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ADDIO AD ANDREA CAMILLERI

Il 10 maggio 2013 l’Università di Cagliari conferì, su proposta dell’allora Facoltà di Lingue presieduta da Giuseppe Marci, la laurea honoris causa al grande scrittore siciliano. Per ricordarlo nel migliore dei modi, proponiamo per la prima volta il documentario realizzato dal CELCAM su quella giornata che rimarrà storica per il nostro Ateneo. VIDEO e RASSEGNA STAMPA con l'intervista con Giuseppe Marci nel TG della RAI e il servizio nel TG di VIDEOLINA
18 luglio 2019
La frase che Andrea Camilleri scrisse sul registro degli ospiti dell'Ateneo

Sergio Nuvoli - fotografie di Francesco Cogotti

Cagliari, 17 luglio 2019 - Era il 10 maggio 2013, quando l'Università di Cagliari conferì la laurea honoris causa in Lingue e Letterature Moderne, Europee e Americane al grande scrittore. Dopo l’introduzione dell’allora Rettore Giovanni Melis, e la laudatio del prof. Giuseppe Marci, lo scrittore siciliano tenne una vera lectio magistralis sul rapporto tra genitori e figli spaziando da Verga a Grazia Deledda, da Gavino Ledda a Pirandello a Italo Svevo. Di quest’ultimo commentò in particolare un capitolo de “La coscienza di Zeno”, soffermandosi in particolare sul contrasto generazionale, “tra padri e figli – disse – ma che diventa tra vecchi e giovani”.

Citando Pirandello aggiunse “formichetta si nasce, moscerino, filo d’erba”, mentre la parte centrale della lezione si sviluppò intorno al “secondo nucleo narrativo del libro di Svevo, il rapporto tra Zeno e il padre”. Quindi la sorpresa: “Se mi sono soffermato su questo capitolo è perché mi permette di passare all’autobiografia”. L’autore del Commissario Montalbano svelò il proprio personale rapporto con il padre e la malattia che – quando Camilleri aveva 42 anni - lo condusse alla morte, insieme al ritrovato rapporto filiale nell’ultimo periodo della vita. “Penso di averlo deluso sempre – confidò lo scrittore – L’amavo intensamente, anche se non mi piacevano le cose che faceva. Amavo molto i libri che leggeva. Era stato fascista, squadrista, ma mai facinoroso né settario”.

La foto di gruppo nella stanza del Rettore
La foto di gruppo nella stanza del Rettore
GUARDA IL SERVIZIO DI MAURO SCANU NEL TG DELLA RAI DELLE 14 DEL 17 LUGLIO CON L'INTERVISTA CON GIUSEPPE MARCI

Fu una emozionante due giorni, con Andrea Camilleri all’Università di Cagliari. Il pomeriggio precedente al conferimento della laurea honoris causa, nella Facoltà di Studi umanistici lo scrittore siciliano intervenne alla premiazione dei migliori elaborati degli studenti che avevano partecipato al seminario di studio sulla sua opera diretto da Giuseppe Marci, realizzato con il contributo di tanti docenti della facoltà. In quell’occasione incontrò anche Pinuccio Sciola, il grande artista di San Sperate che – per lui – fece vibrare le sue pietre sonore.

In numerose interviste, Camilleri ha svelato che – quando aveva ideato il Commissario Montalbano – ne aveva immaginato il volto come quello del professor Marci, che ebbe modo di incontrare soltanto alcuni anni dopo. Un altro particolare che – insieme all’infaticabile opera del docente di UniCa per farne conoscere gli scritti prima ancora che assurgesse all’attuale notorietà internazionale – lega lo scrittore siciliano a Cagliari.

Oggi che si è diffusa la triste notizia della sua scomparsa, vogliamo ricordarlo ripubblicando la frase che quel giorno scrisse sul registro degli ospiti del nostro Ateneo: "Cagliari oggi è bellissima, fatta più bella dall'alto onore che mi tributa il suo Ateneo e di cui sono infinitamente grato e commosso".

Ma ancora di più rimandiamo alla visione integrale del documentario – che pubblichiamo per la prima volta – realizzato in quell’occasione dal CELCAM.

Andrea Camilleri con Pinuccio Sciola
Andrea Camilleri con Pinuccio Sciola
GUARDA IL SERVIZIO DI MAURO SCANU NEL TG DELLA RAI DELLE 19.35 DEL 17 LUGLIO CON L'INTERVISTA CON GIUSEPPE MARCI

RASSEGNA STAMPA

L’UNIONE SARDA di giovedì 18 luglio 2019
Regione (Pagina 8 - Edizione CA)
Una commovente lectio magistralis
Quando a Cagliari ricordò del padre nella Brigata Sassari
Era un tenente agli ordini del Capitano Lussu, circostanza che rafforzava il legame con l'Isola 

Intervistato da Rai1, Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club, ha dichiarato che, nel suo mondo, la parola del giorno è “orfani” e ha concluso: «È come se avessimo perso un padre».
Non solo i soci di quel Club, ma la stragrande maggioranza dei lettori, in Italia e in altri Paesi, condivide quel sentimento e prova un dolore autentico: come se avessimo perso un nostro familiare.
Bisogno di comunicare
Andrea Camilleri con i suoi romanzi, con la trasposizione televisiva delle inchieste del commissario Montalbano, con i film tratti dai romanzi storici, con gli interventi televisivi, le presentazioni dei film, le interviste, è stato molto più di un autore di successo. Tutti - gli studiosi di letteratura, i traduttori che portano la difficile lingua camilleriana a incontrare pubblici lontani dall'Italia e dalla Sicilia, gli appassionati lettori -, tutti hanno avvertito che nelle sue pagine c'era, in primo luogo, un esplicito bisogno di comunicare, di condividere storie come avveniva nel mondo antico, quando tra chi narrava e chi ascoltava c'era un legame necessario sul piano umano e vitale in quello artistico.
“Contastorie”, si definiva: e lo era, nell'alto grado di chi sa farsi ascoltare/leggere con un'arte che di giorno in giorno si affina e raggiunge livelli stilisticamente elevati. Ma era anche altro; era un saggio capace di dispensare pensieri necessari per affrontare il presente, senza mai perdere la speranza nell'essere umano. Era una sorta di paradosso: viveva in un tempo di semplificazione e di paure; di chiusure dei porti, dei cuori e delle intelligenze; di folle spaventate che vogliono armarsi per combattere nemici che non sono tali. E non vedono dove sta il vero pericolo. Camilleri, divenuto cieco, vedeva invece con chiarezza, ammoniva e stabiliva le distanze: «Non in nome mio».
Ascoltato con rispetto
Tolti pochi facinorosi, lo ascoltavano tutti con rispetto: come si fa con un Padre del cui insegnamento sappiamo di avere bisogno, anche se talvolta non siamo capaci di applicarlo. Ma la sua voce risuona nella nostra coscienza e trova un'eco, solo in apparenza singolare, in quella del mondo cattolico che, in particolare sulla vicenda dei migranti, esprime lo stesso pensiero del laico Camilleri.
E pensare che all'inizio era letto in quanto scrittore divertente e capace di creare irresistibili situazioni comiche, personaggi che suscitano il riso, senza diventare macchiette ma conservando un'integrale fisionomia umana. Così ha conquistato il suo pubblico, al quale, grado per grado, ha insegnato una lingua, il “vigatese”; e, contemporaneamente, ha insegnato molto altro: anche che l'esistenza può essere drammatica e che tuttavia c'è sempre una speranza.
Era un uomo autentico. A Cagliari (e in tutti i luoghi della Sardegna dove in diverse occasioni era stato: a Sassari, a Sorso, a Nuoro, a Galtellì) lo ha mostrato con una lectio veramente magistrale, quando ha parlato della morte del padre: è un nodo, questo, della perdita del padre; di come sappiamo affrontarla e farci adulti, una volta rimasti soli.
Parlò delle opere letterarie nelle quali il tema era stato affrontato; poi disse di sé al capezzale del padre malato, che riviveva gli episodi della Grande guerra combattuta agli ordini del Capitano Lussu, fino a che gli ingiunse di uscire e di tornare solo dopo aver fumato una sigaretta. «Ubbidii e quando, dopo aver fumato, andai verso la sua camera, sapevo che non l'avrei trovato vivo».
Commozione sul viso
C'è un filmato, che ritrae Camilleri mentre dice queste ultime parole e una lacrima gli riga il volto.
Il pubblico presente nell'aula magna dell'Università rimase senza fiato, come sospeso: capiva che non era una lezione accademica ma un sofferto racconto di vita, che lo scrittore stava comunicando qualcosa di importante per lui e quindi per tutti. Come un atto d'amore per quanti assistevano e per l'intera Sardegna dove era venuto (così ci aveva detto al primo incontro), in nome del padre cui Lussu, in anni lontani, aveva detto di visitare l'Isola. Le circostanze della vita non gli avevano consentito di farlo, e quindi aveva trasmesso il mandato al figlio.
A tutto questo dobbiamo, noi sardi, una lunga amicizia che ci ha scaldato il cuore.
Giuseppe Marci

L'UNIONE SARDA
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