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Democrazia e libertà, la lezione del prof. Gustavo Zagrebelsky

L’insigne costituzionalista all’inaugurazione di Scienze politiche
07 ottobre 2008
   "Dimmi Pericle: cos’è la legge?"
La Lectio Magistralis del Prof. Zagrebelsky all’inaugurazione di Scienze Politiche

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Inaugurazione di prestigio per l’Anno accademico di Scienze politiche, con la lectio magistralis del prof. Gustavo Zagrebelsky, insigne costituzionalista e presidente emerito della Corte costituzionale. Il 2008/09 è il primo anno del mandato della prof.ssa Paola Piras, preside da pochi giorni, che ha rivolto un saluto alle matricole, come aveva già fatto nella lettera ai nuovi iscritti pubblicata sul sito della Facoltà.
 
All’iniziativa è intervenuto il rettore dell’Ateneo, prof. Pasquale Mistretta, che ha esortato gli studenti a “vivere con curiosità e metodo il periodo più impegnativo della vita, senza nulla togliere allo sport e ad altre attività”.
 
La Preside, pur sottolineando il “periodo difficile per gli atenei, dovuto all’incomprensione dell’importanza della formazione universitaria”, ha spiegato di non aver voluto rinunciare ad un momento così importante ed utile.
 
Il prof. Zagrebelsky ha quindi svolto una lezione sui processi di formazione delle norme e sull’arte della persuasione, necessaria per giungere a leggi condivise. Davanti ad una platea, tanto numerosa quanto attenta, il giurista ha messo in guardia gli studenti dall’essere “semplici ripetitori”, spronandoli a considerarsi “soggetti originali e irripetibili”. Densa di spunti la lectio: dalla necessità del confronto e del dialogo alla corretta visione del gioco delle maggioranze, fino alla citazione di Habermas: “La legge non è violenza – ha detto – quando è deliberata in un contesto comunicativo, in cui ci sia spazio per il confronto sulla ragione pubblica”. “La persuasione – ha raccomandato il professore – dev’essere atteggiamento ex ante: altrimenti si rischia di ridurre la regola della maggioranza a regoletta meccanica”.
 
“In assenza di argomenti idonei a persuadere – ha concluso – deve prevalere la libertà”.
 
 
 La prof.ssa Paola Piras, il rettore prof. Mistretta ed il prof. Gustavo Zagrebelsky
La notizia sulla stampa

martedì 7 ottobre 2008
Cultura Pagina 50
Vedi alla voce “libertà”
La democrazia di Zagrebelsky
Decisione e persuasione: a Cagliari lezione magistrale del presidente emerito della Corte Costituzionale
 
È andata in scena la democrazia ieri mattina, nella Aula Teatro Ciechi della facoltà cagliaritana di Scienze Politiche. La regia era di Gustavo Zagrebelsky, il presidente emerito della Corte Costituzionale invitato dalla preside Paola Piras ad aprire con la sua lezione magistrale questo anno accademico.
Concetto per concetto, con la passione lucida di un orologiaio, il costituzionalista ha smontato davanti a una platea attentissima una delle idee guida della politica contemporanea, per poi riorganizzarne i congegni ripuliti dalla ruggine della retorica, dalla polvere dei luoghi comuni. Un ragionamento profondo, articolato tra Platone e Habermas, così ricco di agganci ai nostri giorni da suggestionare gli ascoltatori, che in un paio di occasioni si sono concessi una risatina complice. In particolare quando Zagrebelsky ha sottolineato che una democrazia per sua natura non può avere un proprietario, e quando ha chiarito il concetto di dittatura della maggioranza con la formula “abbiamo i voti, tiriamo innanzi”.
Eppure il giurista piemontese non è certo partito dalle nostre cronache politiche per la sua lezione, ma dalla domanda che un discepolo di Socrate, il giovane e brillante Alcibiade, rivolge al líder máximo dell’Atene del V secolo avanti Cristo: «Dimmi Pericle: cos’è la legge?».
La risposta di Pericle, che chiama in causa ciò che il popolo decide e fa mettere per iscritto, è piatta e di (apparente) buonsenso. E infatti ad Alcibiade basteranno poche battute per mettere in crisi il suo potente interlocutore. La risposta di Zagrebelsky invece è netta e problematica: la legge è (anche) violenza.
Non nel senso individuato da Foucault, per cui ogni Stato avoca sempre a sé una quota di violenza da esercitare sui corpi dei cittadini attraverso le detenzioni, le esecuzioni e altre pratiche. No: la legge è violenza concettualmente. Ciò che ordina il mondo, ciò che stabilisce divieti e impone doveri è di per sé violento, come è violento l’aratro che solca la terra (e così facendo la feconda), così come è rapidamente violento lo scafo, che taglia il mare.
Il punto è la persuasione . Se il più potente costringe il meno potente a un comportamento senza prima averlo persuaso della giustezza, dell’opportunità di quella condotta, allora siamo davanti a una violenza intollerabile. Non è più potere legittimo ma sopraffazione. Non è kratos , ma bia .
Quel che rende imperfetta la democrazia ateniese quindi non è solo la scarsa estensione della sua platea, limitata ai cittadini maschi e liberi. Ad azzopparla è un difetto costitutivo: permette, e non solo in teoria, un regime dei molti contro i pochi. Permette un esercizio collettivo di sopraffazione sulla minoranza. Oggi - ragionava Zagrebelsky - la condizione di maggioranza e minoranza è transitoria: si milita in una coalizione che può vincere un turno elettorale e poi perdere il successivo. E questo rende - o dovrebbe rendere - tutto più mite. Ma se parliamo di un assetto di potere articolato per classi, allora la mobilità cala drasticamente: non si è oggi aristocratici e domani plebei. E per questo l’idea di una “dittatura dei poveri” può evidentemente allarmare gli aristocratici, non foss’altro perché i plebei sono molti di più e quindi possono usare la brusca logica dei numeri a proprio prepotente vantaggio.
L’antidoto, dicevamo, è la persuasione. Un concetto sorprendente per noialtri, abituati a concepire la maggioranza come colei che ha il diritto di imporsi, e la minoranza come la parte che ha il dovere di piegarsi. Ma questo scontro, questo match dall’esito segnato in anticipo sulla lavagna, non è etico se la parte soccombente non si persuade delle ragioni del vincitore (numerico). Per Platone tutti i cittadini andrebbero convinti - uno per uno - dell’opportunità di una scelta, prima che la si possa legittimamente adottare: in caso contrario, se anche uno solo non fosse persuaso, ecco che nei confronti di quell’uno sarebbe stata esercitata una violenza. La violenza, cioè, del vedere ignorate le proprie ragioni. La frustrazione del sentirsi espulsi dalla comunità decidente. Ma allora - si interrogava il costituzionalista - può un singolo avere potere di veto sul deliberato di tutti gli altri cittadini? Può un uomo solo imporre la violenza del suo «non sono persuaso» a tutti gli altri?
Evidentemente no. Coltivare la persuasione significa lasciare spazio potenziale al mutamento di opinione. Io affronto una discussione parlamentare - o un’assemblea condominiale - mettendo nel conto di poter cambiare parere, di poter persuadere o essere persuaso. Se non parliamo per comunicarci le reciproche convinzioni e valutarle insieme, per quale altro motivo dovremmo farlo? Poi prevarrà la decisione che persuade il maggior numero di cittadini, com’è evidente, ma a ciascuno sarà garantito il diritto di eccepire il suo “preferirei di no”, per citare (e omaggiare) i docenti che non vollero giurare fedeltà al fascismo.
Ma la persuasione non è un puro esercizio retorico: la persuasione è una pianta delicata che può attecchire solo in un quadro di valori, di convinzioni comuni. Per intenderci: se una maggioranza di cattolici decidesse di abolire il divorzio perché in contrasto con la dottrina della Chiesa, sarebbe una evidente prepotenza politica, anche se rappresentassero il 99 per cento dell’elettorato. E questo perché i valori in nome dei quali viene assunta questa decisione non sono - non possono essere - significativi per l’eventuale minoranza di agnostici che si opponesse in aula. La democrazia è laica in quanto limita a un terreno di valori condivisi il campo dialettico nel quale cercare la persuasione del prossimo. Si può discutere di eutanasia e si può decidere di non legalizzarla perché, ad esempio, è troppo difficile escludere che il paziente all’ultimo momento cambi idea e voglia vivere, o vivacchiare. Ma non la si può bocciare perché togliersi la vita è peccato: significherebbe decidere in nome di un quadro di valori che non appartiene a tutti ma solo a una parte, che a quel punto si arrogherebbe un pre-potere sugli altri. E per combattere il peccato, si commetterebbe una violenza.
CELESTINO TABASSO
 
 

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