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Università: troppo vecchi i professori italiani

Tra il 2009 ed il 2010 molti professori tra i 50 ed i 60 anni raggiungeranno l’età pensionabile: un ritiro di massa che potrebbe lasciare in panne gli atenei della penisola
12 giugno 2007
Unimagazine.itTra il 2009 ed il 2010 molti professori tra i 50 ed i 60 anni raggiungeranno l’età pensionabile: un ritiro di massa che potrebbe lasciare in panne gli atenei della penisola

 
Triste primato per la classe docente universitaria italiana. Secondo un ricerca condotta dal MiUR, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il 22,5% dei professori dei nostri atenei è ultrasessantenne, contro il 13,4% in Francia ed l’8% in Gran Bretagna, mentre l’80% ha oltre 50 anni e solo il 4,6% ha meno di 35 anni. Dati ancora una volta sconcertanti se si pensa che nel Regno Unito il 16% ed in Francia l’11, 6% dei professori ha un’età compresa tra i 35 ed i 40 anni.
A generare questi risultati, è la normativa italiana sul pensionamento dei professori universitari. Normativa piuttosto travagliata. Fino al 1980, i docenti potevano andare in pensione a 75 anni; con la legge 382/80 si fissò a 65 anni il collocamento fuori ruolo e a 70 anni il limite di età per andare in pensione. Un limite aumentato ulteriormente nel 1992, quando si stabilì la possibilità di rimanere in servizio per un ulteriore biennio, raggiungendo così i 72 anni. E’ stata la Moratti, con la legge 203/2005 ad abolire la permanenza fuori ruolo e a riportare a 70 anni l’età della pensione. Un aiuto vantaggioso per metà visto che il nuovo ordinamento si applica solo ai neo assunti.
Una situazione da non sottovalutare. Non solo per l’apprendimento, che risente dello scontro generazionale tra studenti e docenti, ma anche per la struttura stessa degli Atenei. Nell’immediato futuro, infatti, molti professori raggiungeranno l’età pensionabile e sarà necessario assumere in massa nuovo personale. A tutto svantaggio della meritocrazia. Già con la legge 382 del 1980 si è assunta come professori e ricercatori, una vasta classe di figure orbitanti nel mondo universitario. Il rischio è che, a fronte di un’improvvisa carenza di personale, si ripeta lo stesso processo di reclutamento, sfavorendo i concorsi pubblici.
Occorre un’inversione di rotta” spiega al sito Studenti.it Francesco Sylos Labini del centro ricerche Enrico Fermi di Roma, “C’è bisogno di un ringiovanimento del personale accademico. Un processo che deve cominciare subito, per evitare di essere costretti a ripetere le assunzioni indiscriminate avvenute nel passato, palesemente contrarie ad ogni criterio meritocratico. Questo precluderebbe di fatto la carriera accademica ad alcune generazioni a vantaggio di altre sulla base di criteri puramente anagrafi”. Diventa così inevitabile la fuga dei cervelli. “ Se le cose restano così non si può sperare in alcun modo di invertire la fuga dei cervelli e di riportare l’università e la ricerca italiana al livello di quella degli altri paesi sviluppati”.
L’Università di Torino è stata la prima a tentare una soluzione: il prepensionamento. E Bologna, per puro risparmio economico e non certo per avvantaggiare i giovani professori, imita. In sostanza, ai professori che hanno compiuto 60 anni e raggiunto i 40 anni di contributi viene offerto un contratto di collaborazione permettendo loro di continuare la propria attività di ricerca. Ai più giovani, invece, si dà la possibilità di diventare “di ruolo”, evitando, di colpo, carenze di personale. D’altro canto, i docenti, per il valore stesso della loro pensione (e per il solo fatto che il 61% dei fondi destinati all’università se ne va per pagare i loro stipendi), non soffriranno certo di problemi economici e potranno continuare ugualmente ad esercire le loro attività, a partecipare a convegni; saranno, anzi, sollecitati maggiormente dall’entusiasmo dei giovani, più vicini alle nuove tecnologie e alle nuove teorie. Ma, aggiunge Labini: “Molti collaboratori sono contrari al prepensionamento dei loro professori perché le loro possibilità di carriera per come è strutturato il sistema italiano, sono legate all’anzianità e al prestigio dei professori”.
A tal proposito, l’Ateneo bolognese ha anche fornito i suoi dati: 450 i potenziali docenti 65-75enni; il 6% di questi sfrutterà il prepensionamento nel primo anno, il 3% negli anni successivi. Se la matematica non è un’opinione…40 professori e mezzo. E i restanti 410? Beh, dato che quella di Bologna è una delle prime Università….si potrebbe anche pensare di riesumare i docenti del seicento e rimetterli su in cattedra, perché no, loro si che dall’oltre tomba ne avrebbero per rivoltarsi…
Sandra Angelini
 
Fonte: http://www.unimagazine.it
 

 
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