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E' in Sardegna il più antico vitigno del Mediterraneo occidentale

La scoperta dell’équipe del Centro Conservazione Biodiversità dell’Ateneo di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta
29 gennaio 2015

 

Nuova sorprendente scoperta dell’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’Ateneo di Cagliari. Sul sito di Repubblica.it più di 28mila condivisioni effettuate dai lettori
 

 
 

 

UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli -  tel. 070 6752216

 
Cagliari, 29 gennaio 2015 – (dal sito del CCB) L’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari ha pubblicato su Vegetation History and Archaeobotany, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, i risultati delle ricerche sulle origini della viticultura in Sardegna.
 
prof. Gianluigi BacchettaSino ad oggi, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici e successivamente ai Romani il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale, ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà nuragica riscrive, non solo la storia della viticultura in Sardegna, ma dell’intero Mediterraneo occidentale.
 
Grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano e al ritrovamento di oltre 15mila semi di vite nel sito nuragico di Sa Osa (Cabras), datati al C14 come risalenti a circa 3000 anni fa, periodo di massimo splendore della civiltà nuragica, è stato possibile scoprire che la viticultura come la conosciamo noi oggi era già nota ai nostri antenati.
 
L’incredibile scoperta è il frutto di oltre 10 anni di lavoro condotto sulla caratterizzazione dei vitigni autoctoni della Sardegna e sui semi archeologici provenienti dagli scavi diretti dagli archeologi della Soprintendenza e dall’Università di Cagliari. I risultati sono giunti anche grazie all’innovativa tecnica di analisi d’immagine computerizzata messa a punto dai ricercatori del CCB in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia.
 
L’analisi sfrutta particolari funzioni matematiche che analizzano le forme e le dimensioni dei vinaccioli (semi di vite), mettendo a confronto i dati morfometrici dei semi archeologici con le attuali cultivar e le popolazioni selvatiche della Sardegna, ciò ha permesso di scoprire che questi antichissimi semi erano appartenuti alle varietà coltivate, ma non solo, i semi archeologici hanno mostrato una relazione parentale anche con la vite selvatica che cresce spontanea nell’Isola.
 
L’antico vitigno scoperto in Sardegna sembra appartenere alle cultivar a bacca bianca in particolare mostra delle relazioni con le varietà di vernacce e malvasia coltivate proprio nelle aree della Sardegna centro-occidentale. Attualmente il gruppo di ricerca sta proseguendo le indagini e approfondendo le ricerche anche su materiali ritrovati in altri siti archeologici e relativi ad altre specie coltivate sin dall’epoca nuragica.
 
(a destra in alto, il prof. Gianluigi Bacchetta, direttore scientifico CCB)
 

UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli -  tel. 070 6752216

 
 
 
LA NUOVA SARDEGNA
La Nuova Sardegna di venerdì 30 gennaio 2015
Prima pagina
GLI ANTICHI SEMI DI VITE SCOPERTI A CABRAS
I nuragici di tremila anni fa i primi vignaioli d’Europa
 
I protosardi più di 3mila anni fa coltivavano la vite. La scoperta arriva da un équipe dell’università di Cagliari. La scoperta è arrivata quasi per caso durante gli scavi per una strada vicino a Cabras: spunta fuori un sito nuragico e durante gli scavi i ricercatori hanno trovato oltre 15mila semi di vite conservati in fondo ad alcuni pozzi.
 
LA NUOVA SARDEGNA
La Nuova Sardegna di venerdì 30 gennaio 2015
Sardegna – pagina 11
Il vitigno più antico lo coltivarono i nuragici
Un’équipe dell’università di Cagliari ha trovato semi di vite di 3mila anni fa
Erano conservati in fondo a un protofrigorifero scavato nella roccia
di Luca Rojch
 
CABRAS Forse sorseggiavano Malvasia seduti nel recinto sacro davanti ai nuraghi. I protosardi più di 3mila anni fa coltivavano la vite. Nessun dubbio. La scoperta arriva dall’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’università di Cagliari, guidata da Gianluigi Bacchetta. Una piccola rivoluzione che riscrive un pezzo di storia. I ricercatori hanno scoperto che i sardi avevano reso domestica la vite e avevano iniziato a coltivarla più di 3mila anni fa.
Prima dell’arrivo dei Fenici, che sbarcarono nell’isola nel 900 avanti Cristo e dei Romani. La scoperta del vitigno più antico del Mediterraneo riscrive la storia della vite e del vino. Già si sapeva che nell’isola esistevano varietà di vite autoctone millenarie. Ma fino a oggi si era convinti che fossero stati i Fenici a introdurre la coltivazione della vite nell’isola. Questa scoperta riscrive la storia e dà ai nuragici un ruolo di primo piano. Difficile pensare che i sardi sorseggiassero Malvasia all’ombra dei nuraghi, ma di sicuro coltivavano con amore i loro vitigni. La scoperta arriva quasi per caso. Negli scavi per costruire una strada vicino a Cabras spunta fuori un sito nuragico a Sa Osa. I ricercatori iniziano gli scavi e trovano oltre 15mila semi di vite conservati in fondo ad alcuni pozzi scavati in profondità nella roccia. Una sorta di frigorifero preistorico che preservava gli alimenti. Non sono solo stati ritrovati i semi di vite, ma anche noci, pinoli, carne di cervo e pesce. I semi di vite sono stati sottoposti alla prova del Carbonio 14. Il risultato è stato sorprendente. La datazione li fa risalire a un periodo tra il 1300 e il 1100 avanti Cristo. Il periodo d’oro della civiltà nuragica. I ricercatori sono rimasti sorpresi anche per lo stato di conservazione di questi semi. Quasi perfetto. In fondo ai pozzi l’assenza di ossigeno e l’alta percentuale di umidità hanno consentito di farli arrivare fino a noi quasi intatti. Questa scoperta dell’équipe dell’università di Cagliari dimostra che i nuragici coltivavano la vite. Ma altri ritrovamenti fatti nell’isola dimostrano che 2mila anni fa i sardi con molta probabilità producevano anche il vino. Una conferma che la civiltà nuragica fu una delle più raffinate e tecnologicamente avanzate del Mediterraneo.
 

 
L’UNIONE SARDA
L’Unione Sarda di giovedì 22 gennaio 2015
Cultura (Pagina 40 - Edizione CA)
I semi della vernaccia nei pozzi nuragici di Sa Osa
ARCHEOBOTANICA Hanno tremila anni e sono i più antichi del Mediterraneo occidentale
 
Il popolo dei nuraghi coltivava la vite da vino più di mille anni avanti Cristo. Vitigni molto simili a quelli che oggi chiamiamo malvasia e vernaccia. Nei pozzi incrostati di limo secolare a Sa Osa (Cabras) il tempo ha custodito i semi della vitis vinifera , che la datazione al Carbonio 14 fa risalire a circa tremila anni fa. «I più antichi mai ritrovati nel Mediterraneo occidentale», dice Gianluigi Bacchetta, direttore del Centro di Conservazione della Biodiversità dell’Università di Cagliari. Una scoperta destinata a cambiare la storia dell’archeobotanica e quella della civiltà in Sardegna.
«Sino a oggi, i dati attribuivano ai Fenici e ai Romani il merito di aver introdotto la coltivazione della vite nel Mediterraneo occidentale», spiega lo studioso. Il botanico cagliaritano firma (insieme a Mariano Ucchesu, Martino Orrù, Oscar Grillo, Gianfranco Venora, Alessandro Usai e Pietro Francesco Serreli) un articolo sulla prestigiosa rivista specialistica “Vegetation History and Archaeobotany”, che consacra dieci anni «di lungo e faticoso lavoro di squadra».
EMOZIONI Il linguaggio asettico della rivista scientifica non può comunicare il batticuore innescato da una catena di sorprese. Sono i primi anni del (nostro) Terzo millennio quando la Provincia di Oristano progetta una strada che passa per Sa Osa, vicino a Cabras. Gli scavi rivelano un insediamento nuragico. Probabilmente una gigantesca onda d’acqua (forse un’esondazione del Tirso) ha spazzato un villaggio, coprendolo d’un sudario di fango. Interviene d’urgenza la squadra coordinata dall’archeologo Alessandro Usai. Che individua, fra l’altro, una serie di profondi pozzi scavati nel calcare. Con delicatezza, gli archeologi intaccano la melma disseccata, vanno in profondità. Trovano pigne, castagne, noci, granaglie, pesce. Come proto-frigoriferi multistrato, i pozzi restituiscono gli alimenti conservati dal popolo dei nuraghi. Compresi 15 mila vinaccioli. Gli archeologi consegnano il materiale ai paleobotanici del Centro di Conservazione della Biodiversità. Nel cuore dell’Orto botanico di Cagliari c’è la Banca del Germoplasma, dove si studiano, e poi si custodiscono in una cassaforte frigorifera, i semi di tutte le specie autoctone della Sardegna.
 MICROSCOPI E COMPUTER «Il fatto che si fossero conservati nell’acqua e non fossero carbonizzati, come in altri casi - spiega Bacchetta - ci ha consentito di analizzare anche il colore dei vinaccioli». Una innovativa tecnica di analisi d’immagine computerizzata, messa a punto in collaborazione con i colleghi siciliani della Stazione Consorziale sperimentale di granicoltura, procura nuove emozioni. Molti degli archeo semi appartengono a specie selvatiche, parenti strette della vite spontanea che ancora popola le campagne sarde. Ma la rivelazione più stupefacente è che altri appartengono a specie domesticate. «In particolare mostrano relazioni con le varietà di vernacce e malvasia coltivate proprio nelle aree della Sardegna centro-occidentale». Che potrebbe essere stata luogo di domesticazione secondaria della vite.
 FANTASTORIA E FANTASCIENZA Avvertimento ai patiti di fantastoria: il ritrovamento di semi di vitis vinaria apre suggestive ipotesi di ricerca, ma non dice se siano stati i sardi a scoprire come coltivarla, o se abbiano appreso la tecnica nei commerci frequenti con Creta e Cipro. Men che meno se sapessero vinificare. «Negli anni Settanta, Giovanni Ugas ha trovato a Monastir quello che sembra un torchio da vino. Gli archeologi stanno esplorando questo aspetto». Gli appassionati di fantascienza, invece, possono sognare. Gli archeobotanici sperano di «estrarre il Dna per stabilire la coerenza genetica dei vinaccioli d’età nuragica con le cultivar attuali». Impresa difficile: «I semi sono perfetti esternamente, ma l’embrione dentro non c’è più». Il Dna si è degradato. Bacchetta spera nel progresso della tecnica e «nella collaborazione interdisciplinare con i chimici e altri colleghi dell’università di Cagliari». Il massimo sarebbe piantare un seme e vedere crescere la vite. Chissà che sapore avrebbe, l’uva nuragica.
Daniela Pinna
 

 
Il gruppo di lavoro del Centro Conservazione Biodiversità, in basso altre immagini della scoperta e degli studi
 

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