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Atenei, la lezione americana

L’Indipendente: "L’università italiana non ha ancora un sistema di valutazione efficace. Se esistesse le facoltà migliori, come quella di ingegneria di Napoli, premiata da una recente classifica internazionale, avrebbero premi e incentivi"
22 marzo 2007

R A S S E G N A   W E B
 
L’INDIPENDENTE ONLINE
 
L’università italiana non ha ancora un sistema di valutazione efficace. Se esistesse le facoltà migliori, come quella di ingegneria di Napoli, premiata da una recente classifica internazionale, avrebbero premi e incentivi
  


 
22 marzo 2007 - Il numero chiuso è contro la Costituzione: usatelo con moderazione». Il monito, inviato ai rettori italiani, è del ministro dell’Università e della Ricerca Fabio Mussi. Preoccupato dal fatto che il numero chiuso, o programmato, nelle Università italiane è sempre più usato. Basti dire che rispetto al 2001 il suo utilizzo è aumentato del 330 per cento. Eppure il principale problema delle università italiane non sembra essere il numero chiuso ma quello di una scarsa selettività degli atenei. Dell’assenza di buoni parametri con cui selezionare merito e valore degli studenti e delle stesse università. Su questo nodo e sul dibattito in merito alla valutazione delle università e del loro finanziamento interviene un documento elaborato in questi giorni da un gruppo di docenti dell’università Federico II di Napoli e che ha già raccolto più di 500 adesioni in 47 atenei italiani. Il documento afferma chele università devono rendere conto del modo in cui spendono i soldi che ricevono e che solo con l’attuazione di un rigoroso sistema di valutazione le risorse per l’università – finanziarie, di personale e infrastrutturali – potranno essere distribuite e gestite con efficacia. Per questo i docenti della Federico II considerando che le facoltà europee citate tra le prime cento sono in massima parte inglesi e solo un paio sono francesi e una sola tedesca. Un risultato che sarebbe premiato in un sistema di valutazione che tenesse conto dei risultati raggiunti in termini di risultati didattici e di produzione scientifica. Che è poi quello che accade nei Paesi più avanzati dell’Occidente. In un recente incontro che si è tenuto al Cnr è stato analizzato il modello del National Institute of Health, il centro che gestisce la ripartizione delle risorse per la ricerca medica. L’agenzia americana sceglie le risorse da destinare in base alle pubblicazioni e all’effettiva volontà di partecipare alle study section di valutazione. Secondo i dati presentati dall’Istituto il 90per cento delle domande per ricevere fondi del governo americano provengono da ricerche presentate da singoli ricercatori o piccole imprese su idee e intuizioni slegati da veri e propri programmi di ricerca. E sono queste idee – molto spesso premiate – che alla fine si rivelano le migliori per i risultati clinici e terapeutici. Il 60 per cento delle domande riguarda la ricerca di base, il 25 per cento i giovani, il 27 per cento le donne. Un sistema che potrebbe essere tenuto in considerazione in Italia alla vigilia del varo della nuova agenzia di valutazione dell’Università e della Ricerca.
 
Riccardo Paradisi
 

 
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