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Il fenomeno degli eterni laureandi

L’indagine Almalaurea sul profilo dei laureati 2007 mostra un fenomeno preoccupante
07 giugno 2008

www.unimagazine.itAlmalaurea. Nuova tendenza dell’Università italiana: accumulare lauree, master e specializzazioni all’infinito. L’indagine Almalaurea sul profilo dei laureati 2007 mostra un fenomeno preoccupante

5 giugno 2008 - Da ormai sette anni l’Università italiana ha modificato i suoi percorsi accademici: gli studenti si distinguono in vecchio ordinamento e nuovo ordinamento. Ma una cosa di certo non è cambiata: il lungo iter che i ragazzi percorrono per poter arrivare alla tanto agognata laurea. La riforma universitaria del 3 + 2 avrebbe dovuto facilitare l’inserimento dei giovani laureati nel mondo del lavoro, ma soprattutto avrebbe dovuto assottigliare gli atenei dalla fascia degli studenti fuori corso e ripetenti.
 
L’innovazione doveva servire a modernizzare le antiquate Università italiane, per metterle al passo con gli standard lavorativi e formativi Europei. Ma l’Italia, il paese degli eterni “bamboccioni”, non è riuscito ad adeguarsi all’Europa e l’Università ha continuato ad essere la grande “mamma” pronta ad accogliere e ospitare sempre più studenti che si rifugiano nello studio per evitare il salto nel vuoto : il precariato “italiano”. Quindi, la nuova tendenza è quella di accumulare lauree, master e specializzazioni all’infinito.
L’indagine Almalaurea sul profilo dei laureati 2007 mostra un fenomeno preoccupante, dai dati emerge, infatti, che i laureati che intendono proseguire il proprio percorso di studio dopo la laurea sono più dell’80 per cento tra i post-riforma di primo livello (la maggioranza dei quali opta per la laurea specialistica), il 74 per cento fra i laureati specialistici a ciclo unico (interessati soprattutto ad una scuola di specializzazione), il 43 per cento fra i laureati specialistici e il 49 per cento fra i pre-riforma. Tendono a voler rimanere in formazione soprattutto i laureati provenienti dal Mezzogiorno e i laureati nelle discipline dell’area delle scienze umane e sociali. Quasi il 30 per cento dei laureati di primo livello, decide di continuare gli studi con una laurea specialistica perché percepisce questa scelta come quasi obbligata per l’ingresso nel mondo del lavoro.
 
Abbiamo chiesto agli studenti perché ritardano sempre più il loro ingresso nel mondo del lavoro e cosa pensano delle riforme apportate alle università italiane. Michela Monaca, 21 anni, iscritta al corso triennale presso la facoltà di lettere moderne a Catania, commenta: “Sono già fuori corso da un anno. La nuova riforma ha solo peggiorato le cose, è una presa in giro. I programmi non sono affatto diminuiti e mi ritrovo a dover sostenere 10-12 esami in un anno con una mole di lavoro infinita. Il mio desiderio è quello di diventare grafico pubblicitario,e l’unica cosa positiva di queste lauree triennali è che ti permettono di poter cambiare indirizzo integrando solo qualche materia, ma sempre all’interno del filone culturale scelto”.
 
Hai intenzione di proseguire gli studi dopo la prima laurea? “Per forza dovrò continuare i miei studi...”. Qui, interviene Giuseppina Stella, 48 anni, studentessa specialistica in culture e linguaggi per la comunicazione:” La laurea triennale nel mondo lavorativo equivale ad un diploma, ho deciso di continuare con la specialistica perché mi serve la laurea quinquennale per i miei progetti lavorativi. La triennale non ti permettere di accedere ai concorsi e non ti dà alcun titolo aggiuntivo rispetto al diploma, ma la cosa peggiore è che i sacrifici e lo studio sono duplicati. Dobbiamo fare due tesi ,doppi esami, tutto si raddoppia anche gli anni trascorsi all’ università.”
Maria Strazzeri, 25 anni, iscritta alla specialistica in scienze della comunicazione, afferma: ”Siamo dentro un limbo, il mondo lavorativo richiede esperienza e titoli ma quando, intorno ai 28 anni, finisci l’università ti ritrovi in mano 2-3 “pergamene” e devi ricominciare tutto da capo perché non hai mai messo in pratica ciò che hai studiato e ti ritrovi solo nozioni teoriche che poco servono per un colloquio di lavoro, la voglia di lavorare c’è, ma manca la materia prima: il lavoro”.
 
Ma gli stage e i tirocini non dovrebbero essere un praticantato,un’esperienza lavorativa che vi permette di mettere in pratica i concetti appresi sui libri?
“Lasciamo perdere questo dolente tasto- risponde Maria- gli stage non sono altro che lavoro nero e creano sempre più disoccupazione ,inoltre ti ritrovi a svolgere mansioni che non c’entrano nulla con il tuo percorso di studi, ci sono ragazzi che si sono ritrovati a fare i magazziniere!”
Dalle risposte raccolte, emerge che gli studenti continuano la loro formazione più per esigenza che per voglia di apprendere. L’università italiana avrà pure mutato la sua forma esteriore, ma all’interno è rimasta la stessa. Professori , programmi e materiali didattici avrebbero bisogno di uno svecchiamento allora sì che si potrebbe parlare di innovazione!
 
Laura Patanè

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