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Luci e ombre dal Rapporto 2011 Crenos sull'economia della Sardegna

Presentato questa mattina il tradizionale report sulla situazione della nostra regione
27 maggio 2011

Presentato questa mattina il 18mo Rapporto Crenos sull’economia della Sardegna, la tradizionale analisi del Centro diretto da Stefano Usai che valuta le condizioni attuali e le tendenze del sistema economico sardo. Di seguito la nota stampa con la sintesi delle principali osservazioni contenute nel Rapporto, elaborato da un gruppo di lavoro coordinato da Rinaldo Brau e formato da una trentina di ricercatori sardi. A commentare i dati esposti, Alberto Zanardi, ordinario di Scienza delle Finanze all'Università di Bologna ed esperto di federalismo fiscale. Dopo l'intervento del Presidente CREL, Antonio Piludu, conclusioni affidate all'assessore regionale alla Programmazione, Giorgio La Spisa.


Info:

link al sito del Rapporto

Le immagini sono di Francesco Cogotti


Al netto dell’inflazione, il reddito della Sardegna a fine 2009 era ritornato più o meno sui livelli del 2002. La recessione ha colpito soprattutto le aree più ricche del nostro Paese e così, nel correre all’indietro, l’economia sarda si è paradossalmente riavvicinata alla media nazionale. In particolare, nel 2009 il PIL della Sardegna era stato pari a 33.451 milioni di euro, in termini pro capite pari al 79,3% della media nazionale. Nel confronto con l’Europa a 27 paesi, il reddito pro capite della Sardegna, calcolato alla parità dei poteri d’acquisto, è passato dall’89% della media europea nel 1998 al 79% nel 2008.

Prospettive a breve termine
Per l’Italia, le previsioni di primavera della Commissione Europea prevedono una crescita del PIL nel 2011 pari appena all’1% e, a politiche invariate, dell’1,3% nel 2012. Secondo la Commissione, <<il Pil reale non dovrebbe accelerare visto che le debolezze strutturali continueranno a pesare sulle prospettive di crescita economica dell’Italia>>. Nel frattempo, invece, l’Europa a 27 cresce in media del 1,75% l’anno, vengono riviste al rialzo le previsioni già molto buone relative all’economia tedesca che, dopo aver archiviato il 2010 con una crescita del 3,5%, nell’anno in corso viaggia ad un tasso del 2,6%; anche altri grandi paesi come la Francia e il Regno Unito cresceranno a un buon ritmo (rispettivamente del 1,8 e dell’1,7%) e i paesi che si affacciano sul Mar Baltico sembrano infine aver intrapreso un percorso di crescita sostenuta (Svezia +4,2%, Finlandia +3,7%, Polonia +4,0%, Repubbliche Baltiche +4,5%)
In termini di crescita, è purtroppo improbabile che la Sardegna riesca a fare meglio della media italiana, date le sue debolezze strutturali che la rendono poco capace di agganciarsi direttamente alla ripresa internazionale svincolandosi dall’andamento della domanda nazionale. Qualche piccolo segnale di recupero potrebbe invece manifestarsi sul fronte occupazionale, grazie alla positiva dinamica del settore dei servizi.
 
 
L’evoluzione del sistema economico regionale
“Precipitare da altezze più basse è relativamente meno traumatico”. Con questa frase possiamo riassumere l’andamento del PIL pro capite della Sardegna nel 2009, che è risultato in diminuzione di “solo” il 3,9%, a fronte del 5,2% della media nazionale. Ferme restando le cautele dovute al fatto che l’ISTAT effettua nuovi aggiornamenti dei dati a livello regionale, possiamo concludere che la recessione globale ha riportato la “decrescita” della Sardegna di medio periodo su valori meno gravi di quelli del resto del Paese.
Si tratta ovviamente di una magra consolazione, che ben poco toglie al quadro drammatico che emerge dall’analisi dei singoli indicatori utilizzati nel Rapporto. Ad esempio, i consumi delle famiglie in valori pro capite sono ritornati al livello del 1999, con una riduzione nell’ultimo quinquennio dello 0,8% l’anno, sostanzialmente analoga alla media italiana. In questo caso la Sardegna aveva anticipato le tendenze del resto del Paese, cosicché nel 2009 la riduzione è stata relativamente contenuta (1,5% del PIL, nettamente inferiore alla media italiana del -2,6% e alla riduzione nel Mezzogiorno, -3%).
Per la Sardegna, l’indicatore che a fine 2009 ha mostrato l’andamento migliore è stato quello del Reddito per Unità di Lavoro, in crescita nel triennio 2006-2008, e in riduzione di solo lo 0,7% nel 2009. Se questo dato denotava un miglioramento dell’efficienza complessiva del sistema produttivo sardo fino al 2008, nel 2009 esso è in gran parte un effetto indiretto del tracollo occupazionale (quasi 20.000 occupati) registrato nella nostra Isola in misura molto maggiore rispetto al resto del Paese.
Il mercato del lavoro nel 2010. Sprazzi di luce rosa in un quadro fosco
L’analisi dei dati sul mercato del lavoro per l’anno 2010 riserva molti aspetti interessanti. Ricordiamo che nel biennio 2008-2009 le condizioni relativamente favorevoli che caratterizzavano la Sardegna rispetto al resto del Mezzogiorno si erano ridotte o in alcuni casi specifici azzerate.
Per il 2010 è in primo luogo da segnalare l’ulteriore incremento del tasso di disoccupazione, giunto al 14,1%. Le persone “attivamente” in cerca di lavoro hanno toccato le 98.000 unità con un incremento addirittura del 46% rispetto al 2007. Per il terzo anno consecutivo, la percentuale di disoccupati in Sardegna è superiore alla media del Mezzogiorno.
D’altra parte, il numero degli occupati ha interrotto il trend decrescente, stabilizzandosi sulle 593.000 unità, ed il tasso di attività è risalito al 59,5%, 9 punti percentuali sopra il dato del Mezzogiorno, ed a meno di 3 punti dalla media nazionale.
Per capire questa sostanziale tenuta dei livelli occupazionali risultano particolarmente rilevanti le dinamiche di genere. A differenza del resto del Paese, sono soprattutto le donne a trovare lavoro in questi tempi di crisi:
§         tra il 2008 e il 2010 il tasso di occupazione femminile in Sardegna passa dal 14,4 al 17,1% nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, dal 54,2 al 56,5% nella classe d’età 25-54 anni, e dal 20,4 al 26,2% nella classe 55-64 anni
§         il tasso di occupazione femminile totale si attesta al 42% (3 punti in più rispetto al 2007), mentre quello maschile perde ben 6 punti percentuali (dal 66 al 60%), nonostante un importante recupero di occupazione nelle classi di età più mature
Nel 2010 emergono inoltre segnali positivi per quanto riguarda il tasso di occupazione giovanile: dopo la caduta del 2009, anno in cui era giunto al 16%, nell’ultimo anno il dato si attesta al 19,3% riavvicinandosi ai livelli del 2008. La Sardegna è fortunatamente in controtendenza rispetto agli andamenti nazionali.
Come noto, un aumento dell’occupazione può accompagnarsi a un aumento della disoccupazione, ed è quello che sta accadendo nella popolazione giovanile. Tuttavia, per la classe di età 15-24 anni, risulta fortunatamente in calo il tasso di disoccupazione di lunga durata. Nel 2010 questo indicatore si riduce complessivamente dal 18,6% al 14,4%.
La crisi economica in Sardegna ha differenziato i suoi effetti oltre ogni aspettativa. I dati evidenziano infatti nuovamente la grande dinamicità della forza lavoro femminile. Mentre il tasso di disoccupazione maschile tra il 2008 e il 2010 passa dal 10,2 al 16,9% (nonostante un recupero dell’1,4% nell’ultimo anno dopo un vero e proprio tracollo registrato nel 2009), in due anni il tasso femminile si è praticamente dimezzato, raggiungendo l’11,2%, un dato inferiore alla media nazionale.
Questo exploit delle lavoratrici sarde rappresenta un unicum a livello nazionale. Negli ultimi due anni, la storica differenza di genere nei tassi di disoccupazione giovanile di lunga durata si è completamente ribaltata. In situazioni di crisi le donne sembrerebbero essere riuscite ad adattarsi maggiormente al cambiamento.
Venendo all’analisi settoriale, le donne sono verosimilmente riuscite ad approfittare dell’aumento dell’occupazione nel settore dei servizi: 10.000 dei 13.000 nuovi posti sono occupati da donne, mentre gli uomini hanno risentito della ulteriore riduzione dell’occupazione nell’industria (-7.000 unità, per un totale di 25.000 posti persi rispetto al 2007). Scopriamo dunque che la riduzione della disoccupazione femminile nel 2010 è attribuibile al settore dei servizi, in cui complessivamente hanno trovato lavoro il 75,6% degli occupati totali. Nel complesso risultano molto marcate le differenze provinciali. Ad esempio, la provincia di Olbia-Tempio presenta tassi di occupazione superiori alla media nazionale (59,1%). Al contrario, Carbonia-Iglesias presenta un tasso di occupazione del 42% e un tasso di disoccupazione sopra il 19%, dati che collocano questa provincia al penultimo posto in Italia, davanti alla sola provincia di Agrigento.
Questa edizione del Rapporto ha infine approfondito l’analisi delle transizioni tra gli status di occupato, disoccupato e inattivo. In Sardegna l’8% dei lavoratori con contratto a tempo determinato ha visto concludere la propria esperienza lavora-tiva con la disoccupazione. Si tratta di un dato al di sopra sia di quello nazionale (5%) che di quello del Mezzogiorno (6%).
Abbiamo valutato quale è la condizione occupazionale dei laureati triennali successivamente al conseguimento del titolo di studio: la Sardegna appare come un caso particolare. Infatti, a distanza di tre anni dalla laurea, circa il 50% dei laureati lavora, contro una percentuale vicina al 70% per il Mezzogiorno e anche per il resto d’Italia. Un segnale di “speranza” giunge dalla quota di laureati che hanno continuato a studiare, e che sono quindi impegnati nella laurea specialistica o in corsi di master, dottorato o di specializzazione. Questa quota è pari a circa il 15% per i laureati sardi, contro circa l’8% a livello nazionale.
 
 
La spesa pubblica in Sardegna: tendenze recenti e dinamiche di lungo periodo
Il CRENoS è da qualche tempo impegnato nell’approfondimento del ruolo del settore pubblico nel sistema economico regionale, anche alla luce dei processi legati all’attuazione del federalismo fiscale. In quest’ottica diviene molto importante da un lato misurare la dipendenza dell’economia della Sardegna dall’utilizzo di risorse pubbliche, dall’altro dotarsi di informazioni sulle tendenze di lungo periodo riguardanti nello specifico la nostra regione.
In termini di incidenza sul PIL, in Sardegna la spesa pubblica ha in media rappresentato, tra il 1996 e il 2008, il 62,1% del PIL, di cui l’81% riferibile alla spesa corrente (il 50,3% del PIL), e il 19% alla spesa in conto capitale (11,8% del PIL).
Si notano importanti differenze nelle tendenze di lungo periodo, che riassumiamo di seguito.
L’evoluzione della spesa corrente è in linea con i dati di Italia, Centro-Nord e Mezzogiorno. Rispetto a quest’ultimo differiscono però sostanzialmente i valori pro capite: con 8.491 euro pro capite nel 2008 (valori a prezzi 2000), il valore medio per la Sardegna non è lontano dagli 8.820 euro della media nazionale. Si tratta invece del 12% in più rispetto a quello del Mezzogiorno, e del 10% in meno del corrispondente valore del Centro-Nord.
L’evoluzione della spesa in conto capitale. Si nota una marcata differenza tra l’andamento della spesa per il quinquennio che va dal 1999 al 2003 e quello che va dal 2004 al 2008 nelle diverse aree. Nel primo periodo si assiste ad una crescita per Sardegna (16,6%) e Mezzogiorno (14,7%) ed in misura più contenuta per l’Italia, mentre per il Centro-Nord la variazione è praticamente nulla. Nel periodo 2004-2008 tale dinamica mostra per la Sardegna una decisa inversione di tendenza, con un calo del 31,6% (principalmente attribuibile al 2008). Anche per il Mezzogiorno si assiste ad una diminuzione della spesa in conto capitale (-8,8%) mentre per il Centro-Nord si registra invece un incremento (+3,2%). A fine periodo, con meno di 1400 euro pro capite, la Sardegna ha oggi una spesa simile alla media del Paese e del Centro-Nord, dopo aver usufruito di percentuali anche del 25% in più fino al 2003.
Questo processo così rilevante di riduzione della componente “più pregiata” della spesa pubblica può risultare non dannoso per l’economia solo se accompagnato da forti miglioramenti nella qualità della spesa.
Le diverse dinamiche della spesa in conto capitale nei vari livelli di governo
La composizione percentuale della spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2008 ha visto primeggiare le Amministrazioni Centrali (46%), seguita dalle Amministrazioni Regionali (30%) e da quelle Locali (24%). A fine periodo la spesa si ripartisce in maniera quasi uniforme fra i tre livelli, a seguito soprattutto di una riduzione degli interventi delle Amministrazioni Centrali ed in parte ad un aumento delle spese attribuibili agli enti locali. In particolare, in Sardegna, nel periodo 1996-2008:
§         la spesa in conto capitale delle Amministrazioni Centrali si riduce di circa il 65%, contro il 40% della media nazionale
§         la spesa delle Amministrazioni Regionali si riduce di circa il 45%, contro una sostanziale stabilità della media nazionale; in Sardegna essa è però ancora più che doppia rispetto al dato medio italiano
§         la spesa delle Amministrazioni Locali aumenta di oltre il 40%, in linea con l’andamento nazionale
È evidente come nel periodo considerato ci sia stato, almeno in parte, un effetto sostitutivo tra le Amministrazioni Centrali e Regionali da un lato e quelle Locali dall’altro, causato, per un verso, dal passaggio di una serie di funzioni dal governo regionale a quello locale, in particolare per quel che riguarda i macro settori delle risorse umane e dell’ambiente produttivo, il settore dei trasporti, dell’edilizia; per un altro verso, è rilevante ricordare che una crescente quota delle risorse comunitarie viene gestita direttamente dagli Enti Locali.
Nel complesso la riduzione della spesa delle Amministrazioni Centrali in Sardegna nel periodo 2004-2008 ha interessato praticamente tutti i settori di intervento. I livelli regionali e locali non hanno solitamente “contrastato” questa dinamica, se si eccettua la positiva eccezione della spesa in Ricerca e Sviluppo.
Il sistema sanitario regionale
Dalla nostra analisi emergono elementi di preoccupazione circa la sostenibilità del Sistema Sanitario Regionale (SSR) sardo. La spesa pro capite in Sardegna è aumentata velocemente nel 2009 rispetto all’anno precedente, portandosi ad un livello superiore rispetto a quello medio del Mezzogiorno.
Continua a crescere inoltre l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL, posizionandosi su un livello nettamente superiore a quello nazionale (9% contro 7,2%), ma pur sempre inferiore di un punto percentuale rispetto al Mezzogiorno.
Sapere quanto si è speso per la salute dei sardi non basta, tuttavia, a dire se si è speso bene. La Sardegna è lontana dal target di efficienza nella dotazione strutturale in termini di posti letto e si caratterizza per una non ottimale efficien-za operativa in termini di degenza media (corretta per il case-mix). Anche gli indicatori di appropriatezza utilizzati non evidenziano risultati confortanti. Il dato più preoccupante riguarda la mobilità sanitaria interregionale.
La Sardegna registra un saldo negativo di circa 62 milioni di euro, pari al 2,1% della spesa sanitaria pubblica totale. E’ importante sottolineare che l’incidenza sulla spesa totale è sicuramente più preoccupante in altre regioni come Calabria, Valle d’Aosta, Basilicata, Campania, Puglia e Sicilia. Inoltre, nella nostra Isola la crescita della spesa sanitaria nell’ultimo anno appare in forte rallentamento rispetto agli anni precedenti. La Sardegna presenta, inoltre, il tasso di fuga dei pazienti più basso del Mezzogiorno (5,2%), valore diminuito dell’1,6% nel 2009, e si distingue anche come regione che, anche a causa dell’insularità, ne attrae meno dal resto del Paese (il tasso è prossimo allo zero nel 2009).
Nel complesso, gli indicatori di efficienza, efficacia e mobilità interregionale utilizzati rivelano la scarsa competitività del SSR e la necessità di accompagnare le politiche di programmazione della spesa a concrete azioni di miglioramento della qualità e della performance del sistema regionale delle cure sanitarie.
I servizi pubblici locali
E’ notoriamente difficile dare una valutazione complessiva dell’efficienza della spesa. Tuttavia, i due indicatori da noi scelti, relativi ai tempi di attesa da parte degli utenti presso le ASL e le Anagrafi comunali, rivelano per la Sardegna una flessione nell’efficienza di erogazione dei servizi. Al contempo, la nostra Regione registra una forte crescita della spesa pro capite nei comuni, giunta nel 2008 a 1.030 euro, valore superiore rispetto alla media italiana (843) e a quella delle regioni del Mezzogiorno (811).
Servizi comunali
Ad incidere maggiormente sulla spesa totale dei comuni isolani è la spesa sociale (23%), aumentata del 75% nell’ultimo quinquennio, laddove questa voce di spesa ha minore importanza nelle macroregioni (12% Mezzogiorno e 18% Centro-Nord). L’analisi della composizione della spesa corrente fa emergere elementi di preoccupazione sull’effettivo controllo delle risorse impiegate nel settore sociale.
Si conferma ancora l’insufficiente supporto fornito alle famiglie attraverso i servizi per asili nido e per l’infanzia. In questo ambito i comuni sardi, che spendono mediamente più del Mezzogiorno (in media 320 contro 222 euro per bambino sotto i 3 anni) ma decisamente meno del Centro-Nord (820 euro), sono ancora molto lontani dal livello di copertura del servizio previsto dagli Obiettivi di Lisbona (6,2% contro 33%).
Risorse idriche e gestione rifiuti
Risultati più incoraggianti emergono sul fronte della gestione delle risorse idriche (per la quale diminuiscono le irregolarità nella fruizione del servizio e aumenta la fiducia della popolazione) e dei rifiuti. I dati ARPAS per la sola Sardegna mostrano nel 2009 una riduzione della produzione totale di rifiuti (501 kg/ab rispetto ai 518 kg/ab indicati dal Ministero per il 2008) e un aumento della raccolta differenziata, passata dal 34,7% al 42,5%, prossima all’obiettivo di legge del 45% per il biennio 2008-2009. Va ricordato che la raccolta dei rifiuti rappresenta uno dei quattro servizi inclusi nel progetto "Obiettivi di servizio" previsto all’interno del Quadro Strategico Nazionale come sistema di premialità per il periodo di Programmazione 2007-2013. Con i livelli raggiunti nel 2009, la Sardegna ha praticamente già raggiunto gli obiettivi previsti.
La Sardegna ottiene risultati eccellenti anche nel recupero delle materie dannose per l’ambiente, situandosi al quinto posto nella graduatoria nazionale e ponendosi al di sopra della media nazionale, nonostante una copertura territoriale dei centri di conferimento assai disomogenea a livello provinciale.
Per quanto riguarda i rifiuti destinati al compostaggio, si è passati da una produzione pro capite di 1,2 kg nel 2004, a 17,3 kg nel 2007 fino ai 40,2 kg registrati nel 2008. Un dato che, in valore assoluto, ci pone ben al di sopra della media nazionale di 24 kg pro capite di frazione umida compostata registrata nel 2008.
Sul lato dei rifiuti solidi urbani, la Sardegna mostra dunque di aver investito seriamente per raggiungere gli obiettivi indicati dall’Unione Europea e di essere ben avviata anche rispetto alle politiche di valorizzazione dei rifiuti e del recupero della materia. Se ben indirizzate, queste filiere potrebbero costituire uno dei futuri perni della green economy nazionale e regionale.
I costi della politica e della macchina amministrativa
Quest’anno il secondo capitolo dedica un tema di approfondimento al “costo della macchina amministrativa” a livello di Amministrazioni Regionali e Locali in un contesto di progressivo decentramento degli erogatori di servizi pubblici.
Gli indicatori della Commissione tecnica Paritetica per l’Attuazione del Federalismo Fiscale (COPAFF) sui costi della politica a livello regionale (intesi come spesa pro capite per l’Ordinamento degli uffici (Amministrazione generale ed organi istituzionali) mettono in evidenza che il costo della politica regionale risulta minore nelle regioni più efficienti e più ricche. Sebbene i costi pro capite siano inversamente correlati alla popolazione regionale, i dati COPAFF per il 2009 confermano il forte divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord e le preoccupazioni sugli effetti del decentramento. Burocrati e politici del governo regionale sardo costano in media 287 euro ad abitante. La regione che spende meno per la politica è la Lombardia (61 euro), seguono Liguria, Veneto, Puglia ed Emilia Romagna, con una spesa pro capite inferiore a 100 euro
Questi dati vengono confermati anche dall’analisi dei Conti Pubblici Territoriali, dai quali si evince che la Sardegna spende mediamente più del resto del Paese per ogni livello di governo. In particolare:
§         nel 2008, la spesa corrente collegata alle Amministrazioni Regionali e Locali complessivamente è di 545 euro pro capite. Di questi, 103 euro sono riferibili all’Amministrazione Centrale, un livello che supera il dato medio nazionale di meno del 5%
§         la “peculiarità” sarda emerge invece a livello dell’Amministrazione Regionale. La macchina del governo regionale costa in media 204 euro per ogni cittadino sardo, rispettivamente 74 euro (+57%) e 114 euro (+126%) in più rispetto ai cittadini del Mezzogiorno e al resto dei connazionali. Le regioni più virtuose in termini di contenimento dei costi si trovano al Centro-Nord (la Lombardia spende circa 36 euro per abitante, la Liguria e l’Emilia Romagna rispettivamente 43 e 48 euro)
§         le amministrazioni locali costano in media 238 euro per cittadino sardo, una cifra superiore alla media nazionale di circa il 16%
Il settore turistico
Il 2010 non è un buon anno per il turismo nazionale e regionale. A due anni di distanza dalla crisi finanziaria ed economica, la nostra piccola economia fatica più di altre e la ripresa prevista dall’Organizzazione Mondiale del Turismo per il 2010 si realizza in altri paesi, ma non in Sardegna.
Se nel 2009 la crescita della domanda turistica rallentava (+3,5% negli arrivi, e presenze al +0,1%) ma sembrava non temere la crisi che, invece, interessava altre destinazioni, nel 2010 si registrano andamenti negativi. Anche se si tratta di dati provvisori (fonte: Osservatorio economico della Sardegna), i segnali non sono buoni: rispetto al 2009 gli arrivi diminuiscono del 2,7%, le presenze dell’1,2%. Calano soprattutto gli arrivi stranieri (-5%) in controtendenza con quanto accade nella penisola (+0,4%). In ambito provinciale il Medio-Campidano registra un calo di presenze del 15,7%, non è un buon anno neanche per la provincia di Carbonia-Iglesias e per le più consolidate province di Cagliari, Nuoro e Olbia-Tempio. Spiccano invece le performance di Oristano (+6,4%) e Ogliastra (+5,0%). In tutte le province (esclusa Oristano) si assiste ad un crollo della domanda negli esercizi extralberghieri, mentre tiene quella negli esercizi alberghieri.
L’incidenza delle presenze straniere si attesta intorno al 33% e supera la media delle regioni del Mezzogiorno. Il bacino europeo continua a essere di riferimento per il turismo isolano: più del 94% dei per-nottamenti stranieri fa capo a turisti europei. Nel 2010 crescono le presenze dei turisti austriaci e tedeschi (ri-spettivamente +19% e 1%); calano in modo sostanziale quelle degli Inglesi (-27%), in negativo per il terzo anno consecutivo.
Come andrà il 2011? Secondo le previsioni del CRENoS, ci attende un periodo di crescita moderata (+1,2%), con una migliore performance del comparto alberghiero per il quale ci si aspetta un aumento delle presenze turistiche di po-co inferiore al 2%. Infine, è previsto un calo della domanda nazionale (-0,8%) e un aumento della componente internazionale (+3,7%).
Quali i nodi ancora da sciogliere? Niente di nuovo sul fronte della stagionalità dei flussi turistici, per la quale si segnala un peggioramento degli indicatori riguardanti la componente straniera. I turisti che soggiornano nei mesi cosiddetti di spalla o in bassa stagione sono solo il 16,6%. La provincia che registra il dato peggiore è l’Ogliastra (9,4%). Anche la “provincia guida” di Olbia-Tempio ha degli indicatori di stagionalità molto pronunciati, ma ha mostrato un recupero di turisti Italiani nei mesi di spalla.
Sul fronte della riduzione del turismo sommerso, il confronto con le stime ricavabili dall’indagine Viaggi e Vacanze dell’ISTAT sembra mostrare un miglioramento, la cui solidità andrà però monitorata nei prossimi anni. Gli operatori del settore consultati quest’anno segnalano soprattutto l’inadeguatezza dei collegamenti di trasporto tra punti di arrivo e di destinazione e la mancanza di supporto alla qualificazione dell’offerta ricettiva esistente. I dati confermano che nell’ultimo biennio c’è stato un crollo dell’offerta campeggistica e di villaggi turistici, mentre sono in continuo aumento B&B e alberghi.
Una nota negativa emerge anche dall’approfondimento sulle reti relazionali degli operatori della Costa Smeralda-Gallura. Il livello di collaborazione tra gli stakeholders pubblici e privati coinvolti nel turismo è molto basso, e a nessuno di essi è riconosciuto un ruolo di guida delle attività strategiche e operative dell’attività turistica del territorio.
 
I fattori di crescita e sviluppo necessari per potersi riagganciare alla ripresa internazionale
Dati alla mano, il grado di sviluppo e le potenzialità di crescita della nostra Regione sono fra le peggiori in Europa e non si notano apprezzabili segnali di un’inversione di rotta.
Inoltre, gran parte dei nuovi Stati Membri, pur partendo da livelli di sviluppo decisamente più bassi rispetto a quelli sardi, evidenziano un’economia molto più dinamica e caratterizzata da potenzialità di crescita di lungo periodo decisamente superiori. Ciò è testimoniato dai dati su innovazione e capitale umano, con riferimento ai quali la nostra Regione, oltre a sperimentare valori assoluti largamente al di sotto della media Europea, evidenzia dei tassi di crescita assai inferiori rispetto ai paesi più poveri e rappresenta quindi un’eccezione rispetto al generale processo di convergenza che sembra essere in atto. Ciò è testimoniato soprattutto dai dati sulla spesa pubblica e privata in Ricerca e Sviluppo come percentuale del PIL, con riferimento ai quali la Sardegna presenta numeri ampiamente inferiori alla media UE (rispettivamente 0,52% contro 0,67% e 0,07% contro 0,6%) e tassi di crescita negativi (intorno al -0,1%).
Qualche segnale positivo può essere invece rintracciato nella dinamica relativa ad alcune variabili riferibili all’accumulazione di capitale umano (tassi di dispersione scolastica, formazione permanente e low achievers) che, pur caratterizzate da livelli (talvolta ampiamente) inferiori alla media sia italiana che europea, evidenziano una riduzione del gap e presentano discreti segnali di miglioramento, soprattutto se confrontati ai dati del Mezzogiorno. In particolare:
§         la Sardegna registra un rilevante miglioramento nel tasso di dispersione scolastica, che dal 2000 al 2010 diminuisce dal 34 al 23%; va pero segnalato che il recupero si è interrotto nel 2007, e che la componente maschile raggiunge i livelli più alti dell’intero Paese (oltre il 30%); siamo inoltre ancora lontani dalla media UE di 14,4%). Presenta inoltre un tasso di partecipazione egli adulti alla formazione permanente superiore alla media Italiana (6,4% contro 6%) seppur ancora lontano dalla media UE
§         degni di nota anche i miglioramenti della percentuale degli studenti con scarse competenze in lettura e in matematica che, sebbene in Sardegna presentassero nel 2006 livelli molto alti (rispettivamente 37 e 45%) nel 2009 scendono rispettivamente al 23 e al 32%
Il quadro è invece molto più pessimistico con riferimento alla dotazione infrastrutturale (sia immateriale che, soprattutto, materiale) dove la nostra Regione manifesta un crescente e preoccupante ritardo non solo rispetto alla media italiana ma anche a quella del Mezzogiorno. A far riflettere sono soprattutto le dotazioni di infrastrutture materiali (strade, ferrovie, reti bancarie, reti energeti-che ed ambientali) i cui valori correnti (sempre sotto la metà della media italiana) e la cui dinamica nel tempo, spesso con tassi di crescita negativi, appare incompatibile con l’esigenza di supportare la ripresa di un tessuto imprenditoriale già di per sé molto debole.

 

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