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Torino. Class action degli studenti universitari

Le tasse non possono superare il 20 per cento delle entrate. L’ateneo torinese &è; oltre il 22%, circa sei milioni di euro in piu
05 giugno 2008

LA STAMPA

"Così l’Ateneo guadagna sei milioni in più"

Torino, 5 giugno 2008 - Michele Bonetti è l’avvocato che si occuperà della causa contro l’Università. La collaborazione con gli studenti è nata qualche anno fa, con una campagna per la legalità e per la rivendicazione dei diritti degli studenti. Oggi continua, e Bonetti è diventato il responsabile del gruppo legale dell’Udu. Dopo battaglie contro il numero chiuso, l’accesso programmato, l’aumento delle rette, ora sono pronti per la loro prima class action e per riprendersi quei 6 milioni in più pagati con le tasse universitarie.
Perché avete deciso di fare causa all’ateneo?
«Impugniamo gli atti amministrativi perché violano il tetto stabilito con decreto ministeriale: le entrate da tasse non possono superare il 20 per cento dei finanziamenti statali. A Torino siamo al 22,18%. Con un’azione collettiva procederemo anche con le richieste di indebito».
Sarà una class action che porterà nelle tasche degli studenti pochi euro. «Certo non lo facciamo per i soldi, ma per stabilire un precedente e ribadire un principio. Facendo un’azione collettiva suddividiamo i costi e moltiplichiamo l’impatto sull’opinione pubblica. Deve passare il messaggio che le regole non possono essere infrante».
Qual è il principio che volete ribadire? «Se c’è una norma va rispettata. L’ateneo torinese non è stato l’unico a sfondare il tetto, ci sono casi su tutto il territorio. Se vinciamo creiamo un precedente importante, con rilevanza nazionale».
Vi state muovendo anche per il problema del caro-affitti? «Purtroppo possiamo fare poco per gli aumenti indiscriminati, ma dopo decine di segnalazioni da parte degli studenti abbiamo capito che esiste un fenomeno ancora più preoccupante, su cui possiamo muoverci».
Cioè? «Alcune agenzie offrono aiuto, dietro pagamento di una quota, all’incirca 200 euro per sei mesi di servizio, per trovare stanze a studenti. Sfruttano le fasce di popolazione più in difficoltà: universitari fuori sede e immigrati, che sborsano la quota ma una casa non la trovano, quasi mai».
Come state procedendo? «Abbiamo iniziato con una richiesta formale alla Camera di commercio per valutare se queste agenzie, che svolgono attività di mediazione immobiliare, siano regolarmente iscritte agli albi professionali previsti dalla legge. In caso di mancata iscrizione chiederemo sanzioni amministrative che blocchino l’illecito».
E se fossero iscritte agli albi professionali? «Continueremo, cercando di dimostrare come il servizio, presentato come garantito con un margine dell’80 per cento di successo, non venga in effetti svolto».
Oltre al profilo legale, che cosa vedete in questa attività di mediazione? «Una volontà di lucrare, quasi di sfruttare i più disagiati. Ci vorrebbe un intervento delle istituzioni universitarie per aiutare gli studenti a trovare casa e, parallelamente, di quelle pubbliche per contrastare il fenomeno».
 
Monica Perosino
 
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La Stampa.it del 25 maggio 2008

 

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