UniCa UniCa News Rassegna stampa Venerdì 14 febbraio 2020

Venerdì 14 febbraio 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
14 febbraio 2020

L'Unione Sarda

 

1 - L’UNIONE SARDA di venerdì 14 febbraio 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 5

IL COMMENTO. Crisi e dintorni

Il destino nel nome

Da Alisarda a Meridiana a Air Italy. C'è nella parabola dei nomi il destino di una crisi, che trova conferma nelle motivazioni che il management ha esposto nel momento della messa in liquidazione della compagnia, dovuta fra l'altro al “peggioramento dopo il rebranding di Meridiana in Air Italy”. Troppo semplice legare la drammatica crisi di Air Italy e dei suoi lavoratori al solo venir meno della “magia della nominazione”, ma colpevole non tenerne conto. La parabola che dal 1963, data di nascita di Alisarda, porta ai giorni nostri parla infatti dello smarrimento del senso di un'azienda. O se si preferisce, della perdita di quello strano miscuglio di radici e aspirazioni che ancora oggi, nonostante le logiche del mercato, sono necessarie (anche se non sempre sufficienti) alla buona riuscita di un'impresa. Non sono del resto i brand attori capaci di muovere vite, affetti, ricchezze. È circolata in queste ore un'immagine a molti sconosciuta di Ringo Starr: alla fine degli anni '60 scende dall'aereo Alisarda, il nome “Costa Smeralda” ben in evidenza, che aveva portato lui e altri Beatles in vacanza in Sardegna. L'immagine condensa bene la questione. Nel momento in cui il turismo di massa faceva della Sardegna una delle grandi utopie contemporanee, in cui il jet set (e non solo) eleggeva la Costa Smeralda a suo ritrovo necessario e le immateriali logiche del capitalismo facevano delle narrazioni e dei brand una delle poche materie prime capaci di produrre arricchimento, la Sardegna, il riferimento alla sardità, all'isola-utopia, spariva via via dal nome della compagnia. Si dice che le logiche capitalistiche contemporanee scollegano la proprietà dal territorio delle aziende, creando così una ferita nella responsabilità sociale dell'impresa. Ma non sempre funziona. Cosa sarebbe l'Ichnusa senza il suo aggancio alla Sardegna? Cosa sarebbero alcuni club di calcio italiani, oggi acquistati da imprenditori cinesi, una volta delocalizzati, staccati da uno spazio, una storia, una serie di investimenti affettivi collettivi? Sarebbero nulla, perderebbero il loro stesso valore, quello che li rende appetibili per chi investe e per chi vuole usufruire dei loro servizi, magari perfino sopravvalutando l'effetto che il “nome” ha sulla cosa in sé. Si dirà che per una compagnia aerea è diverso. Che non è una birra né una squadra di calcio, perché quando funziona vola al di là del luogo che porta nel nome. Ma se Air Malta può portarmi da Roma ad Atene è perché ha espanso, non staccato, il suo raggio d'azione da Malta. Difficilmente potrebbe avvenire l'inverso. Ma se ciò non bastasse si dovrebbe tornare al punto: ovvero la stretta correlazione fra quella che fu Alisarda e non solo la mobilità in uscita dei sardi ma la sua funzione in ingresso, il suo stretto collegamento con l'industria turistica sarda, oggi giustamente terrorizzata dalla situazione dei trasporti. Lo aveva intuito l'Aga Khan, oggi lo fa Ryanair, che trasforma luoghi impensati in turistici solo perché lì ci fa atterrare. Da poco Bepi Vigna raccontava in pubblico di essere stato accolto alle Baleari come famoso sceneggiatore proveniente “dalla Corsica”. Mi è venuto in mente quando i governi corso e sardo sbarcarono nel novembre 2016 a Maiorca su un aereo di Air Corsica. Devono aver pensato che i viaggiatori erano tutti corsi, che la Sardegna non esiste perché nessuna compagnia porta il suo nome, ne pubblicizza la presenza, ne instilla il desiderio e la nostalgia. Triste parabola di una compagnia, dei suoi lavoratori e di una terra intera. Che si potrebbe cambiare, invertendo la rotta, smettendola come ha fatto Air Italy di imitare la fallimentare Alitalia e andare verso Air Malta e Air Corsica. Come altri dovremmo credere un po' di più nella forza attrattiva della nostra diversità, nella ricchezza custodita dal “brand Sardegna”.

FRANCISCU SEDDA
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI




 

La Nuova Sardegna

 

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2 - LA NUOVA SARDEGNA di venerdì 14 febbraio 2020 / LETTERE E COMMENTI - Pagina 34
La crisi Coronavirus
IL NOSTRO PAESE DEVE ESSERE VICINO AL POPOLO CINESE

di PLINIO INNOCENZI, Prof. ord. di Scienza e tecnologia dei materiali dell'Università di Sassari ed ex addetto scientifico presso l'Ambasciata d'Italia a Pechino
A distanza di oltre due mesi dall'inizio dell'epidemia del coronavirus in Cina ci si interroga sugli effetti politici ed economici che potrebbe avere a livello mondiale. La Cina non è solo la seconda economia ma anche la "fabbrica del mondo" che produce beni e prodotti che sono parte essenziale della catena globale. Interrompere questa connessione può avere ripercussioni economiche difficili da prevedere. Per contenere la diffusione del virus le attività commerciali e produttive della Cina sono state di fatto congelate. La diffusione dell'epidemia è coincisa con il capodanno cinese quando scuole e fabbriche chiudono per molti giorni. La coincidenza temporale ha favorito le misure di contenimento, ma da questa settimana le attività dovranno necessariamente riprendere. I prossimi giorni saranno cruciali per comprendere quale sarà l'impatto sull'economia cinese e quindi sul resto del mondo. Se guardiamo all'Italia i rapporti commerciali tra i nostri due Paesi sono tradizionalmente sbilanciati a favore della Cina. Nel 2018 l'Italia ha esportato in Cina beni per circa 13 miliardi importandone per 31 miliardi. Nel 2019 il deficit commerciale, almeno dai dati parziali disponibili, è aumentato ulteriormente. Nonostante la retorica del grande mercato e della grande opportunità il nostro export verso la Cina è solo il 2,8% del totale. La Cina è allo stesso tempo uno dei principali competitori dell'Italia nei mercati mondiali, soprattutto nei prodotti di media tecnologia. Le minori esportazioni verso la Cina potrebbero essere compensate da un aumento delle quote di mercato guadagnate grazie alla minore concorrenza cinese. L'impatto della crisi sulle aziende italiane in Cina dipenderà invece dalla risposta del mercato interno. In Cina sono presenti oltre mille imprese affiliate a multinazionali italiane che impiegano circa 130000 addetti. È il terzo paese al mondo per numero di imprese italiane localizzate, dopo Romania e USA. Finita la fase della delocalizzazione per produrre a basso costo le nostre imprese in gran parte operano per il mercato locale. In questo contesto le nostre aziende che hanno fabbriche in Cina potrebbero incontrare difficoltà notevoli. Un effetto più importante potrebbe riguardare il turismo. Nel 2019 sono stati oltre 3,5 milioni i turisti cinesi in Italia e una loro riduzione potrebbe mettere in crisi alcuni operatori nazionali. La chiusura unilaterale dei collegamenti aerei ha inoltre creato una certa irritazione nel governo cinese. Era una misura che andava presa ma non senza essersi consultati prima con la controparte cinese. Al blocco dei viaggi aerei potrebbe aggiungersi quello delle navi cargo che trasportano le merci provenienti dalla Cina con conseguenze difficili da prevedere. Vi è infine un altro aspetto non meno importante da considerare ed è quello dell'impatto dell'epidemia sulla stabilità del sistema politico cinese e sulla fiducia della popolazione nella guida del Partito Comunista Cinese. L'arrivo al potere del Presidente Xi Jinping ha segnato una cesura importante nella tradizione politica di decisioni collegiali inaugurata da Deng Xiaoping. Xi Jinping ha in breve tempo accentrato i poteri nella sua persona, divenendo l'uomo più potente della Cina dai tempi di Mao. La crisi della Cina potrebbe essere la crisi del suo Presidente e della sua credibilità. Questo scenario potrebbe aprire all'interno del PCC una fase di instabilità con ripercussioni difficili da valutare. Per questo è necessario seguire con grande attenzione l'evolversi della crisi del coronavirus in Cina. Non solo per le ripercussioni dirette sulla nostra economia, ma perché potrebbe portare a cambiamenti geopolitici di ampia portata. Non dobbiamo inoltre dimenticare che la Cina vede in noi un Paese con il quale ha una straordinaria comunanza storica e che il popolo cinese ha nei nostri confronti stima e ammirazione. È importante mostrare in questi momenti la nostra solidarietà e amicizia.
 

 


3 - LA NUOVA SARDEGNA di venerdì 14 febbraio 2020 / LETTERE E COMMENTI - Pagina 36

Domani a Cagliari un convegno sul suo pensiero
REMO BODEI: FILOSOFO DEL MONDO COL CUORE NELL'ISOLA
Tra i relatori la figlia Chiara e Massimo Cacciari

di Giacomo Mameli
Remo Bodei si è congedato con Seneca. Nel suo ultimo libro "Dominio e sottomissione", sottotitolo "Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale" (Il Mulino, pagine 407, euro 28), nell'ultimo paragrafo aveva riassunto le passioni di un filosofo errante di gente in gente, scrutando fra le angosce, i dubbi, le incertezze dell'uomo canna al vento del Ventesimo Secolo. Aveva scritto: «Quanto potranno resistere quei valori di libertà, eguaglianza, dignità, emancipazione, umanesimo, pluralismo, misericordia, rispetto relativo per una realtà non degradata a semplice opinione, che hanno finora caratterizzato la nostra civiltà?». E ancora, dopo altri dilemmi: «O si ritornerà al sacro egoismo di Antonio Salandra degli anni della Grande guerra o agli anni Trenta del Novecento, caratterizzati da nazionalismo e protezionismo?». Ma ci aveva ricordato che la storia è "astuta" e che - secondo le sagge parole di Seneca - tendiamo spesso a dimenticare: «Quante cose sono avvenute inaspettate e, viceversa, quante, che erano aspettate, sono avvenute!». Quasi un manifesto del pensiero plurale dello studioso cagliaritano scomparso il 7 novembre scorso a Pisa dove abitava in una bella casa sul Lungarno. Prevedendo di dover "srotolare la gomena", aveva usato alcuni titoli-dogma: "Il buon uso del tempo", "La lezione dei classici", "Ricomporre sé stessi" e, infine, "Non ci sono vie di fuga". L'àncora - dalla California alla Sardegna - era la cultura, il dialogo, l'apertura agli altri. Ripeteva quasi in ogni incontro, le tre parole di Antonio Gramsci: «Istruitevi, istruitevi, istruitevi». Col pensatore di Ales ha ripetuto, anche nel suo ultimo testo: «Non è possibile staccare il vivere dal filosofare». Della versatilità di questo studioso che ha insegnato nei cinque Continenti, col piede sempre pronto a ricalpestare la città dov'era nato nel 1938 (quartiere di Sant'Avendrace), si parlerà domani per iniziativa della Fondazione di Sardegna. Nell'auditorium di via San Salvatore da Horta 2, dopo l'introduzione del presidente Antonello Cabras, la vita e le opere di Bodei verranno affidate a Massimo Cacciari (dopo Venezia, Padova e altri atenei ora insegna al San Raffaele di Milano), Michela Marzano (allieva di Bodei a Pisa e docente a Parigi René Descartes dopo aver diretto il Dipartimento di Scienze sociali alla Sorbona) e dalla figlia Chiara (insegna Informatica alla Normale di Pisa). Con altri familiari, parteciperà anche la vedova di Bobei, Gabriella Giglioni. Alla Fondazione, Bodei aveva presentato quasi tutti i suoi lavori tradotti in mezzo mondo.La radiografia dell'oggi. Nell'edizione "Universale economica" di Feltrinelli del 2015, ripercorrendo le tesi sostenute nel libro "La filosofia del Novecento (e oltre)" molto si era soffermato su un concetto, il tormento per la "radiografia dell'oggi". Scriveva e diceva: «Il tramonto delle grandi attese collettive porta tendenzialmente a una privatizzazione del futuro stesso e alla fabbricazione di utopie su misura, fatte in casa. Gli ideali di abolizione delle disuguaglianze che colpiscono l'intera umanità o di espansione della liberà al maggior numero di individui, finisce - soprattutto in Occidente - per difendere le frustrazioni». Nella lettura critica della società contemporanea non cedeva al pessimismo: «Ci troviamo dinnanzi a una lacuna del presente, a una sorta di vuoto che non è soltanto privativo ma anche ricco di chance inespresse. Il presente è sguarnito. Il peso del passato, che fungeva da zavorra stabilizzatrice nelle società tradizionali, è diventato leggero mentre lo slancio verso il futuro è diventato debole». E concludeva: «Il presente non somiglia più al passato, la prevedibilità del futuro diminuisce». E se gli dicevi che neanche la filosofia dà risposte certe, affermava: «La filosofia, al pari dell'arte, non è affatto morta. Rivive a ogni stagione perché corrisponde a bisogni di senso che vengono continuamente, e spesso inconsapevolmente, riformulati. La filosofia esplora la deriva, la conformazione e le faglie di quei continenti simbolici su cui poggia il nostro comune pensare sentire». Dalla teoria alla pratica. Nel 2016, intervistato su "Scomposizioni", la Nuova Sardegna gli aveva chiesto: la politica ha bisogno dei tecnici, ma anche i tecnici non tirano più, la burocrazia è sotto attacco da Roma a Bruxelles. Bodei: «Quando uno va al governo - Palazzo Chigi, il LungoSenna o la Casa Bianca poco importa - diventa automaticamente classe dirigente. Tutte le leadership oggi sono considerate corrotte o incapaci. Se poi arriva un professore emerito, la gente vede quanti nuovi sacrifici deve affrontare e reagisce come sappiamo. La linea vincente non è il rigore, non sono i conti in ordine. Lo specchietto per le allodole è quello di Trump percepito come uomo nuovo mentre altro non è che l'establishment, è sempre stato alleato con i grandi, è infedele nelle dichiarazioni fiscali. Alla gente piace così. Spiace dirlo ma osservo che la gente ama gli incantatori di serpenti. Penso alla narrazione renziana dell'Italia che è andata al voto: con una disoccupazione giovanile record si mostra con Sergio Marchionne, va alla Maserati e alla Ferrari. E il deserto industriale di Ottana e di Portotorres non esistono? E il cimitero di Taranto con l'Ilva che tiene a casa 10mila lavoratori?».L'isola da rivedere. Pensiero globale con la Sardegna sempre presente. In aprile, nell'email a un amico, aveva scritto: «Sono stanchissimo e con brevi momenti di lucidità. Però, appena mi rimetto in forma, voglio vedere e rivedere alcuni luoghi della Sardegna. Prepara il tragitto come meglio credi. La benzina la pago io. Vorrei rivedere: le case di Ales e Ghilarza di Gramsci, il pozzo di Santa Cristina di Paulilatino e di Su Tempiesu a Orune, la chiesa preromanica di San Sebastiano a Foghesu ma soprattutto le nicchie con i lacerti pittorici dell'albero della vita. E poi pezz'e craba. Vorrei tornare a Cabras e rivedere i luoghi di "Baroni in laguna". Di Peppino Fiori rileggo spesso "La società del malessere". E poi mi piacerebbe tornare a San Sperate alle pietre parlanti di Sciola e a Ulassai a vedere il paese di Maria Lai, a Orani a vedere il museo Nivola. Vorrei chiudere la gita con la Reggia di Barumini e la mia vecchia città, quella di Tuvixeddu. Lì sotto sono nato. Quando sarà un parco per tutti i visitatori del mondo?»

Questionario e social

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