Sabato 6 giugno 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
06 giugno 2020

L'Unione Sarda

 

1 - L’UNIONE SARDA di sabato 6 giugno 2020 / PRIMA
L’analisi
GIUSTIZIALISMO ALL'ITALIANA

di Leonardo Filippi
Sono passate sotto un preoccupante silenzio le considerazioni sulla giustizia espresse negli ultimi tempi da Piercamillo Davigo, presidente di sezione della Corte di cassazione e consigliere del Csm. Eppure sono macigni lanciati contro le regole cardinali di ogni processo e contro il buon senso. Ma non c'è da meravigliarsi per le sue uscite. (...) SEGUE A PAGINA 19

ITALIA - Pagina 19   SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Giustizialismo all'italiana
di Leonardo Filippi
Università di Cagliari

(...) Davigo si era fatto già notare per altre infelici frasi, come quella per cui gli imputati assolti non sono innocenti, ma «colpevoli sfuggiti alla giustizia», per cui gli unici errori giudiziari sarebbero le assoluzioni, confermando così che, per lui, la verità la accertano i pubblici ministeri nelle indagini, non i giudici in un regolare processo.

L'altro giorno invece Davigo se l'è presa con i politici, dicendo che «non si dimette mai nessuno per la notizia di essere indagato. L'errore italiano è sempre stato quello di dire: aspettiamo le sentenze. I politici restano sempre al loro posto fino a che arrivano i carabinieri». Basterebbe questa affermazione per comprendere qual è il modo di ragionare di Davigo. Dunque, non si deve aspettare la sentenza? Ci si deve obbligatoriamente dimettere appena un P.M. inizia le indagini per accertare se un reato è stato commesso? Non possiamo lasciare la decisione di dimettersi alla sensibilità e al senso di responsabilità di ciascun inquisito? È tutta qui la concezione che Davigo ha del processo: le indagini contano più della sentenza. Per lui la verità sta nell'ipotesi accusatoria, anche se ancora da dimostrare con le prove da assumere in contraddittorio nel processo. La presunzione di innocenza non esiste: la condanna, mediatica e politica, deve scattare sulla base degli indizi emersi dalle indagini. Eppure le statistiche ci dicono che buona parte delle indagini si chiudono con l'archiviazione e quelle che approdano al dibattimento si concludono per circa il 20-22% con l'assoluzione, che talvolta arriva anche in appello. E i casi clamorosi non mancano: basta pensare, tra i più noti, alle dimissioni di Mastella da ministro del governo Prodi, perché indagato e poi assolto dopo nove anni o al ministro Lupi, dimessosi dal Governo Renzi e poi archiviato.

È perciò scandaloso che un magistrato, che per una vita ha fatto il P.M. e oggi presiede una sezione della corte di cassazione ma continuando a ragionare da P.M., esalti la sua concezione del processo che è l'anticamera della giustizia a furor di popolo: secoli di civiltà giuridica dimenticati, il ritorno al processo del sospetto, il rovescio dello Stato di diritto. Dovrebbero essere i giudici i primi a sentirsi mortificati da una simile ideologia del processo, che fa apparire inutili e tardive le loro sentenze.

Non si tratta perciò di essere garantisti o giustizialisti, perché le garanzie stanno scritte nella Costituzione, quanto di voler rispettare o meno la Costituzione. E poi, come insegna Robespierre, il giustizialismo non ha mai portato bene ai suoi fautori, destinati anche loro ad essere vittime del loro stesso furore.

LEONARDO FILIPPI
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

 

 

 

 

2 - L’UNIONE SARDA di sabato 6 giugno 2020 / AGENDA - Pagina 26

BORSA DI RICERCA
Scade il 15 giugno il termine per ottenere una borsa di studio dell’Università per “Non solo fake news. La disinformazione come sfida per la sicurezza per gli stati nazionali: l’esperienza multilaterale del Rappresentante Osce per la libertà dei mezzi di informazione”.

 

 

 

 

 

3 - L’UNIONE SARDA di sabato 6 giugno 2020 / CULTURA - Pagina 46

Il ricordo. Il simposio a Cagliari e il pranzo con Umberto Eco a Carloforte

FABBRI, QUELL'ULTIMA LEZIONE IN SARDEGNA

Il filosofo Paolo Fabbri, semiologo di fama internazionale, con l'amico Umberto Eco tra i pionieri della semiotica con studi che hanno svelato i meccanismi del linguaggio e dell'arte, dopo una lunga malattia, è morto martedì scorso a Rimini all'età di 81 anni. Per 35 anni (1977-2002) ha insegnato al Dams dell'Università di Bologna ed ha concluso la carriera accademica alla Facoltà di Design e Arti dell'Università Iuav di Venezia. Affidiamo al professore (e collega) Franciscu Sedda un ricordo legato alla sua ultima venuta in Sardegna.

All'Università

L'ultima volta che Paolo Fabbri è stato ospite dell'Università di Cagliari, il 14-15 dicembre 2017, in due mezze giornate avevamo programmato tre incontri: sulle parolacce in politica, sul rapporto fra isole e significazione, sul linguaggio dei tatuaggi. A chi non l'ha conosciuto verrà da pensare che l'avessimo spremuto. Invece era il contrario: era lui a dettare questo ritmo incalzante. Parlare di semiotica lo rinvigoriva. Analizzare grandi e piccoli fenomeni della cultura, discuterne con gli altri, lo caricava come una dinamo. La sera del 14 avremmo voluto «metterlo a letto», dato che l'indomani s'iniziava prestissimo. Alle 2 di notte, invece, io e il collega Paolo Sorrentino eravamo ancora davanti al suo albergo, con lui che ci esortava a scrivere un progetto sull'estremismo delle passioni contemporanee che sondasse i campi della politica, del cibo, dello sport. Inarrestabile.

Abbas agraphicus

Chiunque avesse seguito uno di quegli incontri avrebbe capito perché Umberto Eco ne “Il nome della rosa”, trasfigurandolo nell'erudito Paolo da Rimini, lo avesse definito abbas agraphicus : non perché Fabbri non scrivesse (tutt'altro!) ma perché anche quando scriveva il suo pensiero rimaneva inestricabilmente orale. Il suo ragionare era sempre in presenza: dei fenomeni da analizzare, delle significati da portare ad evidenza, degli interlocutori da convincere e di quelli con cui polemizzare. Il suo ragionare era sempre un appassionato corpo a corpo. Paolo stesso era un corpo-voce, un corpo-guizzo-degli-occhi, un corpo-sorriso attraverso cui modificava l'essere e il fare di chi gli stava davanti, provocando, incitando, coinvolgendo, sfidando. Paolo era l'efficacia pensata e praticata: azione del corpo sul corpo per mezzo d'infinite protesi e forme semiotiche. La sua lezione sul tatuaggio alle 8.00 del mattino, con un quasi ottantenne che tiene incollati a sé 100 ventenni, è lì a testimoniare la sua capacità d'imprimersi sui corpi.

Pranzo tabarchino

La morte strappa via il corpo nella sua fisicità mentre attiva la memoria nella sua corporeità. Genera ricordi che sono connessioni e significazioni spesso sepolte.

Fra le immagini di risate che scorrono veloci - anni fa a Carloforte pranzando con Eco o di recente a Buenos Aires e Siena - un pianto s'impone. A Urbino si discute della Morte e della Vita come «modi d'esistenza». Un seminario da lui voluto e aperto. Io non ho un intervento pronto. Parto esplorando le relazioni semantiche fra vita e morte, vitalità e mortalità. Per rimpolpare provo a passare, come lui ci ha insegnato, dagli stati ai processi: vivere e morire, vivificare e mortificare. In mezzo esemplifico. Ad un certo punto racconto che il giorno del funerale di mia nonna Vittoria piovve improvvisamente, una pioggia leggera in una bella giornata primaverile. Le donne più anziane, senza alcuno stupore e ben poca retorica, constatarono: «Era una persona buona. Anche il cielo piange quando muore una persona così». Nella penombra vedo Paolo che porta di scatto una mano al volto e copre gli occhi umidi. Ho difficoltà a proseguire. Per non perdermi nel tumulto di emozioni interiori proseguo: «Cos'era più reale per quelle donne? Il fatto che la pioggia bagna o che quella pioggia era segno di un valore ?». L'intervento finisce e Paolo interviene per dire che sì, bisogna lavorare sulla categoria di vivificazione, sulle strategie attraverso cui i segni trasmettono, accrescono, rendono la vita potente e presente.

Mentre ci ripenso mi rendo conto di quanto Paolo Fabbri è stato e sarà ancora una presenza viva e vivificante. Come un corpo che sente, un pensiero che incalza, una lieve pioggia estiva.Franciscu Sedda





 

La Nuova Sardegna

 

 

 

4 - LA NUOVA SARDEGNA di sabato 6 giugno 2020 / SASSARI - Pagina 16
Gli atenei di Sassari e Cagliari lanciano la competizione nazionale per incentivare le idee innovative

AL VIA LA XIII EDIZIONE DELLA START CUP SARDEGNA
SASSARI Le università di Sassari e Cagliari danno avvio alla XIII edizione della Start Cup Sardegna. Il bando è pubblicato sul sito www.startcupsardegna.it. I termini per partecipare sono aperti fino al 19 luglio. La Start Cup è la competizione nazionale di idee di impresa innovative presente in Sardegna dal 2008. Nasce dalla collaborazione fra gli uffici di Trasferimento Tecnologico degli atenei di Sassari e Cagliari che si concentra nei settori Life Science, ICT, Agrifood - Cleantech, Industrial. Nella convinzione che l'innovazione sia lo strumento principale di risposta alla crisi, l'edizione di Start Cup Sardegna 2020 vuole comunicare speranza nel futuro coinvolgendo i migliori gruppi di persone che siano in grado di sviluppare tecnologie emergenti, proporre soluzioni innovative per la salute e la vita dei cittadini e per il sistema produttivo locale e nazionale. Possono partecipare alla Start Cup Sardegna sia idee di business collegate al mondo della ricerca che provenienti da soggetti esterni alle università, presentati da gruppi composti da almeno due persone. Possono partecipare anche le imprese in forma di società, purché non costituite prima del 1° gennaio 2020.La XIII edizione della Start Cup Sardegna si svolgerà da giugno a ottobre 2020 e si articola in più fasi. Le migliori dieci idee d'impresa potranno affinarsi durante un percorso di formazione intensivo finalizzato allo sviluppo dei business plan. I 10 gruppi finalisti parteciperanno alla finale regionale della Start Cup Sardegna, e i tre vincitori prenderanno al Premio Nazionale dell'Innovazione in programma a Bologna tra fine novembre e dicembre.

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