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Segreti del Vesuvio svelati da ricercatore dell’ateneo di Cagliari

Camera magmatica superficiale localizzata dai vulcanologi. Raffaello Cioni, professore associato di Scienze della Terra, nell’equipe di studiosi che ha fatto l’importante scoperta
11 settembre 2008
Camera magmatica superficiale localizzata dai vulcanologi. Raffaello Cioni, professore associato del Dipartimento di Scienze della Terra, nell’equipe di studiosi che ha fatto l’importante scoperta pubblicata sulla rivista scientifica “Nature”


 
Corriere della Sera
 
La scoperta, rendera’ più la comprensione del rischio associato all’attività eruttiva del Vesuvio
Si trova a 4-5 km di profondità e sembra avere alimentato le eruzioni esplosive più recenti
 
Roma, 10 /11settembre 2008 - Hanno trovato un’altra camera magmatica nel Vesuvio, ad appena 4-5 km di profondità sotto il cratere del più temibile vulcano d’Europa, noto in tutto il mondo perché capace di eruttare in maniera esplosiva dopo lunghissimi periodi di riposo. La scoperta, che ha importanti risvolti per la comprensione del rischio associato all’attività eruttiva del Vesuvio, è merito di un’equipe di studiosi italiani e stranieri, ed è stata ritenuta talmente importante da meritarsi la pubblicazione sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Nature.
NUOVI METODI DI ANALISI - Finora si era convinti che l’unica camera in cui ristagna il magma che alimenta il Vesuvio si trovasse a circa 8-10 km di profondità, come era stato confermato anche dalle recenti indagini geofisiche realizzate con il metodo della cosiddetta tomografia sismica, una specie di radiografia dell’interno della Terra effettuata attraverso piccoli terremoti artificiali. Ma, grazie a nuovi metodi di analisi, il quadro di ciò che nasconde al suo interno il vulcano di Napoli, si sta arricchendo di inattesi particolari. «I moderni metodi di analisi petrologica ci permettono, attraverso lo studio dei prodotti eruttivi del Vesuvio, di determinare qual era la pressione di cristallizzazione del magma all’interno della camera magmatica, spiega il professor Raffaello Cioni, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) sezione di Pisa, associato alla cattedra di vulcanologia all’Università di Cagliari, e uno dei tre autori della scoperta. Ebbene noi abbiamo potuto verificare che, in occasione della cosiddetta eruzione di Pollena del Vesuvio, avvenuta nel 472 dopo Cristo, il magma si trovava a una pressione di circa 1000 bar (cioè circa mille volte la pressione a livello del mare), il che corrisponde a una camera magmatica posta a una profondità di circa 4- 5 km».
MIGRAZIONE VERSO L’ALTO - «D’altra parte - continua Cioni - lo stesso tipo di analisi petrologiche effettuate sui prodotti dell’eruzione esplosiva del 79 d.C. che distrusse Pompei, e di altre precedenti catastrofiche eruzioni del Vesuvio, indicano che il magma proveniva direttamente dalla camera più profonda, a 8-10 km». A questo punto è legittimo dedurre che, dopo l’eruzione del 79 d.C., c’è stata una specie di migrazione verso l’alto della zona di ristagno del magma e, di conseguenza, che le eruzioni vesuviane possono avvenire con due diverse modalità, in cui il magma affluisce ai crateri direttamente dalla camera più profonda a 8-10 km, oppure da quella più superficiale a 4-5 km. «Si tratta - conclude il professor Enzo Boschi, presidente dell’INGV - di un ulteriore passo avanti nella comprensione dei meccanismi eruttivi del Vesuvio, finalizzato anche a determinare la sua pericolosità. Questo è il risultato di anni di impegno dei vulcanologi e geofisici italiani». Il Vesuvio, attualmente, è in una fase di quiescenza che dura dal marzo del 1944, quando, in piena occupazione alleata, il vulcano entrò in attività parossistica, distruggendo parzialmente gli abitati di S.Sebastiano e Massa di Somma e costringendo alla fuga anche alcuni insediamenti militari americani.
Franco Foresta Martin
 

 
AGI.it
 
 
Londra, 10 settembre 2008 (AGI) - I modelli di rischio finora considerati dagli scienziati sulla possibile eruzione del Vesuvio vanno completamente rivisti. Il vulcano piu’ temibile d’Europa ha infatti avuto nel passato una camera magmatica piu’ superficiale di quella che finora era stata descritta dai geofisici. La scoperta, che ha importanti risvolti anche per la comprensione del rischio associato all’attivita’ eruttiva del Vesuvio e’ stata fatta da un gruppo di studiosi italiani e stranieri e pubblicata sulla rivista Nature. Lo scienziato, Raffello Cioni vulcanologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) di Pisa e professore associato di vulcanologia alla’Universita’ di Cagliari e’ uno dei tre autori della scoperta. "I moderni metodi di analisi petrologica ci permettono, attraverso lo studio dei magmi di determinare qual era la pressione di cristallizzazione del magma all’interno della camera magmatica. Ebbene abbiamo potuto verificare che in occasione della cosiddetta eruzione di Pollena del Vesuvio, avvenuta nel 472 d.C. il magma si trovava a una pressione di circa 1000 bar (cioe’ circa mille volte la pressione a livello del mare) il che corrisponde a una camera magmatica posta a una profondita’ di circa 4-5 chilometri". Si tratta di una scoperta molto significativa perche’ le indagini geofisiche realizzate negli anni scorsi con il metodo della cosiddetta tomografia sismica - una specie di radiografia dell’interno della Terra effettuata attraverso piccoli terremoti artificiali - indicano che la camera in cui attualmente ristagna il magma sotto il Vesuvio si trova a 8-10 chilometri di profondita’. Dunque a partire dall’eruzione di Pompei del 79 d.C. il magma risali’ da questa camera piu’ profonda e si porto’ a quella piu’ superficiale per poi dare vita alle eruzioni esplosive.
"Viceversa - ha continuato Cioni- lo stesso tipo di analisi petrografiche effettuato sui prodotti delle eruzioni del 79 d.C. e di altre precedenti catastrofiche eruzione del Vesuvio, indicano che il magma proveniva direttamente dalla camera piu’ profonda’’. A questo punto e’ legittimo dedurre due diverse modalita’ delle eruzioni vesuviane che possono coinvolgere sia la camera magmatica a 8-10 chilometri che quella piu’ superficiale a 4-5 chilometri". "Si tratta - ha concluso Enzo Boschi, presidente dell’Ing - di un’ulteriore passo avanti nella comprensione dei meccanismi eruttivi del Vesuvio finalizzata anche a determinare la sua pericolosita’. Questo e’ il risultato di anni di impegno dei vulcanologi e geofisici italiani". (AGI)
 



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