Lunedì 18 maggio 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
18 maggio 2020

L'Unione Sarda


 

1 - L’UNIONE SARDA di lunedì 18 maggio 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 6

Il report. Il parere degli epidemiologi sul dato dell’indice di contagio certificato dall’Istituto superiore di Sanità

RT PIÙ BASSO D'ITALIA «INUTILI TANTI TAMPONI, MEGLIO SE MIRATI»
Bellizzi: ora campagna di informazione
Contu: la distanza resta fondamentale. “Stiamo vivendo con la possibilità di infezione, quindi l’indice di contagio potrà anche salire leggermente in un certo periodo e poi ridiscendere, e a un certo punto, probabilmente, non c’è neanche da essere ossessionati da un unico indicatore. Non mi meraviglierei, quindi, se adesso che si esce ci fosse qualche contagio in più rispetto a quando si stava tutti chiusi dentro casa”

Adesso che dalle timide riaperture stiamo passando alle porte spalancate, come va letto il dato calcolato dall'Istituto superiore di sanità che assegna alla Sardegna l'indice di contagio (Rt a 0,24) più basso fra tutte le regioni d'Italia? Un dato ballerino, va ricordato, e tuttavia importante.

L'AVVISO ALLA POPOLAZIONE
«Visto che il tempo medio di incubazione di questo virus è di 5, 6 giorni, sono portato a leggere positivamente questa notizia perché è un dato che riflette le dinamiche di una settimana, dieci giorni fa, quando già c'era una certa apertura». Saverio Bellizzi, epidemiologo sassarese, ha una lunga esperienza nelle terre più povere del mondo, dall'Africa al Centro America al Medio Oriente. Tra il 2014 e il 2015, in missione per Medici Senza Frontiere, era in Guinea, Sierra Leone e Liberia durante la terribile epidemia di Ebola. «E' un dato buono, ma ovviamente non vuol dire che è tutto finito: in Sardegna il virus non è certo sparito». Piuttosto, avverte l'epidemiologo, «l'aumento del numero dei tamponi fatti non ha molto senso se non si tratta di test mirati. Il punto non è aumentarli o diminuirli: bisogna vedere a chi li fai. Nel senso che ne puoi fare 15mila a persone totalmente asintomatiche e poi pubblicizzarlo come una campagna di test a tappeto. Se invece non ne fai tantissimi ma sottoponi all'esame un campione preciso, lo screening diventa molto più accurato». Ma come si procede? «Si deve fare una campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio tramite televisione, radio, giornali - spiega Saverio Bellizzi -. E' un avviso alla popolazione: chi non sta bene, ha febbre, tosse, problemi respiratori, oppure conosce qualcuno con questi sintomi, deve presentarsi per fare il test. In francese si chiama depistage, incanalamento, una manovra epidemiologica vecchia che si faceva con l'Hiv negli anni '80, poi in tutte le grandi epidemie come Ebola». Un'opera di sensibilizzazione, avvisa il dottor Bellizzi, sarebbe ancora più necessaria visti i risultati di un recente studio a Taiwan. «Uno studio che ha messo in chiaro come una persona è più contagiosa nei primissimi momenti in cui inizia a manifestare i sintomi. Ecco, questo rende le cose ancora più difficoltose. Avvisare la gente, dire che se ha sintomi deve presentarsi, diventa fondamentale».

IL RISCHIO MESSO IN CONTO
Paolo Contu, epidemiologo e docente dell'Università di Cagliari, avvisa che «l'indice di contagio visto da solo non è poi così importante: ci sono tanti indicatori da tenere in conto, ad esempio la capacità di risposta del sistema sanitario». Il punto, avvisa, è che con la ripresa, «stiamo convivendo con la possibilità di infezione. L'indice di contagio potrà anche salire leggermente in un certo periodo e poi ridiscendere, e a un certo punto, probabilmente, non c'è neanche da essere ossessionati da un unico indicatore. Non mi meraviglierei, quindi, se adesso che si esce ci fosse qualche contagio in più rispetto a quando si stava tutti chiusi dentro casa». Ma, a un certo punto, avvisa il professor Contu, «esiste una scelta politica tra la chiusura o la crisi economica. A un certo punto è inevitabile affrontare qualche rischio. E qui diventa fondamentale il rispetto della distanza tra le persone: la cosa più importante. E poi l'uso della mascherina e il lavaggio delle mani».

OBIETTIVO RIFORMA
«La guardia deve rimanere alta: in questa fase non possiamo permetterci errori». Gli esponenti del Gruppo Lega Sardegna hanno commentato con soddisfazione il primato della Sardegna come regione con l'indice di contagio più basso. «Ora possiamo guardare alla "ricostruzione" della nostra Isola con maggiore consapevolezza, partendo dalla riforma sanitaria più che mai necessaria». ( p.s.)





 

2 - L’UNIONE SARDA di lunedì 18 maggio 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 13
L’analisi. Si deve puntare sul patrimonio materiale e immateriale dell’Isola
IL PIANO B PER IL TURISMO: RIPARTIRE DAI SARDI

La Sardegna vive in attesa. Dei turisti. Tutti aspettano l'evento. Anzi, l'avvento. Il momento salvifico per la nostra economia. Ma se i turisti non arrivassero? Se non potessero arrivare? Le nostre attese si basano sulla percezione che abbiamo della nostra condizione, di una terra che fortunatamente pare avviarsi verso un azzeramento dei contagi (peraltro più lento di quanto preventivato). Ma altrove, purtroppo, le cose non vanno come da noi. La stessa riapertura dei voli ad oggi è più un annuncio che una certezza. Davanti a questa situazione quale Piano B è stato pensato per il turismo sardo? Nessuno. Per questo sembra necessario farlo. Ripartendo da noi.
In primo luogo dai nostri bambini e dall'organizzazione estensiva di campi estivi. I bambini hanno necessità di ritrovare la socialità, il gioco, la creatività che il Covid-19 gli ha tolto. Hanno necessità di farlo in modo sicuro e guidato. È l'occasione per rimettere al lavoro animatori, artisti, operatori socioculturali, organizzatori di attività fisiche e sportive. I nostri paesi più piccoli sono scenari ideali per la ripartenza, con i loro numeri bassi, gli spazi naturali ampi, gli edifici un tempo adibiti a scuole da ravvivare. Le risorse economiche a volte sono già lì, nei progetti comunali già finanziati e poi restati bloccati. Oppure vanno trovati e investiti, prevedendo anche un'organizzazione per far sì che i bambini dell'interno possano passare un periodo al mare e quelli della costa vadano a scoprire l'interno della Sardegna. Né va della loro salute psicologica. E potrebbe anche essere un modo per cominciare a sperimentare la futura ripresa scolastica.
In secondo luogo ci sono i nostri giovanissimi e adolescenti. Perché non portarli in vacanza-studio in Sardegna? Perché non coinvolgere le nostre guide artistiche, storiche, archeologiche? Perché non portare i ragazzi a scoprire il nostro patrimonio coinvolgendo le reti museali? Perché non sfruttare l'associazionismo in materia di trekking, escursionismo, cicloturismo, ippica? Perché non coinvolgere i nostri artigiani in corsi di formazione alle arti e ai mestieri, dall'artigianato al cibo? Perché non affiancare a tutto ciò la partecipazione ai festival letterari, il ripasso della matematica e dell'italiano, lo studio dell'inglese e del sardo? La crisi che da lungo tempo viviamo è prima di tutto educativa: i più alti tassi d'abbandono, la più bassa quantità di laureati, causati anche dalla percezione di un distacco fra contenuti insegnati e vissuti territoriali. Il Covid-19, nonostante la teledidattica, rischia di aggravare la situazione. Ma con idee e investimenti può essere l'occasione, coinvolgendo scuola e università, per ricucire il rapporto fra i giovani, l'istruzione, la propria terra.
Poi ci sono tutti i sardi che sarebbero andati a fare una vacanza fuori. E ancor più quelli che non potevano o non possono. Perché non investire su un buono-famiglia da spendere in strutture ricettive e di ristorazione convenzionate? Si aiuterebbero le famiglie a ritrovare un momento di serenità e si farebbero arrivare risorse al sistema turistico. Forse alla fine i turisti arriveranno lo stesso ma intanto si sarebbe generato un nuovo modo di pensare il turismo a partire dal mercato interno, organizzando al meglio l'offerta e la domanda di servizi, puntando finalmente sulla qualità del nostro patrimonio materiale e immateriale. Il Piano B di oggi potrebbe diventare il nostro Piano A, il fondamento di un nuovo modo di far fruttare il turismo in Sardegna.
FRANCISCU SEDDA
DOCENTE DI SEMIOTICA UNIVERSITÀ DI CAGLIARI





 

3 - L’UNIONE SARDA di lunedì 18 maggio 2020 / Speciale SALUTE - Pagina IV
TIROIDE. Anche l’Isola soffre
Sono 20mila i sardi sottoposti a terapia

Il benessere della tiroide è strettamente legato allo iodio. È questo minerale a contribuire in modo determinante al corretto funzionamento di questa ghiandola a forma di farfalla situata nel collo e posizionata sulla parte anteriore della trachea. In Sardegna, come nel resto d'Italia ma anche in Europa, le malattie che colpiscono la tiroide sono piuttosto diffuse, tanto che da ormai parecchi anni l'Organizzazione mondiale della sanità e i medici specialisti raccomandano l'assunzione di sale iodato nella dieta quotidiana.
«Il nostro Paese - spiega l'endocrinologo e docente universitario Alberto Loviselli - è endemicamente carente di iodio, e lo è anche la Sardegna che, essendo un'isola e dunque circondata dal mare, farebbe pensare il contrario. Non è il minerale presente nell'aria a garantirci la giusta quantità di iodio per il nostro organismo. Per questo è necessario assumerlo direttamente con il sale». Un'indicazione che i medici cagliaritani oggi operanti nel centro della tiroide di Monserrato, fecero già nel 2005, quando l'endocrinologia operava ancora alla Clinica universitaria Aresu, in occasione di una importante campagna informativa tra l'altro avviata in tutta Europa. «Uno screening che coinvolse ottomila bambini sardi, da Teulada a Palau», ricorda Alberto Loviselli.
LA DIFFUSIONE
Sono circa ventimila i sardi in cura nei centri specialistici in Sardegna. Numeri che non rappresentano comunque la vera realtà sulla diffusione delle tiroiditi nell'Isola. «Molte persone sono malate ma non sanno di esserlo, anche perché la più diffusa delle tireopatie ovvero la tiroidite di Hashimoto che costituisce la causa più frequente di ipotiroidismo, è spessissimo se non sempre asintomatica», avverte Loviselli. Da qui l'ipotesi che almeno quarantamila sardi abbiano a che fare con le diverse forme di tiroiditi e in particolare con un insufficiente e inadeguato funzionamento della tiroide. Malattie che colpiscono sia le donne che gli uomini. Secondo i dati ufficiali, le tiroiditi auto immuni hanno una prevalenza compresa tra il 5 e il 20 per cento nelle donne e fino al 5 per cento negli uomini. Queste patologie attraversano tutte le età, anche se la maggiore frequenza la si riscontra in chi ha già superato i 50 anni.
LA DIAGNOSI
«Essendo l'ipotiroidismo asintomatico, è spesso è il medico di base a sospettare la malattia attraverso piccoli ma importanti indicatori-spia raccontati dal paziente. Tra questi svogliatezza, eccessiva stanchezza, una tendenza a prendere peso e magari uno stato di depressione. Al contrario, se una persona dimagrisce sensibilmente, dorme male e si sente particolarmente irritabile, potrebbe avere un eccessivo funzionamento della ghiandola», spiega il docente universitario. «Naturalmente è importante, per chi sa di avere in famiglia un parente interessato da tireopatie sottoporsi ai controlli. Basta una semplice analisi del sangue». L'indagine permetterà di conoscere e misurare i valori degli ormoni Tsh, T3 e T4.
L'INDAGINE
Oggi l'indagine per appurare problemi alla tiroide si fa già nei neonati. «L'esame permette di discriminare l'ipotiroidismo natale, piuttosto grave se non trattato immediatamente. Le conseguenze possono essere ritardo della crescita e nello sviluppo», avverte Loviselli. «La cura, come negli adulti, consiste non nella somministrazione di farmaci ma nell'assicurare all'organismo gli ormoni tiroidei sostitutivi».
Andrea Piras

DOVE CURARSI
Centri d’eccellenza, sono 5 in Sardegna

Sono cinque, nell'Isola, i centri specializzati per la cura delle malattie tiroidee. Strutture sanitarie d'eccellenza dove numerosissimi sardi colpiti dalle diverse patologie che interessano la ghiandola del collo si rivolgono per migliorare la propria condizione di vita. In testa, anche per numero di interventi, il Policlinico universitario “Duilio Casula” di Cagliari-Monserrato . Seguono la Nuova Casa di cura di Decimomannu , l'ospedale oncologico “Armando Businco“ . Per il nord Sardegna ci si può rivolgere al Policlinico sassarese e allo Stabilimento Cliniche di San Pietro dell'Aou sempre di Sassari.
A confermare il giudizio sull'eccellenza dei centri ospedalieri sardi e la loro collocazione nel panorama nazionale è soprattutto il numero dei pazienti colpiti da malattie tiroidee ma anche tumori alla ghiandola situata alla base del collo che scelgono di farsi curare nell'Isola (le percentuali superano il 95 per cento) ma anche sottoporsi all'intervento chirurgico quando questo diventa necessario. La neoplasia alla tiroide rappresenta il 4 per cento di tutti i carcinomi umani.





 

4 - L’UNIONE SARDA di lunedì 18 maggio 2020 / Speciale SALUTE - Pagina VI
Gli esperti rispondono
OCULISTICA. RIPRENDERE LA CURA DELLE RETINOPATIE


Quanto è pericoloso sospendere il trattamento delle retinopatie in tempo di Covid? Risponde ENRICO PEIRETTI, 46 anni, professore oculistica San Giovanni di Dio Aou Cagliari
Le malattie degenerative e vascolari della retina sono tra le principali cause di riduzione della funzione visiva e impongono controlli e talvolta trattamenti con iniezioni intraoculari a cadenza mensile o bimestrale. Alcuni pazienti hanno sospeso la terapia per paura del contagio o per le limitazioni di accesso alle strutture. Tuttavia, il procrastinare i controlli ed eventualmente le terapie, può generare un peggioramento irrecuperabile della vista, prospettando un futuro drammatico per chi ha sospeso i trattamenti per mesi. È necessaria una ripresa della gestione del paziente maculopatico o retinopatico per proteggerne la vista. Considerato che meno persone potranno accedere alle terapie intravitreali, il supporto degli oculisti del territorio per la valutazione clinica di tali pazienti è fondamentale in questo periodo. Il contatto telefonico tra colleghi e soprattutto tra medico e paziente si spera possa bilanciare il rischio di contagio con il rischio di cecità in epoca Covid.





 

5 - L’UNIONE SARDA di lunedì 18 maggio 2020 / Speciale SALUTE - Pagina VII
Gli esperti rispondono
CARDIOLOGIA. Coronavirus e cuore, un pericolo in più: le infezioni gravi possono portare a miocarditi
Coronavirus e cuore, un pericolo in più: le infezioni gravi possono portare a miocarditi


Il coronavirus può dare effetti collaterali al cuore? Risponde GIANCARLO MOLLE, 60 anni, cardiologo dirigente nell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Cagliari
Lo sviluppo dell'infezione da coronavirus è influenzato dalle patologie concomitanti . Ecco quindi che avere più di 65 anni, soffrire di patologie polmonari croniche, essere ipertesi, obesi, diabetici, soffrire di insufficienza cardiaca, produce uno sviluppo della malattia nella gran parte dei casi più grave e talvolta drammatico. I pazienti cardiopatici presentano spesso le condizioni su elencate e sono quindi molto più esposti, non al contagio ma allo sviluppo delle manifestazioni cliniche più gravi. La concomitanza dello stato infettivo con una cardiopatia equivale ad aggravare una situazione spesso già ai limiti. In questo modo si spiega facilmente l'alta percentuale dei decessi nei pazienti Covid positivi ed affetti da cardiopatie. Infine, sebbene come abbiamo visto la gravità del Covid dipenda soprattutto dalle condizioni di partenza del paziente, lo stato di sofferenza multiorgano, che si può verificare nel corso delle forme di infezione più gravi, può produrre un interessamento cardiaco con la propagazione dello stato infiammatorio al muscolo cardiaco stesso con sviluppo di una miocardite che evolve spesso in exitus. In definitiva i pazienti cardiopatici e con i fattori di rischio più elevati non devono venire a contatto col virus attenendosi in modo assoluto a tutti i sistemi di protezione suggeriti dall'Istituto Superiore di Sanità. Mai come in questo caso prevenire è meglio che curare.



 

La Nuova Sardegna

 

 

 

 

6 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 18 maggio 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 5
Il sindaco Campus: abbiamo bisogno di un progetto organico globale. Soddisfatto anche Ganau
SASSARI, PER IL NUOVO OSPEDALE UN SÌ BIPARTISAN

SASSARI L'annuncio da parte del governatore Solinas di voler riprendere e concretizzare il progetto di un nuovo ospedale a Sassari, trova consensi da parte dei politici del territorio. Il sindaco Nanni Campus. «Abbiamo bisogno di un progetto organico globale: di un ospedale fatto da padiglioni collegati sia spazialmente che funzionalmente ma al contempo isolabili per funzioni e per emergenza ( Covid insegna) senza sprecare quanto già esistente. E il progetto deve prevedere un piano complessivo di riutilizzazione del Santissima Annunziata e dei padiglioni storici delle Cliniche. Ho da tempo espresso al Presidente la necessità di un investimento complessivo e di un progetto adeguato alle funzioni di massimo livello dì intensità e complessità, che il sistema sanitario regionale e sopratutto i sardi, ben oltre i limiti della nostra provincia, chiedono e giustamente pretendono dalla Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari». Gianfranco Ganau. «Sin dal primo momento in cui si è parlato di nuovo ospedale a Sassari, il progetto mi ha trovato totalmente d'accordo. Quando è avvenuta la fusione funzionale tra l'ospedale e le cliniche universitarie, secondo me era il momento di pensare concretamente anche a unire le due anime della sanità da un punto di vista logistico. Invece si è andati avanti con l'inutile sviluppo delle stecche universitarie, che non ha alcun senso. Con il Puc abbiamo individuato la localizzazione del nuovo ospedale, che potrebbe essere ospitato nella zona di Li Punti. Siamo a quattro chilometri dal centro cittadino, e in un'area facilmente raggiungibile dai centri dell'hinterland».
Antonello Peru. «Da anni insisto sulla realizzazione di un ospedale completamente nuovo a Sassari. Le motivazioni sono chiare. Le tre aree principali che devono far parte di un presidio ospedaliero (l'area medica, quella chirurgica e quella diagnostica e laboratorio) a Sassari sono dislocate in ben sette padiglioni, lontane le une dalle altre, senza che abbiano la possibilità di dialogare tra di loro. Abbiamo fuso le strutture dell'AOU e della ASL ma una strada continua a dividere quello che dovrebbe essere unito e integrato. A Sassari ci sono due rianimazioni, tre chirurgie, due medicine interne, due radiologie, doppioni e strutture sanitarie triplicate e con esse aumentano in maniera esponenziale i costi ma anche il mal funzionamento, con dispendio di energie anche da parte degli stessi operatori sanitari. Spendiamo un milione e mezzo di euro all'anno di ambulanze per portare pazienti da un reparto ad un altro. Non c'è un'adeguata area parcheggi. Una volta ultimato il nuovo ospedale, il Santissima Annunziata potrebbe diventare RSA mentre gli altri padiglioni di viale San Pietro potrebbero ospitare gli uffici amministrativi non solo della sanità ma anche di altri enti pubblici. Ci sarebbe sicuramente una ulteriore riduzione di costi, per tutte le somme per gli affitti che vengono attualmente pagate e che verrebbero risparmiate. Insomma si tratterebbe di una rivoluzione positiva i cui benefici sarebbero indubbi sotto tutti i punti di vista. Sono contento del fatto che il presidente della regione voglia andare in questa direzione». (lu.so.)

Questionario e social

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