Sabato 11 aprile 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
11 aprile 2020

L'Unione Sarda



 

1 - L’UNIONE SARDA di sabato 11 aprile 2020 / PRIMO PIANO
L’EMERGENZA. Asintomatici e in quarantena un medico e 4 infermieri

POLICLINICO, ALTRI CINQUE POSITIVI ORA SI ATTENDONO I TAMPONI
L’Aou: “Ospedale operativo, tutto sotto controllo”

Un medico e quattro infermieri. Altri cinque referti positivi al Covid-19, ieri, tra il personale sanitario dell'Aou di Cagliari. Dopo il caso del primario di Chirurgia e delle diagnosi riguardanti un fisioterapista di Neurologia, sei tra infermieri e ausiliari, e quattro degenti del reparto di Medicina (uno dei quali è morto al Santissima Trinità), al policlinico di Monserrato si fa la corsa per sottoporre tutto il personale ai test. Il laboratorio analisi è ingolfato dall'infornata di centinaia di tamponi, mentre la linea generalmente più accelerata degli esami sierologici si schianta davanti al solito, universale problema della penuria di reagenti. I kit veloci, tanto veloci non sono. Mancano i reagenti e prima di martedì (pare) non arriveranno.

LA FACCIA DEL VIRUS
E' uno dei paradossi della gestione dell'emergenza sanitaria in Sardegna e nel resto d'Italia. In tutto il Paese gli ospedali - Covid e non-Covid - hanno fatto i conti con la penuria (per non dire l'assenza) di dispositivi di protezione per il personale (a cominciare dalle mascherine, soprattutto quelle Ffp2 e Ffp3) e di reagenti per i tamponi, il che significa gravi ritardi nei test. Sars Cov2 è un virus nosocomiale, questo l'abbiamo capito tutti. Ha mostrato la sua faccia cattiva soprattutto negli ospedali e negli ospizi, e in Sardegna qualche assaggio l'abbiamo avuto al San Francesco di Nuoro, Santissima Trinità di Cagliari e al Giovanni Paolo II di Olbia, con i numeri più spaventosi al Santissima Annunziata di Sassari e in diverse case di riposo. Test a tappeto, e frequentemente, su tutto il personale sanitario sono dunque fondamentali per il contenimento dell'epidemia e per evitare il disastro più grande, ovvero la diffusione del virus in corsia.

LE DIAGNOSI IN CORSIA
Al policlinico di Monserrato i positivi finora sono 17. «I tamponi e i test sierologici verranno rifatti a tutto il personale martedì e venerdì prossimi», avvisano dall'azienda ospedaliera universitaria. Mercoledì il referto di un paziente di Medicina, trasferito subito al Santissima Trinità (ospedale Covid del Sud Sardegna). Positivo anche un fisioterapista e il primario di chirurgia. Un primo tampone, spiegano dall'azienda ospedaliera universitaria, aveva dato esito negativo. Riguardo il medico, siccome c'erano sintomi come febbre e affaticamento respiratorio si è deciso di fare una tac che ha riscontrato una polmonite bilaterale. Il primario a quel punto è diventato un paziente: messo in isolamento è stato sottoposto a un secondo tampone che ha certificato la diagnosi di Covid-19. Uno screening su personale e degenti - 450 tamponi - ha confermato giovedì altri sei contagiati tra infermieri e oss, e tre fra i pazienti. Ieri altre cinque diagnosi. «Proseguiamo con i test: verranno ripetuti anche i tamponi di chi è risultato negativo», dicono dall'Aou. La situazione, viene sottolineato, «è tranquilla: l'ospedale è pienamente operativo e la sanificazione viene fatta a rotazione».

SICUREZZA DEI LAVORATORI
«Magari le bonifiche dovrebbero essere fatte anche negli spogliatoi degli infermieri», dicono i rappresentanti della sicurezza dei lavoratori. Che hanno sottolineato, «la disorganizzazione nell'avvio dello screening di tutto il personale senza chiari indicatori di priorità e modalità». 
P. S.


 


 

 

2 - L’UNIONE SARDA di sabato 11 aprile 2020 / Speciale LIBRI - Pagina II
IL NUOVO UMANESIMO COME BUSSOLA DEL VIVERE
In un saggio (Arkadia) scritto a quattro mani, Pasquale Mistretta, urbanista, e Luisa Gulli, ingegnere, cercano le tracce dell’eredità del Rinascimento

Ci fu un tempo, in Italia e in Europa tra Quattrocento e Cinquecento, in cui la riscoperta dell'antico sapere greco e latino assunse un ruolo primario nella formazione dell'uomo e nell'esaltazione della sua dignitas. Non più ombra fragile e transeunte bensì ritrovato protagonista della storia e fulcro dell'universo, l'essere umano in quel periodo si riconosce arbitro delle proprie sorti, padrone dei suoi stessi talenti, assetato di conoscenza e nuovi orizzonti.

Si parla di Umanesimo, appunto, e dunque di Leon Battista Alberti e Pico della Mirandola, di Machiavelli e Guicciardini, di Campanella e Giordano Bruno, di papa Giulio II e Lorenzo il Magnifico.

DAL XV SECOLO A OGGI
«Esiste un filo rosso che collega il Rinascimento ai nostri giorni, popolati da metropoli complesse e confuse in cui coesistono enormi insediamenti spesso privi dell'essenziale per vivere?», si domandano Pasquale Mistretta e Luisa Gulli, autori del saggio “Cercando l'Umanesimo tra gli intellettuali e i popoli del mondo” (Arkadia, 308 pagine, euro 20), una lucida e raffinata ricognizione per quadri tematici «delle tracce di Umanesimo più significative attraverso la storia e quelle propriamente riconducibili al ruolo dei grandi personaggi, secondo una scansione temporale».

Mistretta, classe 1932, urbanista, Rettore dell'Università di Cagliari dal 1991 al 2009, e Gulli, trentasette anni, ingegnere edile e architetto, puntualizzano: «L'itinerario proposto nel volume si sviluppa su due binari, quello dell'Umanesimo classico appartenente all'intellettualità, e l'Umanesimo dei popoli caratterizzato dalla concretezza del vivere che ogni persona contribuisce a rendere universale».

LA LEZIONE DI BERNINI
Parlando di città, Mistretta e Gulli ravvisano l'eredità di Leonardo, Bernini, dei costruttori delle cattedrali medievali nei lavori di Frank Lloyd Wright, Renzo Piano e Pedro Ramìrez Vàzquez, senza mancare di cogliere i segni di un «Nuovo Umanesimo nelle trasformazioni tecnologiche delle città smart che consentono di comunicare a distanza in rete».

Attenzione però al rischio rappresentato da centri abitativi «alienati per mancanza delle sollecitazioni emotive che solo il contatto umano e la diversità dei contesti ambientali e culturali possono provocare».

A proposito di cultura, gli autori citano, tra gli altri, Pasolini, Gramsci, Orwell, Sartre («intellettuali del Novecento impegnati a trattare temi di portata politica e sociale»), denunciando nel contempo il dilagare di quella cultura «di massa» che «utilizza gli strumenti di diffusione delle notizie di spettacolo senza possibilità di interagire col senso critico, quando le finalità - a volte occulte - non hanno attinenza col concetto di Umanesimo».

CULTO DELLA BELLEZZA
Poi la musica - «anche quella leggera e il pop sono veicoli di messaggi riconducibili al Nuovo Umanesimo: amicizia, amore, pace, rispetto della natura» -, il cinema («occhio a quei titoli che, per fare incassi, inducono gli spettatori più giovani a “fare il tifo” per mafiosi, killer, psicopatici e simili»), il culto della bellezza, chiamata in causa da papa Francesco: «Le tre categorie fondamentali dell'essere che i filosofi chiamano trascendentali sono la verità, la bellezza e la bontà. Nel cittadino deve svilupparsi la dinamica improntata a questo trinomio».

In conclusione, i due studiosi osservano: «Con la letteratura, l'arte, la filosofia si creano i presupposti che danno contenuti di qualità alla struttura dell'humanitas e si attivano i processi di un diverso Umanesimo forgiato per garantire le condizioni in cui l'uomo, nella pienezza della sua esistenza, divenga partecipe dei beni comuni, equilibrando la difesa di fattori identitari con gli influssi della globalizzazione».

Fabio Marcello








 

3 - L’UNIONE SARDA di sabato 11 aprile 2020 / SPORT - Pagina 40
BASKET A2 FEMMINILE. Lo stop ha negato alle cagliaritane i probabili playoff

I RIMPIANTI DEL CUS CAGLIARI
Striulli: “Questo gruppo era davvero competitivo”

Sesto (per la Fip) o settimo (stando alla classifica della Lega Basket Femminile), quello edizione 2019/2020 era in ogni caso un Cus Cagliari da playoff. Anche la capitana Erika Striulli, tra le top player della Serie A2, non ha alcun dubbio: «Ne sono certa, saremmo state la squadra che nessuno avrebbe voluto incontrare», dice l'esperta playmaker veneta, «ed è un vero peccato, perché il gruppo si era dimostrato altamente competitivo e c'erano ancora molte soddisfazioni da raccogliere. Ma in questo momento siamo chiamati ad affrontare una sfida più grande, ed è giusto così».

LA CAPITANA
L'ex giocatrice della Gesam Gas&Luce Lucca, quest'anno quinta miglior marcatrice dell'intero campionato al momento dell'interruzione (15,11 punti a partita), non nasconde il suo forte desiderio di restare a Sa Duchessa e di poterci riprovare: «il Cus è casa mia, qui sto costruendo la mia vita, sportiva e non, anche se per adesso è veramente difficile riuscire a pensare cosa succederà domani, visto il momento economico al quale andiamo incontro. Prima la società dovrà avere chiare le idee sul prossimo anno, dopodiché mi siederò con Mauro Mannoni e Federico Xaxa per l'accordo. Ma sulla volontà di continuare a costruire insieme e di riprovare a raggiungere i playoff, non c'è alcun dubbio. La miglior versione di me stessa esce al Cus».

IL DIRIGENTE
Amarezza, ma anche soddisfazione, per il dirigente responsabile del settore basket del Cus, Mauro Mannoni, orgoglioso dei risultati ottenuti dalla squadra: «La decisione presa dalla Fip di chiudere la stagione era ovvia e aspettata, anche se inconsciamente speravamo che non arrivasse perché come stava andando il campionato pensavamo che ci saremo potuti togliere delle belle soddisfazioni. Il gruppo si è dimostrato serio, ha sposato il progetto sin dal primo momento ed è sceso in campo in ogni partita con la giusta determinazione. Non è un caso che ci siamo giocati tutte le partite, vincendo in trasferta su campi difficili recuperando anche degli svantaggi». È un segnale molto importante: «Per noi sì, ci fa ben sperare, perché questo è il primo anno in cui abbiamo iniziato a raccogliere i primi veri frutti del nostro progetto che è iniziato 3 anni e mezzo fa», prosegue. «Per questo sono veramente orgoglioso delle ragazze e dello staff tecnico che mi ha supportato in maniera egregia e desidero ringraziare anche gli sponsor e tutte quelle persone che non sono in prima linea, ma si fanno sempre trovare pronte. Adesso mettiamo la delusione da parte e con ottimismo iniziamo a programmare il futuro immediato», conclude Mannoni.

Alberto Garau




 

La Nuova Sardegna




 

 

4 - LA NUOVA SARDEGNA di sabato 11 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 2
L'INTERVISTA » NANNI CAMPUS

«Case di riposo e ospedali un sistema da cambiare»
di Gianni Bazzoni
SASSARI «Quanti morti a Sassari? A marzo ci sono stati 216 decessi: sono stati 22 in più rispetto al 2018 quando c'era stata una epidemia di influenza. I numeri confermano che quello del Covid 19 è un virus che determina conseguenze più pesanti rispetto alle normali epidemie anche se non se ne discosta molto, salvo la maggiore contagiosità. E quindi c'è un aumento dei morti. Se questi decessi siano tutti riconducibili al virus SarsCoV2 questo non lo posso dire. Sono dati che forse conosceremo tra 6 mesi, quando gli epidemiologi faranno le valutazioni. Però l'aumento delle vittime c'è stato, confermato anche nelle case di riposo».
Nanni Campus, sindaco di Sassari è in carica da fine giugno dello scorso anno, più o meno dieci mesi, gli ultimi tre trascorsi a fronteggiare una emergenza drammatica - come altri primi cittadini - e della quale riesce anche a valutare effetti e conseguenze, non fosse altro per il fatto di essere un medico, ma anche massima autorità sanitaria del capoluogo di provincia. «Sfatiamo questa convinzione comune. I sindaci in realtà non contano niente, dopo la riforma sanitaria. É in atto in questo momento un commissariamento di tutte le aziende, sono attive le Unità di crisi regionale e locale e la gestione è in mano a organismi dove non c'è un sindaco dentro. Questo forse è anche giusto, perché io sono un medico, ma chi mi ha preceduto era un agronomo, prima ancora c'era un altro medico, e negli anni passati un insegnante. Non può essere autorità sanitaria chiunque. È un retaggio da modificare, ormai il sindaco è autorità sanitaria solo per firmare i Tso. Però quando lo si vuole attaccare si dice che comanda lui, come se io potessi obbligare i medici di base ad andare a Casa Serena. Invece non posso fare niente, non ho possibilità di spostare sanitari da una parte all'altra o disporre qualsiasi altra cosa. Perché dipende da altri non da me».
Ha parlato di Casa Serena, è uno dei focolai attivi a Sassari, si contano diversi ospiti e morti oltre a decine di contagiati. Un modello dell'accoglienza fallito quello degli istituti per gli anziani?
«Non è più sostenibile, questo è sicuro. Venti anni fa Casa Serena era una casa di riposo dove praticamente se non eri autosufficiente non potevi entrare perché non c'è un sistema di assistenza. Non ho capito perché nel tempo si è trasformata in una casa che è diventata anche luogo di cura. Per essere tale dovrebbe avere strutture e qualifiche professionali essenziali, in primis un direttore sanitario e figure mediche che una amministrazione comunale non può rendere disponibili. Quindi secondo me il modello attuale delle case di riposo deve essere assolutamente rivisto. E vanno rivalutati anche i numeri: non è possibile avere una così alta concentrazione di soggetti deboli in una sola struttura. Diventano facilmente aggredibili da qualsiasi evento, a maggiore ragione se epidemiologicamente rilevante».
C'è un caso Sassari, a livello regionale e nazionale. Troppi contagiati in ospedale e nelle case di riposo. Perché è successo? Che idea si è fatto?
«È chiaro che abbiamo un punto debole, perché l'ospedale è centralizzato. Non abbiamo potuto da subito indirizzare i pazienti verso una struttura separata. Se noi avessimo avuto la possibilità di decidere che il Santissima Annunziata (dove c'è il Pronto soccorso) doveva diventare una struttura Covid, serviva un piano B per spostare da lì tutti i reparti, come la Cardiologia dove poi si sono verificati i maggiori problemi. Andavano separate le due strutture. Cosa che Cagliari ha potuto fare benissimo separando gli ospedali: il Santissima Trinità da Monserrato e dal Brotzu, che sono stati solo sfiorati dal problema. La stessa cosa di Sassari è successa a Olbia - anche lì unica struttura ospedaliera - e ad Alghero, cioè dove non c'era ancora modo di differenziare i percorsi, si sono create delle falle. E siccome il Santissima Annunziata e le Cliniche sono il primo ospedale come posti letto in tutta la Sardegna, possiamo capire che una infezione contagiosa con così alta morbilità come il Covid 19 non poteva che avere effetti devastanti che ancora si ripercuotono, perché tutti i focolai accesi sono legati ai primi episodi. In città fortunatamente con le misure di distanziamento sociale sono e siamo riusciti a fermare diffusione e contagio».
Ma davvero non ha sbagliato nessuno? Finirà come sempre che nessuno paga per gli errori fatti e per i morti? «Capisco la drammaticità della situazione, ma come si fa a dare la colpa a qualche singolo, era il sistema che non funzionava. Se tu dal Pronto soccorso vai direttamente in Unità coronarica e i tamponi non si fanno subito ma magari il giorno dopo e i risultati arrivano successivamente, a chi devo dare la colpa? Noi in quella fase eravamo obbligati a fare tamponi solo ai sintomatici. Ma se ce l'hai già, beh allora... Quindi, secondo me, errore di sistema non di singoli. Molte cose le abbiamo imparate a livello locale e anche di comunità scientifica immagino». È per questo che le non ha gradito la nomina del commissario straordinario dell'Aou da parte della Regione, che pure lasciava trasparire la necessità di intervenire con decisione nell'emergenza in atto? «Io non ho criticato la nomina di Giovanni Maria Soro. Ho contestato anche lì il sistema. Mi spiego: in una fase emergenziale, mentre siamo all'apice della nostra criticità, tanto da avere paura che i posti letto della terapia intensiva non siano più sufficienti perché i numeri stanno progressivamente crescendo, perché commissariare in quei giorni l'Aou che era sotto il fuoco nemico? E poi perché assegnare un potere straordinario che chi aveva gestito fino a quel giorno non aveva perché era dimezzato come capacità e svolgeva solo l'ordinaria amministrazione? Ho solo ritenuto inopportuna in quella fase la nomina di una persona che non conosceva l'azienda. Tutto qua, nessun giudizio personale sul dottor Soro, sul quale tra l'altro ricevo segnali di assoluta preparazione e capacità».
Nelle emergenze così forti servirebbe unità e massima collaborazione. Le opposizioni l'hanno cercata, Mariano Brianda le ha scritto: perché non ha risposto?
«Mi sono già scusato con tutti quelli, e sono tanti, che mi hanno inviato segnalazioni e consigli, che si sono messi a disposizione. Purtroppo non ho risposto a nessuno. Ho indicato Mariano Brianda come esempio di persone con le quali mi devo scusare. Devo dire che ho letto tutti i contributi che sono arrivati anche se, inevitabilmente, ho dovuto fare le opportune valutazioni. Perché non sempre chi scrive, anche in buona fede, è davvero esperto di un settore. Non ho avuto modo e tempo di dedicarmi a rispondere, e non sarebbe stato giusto rispondere solo a Brianda».
Parecchi medici sono rientrati volontariamente dalla pensione e hanno ripreso il loro posto in ospedale per dare una mano a contrastare l'emergenza. Ci ha pensato che poteva essere più utile lì che a Palazzo Ducale?
«È vero, ci ho riflettuto. Ma la mia specializzazione non è tra quelle che sarebbe risultata utile. Se fossi stato un medico o infermiere di rianimazione o un infettivologo mi sarei messo a disposizione senza esitare. Ho avuto solo un momento di esitazione se entrare a Casa Serena perché stavamo ballando molto, anche per la mancanza all'interno di una figura medica. Però poi ho valutato che non essendo medico di base o specialista poteva sembrare solo una forma di esibizionismo e magari mi avrebbero fatto a pezzi. Ho chiesto e ottenuto, invece, la collaborazione volontaria di tanti colleghi. In primis Sergio Babudieri, e con lui ringrazio tutti. Ci sentiamo ogni giorno. La mia presenza sarebbe stato solo motivo di speculazione».
Lei è finito nel mirino per via di quella crociera mentre scoppiava l'emergenza Covid, è stato anche costretto a mettersi in quarantena. Ha sottovalutato il problema?
«Come medico ho girato il mondo, sono stato come volontario a curare malati in zone dove c'erano epidemie gravi. Sono tornato a casa sempre sano, so come comportarmi. Quello della crociera è un falso problema. Ho il diritto come altri di poter andare in vacanza con la famiglia. La prenotazione era stata fatta l'anno prima. Quando è scoppiato il problema in Cina mi posto il problema se fosse il caso o meno di partire. Io e altri abbiamo ricevuto assicurazioni che nessun passeggero in transito dalla Cina sarebbe stato imbarcato sulla nave. Siamo partiti in sicurezza, al ritorno ho fatto tre giorni di isolamento, uno scrupolo niente di più».
Però c'era la questione dell'arrivo (poi saltato) del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Sassari. E l'assenza del sindaco non sarebbe stata una bella cosa. Ci ha riflettuto?
«Una decina di giorni prima della partenza ho saputo indirettamente che all'inaugurazione dell'anno accademico sarebbe intervenuto il presidente Mattarella. Il Comune di Sassari non ha ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. Io tra l'altro avevo passate esperienze: Scalfaro quando ero parlamentare venne a Sassari, e Ciampi da sindaco, lui sì in visita ufficiale. E tutte le volte era stato attivato il cerimoniale del Comune. Comunque, nessun contatto con l'amministrazione comunale ma solo la presenza annunciata all'Università. Mi sono posto ugualmente il problema e due giorni prima della mia partenza ho parlato con il ministro Gaetano Manfredi, che è un mio amico e doveva essere presente. E mi dice: "Ma sai, io vengo per conto mio perché non c'è collegamento diretto con il presidente". Al che ho ragionato: se anche il ministro viene per conto suo vuol dire che ancora non vi è certezza dell'arrivo del presidente Mattarella, quindi io avrei dovuto sacrificare la mia vacanza per un qualcosa che poi poteva non avvenire, come si è dimostrato. In ogni caso la rappresentanza del Comune nella sede dell'Università era garantita. Questo è il motivo per cui sono partito»
L'emergenza è ancora in atto. Dopo oltre un mese di restrizioni e di segregazione in casa, che cosa dire alla gente?
«Non possiamo pensare di aprire una stagione turistica con le vecchie regole. Abbiamo avuto fortuna - anche con i picchi del Sassarese - nel restare abbastanza immuni dalla grande tragedia nazionale. Non è pensabile togliere i vincoli tra uno o due mesi alle frontiere isolane. Perché da molte zone calde tenderanno a raggiungere la Sardegna come paradiso per la vacanza, ma anche per una buona convalescenza. E questo noi non possiamo permettercelo. Quindi la Regione dovrà intervenire perché quello sarà un settore che ripartirà il più tardi possibile. Vorrei aggiungere che nella nostra terra ci sono risorse, settori meno toccati di altri dall'emergenza. Ecco in questi momenti solidarietà e unione vuol dire anche spendere qui. Noi dobbiamo fare il turismo nella nostra Isola. Una città come Sassari che ha una alta percentuale di stipendi fissi e pensioni, può fare la sua parte: spendiamo sardo, aiutiamoci tra di noi. Giusti e sacrosanti i contributi pubblici. Ma restiamo in Sardegna e investiamo qui».
Sarà dura ripartire, in tanti hanno paura di non farcela perché i tempi che dividono teoria e realtà quotidiana sono implacabili...
«Le difficoltà sono tante, inutile fare finta di niente. Ma l'emergenza ha fatto apparire la parte migliore di noi attraverso il volontariato. È la nostra forza reale e lo avevo già apprezzato nella mia esperienza passata di sindaco. Un sistema radicato e diffuso, bellissimo. Che aiuta a ripartire pur tra le difficoltà. Ho visto però anche le debolezze: Casa Serena è una, la più eclatante. Poi l'aspetto della tecnologia: l'amministrazione è andata in tilt per la nostra carenza sotto il profilo informatico. É una cosa che avevo già denunciato e sto ancora combattendo per migliorare. Un sistema che funziona fa girare tutto il resto. Bisogna portare Sassari in questo millennio, perché siamo rimasti troppo indietro, e non è una polemica politica. C'è tanto da fare».
Cavalcata e Candelieri, due feste e due appuntamenti storici per Sassari e per la Sardegna. La gente si chiede come andrà: ci sono già delle decisioni?
«La Cavalcata è slittata e valuteremo come e quando recuperarla. Lo spirito potrebbe essere: non più e solo per i turisti ma per noi, è l'unica festa non religiosa. La caratterizzerei come "orgoglio sardo". Per i Candelieri ho già chiesto che anche quest'anno il Voto alla Madonna venga sciolto, con un ritorno ancora più forte all'aspetto religioso».
Teme i fischi? «No, l'anno scorso - come dicono a Sassari - sono stati pogghi e francamente non ho sentore che quest'anno si vada verso chissà quale contestazione. Ma non me ne preoccupo. Credo che questa esperienza che stiamo vivendo ci debba davvero riportare anche a quel senso religioso. Se non altro per rispetto a quelli che ci credono. È un po' come il problema del rispettare le regole del non uscire. Si fa per se stessi e soprattutto per gli altri. Lo scioglimento di un Voto non ha che fare con la politica, quella si fa altrove. E lo dice uno abituato alle polemiche politiche e alle critiche, me ne hanno detto di tutti i colori. La rete è diventata un luogo infrequentabile. Mi dispiace che la nostra Festha Manna venga svilita dalla politica, solo per fischiare il sindaco in base alla sua collocazione. Tuteliamo e difendiamo i Candelieri e il 14 agosto mi piace immaginare che noi saremo fuori da questa tragedia. La Faradda tutti con la mascherina? Va bene, ci sto. Però il Voto lo dobbiamo sciogliere».

Questionario e social

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