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Per fortuna, piccoli imprenditori crescono

Secondo una ricerca Bocconi il 5% di adulti italiani ha avviato un’attività imprenditoriale nel 2007
22 maggio 2008

Belle sorprese. Secondo una ricerca Bocconi il 5% di adulti italiani ha avviato un’attività imprenditoriale nel 2007. Dagli studi della prestigiosa Università, ci stiamo davvero dando da fare, noi italiani. La creazione di nuove imprese in Italia è in crescita, frenata SOLO dalla difficoltà nel reperire fondi e da uno scarso ottimismo per il futuro...

Nel 2007 la voglia d’impresa in Italia, considerando le nuove attività avviate o in avviamento, è cresciuta rispetto al 2006, passando dal 3,5% al 5%, avvicinandosi al dato del Regno Unito (5,5%) ma rimanendo al di sotto della media europea (5,9%). La nuova imprenditorialità è concentrata per due terzi nel settore dei servizi, a basso contenuto tecnologico, ed è penalizzata dall’accesso a risorse finanziarie, oltre che da tasse e burocrazia.

Nonostante solo l,2% abbia chiuso la propria attività nel 2007, gli imprenditori hanno, infatti, aspettative basse sulla crescita delle loro attività. Inoltre, le donne hanno difficoltà a far crescere nel tempo le loro attività. È questo lo scenario illustrato dal rapporto di EntER Bocconi, il Centro di ricerca imprenditorialità e imprenditori dell’Università Bocconi, sull’ l’imprenditorialità in Italia nel 2007, che verrà presentato oggi.

Lo studio, realizzato con il contributo di Ernst & Young e Atradius Credit Insurance, è la sezione sull’Italia del rapporto GEM 2008 (Global Entrepreneurship Monitor), giunto alla 10° edizione e realizzato da un consorzio di centri di ricerca, che quest’anno ha intervistato 150.000 adulti per analizzare l’evoluzione dell’imprenditorialità in 42 paesi.

Secondo i risultati, il 5% del campione di 2.000 adulti italiani intervistati ha partecipato nel 2007 alla creazione di una nuova impresa (in una fase che va dall’avvio ai primi 3,5 anni di un’impresa). Questo tasso si rivela più alto di paesi come la Francia (3,2%), vicino a quello di paesi come la Gran Bretagna (5,5%), al di sotto della media UE (5,9%) e notevolmente dietro a paesi come gli Usa (9,6%) e la Cina (16,4%). Un dato comunque in crescita e con un tasso medio del 4,5% nel periodo 2002-07.

E chi sono, dunque, questi giovani corraggiosi? L’identikit del tipico imprenditore italiano nelle fasi iniziali, tracciato dallo studio, è maschio, di età compresa tra i 25 ed i 34 anni e ben istruito. Il 36%, infatti, possiede una laurea, un tasso superiore a paesi come la Gran Bretagna e gli Usa. La proporzione in Italia di donne a uomini tra gli imprenditori in fase iniziale della loro attività (50 a 100) è in linea con altri paesi europei ma cala notevolmente quando si guarda agli imprenditori ben avviati (23 a 100), uno dei rapporti più bassi del mondo. Segno che le donne in Italia hanno difficoltà nel trasformare le loro iniziative in attività imprenditoriali di lunga durata.

Due terzi delle nuove imprese che nascono in Italia sono nel settore dei servizi: il 37,5% nei servizi di consumo (come negozi, ristorazione e assicurazioni) e il 31,3% nei servizi d’impresa (come analisi dati, telemarketing e traduzioni).

Riguardo alle prospettive, gli imprenditori italiani indicano delle basse aspettative di crescita delle loro attività dovute alla specializzazione in settori tradizionali, piuttosto che in quelli ad alto contenuto tecnologico, e alla difficoltà nell’accedere a risorse finanziarie. Il 25% dei nuovi imprenditori in Italia ritiene di offrire nuove comb! inazioni prodotto/mercato, cioè nuovi prodotti o servizi con concorrenza limitata, anche se meno del 7% delle nuove attività è ad alto contenuto tecnologico. Questo contribuisce a spiegare perché gli imprenditori italiani hanno aspettative particolarmente basse riguardo alla crescita futura delle loro attività rispetto ad altri paesi ad alto reddito.

Solo l’1,2% del campione ha chiuso la propria attività nei 12 mesi precedenti, un livello tra i più bassi in Europa. Su questo fronte desta però preoccupazione il fatto che il 23% cita come motivo la difficoltà nel reperire fondi, la percentuale più alta tra i paesi ad alto reddito. Tale difficoltà viene confermata anche da un’altra sezione del rapporto che utilizza come fonte un’inchiesta tra imprenditori ed esperti nazionali di imprenditorialità. Essi, infatti, collocano l’Italia tra gli ultimi paesi europei! riguardo alla facilità di reperire fondi (21° su 2! 2), alle infrastrutture disponibili (21°), alla pressione tributaria e alla burocrazia (19°) e alla percezione delle opportunità presenti per avviare un’attività imprenditoriale (21°).

Per altre informazioni sul rapporto completo GEM 2008, ecco due siti internet: www.unibocconi.it/enter (per il rapporto italiano) e www.gemconsortium.org (per il rapporto globale).

Cristina Tagliabue



fonte: Il Sole 24 Ore

 

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