Un volume di oltre 300 pagine, arricchito da quattro cd contenenti le voci di 42 militari italiani provenienti da diverse regioni, che di fatto, per l’Italia, rappresentano le più antiche registrazioni di “canti popolari”. Lunedì presentazione a Nuoro
Sergio Nuvoli
Cagliari, 1 febbraio 2019 - “Un lavoro emozionante”, lo ha definito Antioco Floris, ma anche “una via di mezzo tra un lavoro accuratamente scientifico e uno adatto anche ai non addetti ai lavori”, come ha chiosato Ignazio Macchiarella, che con Emilio Tamburini ha scritto a quattro mani – ma sarebbe meglio dire “costruito” – “Le voci ritrovate”, che non è appena un libro, ma un’impegnativa opera di recupero della memoria di un trascorso mai troppo lontano, in grado di ricordare con lucidità le ferite della Grande Guerra, attraverso la musica e il canto.
Se ne è parlato ieri, alla Fondazione di Sardegna, nel corso della presentazione cagliaritana (lunedì 4 si prosegue a Nuoro, alle 17.30 all'ISRE): al centro della conversazione il lavoro di studio e di analisi delle voci di militari italiani registrati nei campi di prigionia tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale, che ha permesso la realizzazione di un volume di oltre 300 pagine, arricchito da quattro cd contenenti le voci di 42 militari italiani provenienti da diverse regioni, che di fatto, per l’Italia, rappresentano le più antiche registrazioni sonore di “canti popolari”, racconti e altre espressioni di tradizione orale. Il corpus di registrazioni messe insieme da Macchiarella e Tamburini fa parte di una ben più ampia raccolta curata dalla Phonographische Kommission, un’équipe di ricerca finanziata dal Kaiser Wilhelm II.
Il lavoro di Macchiarella e Tamburini accende una luce particolarissima, quella dell'etnomusicologia, su un periodo storico drammatico: nel corpus realizzato ci sono anche le voci di tre soldati sardi
“L’idea di chi realizzò l’archivio attraverso il rigido protocollo tedesco – ha spiegato ieri sera Macchiarella ad una platea attenta in cui sedevano anche alcuni parenti dei soldati sardi le cui voci emergono nel lavoro fatto - era realizzare un archivio di musiche dal mondo: anche per questo il tono dei canti è certamente falso, non spontaneo. È una sorta di lampadina accesa su un mondo particolare: alcuni soldati probabilmente cantavano anche al loro paese, magari durante le feste, di altri non sappiamo. Sono documenti importanti per le suggestioni che possono dare. Vorremmo realizzare anche un film incontrando gli eredi dei soldati sardi”.
Il Kaiser – ha aggiunto Tamburini, che ha descritto il contesto storico - aveva probabilmente un interesse specifico per una ricerca di questo genere: dall’istruzione delle lingue alla preparazione dei funzionari che sarebbero poi stati incaricati di mantenere le relazioni con i territori occupati. Per la Germania disporre di un archivio sonoro sarebbe stato anche motivo di vanto, quasi un museo utile per proiettarsi nel futuro.
“Anche l’Italia ebbe un ruolo importante come Paese che deteneva i prigionieri di guerra - ha sottolineato Stefano Pisu, ricercatore di Storia contemporanea - Era un’esperienza certamente drammatica, come quella che emerge bene da questo lavoro”.
Un lavoro di ricerca, accurata e precisa, che darà luogo ad ulteriori approfondimenti, in particolare linguistici e storici. Raccontare la guerra attraverso le voci di chi l'ha vissuta contribuisce a ricomporre il puzzle della storia
“Nello studio dei materiali abbiamo incredibilmente trovato anche due canzoni a ballo – ha raccontato Macchiarella - Si tratta di brani registrati in condizioni terribili che però mostrano anche misteriosamente la forza della musica. Ogni soldato dopo essere stato scelto per cantare doveva prima scrivere le parole in sardo, poi tradurle, quindi cantarle dentro un imbuto mentre un compagno gli teneva la testa. Alcuni soldati britannici e africani si racconta che come gesto di protesta avessero cambiato le parole rispetto al testo scritto. Nel corpus che abbiamo pubblicato c’è la registrazione di tutti i canti dei soldati italiani: in essi c’è una sistematicità angosciante, in cui i soldati infondevano umanità in una situazione che di umano aveva davvero poco”.
Anna Piras, caporedattore TGR Rai Sardegna, ha evidenziato come sia “cambiato il modo di raccontare la guerra: si è capito che trasmettere la memoria e con essa l’importanza di certi valori è fondamentale. Passare attraverso chi la guerra l’ha fatta e concentrarsi sull’uomo è importante: ecco perchè l’impatto di questo libro è molto forte, perché sentire le voci aiuta a ricomporre un puzzle e restituisce una umanità - quella dei soldati, dei fanti, dei prigionieri italiani - che finora potevamo solo immaginare”.
Lucido e analitico il punto di vista dell’etnomusicologo davanti al materiale ritrovato: “Chi li ascolta per la prima volta spesso pensa che i canti siano stonati – ha concluso Macchiarella - In realtà hanno invece una scala musicale non temperata, perché i soldati cantavano con scale differenti da quella che conosciamo noi e a cui siamo abituati, diverse a seconda della regione di nascita. Questi canti di fatto sono la più antica registrazione di musica tradizionale, perché prima del 1935 nessuno ha mai pensato di registrare un contadino. Per noi è stata l’occasione straordinaria di presentare in modo ordinato e coerente materiale così importante”.