, le “ tradizioni ” sono dure a morire, anche per le discipline scientifiche), un numero consistente di ricercatori si interessa a fenomeni sociali non facilmente riconducibili al paradigma esotico, come testimoniano le analisi delle politiche di sviluppo, dei movimenti sociali, delle varie forme di attivismo, delle forme di procreazione assistita, delle nuove dinamiche del lavoro salariato, della finanziarizzazione dell’economia, e via dicendo. Da questo punto di vista si può dire che la ricerca antropologica in Italia nel 2015 si muove in linea con quanto avviene negli altri paesi europei, anche per quanto riguarda la ricchezza e la diversità di indirizzi, di approcci, di interessi di ricerca.
 
Quali consigli agli studenti dell’Ateneo che volessero intraprendere questa professione dopo gli studi a Cagliari?
Nella segretezza del mio studio agli studenti che vorrebbero intraprendere una carriera antropologica, dico: “Andate all’estero!” Tuttavia, se è vero che ci sono buone ragioni per proseguire gli studi all’estero (per l’antropologia oggi penso in particolare ai Paesi scandinavi), nonostante la congiuntura politico-economica evocata sopra esistono anche in Italia alcune sedi universitarie che garantiscono una buona formazione antropologica: mi riferisco sia alle lauree triennali e specialistiche di alcune università (Roma, Milano, Perugia, Siena, Bologna, Palermo...), sia alle scuole di specializzazione in Beni demo-etno-antropologici (Perugia, Roma), sia infine e soprattutto ai dottorati di ricerca. Oggi non è infatti possibile parlare di professionalizzazione della disciplina senza passare attraverso l’esperienza fondamentale del dottorato di ricerca. Presso alcune di queste istituzioni la formazione è di livello eccellente e non ha niente da invidiare a quella offerta da prestigiose istituzioni europee. Penso ai dottorati in Antropologia di Milano-Bicocca e di Roma “La Sapienza” anzitutto per la ricchezza e la qualità degli insegnamenti proposti, ma anche alla formazione specialistica in Antropologia medica offerta dal dottorato di Scienze umane dell’Università di Perugia o al settore dell’africanistica coperto dal dottorato in Scienze psicologiche e antropologiche dell’Università di Torino. Ma per chi è davvero interessato all’antropologia vi sono tanti altri modi di arricchire la propria formazione antropologica. Tra queste vi è senz’altro l’occasione di collaborare ad una rivista antropologica come Anuac, la cui redazione abbiamo la fortuna e il piacere di avere qui presso il nostro Ateneo. Come scrisse una volta il celebre Clifford Geertz, per capire cosa sia davvero l’antropologia occorre guardare quello che “fanno” gli antropologi: oltre ad andare sul campo a condividere e osservare “altri” mondi e altri contesti sociali, gli antropologi, diceva Geertz, fondamentalmente scrivono. E la scrittura antropologica, prima di raggiungere il pubblico passa attraverso una serie di fasi alcune delle quali è possibile osservare nel corso del lavoro editoriale che si coagula intorno ad una rivista scientifica.
 
In questo senso collaborare ad Anuac cosa vuol dire?
Non solo acquisire competenze specifiche di carattere editoriale (cosa vuol dire fare una rivista scientifica, cosa che ovviamente ha ben poco a che vedere con la realizzazione di un giornale quotidiano o di una rivista mensile), ma partecipare ad una palestra intellettuale dove è possibile imparare molte cose dell’antropologia di oggi e di che cosa questa può diventare domani. Io stesso, insieme ai colleghi della redazione, sto imparando molte cose sulla disciplina che prima ignoravo del tutto! Dunque, per rispondere ancora più schiettamente alla sua domanda, agli studenti del nostro Ateneo interessati alla professione di antropologo consiglierei di venire in redazione a darci una mano, in modo tale da maturare una esperienza diretta di quell’importante processo editoriale che si colloca al crocevia tra la produzione e la diffusione delle conoscenze antropologiche.
(Valentina Zuddas)

 

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