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La stampa italiana sulla Relazione della Crui sullo stato dell’Università

articoli da La Repubblica, Corriere della Sera, Agi, La Stampa, Rainews24, Il Giornale, TgCom, Il Riformista, Asca, Vita
09 novembre 2006

Nella relazione annuale sullo stato dell’Università critiche
ai tagli in Finanziaria e, più in generale, alla miopia della politica
Rettori, l’allarme di Trombetti:
"Non investire nella ricerca vuol dire negare il futuro al Paese"
E sulla riforma: bene iscrizioni e laureati, ma restano chiaroscuri

di CLOTILDE VELTRI

ROMA - "Si è varcata la linea d’ombra. Ma dopo non c’è il mare calmo di Conrad, c’è il baratro". Hanno deciso di di rompere definitivamente gli indugi i rettori delle università italiane, che per bocca del loro presidente - Guido Trombetti - bocciano le scelte in materia finanziaria del governo e l’anciano l’allarme: così le università finiranno per chiudere.
Trombetti non usa mezzi termini: "La parte normativa che il governo sta costruendo per universtà e ricerca ci piace, e siamo pronti a fare la nostra parte e accettare la sfida. Quella che non ci piace è la parte finanziaria: quest’anno gli atenei rischiano di non poter pagare fitti, le aule, gli strumenti didattici, persino l’acqua. Manca il denaro per il quotidiano. Altroi che stringere la cinghia fino al 2008 - continua Trombetti -. E’ ovvio che a tutti viene chiesto di fare la propria parte nel risanamento fino al 2008. Ma non so se ci arriviamo, al 2008".
In sostanza le università accusano i provvedimenti previsti in Finanziaria di non riuscire nemmeno a coprire l’intero stanziamento già atteso e, soprattutto, la legge Bersani di essere "una taglia" che riporta al Tesoro i fondi degli atenei, impedendogli in alcuni casi di chiudere i bilanci.

Lo stato degli atenei. Uno scenario a tinte fosche Guido Trombetti articola nella relazione annuale sullo stato degli atenei. Trombetti torna prepotentemente a ricordare alla politica che così si rischia di affossare un sistema - quello della ricerca - già debole rispetto agli standard europei.

Il rettore snocciola cifre dolorose: l’Italia spende per ogni studente 7.241 euro contro i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. Tradotto: impossibile assicurare agli studenti servizi di alta qualità in grado di competere con gli atenei degli altri paesi. Se questo è il punto di partenza, domani potrebbe andare peggio visto che il governo non offre segnali rincuoranti.

"Il Fondo di finanziamento ordinario - ricorda Trombetti - che dovrebbe assicurare all’Università la possibilità di svolgere nel quotidiano la funzione di istituzione pubblica (sottolineo pubblica) per l’alta formazione è quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale".

In sostanza, se si volesse tornare ai livelli del 2001 bisognerebbe reperire un miliardo. E se è vero che la finanziaria 2007 aumenta gli stanziamenti per la ricerca scientifica, è anche vero che lo sforzo resta esiguo perché solo l’1,1% del Pil viene destinato a questo settore contro l’obiettivo del 3% indicato dall’Agenda di Lisbona.

La condanna dei tagli. Trombetti, è assolutamente consapevole, del momento difficile attraversato dall’Italia: "Nessuno può tirarsi fuori dai sacrifici". Però, quello che chiede il rettore, è un cambio di cultura e mentalità. E’ una maggiore consapevolezza che, disinvestire in ambito universitario, vuol dire fare un danno all’intero sistema paese. Parole dure Trombetti rivolge alla politica economica del governo Prodi. Definisce "misure di assoluta cecità" il tagliaspese conseguente al decreto Bersani, l’ammontare del Ffo, la penuria di investimenti in edilizia. Per non parlare del taglio degli stipendi dei ricercatori "provvedimento ingiustificato e punitivo".

Luci e ombre della riforma. Il rettore fa poi il punto sugli effetti della riforma introdotta nel 2001-2002. Non tutto da buttare, dice Trombetti. Anche se spesso i risultati sono stati inferiori alle aspettative. Se, per esempio, è aumentato il numero delle matricole - segno questo assolutamente incoraggiante - è anche vero che il 95% di chi consegue una laurea triennale prosegue gli studi. Dato questo che va imputato, secondo Trombetti, al difficile accesso al mondo del lavoro. Colpa dei ritardi del legislatore nell’adeguare "le regole di ingresso in funzione dei nuovi titoli di studio".

Resta poi alto il tasso di abbandono degli studenti tra il primo e il secondo anno. E se è vero che il numero dei laureati è aumentato - passando da 161 mila nel 2000 a 301.300 mila nel 2005 -, è anche vero che è aumentata pure la offerta formativa. Troppo. Prima della riforma i corsi offerti dagli atenei erano 2.444. Dopo sono diventati 5.434 (122,3% in più). Una proliferazione spesso dannosa e inutile che ha, tra gli effetti negativi, la frammanetazione degli nsegnamenti e il conseguente ricorso - per la didattica - a esperti esterni che spesso sono svincolati dalla ricerca. Il rischio è che l’Università si "liceizzi".

La ricerca: eccellenza a rischio. Il capitolo della relazione dedicato alla ricerca tratteggia un comparto che, nonostante le scarse risorse, nonostante gli annosi problemi descritti da Trombetti, resta d’accellenza. Lo dicono le indagini che valutano in modo molto positivo l’istituzione italiana e il suo personale. "Negli ultimi anni, spiega Trombetti, il 47% delle aree scientifiche italiane ha raggiunto un impatto superiore alla media mondiale".

Inoltre, aggiunge, la valutazione del Civr (comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, ndr) ha evidenziato che praticamente in ogni ateneo vi sono aree di accellenza. Tutto questo, però, rischia di essere vanificato se la politica non investe sui giovani. Si legge: "Troppo lento l’inserimento nel mondo della ricerca. Troppo basse - verrebbe da dire ridicole - le retribuzioni. I giovani non hanno incentivi a rimanere nel mondo della ricerca. E se i giovani si scoraggiano, il danno per il mondo scientifico è irreversibile. Direi premonitore del declino dell’intero Paese. Bene ha fatto, pertanto, il Governo a produrre uno sforzo di investimento lanciando un piano di reclutamento straordinario di ricercatori. Un simile progetto, andrebbe certamente sostenuto con risorse più cospicue di quelle oggi iscritte in Finanziaria. Il rischio reale è che la situazione finanziaria degli Atenei, sempre più rovinosa, costringa gli Atenei stessi a ridurre gli investimenti in posti di ricercatore. Trasformando così il lodevole sforzo del Governo da aggiuntivo in sostitutivo".

Internazionalizzazione e governance. Poi c’è la questione culturale, che va di pari passo con le risorse destinate agli atenei. L’Università ha bisogno di coltivare la propria vocazione internazionale, il proprio essere parte di un sistema globale. "Nel campo della ricerca, sul piano internazionale, scontiamo almeno un decennio di sottofinanziamento", avverte Trombetti.

Infine la governance: il rettore chiede un cambio di mentalità che deve essere accompagnato da nuove regole, da un nuovo patto tra atenei e Stato. Ai primi deve essere lasciato campo libero nelle decisioni gestionali e progettuali. Una volta destinate, le risorse devono essere amministrate con libertà. Al secondo va demandata invece la fase importantissima dei controlli sui risultati ottenuti. Controlli rigidi e puntuali. Oggi avviene il contrario, con conseguenti imbavagliamenti burocratici che non sono più accettabili, che rendono vecchio un settore che, al contrario, deve essere all’avanguardia.

Fonte: www.larepubblica.it


 



Per avere funzionamento regolare, necessario un altro miliardo di euro
«Pochi soldi, università a rischio chiusura»
Grido d’allarme dei rettori: fondi assorbiti del tutto dalle spese del personale, tra qualche anno gli atenei italiani chiuderanno

ROMA - Università addio. Gran parte degli atenei italiani rischiano la chiusura tra pochi anni per mancanza di fondi. È il presidente della Conferenza dei Rettori (Crui) Guido Trombetti, nella relazione annuale sullo stato degli Atenei italiani, a lanciare l’allarme sulla scorta di «dati drammatici». «Il Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) - sottolinea Trombetti - che dovrebbe assicurare all’Università la possibilità di svolgere nel quotidiano la funzione di istituzione pubblica (sottolineo pubblica) per l’alta formazione è quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale. Fatto 100 il Ffo del 2001, il rapporto tra il 2001 ed il 2006 è salito a 112,4. Nello stesso periodo il livello degli emolumenti fissi del personale universitario (che ammonta a poco più di 100.000 unità compreso il personale tecnico-amministrativo) è passato da 100 a 124. Il dislivello - fa notare Trombetti - è a carico totale ed esclusivo degli Atenei. Come dire: un bacino che si impoverisce di anno in anno perchè il flusso dell’acqua che esce è maggiore di quello che lo rifornisce».
SERVE UN MILIARDO DI EURO - Per colmare il gap, e tornare al punto di partenza del 2001, «manca un miliardo di euro». Altrimenti, ribadisce Trombetti, il rischio è «previsto e inevitabile a questo ritmo: il prosciugamento in pochissimi anni, il blocco degli atenei, dei servizi, la cancellazione del futuro per i nostri giovani». Bastano pochi dati, si legge nella relazione, per evidenziare «una situazione di evidente debolezza» del sistema universitario italiano: l’Italia spende per ogni studente universitario 7.241 euro, contro ad esempio i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. «È ovvio dunque - sottolinea Trombetti - che lo studente tedesco può disporre di servizi migliori. Può utilizzare più laboratori. Più postazioni di computer. Usufruisce di più tutorato. Di più borse di studio. Di più alloggi e servizi connessi».
RICERCA - L’Italia si colloca decisamente «in bassa classifica» anche per la ricerca, alla quale è destinato l’1,1% del Pil contro il 3% fissato dall’Agenda di Lisbona, risalente ormai a sei anni fa. Su questo, ammette Trombetti, «la scelta contenuta in Finanziaria di aumentare gli stanziamenti per la ricerca scientifica è certamente significativa. Resta aperto il problema di capire in che direzione andranno effettivamente tali risorse. E con quali criteri saranno ripartite». La situazione attuale, si legge nel rapporto, «scoraggia i giovani talenti. Troppo lento l’inserimento nel mondo della ricerca. Troppo basse - verrebbe da dire ridicole - le retribuzioni. I giovani non hanno incentivi a rimanere nel mondo della ricerca. E se i giovani si scoraggiano, il danno per il mondo scientifico è irreversibile. Bene ha fatto, pertanto, il Governo - sottolinea Trombetti - a produrre uno sforzo di investimento lanciando un piano di reclutamento straordinario di ricercatori. Un simile progetto, andrebbe certamente sostenuto con risorse più cospicue di quelle oggi iscritte in Finanziaria». Il futuro della ricerca non appare roseo, secondo Trombetti, anche alla luce di «misure di assoluta cecità come il tagliaspese conseguente al decreto Bersani», ma anche per «la penuria di investimenti in edilizia». In particolare il taglio degli stipendi dei ricercatori «non è un buon segnale», ma anzi «un provvedimento ingiustificato e punitivo». «Quasi a dire - sottolinea il presidente dei Rettori - che il sacrificio per una ricerca competitiva, lo sforzo per una didattica efficace, l’attenzione verso le esigenze formative di 1.800.000 studenti universitari non meritino i compensi attuali che, fra l’altro, sono tra i più bassi in Europa».

Fonte: www.corriere.it

 

 


 

RettorI, SI RISCHIA BLOCCO ATENEI
(AGI) - Roma, 9 nov. - Senza ulteriore sostegno finanziario da parte dello Stato le universita’ italiane rischiano di chiudere i battenti. E’ il presidente della Conferenza dei Rettori (Crui) Guido Trombetti, nella relazione annuale sullo stato degli Atenei italiani, a lanciare l’allarme sulla scorta di "dati drammatici". "Il Fondo di Finanziamento Ordinario - sottolinea Trombetti - che dovrebbe assicurare all’Universita’ la possibilita’ di svolgere nel quotidiano la funzione di istituzione pubblica per l’alta formazione e’ quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale. Fatto 100 il FFO del 2001, il rapporto tra il 2001 ed il 2006 e’ salito a 112,4. Nello stesso periodo il livello degli emolumenti fissi del personale universitario (che ammonta a poco piu’ di 100.000 unita’ compreso il personale tecnico-amministrativo) e’ passato da 100 a 124. Il dislivello - fa notare Trombetti - e’ a carico totale ed esclusivo degli Atenei. Come dire: un bacino che si impoverisce di anno in anno perche’ il flusso dell’acqua che esce e’ maggiore di quello che lo rifornisce". Per colmare il gap, e tornare al punto di partenza del 2001, "manca un miliardo di euro". Altrimenti, ribadisce Trombetti, il rischio e’ "previsto e inevitabile a questo ritmo: il prosciugamento in pochissimi anni, il blocco degli atenei, dei servizi, la cancellazione del futuro per i nostri giovani". Bastano pochi dati per evidenziare "una situazione di evidente debolezza" del sistema universitario italiano: l’Italia spende per ogni studente universitario 7.241 euro, contro ad esempio i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. "E’ ovvio dunque - sottolinea Trombetti - che lo studente tedesco puo’ disporre di servizi migliori". L’Italia si colloca decisamente "in bassa classifica" anche per la ricerca, alla quale e’ destinato l’1,1% del Pil. Su questo, ammette Trombetti, "la scelta contenuta in Finanziaria di aumentare gli stanziamenti per la ricerca scientifica e’ certamente significativa. Resta aperto il problema di capire in che direzione andranno tali risorse. E con quali criteri saranno ripartite".

 

 


 




I RETTORI PROTESTANO CONTRO I TAGLI DELLA FINANZIARIA
Le Università: «Pochi soldi rischiamo la chiusura»
«Situazione critica, mancano i fondi anche per gli affitti»

ROMA. Senza ulteriore sostegno finanziario da parte dello Stato le università italiane rischiano di chiudere i battenti. È il presidente della Conferenza dei Rettori (Crui) Guido Trombetti, nella relazione annuale sullo stato degli Atenei italiani, a lanciare l’allarme sulla scorta di «dati drammatici». «Il Fondo di Finanziamento Ordinario - sottolinea Trombetti - che dovrebbe assicurare all’Università la possibilità di svolgere nel quotidiano la funzione di istituzione pubblica (sottolineo pubblica) per l’alta formazione è quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale. Fatto 100 il FFO del 2001, il rapporto tra il 2001 ed il 2006 è salito a 112,4. Nello stesso periodo il livello degli emolumenti fissi del personale universitario (che ammonta a poco più di 100.000 unità compreso il personale tecnico-amministrativo) è passato da 100 a 124. Il dislivello - fa notare Trombetti - è a carico totale ed esclusivo degli Atenei. Come dire: un bacino che si impoverisce di anno in anno perchè il flusso dell’acqua che esce è maggiore di quello che lo rifornisce».

Per colmare il gap, e tornare al punto di partenza del 2001, «manca un miliardo di euro». Altrimenti, ribadisce Trombetti, il rischio è «previsto e inevitabile a questo ritmo: il prosciugamento in pochissimi anni, il blocco degli atenei, dei servizi, la cancellazione del futuro per i nostri giovani».

Bastano pochi dati, si legge nella relazione, per evidenziare «una situazione di evidente debolezza» del sistema universitario italiano: l’Italia spende per ogni studente universitario 7.241 euro, contro ad esempio i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. «È ovvio dunque - sottolinea Trombetti - che lo studente tedesco può disporre di servizi migliori. Può utilizzare più laboratori. Più postazioni di computer. Usufruisce di più tutorato. Di più borse di studio. Di più alloggi e servizi connessi».

L’Italia si colloca decisamente «in bassa classifica» anche per la ricerca, alla quale è destinato l’1,1 per cento del Pil contro il 3 per cento fissato dall’Agenda di Lisbona, risalente ormai a sei anni fa. Su questo, ammette Trombetti, «la scelta contenuta in Finanziaria di aumentare gli stanziamenti per la ricerca scientifica è certamente significativa. Resta aperto il problema di capire in che direzione andranno effettivamente tali risorse. E con quali criteri saranno ripartite». La situazione attuale, si legge nel rapporto, «scoraggia i giovani talenti. Troppo lento l’inserimento nel mondo della ricerca. Troppo basse - verrebbe da dire ridicole - le retribuzioni. I giovani non hanno incentivi a rimanere nel mondo della ricerca. E se i giovani si scoraggiano, il danno per il mondo scientifico è irreversibile. Bene ha fatto, pertanto, il Governo - sottolinea Trombetti - a produrre uno sforzo di investimento lanciando un piano di reclutamento straordinario di ricercatori. Un simile progetto, andrebbe certamente sostenuto con risorse più cospicue di quelle oggi iscritte in Finanziaria». Il futuro della ricerca non appare roseo, secondo Trombetti, anche alla luce di «misure di assoluta cecità come il tagliaspese conseguente al decreto Bersani», ma anche per «la penuria di investimenti in edilizia». In particolare il taglio degli stipendi dei ricercatori «non è un buon segnale», ma anzi «un provvedimento ingiustificato e punitivo».

«Quasi a dire - sottolinea il presidente dei Rettori - che il sacrificio per una ricerca competitiva, lo sforzo per una didattica efficace, l’attenzione verso le esigenze formative di 1.800.000 studenti universitari non meritino i compensi attuali che, fra l’altro, sono tra i più bassi in Europa». E la ricerca italiana, fa notare Trombretti, è davvero competitiva, nonostante tutto: su 17.400 prodotti di ricerca valutati in una recente valutazione Civr, il 30 per cento sono risultati eccellenti, il 46 per cento buoni, il 19 accettabili e il 5 limitati. Ma per l’università italiana urgono investimenti mirati: «ho fatto il sogno», dice il presidente della Crui, «di poter ricevere dallo Stato lo stesso sostegno finanziario che riceve un Ateneo di punta in Europa, ed ho sognato che mi fosse chiesto un piano di investimento di tali risorse». Autonomia di investimento, dunque, e conseguente valutazione «severa»: per questo la Crui accoglie positivamente il varo dell’Agenzia Nazionale di Valutazione. Anche se, fa notare Trombetti, «nella situazione attuale gli Atenei avranno ben poco da scegliere, e se non c’è margine per decidere perchè non si dispone delle risorse necessarie, non c’è responsabilità e quindi valutabilità».

Fonte: www.lastampa.it


RaiNews24

Finanziaria. Rettori: i tagli alle Universita’ rischiano di diventare mortali. Critico anche il ministro Mussi

“Il problema non è stringere la cinghia. Il fatto è che a forza di stringerla si rischia il soffocamento. E i sacrifici non possono diventare mortali". Così il presidente della Conferenza dei Rettori, Guido Trombetti, ha criticato i tagli alle Università imposti dalla Finanziaria.

"Mancano i soldi per il giorno per giorno, per pagare i fitti, comprare i sussidi didattici. Va bene la parte normativa (pacchetto serietà, ipotesi di modifica del sistema dei concorsi, agenzia per la valutazione) ma la parte finanziaria non c’è proprio".
Secondo il presidente della Crui, oltre ai 250 milioni di euro fatti fuori dal decreto taglia-spese di Bersani ne mancano almeno altri 200 sul fondo di finanziamento ordinario per il 2007: "Il decreto taglia-spese è uno schiaffo per la comunità universitaria, è punitivo e privo di logica". E con questa situazione non è difficile prevedere, dice Trombetti, che "tutte le università saranno in difficoltà, dalla Val d’Aosta alla Sicilia e alcune non riusciranno a chiudere i bilanci".
Critico con le riduzioni imposte dalla Finanziaria anche il ministro dell’Università, Fabio Mussi. Intervenendo alla Conferenza della Crui ha detto che il taglio del 20% dei consumi intermedi "è un errore madornale, una botta pesantissima che toglie elementi fondamentali di vita quotidiana. Su questo la manovra va modificata".
"La luna non si può avere ma le cose essenziali per passare la nottata sì. C’è ancora qualcosa nella Finanziaria che si può modificare ed è soprattutto il taglio del 20% ai consumi intermedi, una batosta pesantissima che toglie elementi fondamentali di vita quotidiana agli atenei. Con un risparmio tutto sommato modesto - ha aggiunto il ministro - si provocano danni non affatto modesti". 

Il Giornale

«Questa manovra farà chiudere le università»

da Roma
 
Aule gelide perché prive di riscaldamento. Bagni chiusi visto che non ci sono i soldi per pagare le bollette dell’acqua. Niente carta per le fotocopie. Rischia di cominciare così il tramonto degli atenei italiani: dalla privazione degli elementi indispensabili alla vita quotidiana fino ad arrivare alla chiusura per mancanza di fondi.
È un quadro fosco quello dipinto dal presidente della Conferenza dei Rettori (Crui), Guido Trombetti, nella sua relazione annuale sullo stato delle università.  Il j’accuse è rivolto alla politica dei tagli del governo Prodi. Con questa Finanziaria e con il decreto tagliaspese, denunciano i rettori, «si cancella il futuro dei nostri giovani». E anche il ministro dell’Università, il diessino Fabio Mussi, è costretto ad ammettere non soltanto che «gli enti di ricerca sono a rischio di chiusura» ma pure che il taglio del 20 per cento dei consumi intermedi previsto dalla Finanziaria «è un errore madornale che provoca danni molto pesanti a fronte di vantaggi esigui».  Davanti ad una platea di professori e ministri, oltre a Mussi anche Alessandro Bianchi (Trasporti) e Luigi Nicolais (Riforme), Trombetti non esita a bocciare la Finanziaria, insistendo sulla necessità di intervenire. «Si è superata la linea d’ombra ma dopo non c’è il mare calmo di Conrad, c’è il baratro - dice Trombetti -. La legge Bersani è uno schiaffo in faccia agli studenti e ai professori: è punitivo e privo di logica. Gli atenei quest’anno rischiano di non poter pagare gli affitti, le aule, gli strumenti didattici, persino l’acqua. Manca il denaro per il quotidiano». La legge Bersani viene paragonata a una «taglia» per far tornare i soldi nelle casse del Tesoro impedendo così alle università di chiudere i bilanci. Scelte tanto più discutibili da parte di un governo che prima delle elezioni aveva segnalato come parte qualificante del proprio programma il rilancio dell’istruzione e il potenziamento degli atenei, promettendo sostanziosi investimenti nel settore della ricerca. Invece ora il governo prende la direzione contraria.  «Sappiamo che i conti del Paese impongono sacrifici ma non ci aspettavamo di vedere aumentare il livello di difficoltà», spiega Trombetti, che poi elenca le cifre del disastro. Col decreto Bersani si tagliano 250 milioni di euro già destinati agli atenei. «Ora il fondo di finanziamento ordinario è praticamente assorbito per intero dagli stipendi del personale - spiega il presidente della Crui -. Se si volesse tornare al punto di partenza di cinque anni fa nel 2001 ci vorrebbe un miliardo di euro in più.  Con l’1,1 per cento del Pil destinato alla ricerca siamo molto lontani dall’obbiettivo del 3 per cento dell’Agenda di Lisbona ed ampiamente distaccati da quasi tutti i Paesi europei». Oltretutto i tagli intervengono in una situazione già difficile visto che l’Italia spende per uno studente 7.241 euro contro i 9.135 della Francia e 9.895 della Germania.
Mussi ribadisce che questo sarà «un anno magro» ma promette di impegnarsi affinché gli enti di ricerca vengano esclusi dall’articolo 53 della Finanziaria. Nessuna speranza invece per la riduzione del 20 per cento sui consumi intermedi. «Se i tagli all’università restano Mussi deve dimettersi», attacca il senatore di Alleanza Nazionale, Giuseppe Valditara. «Il ministro aveva dichiarato già nel luglio scorso che se non fosse riuscito a togliere l’applicazione del decreto Bersani al suo settore si sarebbe dimesso - ricorda -. Ora l’ultima campanella per lui suonerà al Senato: o si riesce insieme a individuare le risorse adeguate per evitare questa misura   dannosa per lo sviluppo del sistema universitario italiano o Mussi deve dimettersi come ha promesso».
Francesca Angeli



 TgCom

Manovra, la rivolta degli atenei
I rettori chiedono almeno 250 milioni
L’università non sopravviverà con tutti i tagli a cui l’ha sottoposta il decreto Bersani. A lanciare il grido di dolore sono i rettori, che chiedono 250 milioni di euro per il 2007 per poter resistere. Il presidente dei rettori Guido Trombetti della Federico II di Napoli, presentando il rapporto sullo stato delle università italiane, parla di sacrifici insostenibili.
 
Ma il ministro Fabio Mussi dice di provare comprensione, ammette le colpe a nome del governo e fa soltanto promesse generiche. Insomma, nessun cambiamento di rotta sembra annucniarsi per gli atenei.
 
Per quest’anno insomma non sembra di vedere schiarite all’orizzonte delle cittadelle della cultura in Italia, già bistrattate. Eventuali aiuti saranno rinviati all’anno prossimo.
 
Trombetti punta il dito sulla gestione dei finanziamenti pubblici negli ultimi anni. Le università hanno dovuto sostenere tagli su tagli, sempre presentati come una tantum, che in realtà diventano strutturali e impoveriscono gli atenei italiani. Fino ad arrivare all’ultima scure di quest’anno.
 
Accanto ai rettori si leva anche la voce del capogruppo dei Verdi in commissione Affari sociali alla Camera Tommaso Pellegrino, che commenta così le parole dei rettori delle univesità italiane: "Governo e Parlamento ascoltino il grido di dolore lanciato dagli atenei". "Un governo di centrosinistra" sottolinea in una nota "dovrà caratterizzarsi per una profonda inversione di rotta sui temi della ricerca, dell’università e del futuro dei giovani, dopo l’assoluto disinteresse mostrato su questi argomenti dal precedente governo di centrodestra".
 
"L’appello dei Rettori va ascoltato" aggiunge "affinchè non solo venga scongiurato il paventato rischio di blocco delle Università, ma anche perch‚ ogni investimento in più su queste priorità costituisce un passo in avanti importante per il futuro dei giovani italiani e per colmare il gap del nostro Paese con gli altri paesi europei". "Occorre sì combattere gli sprechi" conclude Pellegrino "ma è necessario che il governo corregga anche la rotta sugli Enti locali, in quanto Istituzioni più vicine ai cittadini ed il cui ruolo è considerato centrale nel nostro impianto costituzionale".

 


 

Il Riformista
EDITORIALE
venerdì 10 novembre 2006
ALLARMI
E se chiudesse l’università?
Nell’ormai quotidiana rassegna di lamentazioni nei confronti della stretta economica di Palazzo Chigi, ieri si è inserita un’altra voce autorevole, quella del presidente della conferenza nazionale dei rettori. Nella sua relazione, Guido Trombetti ha tracciato un quadro poco rassicurante sul futuro dell’università italiana, bocciando senz’appello le scelte di questo governo, denunciando il rischio per molti atenei di non avere i quattrini nemmeno per pagare i fitti, le aule, gli strumenti didattici, persino l’acqua. Aggiungendo: «È ovvio che a tutti viene chiesto di fare la propria parte nel risanamento fino al 2008. Ma non se ci arriviamo, al 2008».
La posizione di Trombetti, e quindi dei rettori italiani, era già nota. Lo stesso presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) ne aveva anticipato il contenuto in un articolo pubblicato dal Riformista. Ma da ieri ha il crisma dell’ufficialità. E a noi sembra particolarmente preoccupante il passaggio che il rettore della Federico II di Napoli ha riservato sul futuro della ricerca nel nostro Paese. Pur apprezzando la scelta contenuta in finanziare di aumentare gli stanziamenti per la ricerca scientifica, e ricordando che «il 47% delle aree scientifiche italiane ha raggiunto un impatto superiore alla media mondiale», Trombetti ha evidenziato che la situazione scoraggia i giovani talenti: «Troppo lento l’inserimento nel mondo della ricerca, troppo basse, verrebbe da dire ridicole, le retribuzioni. I giovani non hanno incentivi a rimanere nel mondo della ricerca. E se i giovani si scoraggiano, il danno per il mondo scientifico è irreversibile. Direi premonitore dell’intero declino del Paese».
Certo sarebbe stato apprezzato anche un passaggio sulla produttività dei docenti delle nostre università, ma resta la drammaticità di un quadro piuttosto desolante. Ieri il ministro dell’Università e della ricerca scientifica Fabio Mussi ha definito «un errore madornale» il decreto tagliaspese voluto da Bersani. Non vorremmo che un domani la stessa definizione fosse utilizzata per sottolineare l’errore di aver sottovalutato la condizione della ricerca in Italia.

 

Asca

UNIVERSITA’: A 5 ANNI DALLA RIFORMA 45% DEGLI STUDENTI FUORI CORSO

A 5 anni dalla Riforma, l’Universita’ oggi vanta una offerta di formazione notevolmente ampliata, gli iscritti sono stati in costante aumento nei primi anni e oggi fanno registrare una lieve flessione, il numero dei laureati e’ aumentato ma le cifre parlano del 45% degli iscritti fuori corso. Lo evidenzia il Rapporto sullo Stato delle Universita’ italiane presentato oggi dalla CRUI, la Conferenza dei Rettori.
L’offerta di formazione e’ notevolmente aumentata proprio in coincidenza dell’avvio generalizzato della riforma: ai 2.444 corsi attivi nel 2000-2001 corrispondono i 5.434 (+122,3%) attivi nell’a.a. appena iniziato.
Gli studenti iscritti sono aumentati in coincidenza dell’avvio della riforma e hanno avuto un incremento pressoche’ costante dall’a.a. 2001/2002 (1.722.457 studenti totali) al 2003/04 (1.814.048 studenti totali); nel 2004/05 (1.820.221 studenti totali) si e’ verificata una flessione e i dati provvisori relativi all’a.a. 2005/06 (1.796.270 studenti totali) sembrano evidenziare un lieve decremento, che, se confermato dai dati definitivi, potrebbe coincidere con la contemporanea crescita del numero dei laureati.
La percentuale di immatricolati rispetto agli iscritti totali si aggirava negli anni precedenti l’a.a. 1993/94 intorno al 22-23%. Ha cominciato a diminuire negli anni successivi fino ad attestarsi negli ultimi due anni accademici anni su valori prossimi al 18%. Cio’ mette in evidenza come la crescita del sistema sia in parte dovuta a un aumento di coloro che permangono nel corso di studio e non solo a un’aumentata richiesta di formazione.
La percentuale di studenti fuori corso e’ aumentata dall’a.a. 1994/95 all’a.a. 2000/01 fino a raggiungere circa il 42%; negli anni successivi all’avvio della riforma si e’ verificata una discreta riduzione (i fuori corso erano il 36,2% nel 2003/04), ma gia’ dallo scorso anno si e’ registrata un’inversione di tendenza, che si ripresenta per il 2005/06: se i dati venissero confermati, la percentuale di fuori corso raggiungerebbe il 45,9%. Il numero dei laureati e’ aumentato nel tempo; in particolare, si rilevano degli incrementi significativi a partire dall’anno solare successivo l’avvio della riforma (174.197 laureati nel 2001 e 301.298 nel 2005) a conferma del fatto che l’avvio dei nuovi percorsi formativi ha, almeno inizialmente, avuto l’effetto di far conseguire un titolo di studio a coloro che erano in ritardo con gli studi.
E’ possibile verificare il reale effetto della Riforma sul numero dei laureati soltanto a partire dal 2004, anno in cui hanno cominciato a laurearsi i primi immatricolati con il nuovo ordinamento: si segnala tuttavia un numero consistente di lauree triennali gia’ a partire dal 2002, probabilmente per effetto dei passaggi dal vecchio al nuovo ordinamento. Dall’analisi delle percentuali di laureati rispetto alla tipologia di CdS si hanno dei valori molto elevati (circa il 60% nel 2004 e il 47,5% nel 2005) in corrispondenza dei ’’vecchi’’ CdL; tale fenomeno, che negli anni andra’ ad esaurirsi, inficia sulla numerosita’ complessiva distorcendo in parte la positivita’ del dato complessivo. Comunque l’incremento dei laureati non e’ ancora stato recepito dalle statistiche internazionali, ma certamente permettera’ di risalire le graduatorie internazionali che presentavano il nostro Paese con i piu’ bassi tassi di laurea.
La maggiore articolazione dei percorsi universitari (con la laurea triennale e la laurea specialistica) doveva concretizzarsi in una diversita’ di percorsi formativi con finalita’ diverse in cui le lauree di primo livello, caratterizzate da contenuti professionalizzanti, avrebbero dovuto preparare gli studenti ad anticipare i tempi di inserimento nel mondo del lavoro. Stando ai dati AlmaLaurea, pero’, la laurea di primo livello viene in realta’ vista dagli studenti come un titolo intermedio; infatti il 78,6% dei laureati ’’triennali’’ manifesta l’intenzione di proseguire gli studi. D’altro canto, bisogna ricordare che il mercato del lavoro potrebbe non essere ancora pronto a riconoscere e recepire queste nuove professionalita’ per la natura degli studi.
Pur non essendo un effetto diretto della riforma, e’ interessante considerare il dato relativo all’andamento delle iscrizioni degli studenti stranieri in Italia; il numero assoluto e’ progressivamente aumentato negli anni: in particolare dal 2001/02 al 2004/05 la percentuale di incremento e’ stata del 47,4%. La variazione ha interessato in modo diffuso gli studenti provenienti da tutti i continenti anche se, in termini percentuali, le maggiori differenze si rilevano in relazione a: Sud america +95,7%; Oceania +74,1; Africa +69,7 e Europa (paesi UE) +68,7. La percentuale rispetto al numero degli iscritti, pur cresciuta (dall’1,5% del 2001-2002 al 2,1% del 2004-2005), e’ sempre significativamente inferiore rispetto alla media dei Paesi OCSE (6,4).
 
IN ITALIA 94 GLI ATENEI. 1,7 MLN DI ISCRITTI
 
Il sistema universitario puo’ essere ormai visto come una ’’confederazione’’ di atenei autonomi che, nell’ambito di una cornice legislativa nazionale, si muovono in modo unitario solo in presenza di regole condivise e di strategie comuni.
E’ quanto rileva il Rapporto della Conferenza dei Rettori sullo stato delle Universita’ italiane diffuso oggi. Agli inizi del ’900 le universita’ italiane erano 26, attualmente il Ministero dell’Universita’ ne riconosce 94 per un territorio nazionale di 103 province: quasi una sede universitaria per provincia; in realta’, la distribuzione delle sedi nel Paese ha sempre mantenuto il baricentro nell’area settentrionale: al Nord si trovano 32 sedi (38,6%), al Centro 27 (32,5%) e al Sud 24 (28,9). E’ innegabile che la proliferazione di nuove sedi, almeno fino a meta’ degli anni ’90, abbia permesso ad un maggior numero di giovani di proseguire gli studi, contribuendo al passaggio da un’universita’ di e’lite ad un’universita’ di massa. Tuttavia, negli ultimi anni, l’impatto dell’istituzione di nuove sedi sulla diffusione dell’istruzione universitaria diventa decisamente meno rilevante e il numero degli iscritti si attesta oltre 1.700.000.
 
SEMPRE MENO ISCRITTI A CORSI DI LAUREA TECNICO-SCIENTIFICI
 
E’ crisi delle lauree scientifiche in Italia. Il progressivo calo negli ultimi decenni delle iscrizioni nelle aree disciplinari a carattere tecnico-scientifico e’ avvertito come una potenziale minaccia per la competitivita’ futura del nostro sistema produttivo giacche’ i settori di studio piu’ in crisi sono tra quelli che maggiormente contribuiscono alla formazione di lavoratori ad alto potenziale innovativo. Particolarmente penalizzate nelle scelte degli studenti sono le facolta’ di matematica, chimica, fisica e geologia i cui iscritti sono calati drasticamente. Sono le cifre elaborate dal Rapporto CRUI presentato oggi.
Negli ultimi trenta anni, la dinamica evolutiva della popolazione studentesca universitaria non solo documenta una significativa espansione numerica ma mostra i segni inequivocabili di un complessivo ri-orientamento delle scelte degli studenti: mentre 30 anni fa, ad esempio, i corsi del gruppo medico raccoglievano circa un quinto degli universitari italiani, oggi, vista anche l’attivazione di politiche di accesso ristretto alle facolta’ in questione, il peso degli aspiranti medici si riduce al 7% dell’intera popolazione studentesca. Di segno opposto e’ la situazione registrata per le discipline del settore politico-sociale, un tempo ricettive di appena il 5% della domanda complessiva di formazione universitaria, e oggi balzate tra i primi tre settori, con il 12% degli iscritti nel paese.
Il gruppo scientifico ha subito nel complesso una variazione di iscritti dalla seconda meta’ degli anni ’70 ad oggi che ne ha ridotto l’incidenza dal 13,5% al 10,9%. E’ bene notare che in termini assoluti il bacino di iscritti di questo settore non si e’ ridotto (nell’arco di tempo considerato e’ passato infatti da 132mila a 200mila unita’ circa) eppure e’ cresciuto meno intensamente di altri ambiti la cui espansione, pertanto, ne ha ridimensionato il peso.
Tuttavia, il quadro internazionale non ci vede relegati in fondo alle classifiche in termini di incidenza di iscritti in aree tecnico-scientifiche. La situazione, pero’, appare meno favorevole se osservata dal lato delle abilita’ in campo matematico rilevate da specifiche analisi internazionali che monitorano la preparazione dei quindicenni in questo ambito.
Lo scenario si fa particolarmente penalizzante da questo punto di vista per il nostro paese che, stando ai risultati dell’indagine, puo’ contare su giovani in eta’ scolare le cui performance in campo matematico sono superiori solo a tre paesi nell’ambito dei trenta messi a confronto.
Eppure, la domanda di formazione universitaria risulta in parte disallineata rispetto alle prospettive occupazionali relative alle singole aree disciplinari: il settore letterario, ad esempio, che pure riscuote notevole successo tra gli studenti italiani, si mostra scarsamente efficace in termini di prospettive di inserimento lavorativo mentre le discipline scientifiche afflitte dalle defezioni menzionate risultano al contrario ben posizionate alla luce dei dati sull’occupazione dei rispettivi laureati.
 
IL 19,2% DEI GIOVANI STUDIA IN UNA REGIONE DIVERSA DALLA RESIDENZA
 
I giovani che studiano in una regione diversa da quella di residenza sono circa 350.000, pari al 19,2% con una diversa incidenza a livello regionale. E’ quanto rileva il Rapporto CRUI.
La mobilita’ per studio non segue il tradizionale modello migratorio con flussi che vanno dal Sud al Nord del Paese; gli studenti fuori regione non sono piu’ solo gli studenti ricchi che si spostano per studiare in atenei magari molto distanti dalla regione di residenza, ma si verifica, con un minor aggravio di spese per le famiglie, quasi un pendolarismo per studio tra regioni vicine.
 
DRAGHI: ’’L’ISTRUZIONE E’ FATTORE CRUCIALE DI CRESCITA ECONOMICA’’.
 
L’istruzione come fattore di crescita economica e di innalzamento della produttivita’: questo il tema della Lectio Magistralis tenuta da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, in occasione della inaugurazione del Centesimo Annno accademico a La Sapienza. Draghi, nel suo ampio exursus ha esaminato la situazione dell’istruzione secondaria ed universitaria nel Paese, che presenta aspetti di notevole arretratezza rispetto agli altri paesi Ocse. Ma proprio puntando su una migliore preparazione professionale si potrebbero risolvere alcuni problemi che affliggono la Penisola dallo scorso decennio, come il calo di produttivita’ e la precarieta’ del lavoro per fasce sempre piu’ larghe di giovani.
Secondo le proiezioni disponibili, dice il Governatore, la popolazione in eta’ da lavoro e’ destinata a ridursi in maniera rilevante, anche per opera dei flussi migratori, frenando cosi’ ulteriormente la crescita potenziale dell’economia italiana. Questo andamento puo’ essere frenato solo con un significativo aumento della partecipazione al mercato del lavoro, per il quale un aumento della istruzione media della popolazione rappresenta una condizione necessaria. Infatti la partecipazione del mercato del lavoro in Italia e’ ancora molto inferiore alla media europea, come segnalano i dati Ocse, in particolare per quanto riguarda le donne, i giovani e le classi di eta’ piu’ elevate. Ma per le persone piu’ istruite il rischio di disoccupazione e’ minore: secondo stime del Servizio Studi della banca d’Italia a parita’ di circostanze nel nostro paese la probabilita’ di partecipare al mercato del lavoro aumenta di 2,4 punti percentuali per ogni anno di scuola frequentato, e nelle regioni meridionali il valore sale a 3,2 punti percentuali.
Ma soprattutto un elevato livello di istruzione, sottolinea Draghi, costituisce il migliore strumento per ridurre i rischi insiti in percorsi di carriera frammentari, e di perdita dell’occupazione. Piu’ aumenta la qualificazione professionale, piu’ aumenta l’incentivo per l’impresa ad investire in rapporti stabili e duraturi, elemento quest’ultimo di particolare rilevanza in questi tempi di crescente ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato.
In Italia, insiste Draghi, il deficit di istruzione resta preoccupante: nel 2005 la quota di diplomati nella fascia di eta’ tra i 25 ed i 64 anni era solo del 37,5%, cioe’ 8 punti in meno della media Ocse. La quota di laureati, in Italia pari solo al 12%, equivale alla meta’ della media dei paesi Ocse. Ma i nostri problemi non dipendono, dice Draghi, da un ammontare inadeguato di risorse pubbliche destinate all’istruzione: la spesa per studenti nella scuola dell’obbligo ed in quella secondaria e’ anzi piu’ elevata rispetto alla media dei paesi sviluppati, non certo per effetto delle maggiori retribuzioni del personale docente, bensi’ per un piu’ alto rapporto numerico tra docenti e studenti (in Italia 9,4 insegnanti ogni 100 alunni nelle scuole secondarie e 9,2 nelle scuole elementari, contro rispettivamente 7,4 e 6,1 nei paesi Ocse).
Sull’alto rapporto insegnanti/alunni del nostro paese influiscono scelte di politica sociale come l’ampio sostegno agli studenti diversamente abili e la fornitura di servizi educativi in loco anche a comunita’ di piccole dimensioni.
Pesano inoltre carenze nella organizzazione in generale e nella motivazione del personale. Per quanto riguarda poi la qualita’ dei programmi scolastici, il Governatore punta il dito sulle scuole tecniche e professionali: ’’Oggi e’ diffusa l’esigenza - dice Draghi - di modificare la vocazione di questo tipo di scuole perche’ occorrono conoscenze adattabili a contesti tecnologici soggetti a continui mutamenti. La formazione scolastica anche nelle scuole tecniche e professionali deve essere maggiormente interessata verso l’acquisizione di abilita’ generali. Rilievi critici anche per quanto riguarda l’istruzione universitaria: i laureati che conseguono un titolo di specializzazione post laurea in Italia sono troppo pochi, e collocano il nostro paese alla quart’ultima posizione tra i paesi Ocse. L’incrementro nel numero dei laureati degli ultimi anni si e’ concentrato sui nuovi percorsi di laurea breve, e soprattutto nelle aree giuridiche e politico-sociali. Del resto, osserva Draghi, le risorse pubbliche destinate all’universita’ sono relativamente modeste, e fanno da contraltare alle maggiori risorse destinate alla istruzione primaria e secondaria: ’’Non e’ una scelta lungimirante - dice Draghi - in un mondo in cui l’innovazione e’ la chiave dello sviluppo’’. Dunque una efficace politica dell’istruzione deve conciliare l’equa diffusione delle opportunita’ di istruirsi con l’accellenza, e questi due obiettivi non sono in conflitto. Per il conseguimento dell’eccellenza bisogna aumentare la concorrenza fra gli istituti, sia pubblici che privati, con finanziamenti che premino da un lato le scuole migliori e trasferiscano dall’altro le risorse direttamente alle famiglie. Ma soprattutto bisogna offrire criteri uniformi di valutazione che permettano scelte mirate: ’’Va eliminato - dice Draghi - l’incentivo perverso per famiglie e scuole a colludere nell’abbassare gli standard qualitativi dell’insegnamento, specialmente se il finanziamento e’ legato esclusivamente al numero di iscrizioni’’. Analoghe considerazioni per il mondo universitario, ed in particolare per qualita’ dell’attivita’ di ricerca, che nonostante le difficolta’ di misurazione, deve essere criterio di orientamento per i finanziamenti pubblici destinati agli atenei. ’’La trasparenza e il pubblico accesso al processo di valutazione contribuiscono - conclude il Governatore - a rafforzare il confronto tra le universita’.
E’ aupspicabile che cio’ costituisca il primo gradino di una azione tesa a stimolare la concorrenza tra gli atenei, ad incentivare l’innalzamento della qualita’ della ricerca, della didattica, e selezione dei docenti’’.

 Vita

Università: blocco per mancanza di risorse
E’ l’allarme di Guido Trombetti, presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Universita’ italiane) alla presentazione dell’annuale "Relazione sullo stato delle università"
 
Le nostre Universita’ vivono una situazione di ’’debolezza’’, soprattutto per quel che riguarda i servizi per gli studenti. Per questi e non solo, infatti, mancano le risorse: il Fondo di Finanziamento Ordinario e’ quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale. E la carenza cronica di finanziamenti rischia di portare ’’al blocco degli Atenei, dei servizi, alla cancellazione del futuro per i nostri giovani’’.
 
E’ l’allarme che Guido Trombetti, presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Universita’ italiane), ha lanciato oggi presentando a Palazzo Marini, a Roma, l’annuale ’Relazione sullo Stato delle Universita’ Italiane’. ’’Fatto 100 il Fondo del 2001 -ha detto Trombetti- il rapporto tra il 2001 e il 2006 e’ salito a 112,4. Nello stesso periodo, il livello degli emolumenti fissi del personale universitario (che ammonta a poco piu’ di 100.000 unita’ compreso il personale tecnico-amministrativo) passato da 100 a 124. Il dislivello e’ a carico totale ed esclusivo degli Atenei. Manca un miliardo di euro per tornare al punto di partenza di cinque anni fa. Con l’1,1% del Pil destinato alla ricerca (universitaria e non) siamo molto lontani dall’obiettivo del 3% dell’Agenda di Lisbona, ed ampiamente distaccati da quasi tutti i Paesi europei’’.
 
Trombetti ha tracciato un primo bilancio della riforma del sistema universitario, avviata nell’anno accademico 2001-2002, la cosiddetta riforma Moratti. ’’Prima della riforma -ha spiegato- gli immatricolati erano il 70% dei diplomati della scuola media superiore. Nell’anno accademico 2004-2005 si e’ arrivati al 76,8%. In rapporto ai diciannovenni, una platea piu’ ampia. Allo stesso tempo il numero dei laureati e’ molto aumentato: 161.000 nel 2000, 301.300 nel 2005. Ma non tutto ha funzionato’’. Trombetti ha sottolineato, in particolare, due dati. ’’La maggior parte dei laureati di primo livello -ha ricordato- prosegue gli studi. In alcuni casi si arriva a percentuali del 95%. Se il primo livello e’ stato pensato come un corso di studio destinato ad anticipare i tempi dell’inserimento nel mondo del lavoro, bisogna dirsi francamente che questo obiettivo non e’ stato raggiunto’’.
 
C’e’ poi il problema del tasso di abbandono degli studenti nel passaggio dal primo al secondo anno. ’’Si e’ ridotto -ha annunciato il presidente dei rettori- ma di poco. Era del 21,4% degli immatricolati nell’anno accademico 1999-2000. E’ del 20,8 nel 2003-2004. E’ possibile che tale dato sia, in parte, strutturale e legato a carenze di preparazione o di vocazione non colmabili’’.
’’Le Universita’ -ha comunque avvertito Trombetti- devono avere il coraggio di guardare anche ai loro errori. La proliferazione dei curricula, innanzitutto. Prima della riforma, i corsi offerti dal sistema universitario, tra lauree e diplomi, erano 2.444. Dopo sono diventati 5.434: il 122,3% in piu’. E gli immatricolati non sono aumentati in modo altrettanto significativo ne’ sono diminuiti di molto gli abbandoni. Per di piu’ ’’il mercato del lavoro non e’ forse in grado di apprezzare le differenze tra 5.434 diverse lauree. L’eccessiva frammentazione degli insegnamenti ha dato origine a un ulteriore effetto perverso: il numero medio di docenti di ruolo per corso di laurea e’ sceso dalle 21 unita’ di prima della riforma a 11’’. Per ’’un insegnamento universitario di qualita’’’ occorre, dunque, ’’riequilibrare i curricula formativi nell’ottica della semplicita’, della sostenibilita’ e della qualita’ e migliorare il rapporto tra didattica e ricerca’’.
 
Non solo. Bisogna, ha spronato Trombetti, ’’fare ogni sforzo per non farci sfuggire l’occasione, irripetibile, di una seria revisione del complesso della nostra offerta formativa che includa anche il tema del dottorato di ricerca, snodo fondamentale del rapporto tra alta formazione e ricerca’’.
’’Bene ha fatto il governo -ha detto Trombetti- a produrre uno sforzo di investimento lanciando un piano di reclutamento straordinario di ricercatori’’. Un progetto che meriterebbe di essere sostenuto ’’con risorse piu’ cospicue di quelle oggi presenti in Finanziaria’’. Inoltre, ’’misure di assoluta cecita’, come il tagliaspese conseguente al decreto Bersani, l’ammontare del Ffo, la penuria di investimenti in edilizia (oggi a livelli tali da non garantire neppure la manutenzione), non lasciano presagire un futuro roseo’’. Sull’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario, Trombetti ha osservato che ’’potrebbe veramente generare un nuovo sistema di governance negli Atenei’’. Per produrre questo risultato, la valutazione dovra’ pero’ prevedere un meccanismo ’a cascata’ in cui il singolo ateneo individui il proprio sistema di valutazione interno per valorizzare i propri punti di forza e conseguire i propri obiettivi strategici e prevedere incentivi significativi per i comportamenti virtuosi.

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