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Sistema universitario italiano e fuga dei cervelli

Incontro-dibattito a Londra, promosso dall’ambasciata italiana, su esperienze e prospettive di ricercatori e docenti nel Regno Unito
24 gennaio 2007
R A S S E G N A   W E B

Incontro-dibattito a Londra, promosso dall’ambasciata italiana, sulle esperienze e le prospettive dei ricercatori e dei docenti nel Regno Unito
 

 
 
Si è svolta lunedì 22, presso la Central Hall Westmister a Londra, la Tavola Rotonda "Il sistema dell’Università’ e della Ricerca: lezioni dai due paesi", a conclusione dell’incontro-dibattito sulle esperienze e le prospettive dei ricercatori e dei docenti nel Regno Unito, promosso dall’Ambasciata d’Italia a Londra. Moderatore dell’evento è stato M. Niada del "Sole 24 Ore", che nel suo intervento conclusivo ha messo sinteticamente in luce quelli che sono i punti cardine del dibattito, che saranno poi ripresi nel corso della tavola rotonda. Modica punta l’attenzione verso "le infrastrutture che sono al di sotto di quanto necessario, una burocrazia asfissiante, e gli stipendi bassi". Tutto questo si va ad aggiungere agli "investimenti troppo ridotti nel settore ricerca. Nel 2006 il bilancio dello Stato prevedeva una spesa per la ricerca pari a 0, quando nel 2001 era di 250 milioni di euro. Oggi siamo con l’ultima Finanziaria a quota 60 milioni di Euro" afferma Modica, che li giudica "ancora insufficienti". Per quanto riguarda la "burocratizzazione", essa, secondo Modica, "è data dalla natura giuridica dello Stato italiano che predilige la forma rispetto al contenuto, ed i primi ad essere burocratici fino all’estremo sono i professori universitari". "Inoltre io penso –prosegue il moderatore- che dobbiamo veramente dare spazio ai giovani, che ora come ora ne hanno troppo poco. Io chiedo agli italiani all’estero di aiutarci, di contribuire con i loro giudizi a migliorare le cose, in modo da giungere veramente ad uno stato che prediliga la meritocrazia, che si premi il talento".
Il primo a prendere la parola è stato il Professor Luigi Biggeri, Presidente della CNVSU( Commissione Nazionale Valutazione Università), il quale ha posto come primo assunto del suo discorso l’affermazione che "l’Italia è un paese con una struttura economica particolare, che rende meno competitiva anche la ricerca universitaria. Ci sono, è vero, dei centri d’eccellenza in Italia, ma sono pochi. Siamo meno competitivi e si innesca un circolo vizioso, tale per cui le imprese investono meno nella ricerca e la ricerca produce sempre meno. In Italia non si investe in ricerca, i ricercatori sono poco pagati e questo di certo non li spinge a restare. Ci vuole uno scossone", afferma Buggeri, che mette in luce anche un secondo elemento strutturale, e cioè "la troppa eterogeneità in ambito universitario. Per questo i cervelli emigrano, da nord a sud, da ateneo ad ateneo, da paese a paese, e da settore di ricerca a settore di ricerca. Io stesso l’ho fatto. Prima credevo che per dare una spinta al settore della ricerca bastasse agire sui fattori produttivi controllabili, ossia i laboratori, le strutture, e fondi e i docenti. Ma ho presto scoperto che i docenti non sono affatto fattori controllabili. E anche gli utenti, ovverosia gli studenti devono essere di un certo livello perché il processo produttivo raggiunga il suo massimo. Ed e’ fondamentale provvedere a delle verifiche periodiche in modo tale da poter accertare il livello di apprendimento raggiunto. La mia personale opinione è che i questionari che si fanno circolare tra studenti non servano a molto, perché non mettono in luce lo sviluppo del capitale umano".
Il Professore passa poi a parlare dei nuovi corsi di laurea istituiti con la riforma del sistema. "Sono convinto che per farli funzionare sia necessario che vengano monitorati di continuo e che rispettino dei requisiti standard, come il numero minimo di studenti e di docenti, che di fatto non rispettano. Il 60% delle facoltà hanno almeno un corso che non presenta i requisiti minimi. E’ stata fatta molta confusione nell’applicazione della riforma universitaria –dichiara Biggeri- che ha introdotto la differenziazione tra laurea triennale e specialistica, e di confusione non c’era sicuramente bisogno. Ciò che serve all’Italia è la vera applicazione di un sistema meritocratico che attualmente non c’e’. La nuova agenzia (la CNVSU, ndr) dovrebbe proprio fungere da sistema di controllo, e mi auguro che possa in tal senso fornire un valido strumento". Qual’e’ lo scenario attuale? "La ricerca negli ultimi anni è stata decisamente oscurata ma ora sembra che vi siano dei segnali di miglioramento" , conclude Biggeri con spirito ottimistico.
Di scenari non disastrosi parla anche il Professor Giuseppe Silvestri, Rettore dell’Universita’ di Palermo e rappresentante della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Silvestri fa una precisazione. "Vorrei dire che spesso si tende a generalizzare, ma noi stiamo parlando di un sistema di 60.000 soggetti, si deve tenerlo presente. Io credo che il problema fondamentale del sistema della ricerca in Italia sia la mancanza di risorse, è un settore a mio avviso sottoalimentato". Il Presidente della CRUI fa un’analisi "partendo dall’impatto che la ricerca italiana produce nel sistema europeo ed internazionale. I dati che prendono in considerazione il rapporto tra il numero di pubblicazioni effettuate e il numero di citazioni ottenute a livello internazionale per il periodo tra il 1994 e il 2004 vedono al primo posto l’Olanda, e l’Italia al decimo. Su 89 categorie prese in considerazione sono 22 quelle in cui il nostro paese sviluppa una capacità di ricerca superiore alla media, e 26 quelle in cui si attesta decisamente sotto. Io non sarei così pessimista –afferma- oggi le università italiane stanno facendo qualcosa, quasi tutte si sono dotate di un ufficio brevetti, anche se si tratta di qualcosa che deve essere valutato con attenzione. Ci sono comunque stati, a mio avviso, tutta una serie di interventi normativi, rivolti al mondo della ricerca universitaria. Possiamo dire oggi che molti atenei italiani sono diventati delle incubatrici per l’impresa. C’e’ ancora tanto da fare, ad iniziare da un’opera di sensibilizzazione, che va fatta a vari livelli. Intanto qualcosa si è già mosso, perché abbiamo aderito alla Carta Europea dei Ricercatori, un codice di condotta al quale ci siamo uniformati, e che non può che fare bene al sistema universitario italiano, nel quale purtroppo devo ammettere che spesso il concetto di scuola si è trasformato in un senso nepotistico. Gli enti pubblici di ricerca hanno delle dimensioni troppo ridotte, e questo non va bene. Il sistema infrastrutturale italiano non è ben organizzato, non c’e’ un’adeguata interconnessione tra il sistema regionale e quello universitario. Io credo che il nostro futuro sia legato essenzialmente ad un serio sistema di valutazione, senza il quale non facciamo molti passi avanti", conclude Silvestri.
Il Professor Paolo Quattrone, invece proviene dall’Università’ di Oxford, e anche lui vede la situazione italiana come "leggermente cambiata e migliorata rispetto al passato". "Ci sono varie cose che stanno iniziando a muoversi –afferma- Ad esempio è stato istituito un fondo internazionale per la ricerca scientifica e tecnologica, che per noi è molto importante e al quale abbiamo aderito. Io ho lavorato sia in Spagna che in Inghilterra e credo che da ciascuno di questi due paesi abbiamo da imparare. In Inghilterra esiste una consolidata esperienza di valutazione, mentre in Spagna già da tempo funziona il sistema finanziario unificato, secondo il quale i finanziamenti vengono dati a chi porta risultati". Per Quattrone " il problema non è l’eccellenza individuale, che sappiamo esistere in Italia, bensì la media del sistema, che da noi non regge".
Il Professor Salvatore M. Aloj, insegna invece all’Universita’ Federico II di Napoli, e come prima cosa tiene a fare un po’ di chiarezza. "Io non vorrei che si generalizzasse troppo sulla qualità. Si deve fare chiarezza anche sulle famose ratings di certi giornali specializzati che nemmeno prendono in considerazione il sistema italiano". Aloj si dice convinto che ci siano "delle buone eccellenze in Italia", ma che si debba "fare di più per far sì che gli studenti migliori non se ne vadano. Tanti di loro si iscrivono ai corsi universitari senza nemmeno sapere di cosa si tratta, non vengono formati prima". Altro punto dolente per il professore napoletano sono i"sistemi di reclutamento dei docenti universitari. Non penso che il nostro sistema possa reggere bene il confronto fino a quando continueranno ad essere selezionati in base a criteri non di risultati ma puramente burocratici. Come può essere efficiente un sistema che delega la nomina dei docenti ordinari (cioè a vita) ad una commissione, che non prende in esame i risultati ma solo l’anzianità’? Io ritengo che si tratti di un sistema di selezione inaffidabile, perché la competitività deve essere tenuta in considerazione, è un fattore fondamentale.
Infine il Dottor Andrea Ferrari, che lavora all’Università di Cambridge porta il suo esempio di giovane cervello in fuga dal sistema universitario italiano. "Io ho meno di 35 anni e lavoro a Cambridge. Ho seguito tutta la trafila che hanno seguito molti, e sono andato via dall’Italia. Perché? io penso che fondamentalmente il problema dell’Italia si possa spiegare con il fatto che mancano i finanziamenti privati. Non capisco perché non mettere in condizioni gli atenei di produrre delle risorse ottimali, destinandogli sempre meno risorse. Poi succede che gli studenti migliori si laureano e vanno fuori". Ferrari fa un ironico confronto con il mondo del calcio dove "si buttano tanti soldi, fior di milioni di euro per acquistare un giocatore senza capire che il vero futuro è investire nella formazione e nella ricerca".
News Italia Press

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