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"Tornare alla realtà per risolvere la crisi"

A Scienze della Comunicazione Jesùs Timoteo Alvarez, docente alla Complutense di Madrid, e il capitalismo reputazionale
11 maggio 2012

 

Cagliari, 11 maggio 2012 – Per lui conta più risolvere il problema della credibilità che l’aspetto finanziario della crisi. Lo ha spiegato ieri, durante il seminario tenuto per il corso di laurea in Scienze della comunicazione Jesùs Timoteo Alvarez, autore – tra l’altro - di un pamphlet su “Onestà e sviluppo” (ultimo di una consistente produzione), docente alla Complutense di Madrid e vero esperto di comunicazione.
 
“Con l’ingegneria finanziaria, tipica del nostro tempo – ha detto Alvarez – si è sviluppata anche la comunicazione reputazionale, che ha generato una forma nuova di capitalismo, in cui non contano più i fatti, ma quello che si riesce a far credere sia avvenuto. In sostanza, la costruzione della credibilità di una persona, o di una ditta, è ormai niente più che un’abile operazione di marketing”.
 
Tra i tanti possibili, il docente – invitato dal corso di laurea in Scienze della comunicazione guidato da Elisabetta Gola – ha citato il caso di Zara, la nota catena di negozi di abbigliamento: “La loro strategia è l’adeguamento alla domanda locale – ha dettagliato – in comune i vari negozi hanno solo il brand, il marchio”. Più o meno quello che accade in politica e in altri campi.
 
Tra le cause della crisi del capitalismo reputazionale, Alvarez indica il “peccato originale” delle agenzie di rating, che – insieme ad alcune testate anglosassoni (The Economist, WSJ, Financial Times) – assegnano la valutazione all’affidabilità dei Paesi: “Da due mesi Spagna e Inghilterra sono ufficialmente in recessione: come mai tutti sanno della prima, mentre della seconda non parla nessuno?”.
 
C’è poi il ripetersi di vecchie convinzioni e argomenti che finisce per definire la reputazione dei diversi popoli europei. La via d’uscita, secondo Alvarez, sta nel rovesciamento del metodo del capitalismo reputazionale: la credibilità di un soggetto non può essere frutto del marketing, ma deve essere il risultato di fatti dimostrabili, visibili. Per farlo, il professore propone una strategia a livello locale, ribattezzata “slow economy”, partendo dal fare bene ciò che si sa fare. “Serve un movimento civile – è la conclusione provocatoria – in cui gli indici di valutazione siano legati a fattori immediatamente percepibili, concreti”.
 
 

UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - testi Sergio Nuvoli - tel. 070 6752216

 

 

 

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