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Fusione del Politecnico. E’ il Mi-To dell’Università

Le due città pronte a unirsi per un mega ateneo da 80 mila studenti
13 novembre 2009

di ANDREA ROSSI
TORINO
Tutto è nato al Lingotto di Torino, a fine luglio, davanti a un caffè. Intorno al tavolo: l’assessore piemontese all’Innovazione Andrea Bairati e i rettori dei politecnici di Torino e Milano, Francesco Profumo e Giulio Ballio. Era un po’ che se ne parlava, ma quel giorno sono state gettate le basi del «Mi-To dell’Università»: la fusione tra i due politecnici, «alta formazione e ricerca d’avanguardia integrata per il Nord-Ovest, un polo che forse non ha rivali in Europa», per dirla con Bairati.

Di sicuro non ne ha in Italia: secondo il ministero dell’Università il Politecnico di Torino è il secondo miglior ateneo del Paese, Milano il terzo. Ogni anno, da soli, laureano metà degli ingegneri e architetti d’Italia. Insieme farebbero un mega ateneo da 80 mila studenti. Un colosso che potrebbe sfruttare il nuovo decreto Gelmini, la possibilità per gli atenei vicini di fondersi o aggregarsi su base federativa per aumentare la qualità, evitare le duplicazioni e abbattere i costi. Torino-Milano, tra meno di un mese, sarà questione di 50 minuti in treno. Distanze quasi azzerate, che forse rendono superflua l’esistenza di due università simili e concorrenti. «Serve un punto di riferimento per lo sviluppo nazionale», ha detto ieri il rettore Profumo inaugurando l’anno accademico. «Uniti siamo in grado di competere con qualsiasi scuola al mondo. Il coordinamento delle nostre forze è forse una delle poche carte che il Paese ha a disposizione per uscire dal pericoloso vortice in cui si sta avvitando dal punto di vista economico e sociale».

Oggi la competizione - anche per le università - si gioca contro città come Shanghai, che ha un’estensione di cento chilometri, o Tokyo, che per attraversarla in metropolitana non basta un’ora. To-Mi sarebbe un polo delle stesse dimensioni, capace perciò di reggere l’urto delle sfide globali. La riforma dell’Università voluta dal ministro Gelmini sembra offrire un assist ideale, e non solo perché permette agli atenei di fondersi. Impone di razionalizzare l’offerta formativa. Il progetto che sta prendendo corpo muove in quella direzione: mantenere un’autonomia di fondo ma unificare parte di didattica e soprattutto ricerca. Modello California, insomma: far diventare ciascuna sede il punto di riferimento negli ambiti in cui eccelle. Torino è forte su automotive, meccanica e nuove energie; Milano su chimica, scienze dei materiali e design. Entrambe sono ai vertici nell’Ict, le tecnologie per l’informazione e la comunicazione.

Una micro alleanza già c’è, e funziona da quattro anni. Si chiama Alta scuola politecnica, 150 studenti che seguono un percorso comune. Per la fusione - quella vera - ci vorrà tempo e si dovranno coinvolgere altri attori, a cominciare dagli enti locali, che sembrano guardare con favore il sodalizio, dopo la fusione bancaria Intesa-Sanpaolo, Settembre Musica e la partita (per ora naufragata) dell’azienda unica per i trasporti Gtt-Atm «L’area è così collegata che su molti aspetti conviene lavorare insieme specialmente sui versanti strategici per il territorio, come ricerca e formazione», dice il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. «Questa è la vera sfida, non il decentramento territoriale». Le basi ci sono. «Tempo fa, con i ministri Tremonti e Gelmini, abbiamo valutato la possibilità di creare una sorta di “cappello” sopra i due atenei», racconta il rettore milanese Giulio Ballio. Una sorta di cabina di regia.

Profumo si spinge più in là, ventilando l’ipotesi di «senati accademici “misti”, con la presenza di entrambi i rettori, e un presidente». Per raggiungere l’obiettivo si guarda anche oltre. «Le grandi realtà internazionali, come il Mit, hanno investito sull’integrazione tra tecnologia e scienze della vita, cosa che nei nostri atenei è assente», sostiene Ballio. I due politecnici, insomma, potrebbero non bastare. Serve altro, a cominciare dal sostegno del tessuto economico e finanziario del Nord-Ovest. Su questo versante parole di apprezzamento arrivano da Enrico Salza, presidente del Consiglio di gestione di Intesa-Sanpaolo: «Siamo interessati e curiosi, anche al di là dell’aspetto finanziario. Tutto quel che fa parlare le due città ci interessa». Dunque sarà sinergia? Troppo poco, secondo Profumo: «Dobbiamo avere il coraggio di disegnare un percorso che guardi più in alto».

 

 

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