UniCa UniCa News Notizie Autodeterminazione dei popoli, l’esempio tibetano e birmano

Autodeterminazione dei popoli, l’esempio tibetano e birmano

Il 14 aprile conferenza organizzata dall'associazione FUAN Caravella alle 18.00 in via San Gregorio Magno 7 a Cagliari
11 aprile 2011

giovedì 14 aprile, ore 18.00, ingresso gratuito
Cagliari, via San Gregorio Magno 7
 
Interverranno alla conferenza:
- Dario Dessì, Laureato in Scienze Politiche con tesi sulla questione Tibetana
- Ludovica Fabrizio, Responsabile Sardegna Comunità Solidarista POPOLI ONLUS
 
Modera:
- Alessandro Farigu, studente di Scienze Politiche e socio FUAN Caravella
 
 


 

Giovedì 14 aprile, alle 18, si terrà il convegno dal titolo: “Autodeterminazione dei Popoli. L’esempio tibetano e birmano”.
L’iniziativa, promossa dall’associazione studentesca FUAN Caravella con il contributo dell’Università degli Studi di Cagliari, si terrà a
Cagliari presso la sede di via San Gregorio Magno n.7.

Oggi l’attualità ci pone all’attenzione una questione e un valore sovente dimenticati: il diritto all’autodeterminazione dei popoli. In terra asiatica, la Cina tiranneggia sul Tibet e il popolo Karen viene oppresso dal regime Birmano di ispirazione cinese/comunista. Temi
attuali ma conflitti vecchi e generatori di morte e povertà. Il tema verrà affrontato da Dario Dessì, studioso della questione tibetana e laureato in Scienze Politiche con tesi affine, e Ludovica Fabrizio, responsabile per la Sardegna della Comunità Solidarista Popoli Onlus.
 
Esempio tibetano.
Esisteva nel cuore del continente asiatico uno Stato libero, indipendente, erede di una tradizione secolare e con peculiarità che
lo distinguevano dal resto del Mondo. Esisteva un popolo la cui vita era profondamente permeata da una dottrina religiosa vecchia di 25 secoli. Esisteva una delle ultime figure che racchiudeva in sé il potere spirituale e temporale. Per 350 anni tutto questo è stato il Tibet, sino al 7 ottobre 1950, giorno in cui per espresso ordine di Mao Zedong, subì l’invasione da parte della Repubblica Popolare Cinese, la quale rivendicò una presunta appartenenza del Tibet al proprio territorio (pretesa peraltro priva di qualsivoglia fondamento antropologico). Da quel giorno iniziò uno dei maggiori genocidi della storia dell’Uomo nonché il tentativo di distruggere una cultura unica al Mondo. Il Tibet ha conosciuto, negli ultimi 60 anni, l’uccisione di circa un milione e mezzo di persone, la tortura di un incalcolabile numero di persone, la distruzione della propria identità, cultura e patrimonio ambientale. La propria guida spirituale e politica, Sua Santità il Dalai  bLa ma, fu costretto a fuggire in esilio nel 1959, riparando a Dharamsala, in India, a tutt’oggi sede del governo tibetano in esilio. Da allora la vita dei tibetani (di fatto una minoranza in casa propria, a causa della colonizzazione in atto nell’Altopiano) è stata segnata da rivolte affogate nel sangue per mano del Partito Comunista Cinese, il quale si è reso protagonista di condanne alla pena di morte (donne, monaci ed anziani compresi), sepoltura di persone vive, choc causati da pungoli elettrici, taglio della lingua di chi inneggia al Dalai bLa ma, riduzione alla fame di interi villaggi, bando della lingua e della bandiera tibetana, deposito di scorie nucleari, chiusura di più di 6.000 monasteri, imposizione della legge marziale, arresti preventivi. Il Tibet è una regione nella quale la violazione dei diritti umani è una regola, il tutto nella totale indifferenza del mondo occidentale, che non si cura minimamente della costante violazione delle norme sancite dall’O.N.U. Le grandi “colpe” del popolo tibetano sono quelle di non fare “rumore” a livello internazionale, dal momento che la sua lotta è prettamente politica e non violenta (a Sua Santità il Dalai bLa ma venne assegnato il premio Nobel per la pace nel 1988), e di essere vittima dei nuovi banchieri del sistema economico mondiale, dal momento che la Cina si è aperta al libero mercato senza però diventare una nazione democratica. Il Governo di Pechino continua ancora oggi a considerare la questione tibetana come una “questione interna” sulla quale nessuno può esprimere un parere anche solo minimamente critico, questo nonostante da più di 20 anni il Dalai bLa ma abbia rinunciato all’indipendenza in favore di una reale autonomia (politica peraltro attuata da Deng Xiaoping ad Hong Kong e Macao). Ancora nel febbraio del 2011, il membro del Politburo comunista Jia Qinglin ha chiesto “un nuovo sforzo contro l’influenza del Dalai bLa ma sul Tibet al fine di migliorare la vita dei tibetani e rendere più sicura la regione” ed all’inizio del mese di marzo, un giovane monaco si è dato fuoco nella contea tibetana di Ngaba per rivendicare la libertà per il proprio popolo. Sapendo bene di essere considerato dal Partito Comunista Cinese come il maggiore ostacolo ad un fattivo dialogo politico finalizzato ad un allentamento dell’oppressione in Tibet, il Dalai bLa ma ha recentemente annunciato di voler rinunciare al proprio ruolo politico mantenendo il solo ruolo di guida spirituale, nonostante il parere contrario del Governo tibetano in esilio.
Con questa decisione, il Dalai bLa ma ha offerto un atto d’amore per il proprio popolo ed un grande segnale per il mondo e per la Cina ma né la Comunità Internazionale né tantomeno Pechino hanno recepito questo messaggio.

L’associazione studentesca FUAN Caravella denuncia apertamente la volontaria cecità del mondo occidentale nei confronti della questione tibetana, cecità che è figlia unicamente di enormi interessi economici a causa dei quali la Cina viene considerata come una realtà intoccabile. Il falso coraggio mostrato recentemente nell’operazione “Odissea all’alba” in Libia (contravvenendo allo Statuto delle Nazioni Unite) dimostra apertamente quanto gli interessi economici sovrastino la Politica ed il principio di autodeterminazione dei popoli. Per quanto tempo ancora il Tibet rappresenterà il prezzo da pagare sull’altare del tornaconto economico?
 
Esempio birmano: il popolo Karen
I Karen, una delle principali etnie che compongono il mosaico birmano (circa sei milioni su una popolazione di 44 milioni di abitanti), lottano dal 1949 contro il governo centrale di Rangoon per ottenere l’indipendenza e preservare la loro identità. Originari delle steppe della Mongolia e degli altipiani del Tibet, i Karen arrivano nei territori che oggi costituiscono la Birmania dopo una lunga migrazione durata duemila anni. Nella loro discesa a sud scoprono i grandi fiumi Irrawaddy e Salween che si insinuano attraverso gli ultimi contrafforti della catena himalayana. Primi abitanti delle vaste pianure situate all’estuario di questi fiumi, vi si insediano nel 730 Avanti Cristo vivendo in pace per due secoli, fino all’arrivo dei Birmani che invadono le terre dei Karen costringendoli a rifugiarsi sulle montagne al confine con il Siam (l’odierna Thailandia). Inizia lo scontro tra i due popoli. Le pianure conquistate dai Birmani sono fertili, le montagne dei Karen non offrono molte risorse. La frattura si fa via via più profonda nei secoli a seguire. Durante il periodo coloniale britannico avviene la cristianizzazione di una parte della popolazione Karen per opera di missionari battisti. L’eredità dell’evangelizzazione si evidenzia in un 30% di Karen tutt’ora fedeli al Cristianesimo. Quando nel 1947 l’Inghilterra lascia la Birmania, il primo responsabile politico del nuovo paese, il Generale Aung San, propone una costituzione che prevede entro i dieci anni successivi il diritto di ogni gruppo etnico a separarsi dall’Unione e di ottenere piena indipendenza. Il disegno non viene realizzato, perché Aung San viene assassinato durante un colpo di stato che porta al governo una giunta militare che ben presto provoca la reazione armata dei Karen e delle altre etnie. Da allora, i popoli delle montagne hanno combattuto senza sosta per l’indipendenza. I Karen hanno condotto la loro lotta rinunciando per ragioni etiche ai facili guadagni derivanti dal traffico di droga, a cui si oppongono con esemplare rigore.
[tratto da http://www.comunitapopoli.org]
 
Comunità Solidarista Popoli
La "Comunità Solidarista Popoli" è costituita da un gruppo di persone che, per desiderio e sentimento comuni, ha voluto creare una associazione di aiuto umanitario che indirizzi principalmente la propria azione a favore di popoli od etnie, che, in lotta per il mantenimento della propria identità, vivano in condizioni di particolare disagio. E’ scopo dell’associazione portare aiuti concreti a soggetti che si trovino in difficoltà a causa di guerre, calamità naturali od epidemie, con l’intenzione di operare autonomamente, al di fuori di qualsiasi condizionamento da parte di governi ed organizzazioni politiche. La Comunità provvede infatti alla designazione degli obiettivi su cui concentrare i propri sforzi, con l’impegno altresì di informare gli aderenti, i sostenitori e l’opinione pubblica circa i particolari degli interventi proposti. Il raggiungimento degli obiettivi passa attraverso il lancio di progetti umanitari (emergenze, lotta alla povertà) e di sviluppo (costruzione di ospedali, dispensari, scuole, centri di formazione professionale) che contribuiscano al miglioramento delle prospettive di vita delle stesse popolazioni che si trovano in situazioni di difficoltà. La copertura finanziaria di tali progetti avviene attraverso auto finanziamento degli associati attuali e futuri, e tramite raccolte di fondi, da effettuarsi con l’organizzazione di manifestazioni di beneficenza, agendo quando possibile in sinergia con altre organizzazioni umanitarie regolarmente costituite che si trovino ad operare parallelamente agli obiettivi scelti dalla nostra Comunità.
[tratto da http://www.comunitapopoli.org]

  


INFO

fuancaravella.cagliari@gmail.com
 

Ultime notizie

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie