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«La mia Università non sarà mai un superliceo»

Sul Corriere della Sera intervista con il Magnifico Rettore Maria Del Zompo: «La ricerca? Serve amore»
07 aprile 2015

 

LA NUOVA RETTRICE ALL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
di Valeria Palumbo
 
 
«Buongiorno Rettore… e cominciamo proprio da questo: perché rettore e non rettrice?». Maria Del Zompo, 64 anni in aprile, è stata appena eletta alla guida dell’Università di Cagliari. Una sorta di plebiscito: oltre l’82% dei voti. Prima donna dopo 60 rettori maschi, ma anche primo rettore donna di tutti gli atenei sardi («E questo è grave: non deve più succedere», precisa subito). «Dunque Rettore e non Rettrice», spiega, «perché questa è un’istituzione il cui responsabile è il Magnifico Rettore: di che genere sia non ci deve interessare. Anche perché oggi accettiamo l’idea che i generi non siano solo due, maschile e femminile. Poi nel chiamarmi ognuno fa quel che vuole: professoressa, signora…».
 
«Lasciare la ricerca, una scelta difficile»
Ha un sorriso ironico e davvero un aspetto da professoressa di altri tempi, Maria del Zompo, docente di farmacologia. E la fermezza di chi non ha soltanto voluto scalare un bastione del potere maschile. Ma di chi, da anni, fa ricerca e con successo in uno dei campi più avanzati: le neuroscienze, di cui dirigeva anche il dipartimento dell’università di Cagliari. «Ci sono arrivata dalla mia passione: la filosofia. Ho studiato medicina, perché volevo sapere come funzionano il nostro cervello. Poi sulla strada ho incontrato un genio, il medico e farmacologo Gian Luigi Gessa, e mi sono appassionata all’aspetto biologico. Mi sono messa a studiare le malattie, prima il Parkinson, poi il disturbo bipolare, le sue origini genetiche…». Parla delle sue ricerche con passione ma anche come se fossero la sua pratica quotidiana… poi si ricorda che adesso è tutto cambiato: è rettore. «Una scelta difficile, anche per i pazienti che seguo da anni. Il mio gruppo di lavoro ce la farà benissimo senza di me. Sono io che non so se ce la farò senza di loro… Ma l’ho voluto, avanti adesso».
 
«La valutazione non sia fatta solo di numeri»
E piega la testa, bianca senza compromessi: «Lei mi parla di Parentopoli in Università… sa io di etica mi sono sempre occupata, nella ricerca, certo: come studiosa, come docente, come medico… vuole che non la ponga al primo posto ora che sono rettore?! Che vuole che le dica: ovvio che non deve esistere… Oggi è un po’ più difficile, con i criteri di valutazione che abbiamo. In fondo l’Università è l’unica istituzione sottoposta a criteri di valutazione: e paga i giudizi negativi. Ma anche questi criteri andrebbero rivisti… applicati così, solo numeri, non bastano… In questa non-scelta tra pubblico e privato, in questa tendenza non espressa a favorire sistemi privati all’anglosassone, vedo anche una deriva che danneggia le università anziché renderle migliori».
 
«Non trasformiamo l’università in un superliceo»
Il punto è che il Rettore Maria Del Zompo è un’entusiasta dell’Università. Di quella pubblica. Del suo ruolo. «La Sardegna è una regione penalizzata dalle decisioni del governo. C’è in corso un processo di desertificazione: i tagli finiscono col diventare un modo di marginalizzare un territorio già problematico. Prendiamo proprio l’Università: noi vogliamo restare, e questo è il mio programma, una Research University, non un superliceo. Perché questo è il ruolo di un’Università: creare conoscenza, non solo per gli studenti, ma per gli stessi docenti e ricercatori. E non in un campo specifico, perché la conoscenza, quella vera, quella che fa crescere un Paese, è un tutt’uno: va dalle materie umanistiche alle scienze, si nutre del loro rapporto.
 
«Gli studenti italiani sono bravi perché hanno un metodo»
E poi diciamoci la verità: quello che rende gli studenti italiani competitivi nel mondo è il metodo: quello che la scuola italiana offre ancora e che viene da un approccio globale, da una sapere allargato». Serviranno soldi… «A noi basta che non ce ne tolgano altri», e ride. «Guardi che alcuni criteri di valutazione sono singolari. Per esempio il numero di studenti: vale per tutte le università e non tiene conto del territorio. Mica possiamo aumentare gli abitanti dell’isola! O la cosiddetta “attrattività”. Che cos’è? Noi a Cagliari abbiamo il mare: possiamo considerarla un plus utile?» E va bene: serve studiare ancora filosofia, oltre che nanotecnologie.
 
«Le ragazze sono di più, ma ai vertici restano poche»
Però torniamo alle donne: non sarebbe il caso di indirizzare le studentesse verso facoltà più scientifiche che aprano maggiori opportunità di lavoro e carriera? «Ma guardi che qui a Cagliari sono donne il 70% degli studenti di biologia e farmacia e il 57% di quelli di medicina…». Fa una pausa: «Va bene: a ingegneria il 64% sono ancora maschi, mentre nelle facoltà umanistiche il 79% sono ragazze. Ma sono gli estremi di una curva gaussiana: nella media, e lo dico con fierezza, ci sono in percentuale più donne». Con fierezza? «Eh sì, perché anche in tempi di crisi la cultura è il miglior ascensore sociale, l’unico mezzo per cambiare con onestà il proprio destino».
 
«La parità? Ci vuole tempo»
E poi c’è la questione degli esempi… «Perché più donne si presenteranno candidate alle presidenze e ai rettorati, più ragazze saranno incoraggiate a farsi avanti. Oggi a Cagliari il 40,2 % dei docenti e dei ricercatori sono donne. Ma se a livello di ricercatori siamo in parità, tra associati e ordinari gli uomini sono ancora in netta prevalenza. Abbiamo bisogno di tempo. E di esempi, appunto: mi piacerebbe che alle prossime elezioni ci fossero cinque candidate donne. Perché noi facciamo squadra, a volte fin troppo allargata, ma non sappiamo fare lobby… invece a volte serve». Ma “lobby” suona così negativo… Ride di nuovo: «Il punto è arrivare a nominare le persone per quello che valgono, dimenticandoci il genere. L’Università è uno specchio della città: la mia elezione indica che ormai il territorio è pronto ad accettare donne ai suoi vertici. E a dimenticare che lo siano e a valutarne solo l’operato. Gli uomini hanno familiarità con il potere. Ci occorre tempo, solo tempo».
 
«Vorrei finire la ricerca sul litio e il disturbo bipolare»
E a proposito di tempo: adesso farà il rettore, ma non abbandona la ricerca. Perché forse siamo a un passo da… «Mi chiede se ho un sogno nel cassetto? Sì, scoprire quali geni siano coinvolti nella malattia bipolare e quindi migliorare le cure. Con un gruppo di biologi molecolari e di clinici lavoriamo sul litio, che resta il farmaco più efficace, un vero miracolo per alcuni aspetti. Tentiamo di capire le ragioni genetiche per cui alcuni malati rispondono alle cure e altri no. Facciamo parte di un consorzio internazionale che abbiamo contribuito a creare e di cui, fino a poco tempo fa, eravamo l’unica università italiana. Stanno uscendo due studi: il nostro e quello del consorzio. La strada è ancora lunga. Ma qualche segnale si comincia a vedere».
 

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