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All’Università tre miliardi dei cinque in rientro con lo scudo fiscale?

In aggiunta al fondo di finanziamento ordinario (7miliardi di euro, fermo dal 2005, con un taglio del 20% deciso all’inizio del 2009)
01 novembre 2009

 

di Loredana Oliva.

Merito, autonomia finanziaria, voti dati finalmente dagli studenti ai professori, il talento criterio che valuta tutti, dalle matricole alle università stesse che avranno più fondi solo se saranno virtuose. Il disegno di legge della ministra Maria Stella Gelmini accompagnerà in Parlamento, parole nuove, che se messe insieme con quelle vecchie, come finanziamenti uguali per tutti, professori baroni, ricerca scientifica poco valutata e valorizzata, e gli oltre tre mila corsi di laurea (di primo e secondo livello) esistenti, rischia di trovare una strada in salita e piena di ostacoli.
Per superarli è necessario passare dalle parole ai fatti.
Per chi guarda il mondo dell’università almeno a un livello europeo, (come chi scrive e come questo blog ha sempre fatto) l’idea che i professori possano essere valutati dagli studenti non è nuova, e per la verità non lo è neanche in Italia, le università con un’allure internazionale hanno applicato queste metodologie. Ma se davvero questo inciderà sulla valutazione dell’attività di un docente (ebbene sì anche di uno solo), la rivoluzione sarà cominciata.
Nel turn over, dei docenti/ ricercatori di Business school come Insead, Hec, London Business school, Iese - e anche nei corsi di laurea delle università spesso collegate a queste strutture - giusto per restare in Europa, questo avviene regolarmente. Nel rinnovare il contratto a un docente con PhD, si tiene conto in una percentuale importante del giudizio degli allievi, un “voto” basso, per esempio due su cinque, su voci che vanno dalla tenuta d’aula, disponibilità al dialogo, chiarezza di esposizione, capacità di coinvolgimento degli studenti, a livello individuale e della classe, e altri comportamenti che fanno dei prof dei facilitatori, può determinare il mancato rinnovo di un contratto con il docente. E nessuna associazione o corporazione accuserà quella scuola o ateneo, di comportamenti lesivi della dignità di un luminare. In un mondo in cui lo studente è anche un cittadino consumatore, e paga costi importanti per la propria formazione, deve vigilare sulla qualità e poter dire la sua.
Qualcuno dirà che non è il nostro caso, in Italia l’istruzione superiore, anche quella post universitaria è considerata un diritto, la garanzia dell’università sotto casa un’aspettativa confermata, e le tasse universitarie uguali per tutti, una certezza irrinunciabile. La ministra ha subito dichiarato, che le tasse universitarie non saranno aumentate e che non si vogliono privatizzare gli atenei. I maggiori finanziamenti alle università talentuose saranno recuperati dallo scudo fiscale. Ottima idea.
Suona un po’ come certi beni immobili confiscati ex art 416 bis del Codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso), che gestiti con intelligenza oggi accolgono comunità per i disagi sociali, o cooperative che producono prodotti regionali a sostenere progetti di valore ambientale o etico. Gli ex evasori finanzieranno l’università, chi ha portato i capitali all’estero, oggi darà una mano agli atenei italiani ad avere un livello internazionale o almeno europeo. Tout se tient. Soprattutto se ci sono in ballo cinque miliardi, la previsione di risorse che entrerebbero nelle casse dello Stato italiano quando l’operazione di rientro dei capitali, sarà finita.
Se Maria Stella Gelmini avrà davvero ottenuto la rassicurazione dal ministro Tremonti, che nella ripartizione di quei fondi la priorità sarà data alla sua legge di riforma dell’università, rispetto ad altri due settori identificati che potrebbero aver bisogno di quelle risorse (sicurezza e missioni all’estero), dovremmo darle ragione. Che vuol dire priorità?
Cinque miliardi equivalgono all’investimenti del governo francese per il progetto Campus che riunisce gli atenei di un territorio, in un’unica università, per il quale 11 campus saranno collegati ai Pôles de Recherche et d’Enseignement Supérieur (PRES).
Priorità vuol dire, che almeno tre miliardi e mezzo sui cinque che verrebbero dallo scudo fiscale devono essere destinati all’investimento sull’università italiana in aggiunta al fondo di finanziamento ordinario (7miliardi di euro, fermo dal 2005, con un taglio del 20% deciso all’inizio del 2009). Insieme a una politica di risparmio, e di abolizione degli sprechi, una cifra del genere ridarebbe un po’ di dignità all’Istruzione italiana, ci farebbe salire di qualche punto dal fondo delle statistiche Ocse che ci indicano tra i Paesi europei che investono meno nell’education, darebbe un minimo di respiro al destino dei ricercatori. Su questi ultimi il disegno di legge Gelmini, è più controverso, il contratto a tempo determinato potrà andar bene per le nuove assunzioni. E per i ricercatori già nell’organigramma dell’Ateneo? Che ne sarà del loro lavoro di ricerca? Su questo punto è stata data solo una rassicurazione agli attuali ricercatori, che non saranno penalizzati. Ma il valore della ricerca non sembra il punto forte di questo ddl, invece lo è per Harvard, per l’università di Toronto, per il Trinity College di Dublino, Sorbona, Complutense, la belga Lovanio, per le università australiane, neo zelandesi, cinesi, le svedesi , le spagnole e anche qualche svizzera.

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