UniCa UniCa News Notizie Rapporto tra risorse minerarie e pianificazione regionale

Rapporto tra risorse minerarie e pianificazione regionale

Intervento di Giovanni Biggio, presidente di Confindustria Sardegna al Convegno Annuale Assomineraria - Roma 4 luglio 2007
05 luglio 2007
Il rapporto tra risorse minerarie e pianificazione regionale è da alcuni anni un punto di rilievo delle politiche della Regione Sardegna.
Il “LA” è stato dato con l’articolo 8 della LR 15 emanata il 9 agosto 2002 con il quale la Regione introduceva l’intesa con il comune “territorialmente competente” nella procedura di concessione ed estendeva la procedura di VIA a tutte le inizitive, ma è con le varie proposte di legge in tema di attività estrattive e, soprattutto, con il Piano Paesaggistico Regionale che si viene a delineare un deciso cambiamento.
Il settore delle attività estrattive e delle lavorazioni collegate costituisce un comparto strategico per l’economia della Sardegna, con una storia secolare ed un radicamento sociale assolutamente irrinunciabili.
Il 9% del valore aggiunto dell’industria sarda è prodotto dall’estrazione dei minerali (2%) e dalla “fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi” (7%).
A questo comparto va inoltre ascritto il 26% dell’export al netto dei prodotti petroliferi, chimici e dei metalli.
Ciò nonostante la sempre più crescente sensibilità ambientale, in alcuni casi rafforzata da comportamenti non sempre rispettosi del territorio e delle comunità locali, ha spinto verso l’introduzione di una pianificazione territoriale regionale più restrittiva che tende a “marginalizzare” gli aspetti economici a favore di quelli ambientali.
E’ così che, nel Settembre del 2006, la Regione Sardegna, prima in Italia, ha adottato il Piano paesaggistico regionale che costituisce il quadro di riferimento e di coordinamento per lo sviluppo sostenibile dell’intero territorio regionale e attua la programmazione e la pianificazione regionale, provinciale e locale.
L’intento del provvedimento è senz’altro apprezzabile se non fosse per il modo in cui tale pianificazione è stata attuata e per i risultati ottenuti.
Lo schema del piano avrebbe dovuto essere oggetto di un confronto con gli Enti Locali e si sarebbero dovute acquisire le osservazioni formulate anche da tutti i soggetti interessati.
Di fatto ciò non è stato fatto, pur dettando tutta una serie di prescrizioni molto restrittive, che riguardano non solo i beni vincolati, ma tutto il territorio in generale.
In questo modo sono stati espropriati del tutto gli enti locali della loro funzione primaria di assetto e di definizione degli usi e delle modalità di trasformazione del territorio, funzione essenzialmente autonoma pur nel rispetto di interessi primari.
E’ palese l’intento di sostituirsi agli strumenti di piano ed ai regolamenti degli enti locali, come pure la volontà di dare vita ad un sistema di tutela rigido, che recepisce il principio dello sviluppo sostenibile solo sotto il profilo ambientale, non tenendo in considerazione quello economico e sociale.
È un metodo che esclude il confronto reale, che nega la concertazione espressamente richiamata dalla legge e che dunque ritiene non importante stabilire qualcosa d’accordo con altri, che si limita ad acquisire burocraticamente pareri resi in pochi minuti, che nega la possibilità che un piano possa essere frutto di un’intesa.
Un metodo che impedisce a chi ha un’opinione diversa di poterla far valere e prendere in considerazione.
Nel merito, si parte dal presupposto che le voci contrarie appartengono a chi vuole distruggere l’ambiente, deturpare le nostre coste, privare i sardi del loro patrimonio, riempire di cemento la nostra isola.
Noi, invece, crediamo che, affianco alle voci di coloro ai quali poco importa dell’ambiente unico della Sardegna – e noi non siamo tra questi -, ci siano anche le molte voci di gente per bene che considerano questo Piano, in molte sue parti, illegittimo, in quanto in contrasto con la normativa nazionale vigente, eccessivamente vincolistico e fondato su presupposti che, in alcuni casi, dovrebbero essere per lo meno verificati.
Ma per farlo ci vuole la volontà e la disponibilità di chi ha approvato quel piano, una volontà ed una disponibilità sincera, scevra da preconcetti o pregiudizi.
Questo piano è destinato ad avere un impatto fondamentale sulla nostra Regione, rappresenta il futuro della nostra economia, della nostra società, dei nostri territori.
E’ un atto epocale per gli effetti che è destinato a produrre.
Non può dunque essere liquidato con un confronto condotto in maniera frettolosa e approssimativa, che fa il pari con un atteggiamento che manifesta palese contrarietà alle voci che non cantano nel coro.
Per quanto riguarda nello specifico le attività minerarie, i limiti proposti dal Piano incidono in modo profondo.
La ratio normativa e la prassi attuativa del Piano pongono un serio limite alle attività estrattive, un settore il cui sviluppo deve poter coesistere con la tutela ambientale e paesaggistica, così come definito nella Comunicazione COM(2000) 265 “Promuovere lo sviluppo sostenibile nell’industria estrattiva non energetica dell’UE” redatta dalla Commissione Europea e  approvata dal Consiglio Europeo.
Il PPR dovrebbe tener conto delle attività estrattive esistenti in modo da salvaguardare i diritti acquisiti. Mi riferisco in particolare alle concessioni minerarie ed alle autorizzazioni di cava vigenti, all’interno delle quali non dovrebbero essere imposti nuovi vincoli che possano mettere in pericolo la sopravvivenza delle aziende.
È necessario salvaguardare le imprese attualmente in attività, consentendo al contempo anche ampliamenti e rinnovi per garantire il loro futuro.
Le miniere attualmente in attività sono già dotate delle necessarie autorizzazioni e atti amministrativi concessi dai vari assessorati della RAS e sottoscritti dai relativi Responsabili del Procedimento.
Si tratta delle concessioni minerarie rilasciate dall’Assessorato Industria, corredate delle varie prescrizioni ambientali e paesaggistiche.
Inoltre le imprese minerarie erogano alla Regione un canone relativo all’intera area di concessione.
Pertanto non dovrebbero essere apposti nuovi vincoli su:
1)     miniere, cave e stabilimenti in attività;
2)     concessioni minerarie e autorizzazioni di cava vigenti.
Ciò anche al fine di consentire ampliamenti e rinnovi di tali attività.
Nel PPR la normativa vincolistica prevale sullo strumento dell’autorizzazione  paesaggistica.
Viene infatti precluso praticamente qualsiasi nuovo intervento estrattivo sul 100% del territorio (conservazione integrale).
È necessario pertanto rinviare alla fase autorizzativa del progetto la valutazione se l’attività estrattiva “sia suscettibile di pregiudicare la struttura, la stabilità o la funzionalità ecosistemica o la fruibilità paesaggistica”. Se proprio si vuole introdurre un vincolo, sarebbe opportuno che questo venisse limitato alle sole aree di livello 4 e per le sole attività estrattive di importanza minore.
E comunque, in caso di sussistenza di vincolo, il prevalere dell’interesse paesaggistico rispetto agli interessi economici non dovrebbe implicare soccombenza aprioristica di quest’ultimo rispetto al primo.
Il nostro sistema giuridico, infatti, con particolare riferimento alle bellezze naturali, impone che l’Amministrazione confronti i due interessi in gioco e ricerchi innanzitutto i contemperamenti e la coesistenza attraverso prescrizioni atte ad eliminare o ad attutire i riflessi negativi che possano derivare dall’attività  estrattiva sul circostante territorio vincolato.
Le aree estrattive (cave e miniere attive) sono considerate correttamente dal PPR degli INSEDIAMENTI PRODUTTIVI.
Ma gli specifici riferimenti per il settore estrattivo, sono in pratica privi di contenuto e dovrebbero essere riformulati per consentire una corretta relazione tra PPR ed il PRAE (in fase di predisposizione).
Proprio la correlazione tra i due atti pianificatori costituisce un ulteriore elemento di criticità.
Il PRAE dovrebbe essere lo strumento di pianificazione che esplicita la reale situazione dell’industria estrattiva in Sardegna, indicando le aree a maggiore vocazione e quelle dove si prevede la possibilità di esercitare l’attività di estrazione. Pertanto il PPR, strumento pianificatorio sovraordinato, dovrebbe tener conto del PRAE e correlarsi ad esso in maniera razionale.
Il tutto va inoltre ulteriormente raccordato al Disegno di Legge sulle attività estrattiva che, per nostra fortuna, giace ancora nella Commissione consiliare referente, senza che si abbia certezza di una sua rapida discussione.
Si tratta di un disegno di legge, precedente al PPR e che probabilmente vedrà la luce dopo il PRAE, che presenta aspetti di forte criticità e che soprattutto guarda al rapporto tra risorse minerarie e pianificazione solo in uno stretto ambito regionale, dimenticando il ruolo sui mercati nazionali ed internazionali dei prodotti regionali.
In conclusione, ritengo che la strada avviata dalla Regione Sardegna vada corretta per garantire la certezza del diritto agli operatori e valorizzare le risorse della regione e del paese nel pieno rispetto dell’ambiente e che ciò non possa però prescindere dall’esigenza di avviare un dialogo costruttivo con le istituzioni regionali.
Un dialogo che veda entrambe le parti disponibili all’ascolto e capaci di guardare al contempo al futuro ambientale delle nuove generazioni e a quello economico delle nostre aziende.

Ultime notizie

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie