UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 26 febbraio 2020

Mercoledì 26 febbraio 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
26 febbraio 2020

L'Unione Sarda

 
 

1 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 26 febbraio 2020 / PRIMA PAGINA
L’ANALISI
Una mazzata per l'economia

di Beniamino Moro
Prima che scoppiasse l'emergenza sanitaria del coronavirus, le previsioni di crescita del Pil dell'Italia non erano certo rosee. Secondo la Commissione Ue, con un tasso dello 0,3% quest'anno e dello 0,6 nel 2021, eravamo già considerati il fanalino di coda della crescita in Europa.
Nei giorni scorsi, la Banca d'Italia ha fatto sapere che l'emergenza sanitaria ci costerà almeno un -0,2% di crescita, il che riporterebbe quasi a zero le nuove previsioni di quest'anno. Tuttavia, è ragionevole supporre che non finisca qui, perché la situazione è in continua evoluzione a livello internazionale e l'impatto economico, come ha rilevato lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, potrebbe essere fortissimo. I mercati finanziari, infatti, stanno reagendo con ondate di vendite e crolli di borsa, che stanno cancellando i progressi realizzati negli ultimi mesi. Lo spread ha ripreso a crescere e la cedola del Btp decennale si è riportata intorno all'1%.
Il panico si sta estendendo dai listini europei a quelli degli Stati Uniti, con crolli diffusi dell'ordine del 3-4% al giorno. Arretrano le quotazioni del greggio, mentre volano i prezzi dei beni rifugio, in primis l'oro, la cui quotazione vola verso i 1.700 dollari l'oncia. Perciò, tanto meno potranno essere realizzate le previsioni più ottimistiche del Fondo monetario internazionale (Fmi) contenute nel World Economic Outlook di gennaio, secondo cui l'Italia quest'anno, se non ci fosse stata l'emergenza sanitaria, sarebbe cresciuta dello 0,5% e dello 0,7% nel 2021. (...)  segue a pagina 9

PRIMO PIANO - Pagina 9   segue dalla prima
Le stime UE erano pessime già prima dell’emergenza
VIRUS, UNA MAZZATA PER L'ECONOMIA ITALIANA

(...) E inoltre nella previsione si sarebbe potuto mantenere questo ritmo anche nei prossimi tre anni. Si sarebbe trattato di una crescita superiore alla media degli ultimi due decenni, che comunque sarebbe risultata, anche per il Fmi, inferiore a quella di tutti gli altri paesi dell'Ue. A questo ritmo, tanto per fare un esempio, ci sarebbero voluti 25 anni solo per tornare ai livelli di reddito pro-capite del 2007, l'anno prima dell'ultima crisi finanziaria in cui l'Italia ha perso circa il 10% del suo Pil, figuriamoci adesso dopo lo scoppio dell'emergenza scatenata dall'epidemia di coronavirus sul territorio nazionale e in particolare nelle regioni più produttive del Nord.
Restano tuttavia sempre validi i suggerimenti del Fmi per superare le condizioni di stagnazione. L'auspicio è che il governo si adoperi nell'affrontare alcuni nodi storici che condizionano lo sviluppo economico del Paese. Tra questi, ne vengono sottolineati tre in particolare, tutti rivolti all'aumento della flessibilità del sistema economico: il primo prevede la rimozione delle barriere alla concorrenza, in particolare nei servizi alle persone, nelle concessioni demaniali e nei sevizi pubblici locali. Il secondo insiste per il superamento del meccanismo di contrattazione salariale accentrata a livello nazionale a favore del decentramento a livello locale. Infine, il terzo focalizza l'attenzione sulle insufficienze del settore pubblico, sostenendo che oggi più che mai sarebbe necessaria una sburocratizzazione di questo settore.
In particolare, poi, gli economisti del Fmi suggeriscono che il documento di Economia e Finanza da inviare a Bruxelles entro il prossimo mese di aprile dia garanzie non solo per la ripresa di una politica di liberalizzazioni, ma anche di affidabilità del controllo del debito pubblico, che, anche senza tenere conto dell'emergenza sanitaria, rischia comunque nei prossimi anni di restare inchiodato all'attuale livello del 135% rispetto al Pil.
Una delle cause è attribuita alla controriforma delle pensioni: quota 100 viene bocciata senza rimedio. Qualsiasi riforma pensionistica non può prescindere da due regole fondamentali: la prima è che l'età di pensionamento deve sempre essere legata alle aspettative di vita e la seconda deve far valere il principio che chi anticipa l'età di pensionamento avrà un assegno ridotto.
Gli esperti del Fmi suggeriscono anche una riforma dell'Iva, con una revisione delle aliquote all'insegna dell'equità sociale: facendo aumentare l'aliquota ordinaria del 22%, ma tenendo invariate al 10 e al 4% quelle dei beni di prima necessità e dei servizi primari, come le utenze domestiche e le opere sulla prima casa.
BENIAMINO MORO
DOCENTE DI ECONOMIA POLITICA
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

 

 

 

2 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 26 febbraio 2020 / CAGLIARI - Pagina 21
RICERCA. Primo riconoscimento degli Usa a un’europea
CANNABIS, PREMIO ALLA DOCENTE

Miriam Melis: “Sono davvero contenta di aver ottenuto questo importante riconoscimento. Non me lo aspettavo”
Prima lo studio (pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Neuroscience) che dimostra come l'utilizzo della cannabis durante la gravidanza può modificare alcune aree del sistema nervoso del feto, creando deficit nei bambini. Quindi quello sulla modulazione del sistema endogeno dei cannabinoidi, che regola il sistema dopaminergico (cioè la produzione di dopamina) e che a seconda di come si attiva può influenzare alcune attività cerebrali (causando per esempio depressione, schizofrenia, etc.) ma anche funzioni vitali (come l'appetito, l'umore, il sistema immunitario, la riproduzione, etc.).
IL PREMIO. Per questi studi che dimostrano gli effetti della cannabis sul cervello, e che al Dipartimento di Scienze Biomediche dell'università di Cagliari porta avanti da 15 anni, Miriam Melis, docente di Farmacologia, ha ricevuto il prestigioso premio “Gill center transformative research award”. Si tratta di un riconoscimento finora mai attribuito a un ricercatore europeo. «Un premio al contributo dato sugli studi degli effetti della cannabis sul cervello che abbiamo portato avanti negli ultimi 15 anni», dice la professoressa.
GLI STUDI. Laureata a Palermo, ma dal 1994 allieva del neurofarmacologo di fama mondiale Gianluigi Gessa («appena ha saputo del premio, mi ha detto, brava», racconta), gli studi della professoressa Melis offrono un'ampia base di affidabilità in campo medico. In pratica, grazie alla sua ricerca di base, ha scoperto che la produzione da parte del nostro organismo dei cannabinoidi, lipidi semplici che costituiscono le membrane cellulari, può influenzare le cellule neuronali. La produzione e il rilascio nell'organismo da parte dei cannabinoidi avviene in maniera più o meno stabile: a regime, si crea un equilibrio perfetto. Ma in certe condizioni, di fronte a uno stress per esempio, il sistema viene attivato e la produzione di cannabinoidi aumenta fino a modificare il sistema. «Modificazioni che possono avere un effetto negativo», se si pensa alla possibile conseguenza della schizofrenia, «ma anche positivo», in certe condizioni possono proteggere dai danni neuronali che si verificano in seguito a eventi ischemici.
RISCHI PER LA RICERCA. La ricerca della professoressa Melis conferma l'altissima qualità raggiunta dall'ateneo cagliaritano, già riconosciuta a livello mondiale con il professor Gessa. Ma potrebbe essere l'ultima in questo campo. «Purtroppo questo tipo di ricerca in Italia ha i giorni contati», afferma la professoressa. «Un provvedimento dello Stato italiano», che recepisce in maniera assolutamente restrittiva le direttive europee e in contrasto con quelle applicate ai ricercatori nel resto del mondo, «impedirà presto lo studio degli effetti dei farmaci d'abuso (le cosiddette “droghe”) sugli animali sperimentali». Eppure, proprio grazie ai risultati raggiunti dal professor Gessa, l'università di Cagliari ha fatto scuola nel mondo sulla neurobiologia delle dipendenze. Questo tipo di ricerca, invece, in Italia, se non cambieranno le cose, sarà possibile fino al 31 dicembre 2020. Dopo quella data, il rischio più che concreto è una perdita totale di cervelli e competenze. «Questa scelta, dettata da motivazioni ideologiche e anti-scientifiche, obbligherà i nostri ricercatori a espatriare per svolgere il proprio lavoro, con ulteriore perdita di cervelli e di finanziamenti per il nostro Paese», spiega ancora la professoressa. ( ma.mad. )



 

3 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 26 febbraio 2020 / CULTURA - Pagina 47
Anticipazioni. In esclusiva un estratto dal nuovo saggio di Franciscu Sedda
NEL CODICE INVISIBILE L'EREDITÀ NASCOSTA DI ATZENI
Il messaggio subliminale dello scrittore scomparso ai sardi

Da domani esce in tutte le librerie il nuovo e atteso saggio di Fraciscu Sedda (professore associato di Semiotica del Dipartimento di Lettere, lingue e beni culturali dell'Università degli Studi di Cagliari) dedicato a Sergio Atzeni. Il volume dal titolo “Il sogno del falco. Il Codice nascosto nell'opera di Sergio Atzeni“ (Arkadia editore, pagine 157, euro 16) propone una lettura innovativa e per certi versi inattesa del percorso artistico ed esistenziale del grande scrittore isolano di cui a settembre ricorrono i 25 anni dalla scomparsa. Vi proponiamo in anteprima un estratto del prezioso lavoro che attraverso un'analisi dei romanzi dell'autore esplora alcuni nodi fondamentali della sua poetica e della sua simbologia sino a rivelarne un codice scritto con l'inchiostro simpatico.
FINE, O UN NUOVO INIZIO. La morte mette il punto finale. E piega a sé il senso di un'intera vita. Tanto più quando avviene in modo tragico e prematuro, quando interrompe un lavoro che si va svolgendo, una ricerca ancora aperta, un percorso in evoluzione. In questi casi la morte "distorce" il divenire e costringe a una radicale interrogazione sul senso: dove era arrivato il cammino interrotto? Dove stava andando?
Sergio Atzeni è morto a soli 43 anni, annegato nelle acque dell'Isola di San Pietro il 6 settembre del 1995. Da lì, la nascita di un mito. Molto spesso fin troppo edulcorato.
E invece quella morte, così insensata, è lì che continua a domandarci: «Sergio Atzeni, dove era arrivato? Dove si stava dirigendo?». O se si preferisce: «Chi era? Chi era divenuto? Cosa stava divenendo?».
Queste domande sarebbero comunque legittime ma lo sono ancor di più se si considerano due fatti troppo spesso dimenticati o disgiunti: l'esplicita conversione al cristianesimo che Atzeni matura pienamente nell'autunno del 1987, l'esplosione creativa che si accompagna a questa conversione e arriva all'apice nel periodo interrotto bruscamente dalla morte.
CONVERSIONI, ESPLOSIONI. Il primo fatto - la conversione dalla “fede” comunista a quella cristiana - testimonia di una ricerca interiore e di una disponibilità a cambiare portata a livelli profondi, radicali. Tanto da mettere in imbarazzo molti fra gli interpreti della vita e dell'opera di Atzeni.
Il secondo fatto - l'esplosione creativa che precede e accompagna il momento della sua tragica scomparsa - rimanda invece a una coincidenza, tutta interna alle sue opere, satura di echi e di interrogativi. Nei giorni precedenti alla morte nelle acque di Carloforte, Atzeni aveva infatti dato il via libera alla pubblicazione del suo romanzo Passavamo sulla terra leggeri e aveva portato a una forma compiuta, potenzialmente definitiva, il racconto lungo Bellas mariposas. Queste due opere in modi apparentemente diversi confermano la prima conversione, quella al cristianesimo, ma la collegano indissolubilmente a un'altra conversione, innominata o forse addirittura indicibile.
NUOVE ALLEGORIE. Per rendersene conto bisogna accettare di ascoltare, per davvero e finalmente, la voce dei testi e giocare il loro gioco fino alla fine, fino ad arrivare alle soglie di un nuovo inizio. Perché come in un'allegoria medioevale - un'illuminazione che richiede tanto una paziente e profonda conversione del punto di vista quanto la volontà di credere nel cambiamento del credere - dei piccoli segni-chiave, prima apparentemente insignificanti, a un certo punto si rivelano come parti di un codice che apre le narrazioni, ne stravolge i fatti, ne rivoluziona gli esiti, dando accesso a un senso secondo, nuovo, perturbante, profetico. Un senso che ci parla del necessario morire sotteso a ogni vero rinascere. Un senso che ci parla di come la creatività più radicale e rivoluzionaria sopravanzi il suo stesso creatore. Un senso che chiama in causa quell'altra conversione che non può più essere taciuta, perché ci parla di paure, contraddizioni, sogni, potenzialità fondamentali. Per l'esistenza di Sergio Atzeni. Ma ancor più per l'esistenza dei sardi in quanto sardi. Anzi, come vedremo, in quanto esseri umani sardi.
Franciscu Sedda

 

 

4 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 26 febbraio 2020 / CULTURA - Pagina 48
Scienza. Esaminati dal team guidato dal genetista Francesco Cucca reperti provenienti da venti siti archeologici
IL DNA DEI SARDI COSÌ SIMILE ALL'UOMO DI 7MILA ANNI FA
Le ossa preistoriche confermano la continuità genetica

Tra le popolazioni europee, sono i sardi ad avere meno differenze rispetto all'uomo del Neolitico Medio, di 7 mila anni fa. Merito della continuità genetica. Lo ha confermato lo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche e dell'Università di Sassari. Pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications col titolo “Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia”.
Sette anni per analizzare quasi settemila anni di storia: dall'incontro coi primi mercanti fenici e coi cartaginesi, all'arrivo dei Romani, per risalire sino al Medioevo. Tutto questo grazie all'esame del genoma sul Dna estratto da resti ossei preistorici di 70 individui, provenienti da più di 20 siti archeologici sardi su un periodo che parte dal Neolitico Medio e arriva fino al Medioevo. Il Dna antico è stato poi comparato con quello sequenziato (prima del 2013) di oltre 3.500 sardi contemporanei.
GUIDA DEL TEAM. A capo del team interdisciplinare ci sono Francesco Cucca, professore di Genetica medica dell'Università di Sassari e affiliato al Cnr-Irgb, Johannes Krause del Max Planck Institute di Jena e John Novembre della Chicago University.
Cucca evidenzia: «Sino a pochi anni fa sarebbe sembrato fantascienza ricostruire il profilo genetico di un individuo nato oltre 5.000 anni fa da frammenti di Dna corti e degradati, e noi siamo riusciti a farlo per ben 70 individui provenienti da una ventina di siti sardi, da Seulo all'Ogliastra, passando per il Nord Sardegna».
DNA ANTICO E DI OGGI. Il genetista spiega: «Comparando i risultati ottenuti dal Dna antico con quelli dei sardi odierni si osservano, a partire da individui dei siti fenicio-punici (I millennio a.C.), segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale. I sardi contemporanei evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di Dna estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti neolitici (tra 10.000 e 7.000 anni fa) e pre-neolitici (oltre 10.000 anni fa) dell'Europa continentale. Somiglianze che sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l'Ogliastra e la Barbagia. Lo studio delle varianti aumenta considerevolmente la comprensione della funzione dei geni e quindi anche dei malfunzionamenti alla base di malattie genetiche».
FRAMMENTI GENETICI. Si è utilizzato quando era possibile i frammenti genetici provenienti dalla rocca petrosa, un ossicino dietro l'orecchio, una porzione dell'osso temporale che concorre alla formazione della base cranica e conserva il Dna meglio di altre ossa.
Oltre a Joseph Marcus, che figura come primo autore sulla ricerca, hanno contribuito anche Luca Lai, Maria Giuseppina Gradoli, Jessica Barrett, Robin Skeates, Cosimo Posth, Anna Olivieri, Carlo Sidore, Patrizia Marongiu, Salvatore Rubino, Vittorio Mazzarello, Daniela Rovina, Alessandra La Fragola, Rita Maria Serra, Pasquale Bandiera, Raffaella Bianucci, Elisa Pompianu, Clizia Murgia, Michele Guirguis e Rosana Pla Orquin.
Giampiero Marras

La Nuova Sardegna


 

 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì 26 febbraio 2020 / CULTURA E SPETTACOLI - Pagina 36
Lo studio di un team di ricercatori dell'Università di Sassari pubblicato sulla rivista scientifica "Nature communications"
L'EVOLUZIONE DEI SARDI RICOSTRUITA ATTRAVERSO IL LORO DNA PIÙ ANTICO
Le analisi sull’intero genoma estratto da resti ossei preistorici di 70 individui provenienti da più di 20 siti archeologici di tutta l’isola

di Paolo Coretti
SASSAR ILa storia evolutiva dei sardi ricostruita attraverso l'analisi del Dna antico. Un'attività imprescindibile per ricostruire gli eventi demografici del passato e in particolare della preistoria. Un team di ricercatori guidati da Francesco Cucca, professore di Genetica medica dell'Università di Sassari e affiliato all'Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb), Johannes Krause del Max Planck Institute di Jena e John Novembre della Chicago University ha pubblicato sulla rivista Nature Communications uno studio intitolato "Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia". Lo studio riporta i risultati delle analisi effettuate a livello dell'intero genoma sul Dna estratto da resti ossei preistorici di 70 individui provenienti da oltre 20 siti archeologici sardi, che coprono il periodo dal Neolitico Medio fino al Medioevo.
«I primi individui neolitici sardi -osserva Cucca - mostrano una forte affinità genetica con le popolazioni coeve del Mediterraneo occidentale. Inoltre nell'isola si registra una sostanziale continuità genetica fino al periodo nuragico, cioè nel II millennio avanti Cristo. Comparando i risultati ottenuti dal Dna antico con quelli di migliaia di sardi contemporanei - continua l'esperto - si osservano, a partire da individui dei siti fenicio-punici (I millennio avanti Cristo), segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale».
La maggiore continuità genetica della popolazione sarda rispetto ad altre contemporanee è nota. «Per questo i sardi odierni evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di Dna estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti neolitici (tra 10.000 e 7.000 anni fa) e pre-neolitici (oltre 10.000 anni fa) dell'Europa continentale. Lo studio conferma che queste somiglianze sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l'Ogliastra e la Barbagia», prosegue il ricercatore. «I sardi contemporanei rappresentano quindi una riserva di antiche varianti della sequenza del Dna risalenti a linee di ascendenza proto-europea, attualmente molto rare nell'Europa continentale. Lo studio di queste varianti aumenta considerevolmente la comprensione della funzione dei geni e quindi anche dei malfunzionamenti alla base di malattie genetiche».
Lo studio del Dna antico isolato da campioni acquisiti da siti archeologici, generalmente ossei, è assolutamente imprescindibile per ricostruire con scrupolo scintifico gli eventi demografici del passato e in particolare della preistoria. Il Dna infatti varia da individuo a individuo in seguito a una sorta di errori che avvengono durante la sua replicazione, noti come "mutazioni", i quali si accumulano di generazione in generazione. Il confronto tra i punti del genoma in cui le sequenze di Dna differiscono tra individui (varianti genetiche), fornisce informazioni preziose su somiglianze, differenze, origine e relazioni passate. «A causa della degradazione post-mortem, il Dna antico è più degradato rispetto a quello contemporaneo e ciò ha precluso per lungo tempo questo tipo di studi, se non in campioni eccezionalmente preservati come quelli rinvenuti nei ghiacciai o nel permafrost», conclude Francesco Cucca, aggiungendo soltantoi che «negli ultimissimi anni lo studio del Dna antico è però stato rivoluzionato da progressi tecnologici che consentono di sequenziare e analizzare frammenti di Dna antico corti e degradati, soprattutto i campioni provenienti dalla rocca petrosa nell'osso temporale che sono meglio preservati, anche in regioni a clima subtropicale-temperato come la Sardegna».
L'ÉQUIPE. Dietro l'indagine tantissimi esperti
La ricerca pubblicata su Nature Communications ha quale primo autore Joseph Marcus, ma vi hanno contribuito i ricercatori Cosimo Posth, Luca Lai, Anna Olivieri, Carlo Sidore, Jessica Beckett, Robin Skeates, Maria Giuseppina Gradoli, Patrizia Marongiu, Salvatore Rubino, Vittorio Mazzarello, Daniela Rovina, Alessandra La Fragola, Rita Maria Serra, Pasquale Bandiera, Raffaella Bianucci, Elisa Pompianu, Clizia Murgia, Michele Guirguis, Rosana Pla Orquin.

 


6 - LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì 26 febbraio 2020 / PROVINCIA DI SASSARI - Pagina 30
Entro la fine dell'anno dovrebbe concludersi lo studio dell'università sassarese
ARDARA, IL PALAZZO GIUDICALE RITORNA IN VITA GRAZIE AL 3D
Secondo gli esperti l'edificio medievale potrebbe essere di dimensioni colossali

di Barbara Mastino
ARDARA Sta per diventare realtà il progetto del Comune di Ardara e dell'Università di Sassari per la protezione e la valorizzazione del palazzo giudicale e del castello signorile che svettano nel centro dell'antico paese del Logudoro.
Presentato ufficialmente ieri dall'ateneo, dopo un incontro tra il sindaco di Ardara Francesco Dui e il direttore del Dipartimento di Storia, Scienze dell'Uomo e della Formazione Marco Milanese, che diresse la campagna di scavi ad Ardara nel 2012-2013, il progetto prevede la realizzazione di una ricostruzione virtuale in 3D del palazzo che ne mostrerà le volumetrie e darà al pubblico la possibilità di immergersi completamente nei luoghi che segnarono i passaggi fondamentali della storia della Sardegna giudicale. È la chiusura di un lungo percorso, iniziato con le campagne di scavi svoltesi tra il 2012 e il 2013, con le quali emersero importati scoperte sia sulla vita quotidiana della popolazione nel Medio Evo (il palazzo fu abitato dal XI al XIII secolo) sia sulle destinazioni che quei luoghi ebbero negli anni successivi con la trasformazione della più antica dimora dei Giudici turritani in palazzo signorile da parte dei Doria, nel tardo Duecento. L'idea di una ricostruzione in 3D nacque proprio allora, e oggi diventa realtà grazie all'unione di forze e competenze del Comune e dell'ateneo mirate a ridare vita a quello che è stato definito una delle testimonianze più interessanti dell'epoca giudicale, «un punto di riferimento per la storia medievale della Sardegna da proteggere e valorizzare». «Le conoscenze attuali sulla planimetria del palazzo sono ancora in parte limitate - spiega Marco Milanese - pertanto per valorizzare al meglio questo sito così importante per il Medioevo sardo è necessario aumentarne la conoscenza. Le dimensioni del palazzo - precisa - oggi note solo in parte, erano tuttavia veramente colossali, per cui indagini geofisiche nel centro storico di Ardara potrebbero portare all'individuazione di altre parti di questo maestoso edificio, sepolte sotto le superfici stradali attuali».
Non nasconde la sua soddisfazione per la positiva riuscita di quella che anni fa era solo un'ipotesi il sindaco di Ardara Francesco Dui. «Concordo pienamente sulla necessità di approfondire le indagini sul terreno, finalizzate alla migliore ricostruzione virtuale in tre dimensioni del palazzo come obiettivo importante del progetto - dice il primo cittadino -. La presentazione 3D, che sarà pronta presumibilmente entro l'anno, sarà l'elemento centrale di questa ricerca, in quanto unico strumento capace di dar vita in modo realistico e preciso, ai beni culturali del nostro territorio».

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