Giovedì 16 gennaio 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
16 gennaio 2020

L'Unione Sarda


 

1 - L'UNIONE SARDA di giovedì 16 gennaio 2020 / PRIMA PAGINA
L'ANALISI
Il dilemma delle pensioni

In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, Mario Monti espone la tesi che «se i partiti si fossero intestati il merito di aver evitato il default del Paese, difendendo le riforme che avevano votato, magari criticandone questo o quell'aspetto, ma senza rinnegarle, il populismo non sarebbe stato così prorompente. E anche i populisti oggi sarebbero stati più credibili».
Le riforme cui allude sono quelle approvate dal suo governo durante la crisi finanziaria del 2011-2012 e in particolare la riforma Fornero delle pensioni. Oggi non è più il tempo di riforme, ma di controriforme, diventate il leitmotiv dei populisti, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, come nella Francia di Macron. In Italia la controriforma delle pensioni è stata approvata dal primo governo Conte come “quota 100”, che consente di andare in pensione a coloro che sommando l'età anagrafica, ad esempio 62 anni, agli anni di contributi versati, ad esempio 38, raggiungono quota 100. In Francia, la protesta spontanea dei gilet gialli si è saldata recentemente a quella dei sindacati contro il piano di riforma delle pensioni del presidente Macron, che colpisce i privilegi di alcune categorie di lavoratori unificando gli attuali 42 regimi speciali in un unico sistema universale.
La caratteristica della riforma Macron si basa su un nuovo sistema “a punti” il cui perno è dato da “un'età di equilibrio” a 64 anni, che costituirebbe la norma per andare in pensione. (...)  SEGUE A PAGINA 16

ECONOMIA - Pagina 16 segue dalla prima pagina
Controrifore in Italia e Francia
IL DILEMMA DELLE PENSIONI

BENIAMINO MORO
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

(...) I contributi pagati e accumulati da ogni lavoratore nel corso della sua attività lavorativa verrebbero trasformati in punti: ogni 10 euro di contributi equivarrebbero a un punto, che corrisponderebbe a 0,55 euro di pensione all'anno. Rispetto all'età attuale di pensionamento di 62 anni, la riforma prevede che l'età di equilibrio venga portata a 64 anni: a chi va in pensione prima verrebbe applicata una penalizzazione, mentre chi continuasse a lavorare anche dopo tale data avrebbe un bonus pensionistico. La riforma consentirebbe di risparmiare 3 miliardi già nel 2022, che diventerebbero 12 nel 2027.
La protesta dei sindacati non si è fatta attendere. Dai ferrovieri agli avvocati, tutti difendono i privilegi di categoria. Perciò, il governo Macron-Philippe probabilmente sarà costretto a scendere a patti coi sindacati. Mario Monti attribuisce questa arrendevolezza al populismo dei governi, favorito anche dalla politica monetaria molto accomodante degli ultimi anni, che ha attenuato la percezione da parte dei mercati degli squilibri delle finanze pubbliche, inclusi quelli dei sistemi pensionistici, per concludere che «se nel 2011 ci fosse stato il Quantitative easing e non una Bce super esigente, la nostra riforma Fornero non sarebbe passata così velocemente».
Il motivo è che la politica monetaria accomodante, mantenendo bassi i tassi a lunga e negativi quelli a breve, depotenzia l'urgenza di riequilibrio di medio-lungo periodo tra la crescita del Pil, pressoché stagnante, e quella del rapporto debito/Pil, che invece di ridursi tende ad aumentare. In questa dinamica c'entra anche un motivo istituzionale: le riforme si fanno quando è possibile mettere in campo grandi coalizioni, in modo da distribuire sull'intero ventaglio costituzionale il loro costo politico. Non sono possibili, invece, con governi deboli e maggioranze risicate. Il governo Monti ebbe successo perché sostenuto dall'intero arco costituzionale, da Bersani a Berlusconi, passando per Fini e Casini, e dagli stessi sindacati. Quella congiuntura favorevole oggi non esiste più, così come non esiste in Francia, dove il sistema semipresidenziale non dispone di corpi intermedi tra potere centrale e piazza che possano mediare. Infine, la moral suasion del Presidente della Repubblica funziona meglio in un sistema parlamentare come quello italiano che non in un sistema come quello francese, proprio perché solo il primo rende possibile le grandi coalizioni.
BENIAMINO MORO
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

 

 

 

2 - L'UNIONE SARDA di giovedì 16 gennaio 2020 / REGIONE - Pagina 10
TRADIZIONE. Tatiana Cossu, antropologa dell'Università di Cagliari
«Ha donato la scintilla agli uomini: così lo si venera in Sardegna»

Taumaturgo, protettore degli animali, soccorritore invocato per ritrovare le cose smarrite, liberatore da ogni male, colui che ha rubato una scintilla dall'inferno per donare il fuoco al mondo. Forse non c'è altro Santo tanto venerato quanto Antonio Abate, eremita egiziano morto nel IV secolo il cui culto si è diffuso in tutta Europa in epoca medievale grazie all'Ordine ospedaliero degli Antoniani, canonici dediti all'accoglienza e soprattutto alla cura dei pellegrini e dei poveri. «Proprio da qui bisogna partire per comprendere l'importanza e la diffusione del culto arrivato fino ai giorni nostri», avvisa Tatiana Cossu, antropologa culturale dell'Università di Cagliari.
Perché la festa viene celebrata con i falò?
«È un rito molto diffuso, non solo in Sardegna ma anche nel resto d'Italia. La tradizione popolare sarda ha cercato di spiegare il legame tra Sant'Antonio e il fuoco con un racconto che lo presenta come un Prometeo cristianizzato: lui che entra all'inferno con il suo bastone di ferula e, grazie alla caratteristica di questa pianta che brucia dall'interno, nel midollo, senza che la fiamma sia visibile sull'involucro, riesce a rubare una scintilla e a trasportare così il fuoco per portarlo fuori e donarlo al mondo».
Qual è la simbologia del fuoco?
«Antonio Abate era un santo popolarissimo tra i poveri, e non solo, perché era un taumaturgo. In Sardegna questi poteri curativi sono richiamati nei riti legati al falò: all'utilizzo della cenere, del carbone, dei tizzoni ardenti, come ha raccontato Raffaello Marchi nelle sue note etnografiche nella prima metà del Novecento».
Ad esempio?
«Il carbone veniva usato per curare certe malattie, come la mastite. I tizzoni venivano portati in casa per cacciare il male dal focolare domestico. Ancora, era usanza disegnare una croce col sughero bruciato sulle mangiatoie degli animali che, ricordiamolo, rappresentavano il sostentamento e il patrimonio delle famiglie. Anche la tradizione di colorare la faccia con la fuliggine, in tanti paesi indica l'inizio del Carnevale ma anche la fine di un anno e l'inizio di un anno nuovo. A Mamoiada, per esempio, la festa di Sant'Antonio coincide con la prima uscita dei Mamuthones».
A quando risale la tradizione dell'accensione dei falò?
«Non lo sappiamo ed è difficile averne contezza, capire quando è iniziata e come si è trasformata a causa dell'enorme diffusione di questo rituale presente non solo nella festa di Sant'Antonio ma anche in quella di San Giovanni e altre. La documentazione etnografica, comunque, risale a fine '800 con riti e leggende che ci sono stati raccontati da Lorenzo Valla e Grazia Deledda».
Il male che ancora oggi porta il nome del Santo ha un legame con il culto che gli viene dedicato?
«Certamente. Già nel periodo medievale, e fino al XVIII secolo quando l'Ordine fu soppresso, gli Antoniani erano dediti all'accoglienza e alla cura dei pellegrini e dei poveri nei loro hospitali diffusi in tutta Europa. Curavano in particolare l'ergotismo, poi chiamato fuoco di Sant'Antonio (oggi lo conosciamo come herpes zoster di origine virale, ndr ), un morbo legato alla cattiva alimentazione: altro non era che un'intossicazione da segale cornuta, contaminata dai funghi, che causava bruciore e piaghe in tutto il corpo. I monaci Antoniani curavano queste piaghe con un unguento fatto di grasso di maiale, rimasto poi nella medicina popolare».
Il maiale è un elemento dell'iconografia del Santo.
«Assieme al Tau, la croce azzurra che era il simbolo del loro Ordine; appunto il fuoco, e poi la campanella con la quale i monaci annunciavano il loro arrivo per la questua. Pare fossero particolarmente insistenti nel chiedere l'elemosina, tanto che persino Dante Alighieri sbeffeggia questo loro modo di fare in un canto del Paradiso».
Piera Serusi

 

 

 

3 - L'UNIONE SARDA di giovedì 16 gennaio 2020 / CAGLIARI - Pagina 20
LA PROTESTA. I 270 lavoratori della coop in sciopero oggi dalle 10 alle 13

Addetti alle pulizie, sciopero e sit-in davanti all'Università

Si ritroveranno stamattina, dalle 10 alle 13, davanti alla sede del rettorato in via Università: i 270 lavoratori dei servizi in appalto di pulizia dei locali dell'Ateneo, del Comune e del Tribunale di Cagliari, dell'Autorità portuale, dell'Argea e delle scuole della Sardegna (ex lavoratori socialmente utili) ormai da tempo non ricevono gli stipendi con regolarità.
Una mattinata di sciopero e mobilitazione per denunciare ancora una volta una situazione insostenibile. «Nonostante le nostre sollecitazioni», hanno spiegato Nella Milazzo (Filcams Cgil) e Monica Porcedda (Fisascat Cisl), «la società cooperativa che gestisce i servizi continua a non rispettare leggi e norme contrattuali, così come il Cns, consorzio aggiudicatario dell'appalto, non interviene per ripristinare le regole».
Gli appelli sono caduti nel vuoto. I sindacati hanno chiesto più volte alle committenti di revocare l'affidamento dell'appalto ma solo alcune - Comune e Autorità portuale - hanno mostrato disponibilità a risolvere il problema. Nel frattempo, denunciano ancora le segretarie Filcams e Fisascat, «non sono stati pagati gli stipendi di dicembre e in alcuni servizi la tredicesima e a questo si aggiungono continue irregolarità nel godimento di ferie e permessi, con ulteriori disagi per i lavoratori».
Anche prima di Natale c'era stata una protesta dei sindacati. «All'ispettorato del lavoro abbiamo segnalato il mancato godimento delle ferie e non capiamo come mai ancora non siano stati presi provvedimenti».



 

 

 

4 - L'UNIONE SARDA di giovedì 16 gennaio 2020 / CULTURA - Pagina 48
ESPOSIZIONE. Inaugurazione a Bitti
Museo multimediale del canto a tenore e del pastoralismo

«Il canto a tenore racchiude un po' la nostra storia legata al pastoralismo. Non sono solo quattro voci e una sonorità. Per noi è anche un auspicio: più persone che s'incontrano e creano un'armonia. Ripartiamo da questo museo multimediale, aperto tutto l'anno». Il primo cittadino di Bitti, Giuseppe Ciccolini, non nasconde la sua soddisfazione. Ieri sera ha svelato ai numerosi visitatori il nuovo spazio espositivo dedicato al canto a tenore. «La casa di tutti i tenores della Sardegna», afferma il direttore artistico Francesco Casu.
Doppia inaugurazione. Ieri mattina gli alunni della quinta elementare dell'istituto comprensivo di Bitti sono stati i primi a sperimentare il sistema interattivo del museo, tra canto a tenore e ballo. La sera, invece, spazio alle autorità, ai tanti curiosi accolti da chi ha ideato e realizzato una struttura ricca di fascino. La tradizione incontra la tecnologia, dà vita a una fusione perfetta che tutela un patrimonio di inestimabile valore, finito di diritto nell'orbita Unesco.
Multimedialità. È il concetto che caratterizza una struttura desiderosa di stupire. I tenores isolani diventano interattivi grazie alle nuove tecnologie, strumenti capaci di proiettare in una dimensione ricca di pathos. Quattro grandi schermi verticali fanno vivere il canto corale. Coinvolgono, catapultano il visitatore nel cerchio del canto. Un semplice tocco dà vita alla riproduzione, permette di selezionare e di spaziare tra i diversi gruppi che al meglio rappresentano l'espressione canora simbolo di un territorio. L'effetto audio-visivo è avvolgente. «In questa dimensione esperienziale il visitatore scopre l'ancestrale mondo del canto a tenore in maniera diretta», dichiara Francesco Casu.
Lavoro di squadra. «Insieme ad altre figure professionali abbiamo cercato di sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie per proporre ai visitatori una divulgazione scientifica accattivante, sia nelle modalità di presentazione sia nei contenuti», spiega il responsabile scientifico, Marco Lutzu. «I visitatori potranno fare un viaggio alla scoperta della storia e delle peculiarità musicali del canto a tenore, del suo rapporto con la poesia e con la danza».
Gianfranco Locci

 

 

 

La Nuova Sardegna

 


5 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 gennaio 2020 / SARDEGNA - Pagina 7

L'INTEGRAZIONE CHE FUNZIONA

Il 26enne sta per finire il corso di studi in Urbanistica: «L'Africa ha bisogno di noi»
Il giovane è inserito nel progetto Sprar che il Comune di Sassari non ha rinnovato

DAL BARCONE ALLA LAUREA
Mady: ora tornerò in Mali

di Giovanni Bua
SASSARI «Io voglio tornare a casa, a Gao, in Mali. Perché la guerra finirà, prima o poi. E bisognerà, di nuovo, rimettere insieme i pezzi. Per questo mi sto laureando in Urbanistica, e studio come un matto. Perché l'Africa ha bisogno di noi, e lì, tutti, abbiamo il dovere di tornare».Ha uno sguardo fiero Mady Siranding Sissoko, appena velato da una tristezza profonda, che ricaccia giù deciso. Non è tempo di guardarsi indietro, di pensare alla sua famiglia, spazzata via dall'ennesima mattanza, iniziata come sempre per i maledetti giacimenti di petrolio, di cui la sua casa nel cuore dell'Africa occidentale è ricchissima. E per controllare i quali, negli ultimi trent'anni, le ex potenze coloniali (soprattutto la Francia) hanno soffiato sul fuoco di antiche divisioni tribali, etniche, religiose, scatenando sanguinosi conflitti. C'è solo da guardare avanti, con determinazione e furore. E portare all'incasso la "carta" arrivata in dono dal progetto Sprar, che Mady ha concluso un mese fa a Sassari, con in tasca una vicina laurea, una lingua ormai imparata, una borsa di studio per rifugiati del Ministero assegnata dalla Conferenza dei rettori, una grande voglia di ricominciare. Un progetto che scadrà a giugno. E che il Comune, qualche giorno fa, ha deciso di non rinnovare per il prossimo triennio, nonostante in due anni e mezzo abbia aiutato 75 rifugiati come Mady, con risultati spesso eccezionali, e portato in città 1 milione e mezzo di fondi. «Non mi permetto di commentare decisioni prese in un luogo che con tanta generosità mi ospita - spiega lui - ma dico che, grazie al progetto, alle persone che hanno creduto in me, ora sono qui. In piedi, forte, utile. Spero che altri ragazzi africani possano avere la mia fortuna, e la sfruttino per cambiare le cose».E questo 26enne coraggioso tante volte le cose ha provato a cambiarle. Nato nel piccolo villaggio rurale di Guénégoré, al confine con la Guinea, lì cresce con il padre, che fa il cuoco nella missione cattolica locale, la madre casalinga e il fratello maggiore. E proprio dentro quella scuola di frontiera Mady scopre la sua vocazione: lo studio. Appassionatissimo di matematica e storia, completa tutti i cicli di formazione, prende il diploma (che riuscirà a farsi riconoscere in Italia), e vince nel 2010 una borsa di studio per l'università statale di Economia. Si trasferisce in un campus nel nord del Paese, a seicento chilometri da casa. E scopre un mondo nuovo, di possibilità, di soldi che arrivano, e spariscono, di ingiustizie e corruzione. «Lì ho capito - racconta - che non potevo pensare solo a me, che dovevo fare qualcosa per la mia gente». Mady ha il fuoco dentro, si avvicina al collettivo studentesco universitario, e in poco tempo diventa segretario nazionale. È sempre in prima linea nelle tante proteste che - con il veloce precipitare della situazione politica del paese - diventano sempre più numerose e violente. «Attaccavo i potenti - racconta - e denunciavo le ingiustizie. Da noi la regola è che bisogna stare zitti. E mi accorgevo che stavo dando fastidio alle persone sbagliate». Nel 2012 la situazione degenera. Ed è di nuovo guerra civile. Mady è nella "parte sbagliata" del paese, ed è troppo in vista per il suo ruolo nell'università. Rimane ferito ad un piede durante alcuni scontri con la polizia, capisce che è il momento di tornare a casa. Ma anche a Gao l'aria è incandescente. E, durante una protesta per le strade della città che va avanti per giorni, suo padre e suo fratello vengono uccisi. La madre, ferita gravemente, morirà poco dopo. «Ero sicuro che avrebbero trovato il modo di uccidere anche me - ricorda glaciale - dovevo andare via. Ma ho giurato che sarei tornato. E non me lo dimentico».Con l'aiuto di alcuni amici riesce a lasciare la città e, in poco meno di due settimane, arriva in Libia. Ci rimane per due anni e mezzo, lavorando come muratore nei tanti cantieri locali. Guadagna bene, risparmia con l'obiettivo di tornare il prima possibile a Gao, studia, come sempre. Ma capisce che non potrà andare avanti a lungo: «Con il mio gruppo subivamo continue violenze, rapine, assalti e aggressioni da parte dei tanti gruppi di miliziani, che tormentano e vessano tutti i lavoratori occasionali che passano per la Libia. Il rischio era altissimo, e la situazione peggiorava ogni giorno. Il problema è che in Libia è facile entrare ma molto, molto difficile uscire. Volevo tornare in Mali, a casa mia, ma l'Italia era più vicina. Dovevo andare via in fretta, per non morire come tanti miei amici. E sono partito». Il viaggio è meno drammatico di altri, una piccola barca, il mare buono. E il 2 settembre del 2016 Mady sbarca a Cagliari, viene identificato e mandato al Cas di via Planargia a Sassari, e, dopo due anni di attesa, inserito nel progetto Sprar "Fallu badda" nel settembre 2018, che gli trova un appartamento, e insieme a lui organizza un percorso di vita. «Mi sono subito trovato bene a Sassari - spiega - non è troppo grande, le persone sono gentili. E poi c'è l'università. Ho potuto riprendere a studiare, la mia passione, la mia unica concreta possibilità di cambiare le cose».Inizia con Economia, grazie al titolo che riesce a far convalidare in Italia, ma poi si innamora dell'Urbanistica, al Dadu. «Ho scoperto la pianificazione, una disciplina che a casa mia non esiste. Quando ci sarà da ricostruire tutto serviranno competenze come quelle che sto acquisendo. Mi manca poco alla laurea e, grazie alla borsa di studio ministeriale e agli aiuti che ho ricevuto dal progetto Sprar, economici ma soprattutto umani, sono sicuro di portare a termine il mio compito, la mia missione». «Non commento decisioni che chi mi ospita con tanta generosità prende - chiude di colpo serissimo - ma a Sassari, all'Italia, all'Europa ricordo che quella che va via dall'Africa è spesso la sua migliore gioventù, che si lascia alle spalle casa, famiglia, affetti. Non perché fugge, ma perché vuole tornare più forte, essere davvero in grado di costruire un futuro migliore. Non servono i soldi che mandate lì, preda di una classe dirigente corrotta che si arricchisce a dismisura. Non servono interferenze politiche, che già fanno troppi danni. Serve un posto sicuro, dove incollare insieme i pezzi, imparare nuove cose. Per poi mettersi di nuovo in viaggio, questa volta verso casa, con al posto della rabbia tanta gratitudine e fierezza nel cuore».

 

 

6 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 gennaio 2020 / Speciale IL TUO LAVORO - Pagina 23
L'EVENTO

JOB MEETING
UNO SU TRE CE LA PUÒ FARE

di STEFANO AMBU
Tre giorni per provare a trovare lavoro. Soprattutto nuovo lavoro. Perché il mercato richiede sì competenze classiche e solide. Ma anche trasversali, flessibili e aggiornate alle esigenze di un mercato che si evolve in continuazione e chiede di saper fare sempre nuove cose. Non è un caso che le parole chiave dell'International Job Meeting 2020, in programma a Cagliari alla Fiera da 28 al 30 gennaio, siano due: creatività e innovazione. L'appuntamento, come al solito è organizzato dall'Aspal, agenzia sarda per le politiche attive del lavoro. I numeri dell'edizione 2020 dicono che ci saranno circa trecento aziende pronte ad accogliere ragazzi, ma anche adulti, per i colloqui. E non sarà una lotteria perché le posizioni aperte - i posti di lavoro - non sono poche: circa seimila. Tante le richieste - e non sorprende di certo il numero se si considera la alta percentuale di disoccupazione soprattutto giovanile - arrivate: sono già circa 15mila candidature. Sulla carta uno su tre (ma anche meno) ce la potrebbe fare. Ma le cose non sono automatiche: bisogna capire se ai candidati piacciono alle aziende. E se alle aziende piacciono i candidati. Ci sono buone probabilità, però, perché l'Aspal ha già fatto una scrematura in vista dei colloqui. Proprio per avvicinare le parti. Niente assalti con curriculum in mano: per i candidati sono previste fasce orarie di appuntamenti per ridurre al minimo le attese. La maggior parte delle seimila possibilità riguardano posti di lavoro in Sardegna. I settori? Soprattutto turismo e tecnologia. Ma ci sono posizioni aperte in tanti campi. Anche in comparti più insoliti come il mondo del cinema. Il filone del presente e forse del futuro è quello del Vertical movie, l'arte delle creazioni con il video in verticale.  continua a pagina 25

Pagina 25 - SEGUE DA PAGINA 23
Job Meeting: caccia al posto,
formazione e orientamento

Quindi adatta alle nuove generazioni che in questi anni sono cresciute con il telefonino come naturale prolungamento del braccio: un hobby o una piacevole consuetudine che può diventare lavoro e professione. Le giornate dedicate ai faccia a faccia tra aziende e candidati sono le prime due. Il terzo giorno sarà dedicato alla formazione e al Salone dello studente con una sorta di orientamento sulle ultime offerte per costruire il proprio futuro. Ma durante la tre giorni cagliaritana sarà possibile toccare tutti gli argomenti che hanno a che fare con il mondo del lavoro. Tanto per citare altri numeri sono previsti circa cento seminari.Si va dalla "ricerca attiva del lavoro" alla "meccatronica dell'autoveicolo". E poi "social recruiting", "nuove professioni 4.0", "panefratteria, dalla tradizione all'innovativitá" e tanto altro. Previsti anche convegni, laboratori e talk show, workshop e aree espositive con testimonial d'eccezione. Proprio attraverso uno dei workshop sarà possibile "allenarsi alla creatività", sviluppando le proprie capacità artistiche e il pensiero creativo. Sono in programma anche confronti tra i rappresentanti dei servizi per il lavoro europei e di altre regioni italiane sui servizi rivolti ai cittadini e alle imprese e lo scambio di buone pratiche.
Stefano Ambu
 

 

 

7 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 gennaio 2020 / LETTERE E COMMENTI - Pagina 34
L'intervento
I CONSERVATORI
DI MUSICA
COME L'UNIVERSITÀ

IVANO IAI,
presidente del Conservatorio di musica di Sassari

A poche ore dalla cerimonia inaugurale dell'Anno accademico del Conservatorio di Sassari, occasione solenne di incontro tra l'Alta formazione musicale e la società, appaiono utili alcune riflessioni sul ruolo della cultura nel nostro Paese. Una premessa non scontata è cosa debba intendersi per cultura, la cui accezione affascina da sempre gli studiosi dell'intelligenza umana, che ne hanno offerto multiformi definizioni. Ma il concetto di cultura al quale occorre prestare attenzione è semplice: è la capacità dell'individuo di realizzare e trasmettere all'esterno, in modo perfetto, il proprio patrimonio di conoscenze, per quanto limitato, sicché è colto un ortolano che dà vita a un giardino ammirato, un fabbro ferraio che realizza una cancellata a regola d'arte, un pittore che dipinge quadri incantevoli, un esegeta della Divina Commedia che lascia l'uditorio senza parole.Ogni settore dell'ingegno umano è capace di esprimere cultura con autonome e distinte caratteristiche e divulgarla all'esterno come generoso contributo alla crescita individuale e collettiva della persona e adempimento ai doveri di solidarietà verso i consociati. Significativo è, perciò, che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, espressione egli stesso di un settore importante della cultura, quella giuridica e accademica, ne abbia inteso razionalizzare il ruolo sociale a cominciare dalle competenze formative, riaffermando la specificità dell'educazione scolastica rispetto alla ricerca e all'istruzione universitaria, artistica, musicale e coreutica.È necessario, tuttavia, un passo ulteriore per dimostrare finalmente attenzione alle differenze che caratterizzano le più qualificanti peculiarità italiane e per le quali, ogni anno, migliaia di studenti, in maggior numero orientali, eleggono il nostro Paese sede del proprio percorso di studi. È proprio in ragione di questo straordinario gradimento internazionale verso la cultura italiana che occorre, allora, promuovere ogni sforzo affinché l'offerta dell'alta formazione accademica - perla dell'istruzione purtroppo relegata nell'angolo di un acronimo ignoto (Afam) - sia complessivamente adeguata e all'altezza del riconoscimento planetario delle qualità italiane.Il germoglio capace di generare la migliore cultura è lo scambio di esperienze tra le aree geografiche del pianeta, poiché a realizzare e offrire cultura concorrono, con modalità del tutto autonome, le società depositarie di patrimoni conoscitivi originali e diversi.Arricchente è stato finora il flusso osmotico tra pensiero occidentale e orientale, ma l'eccessiva compressione entro schemi generati dai fenomeni di prevalenza culturale ha rischiato di mortificare le straordinarie modalità di predisposizione individuale e collettiva alla cultura, la cui unicità, in ciascuna persona umana, si manifesta necessariamente nelle formazioni sociali per garantirne continuità, conservazione e innovazione. La nostra area geografica ha prodotto cultura nel tempo cultura e arte, tra le quali la più ammirata, la musica, che per i Greci era l'arte per eccellenza e, oggi, la prima disciplina per la quale migliaia di studenti orientali, soprattutto cinesi e coreani, scelgono di studiare nel nostro Paese.Nell'Italia dei 54 Conservatori statali - numero più alto rispetto alle realtà europee, che arriva a quasi 80 con gli istituti privati - il 10 per cento degli studenti è di provenienza straniera. Con i suoi due Conservatori la Sardegna garantisce una qualità formativa di alto livello e nel Canepa di Sassari raggiunge il suo acme di eccellenza grazie alla presenza, tra docenti e allievi, di veri talenti naturali della musica.Il Conservatorio di Sassari - sacrificato da un isolamento geografico che ne ha limitato l'offerta educativa ad allievi e allieve sardi - potrà aprirsi agli studenti stranieri se lo Stato riconoscerà pari dignità, eguale attenzione e imparziale sostegno alle distinte componenti dell'Alta Formazione Accademica, ossia Università, Ricerca, Conservatori di musica e Accademie di arte teatrale e danza.

 

 

 

8 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 gennaio 2020 / CULTURA E SPETTACOLI - Pagina 37
L'ipotesi fantasiosa che il latino derivi da sa limba e non viceversa

SULLA LINGUA SARDA TESI INATTENDIBILI
di Simone Pisano
* Ricercatore di Linguistica applicata all'Università "Guglielmo Marconi" di Roma

Ultimamente si leggono prese di posizione di studiosi "indipendenti" che, in polemica con il mondo scientifico "ufficiale" e accademico, espongono tesi alternative a un apparato teorico e metodologico di studi e conoscenze consolidatisi nel corso di almeno due secoli.Poiché, ormai da qualche lustro, mi occupo soprattutto del sistema verbale di molte varietà sarde sono, ovviamente, le teorie "rivoluzionarie" inerenti alla genesi storica del sardo quelle che più destano la mia attenzione. Non credo sia il caso, in questa sede, di contestare gli argomenti con i quali si pretende di dimostrare come il sardo moderno (lingua romanza sorta a seguito della frammentazione locale delle diverse varietà parlate di latino) sia in realtà una lingua antichissima, concepita come quasi immutabile nel tempo e nello spazio, da assumere alla base dello stesso latino (che, peraltro, sempre seguendo le medesime argomentazioni, dovrebbe essere non una lingua naturale ma una specie di Golem linguistico creato combinando basi lessicali originariamente sarde con morfemi flessivi di origine greca).Cercando però di trovare un filo conduttore a tutte le tesi più o meno eccentriche su lingua, storia e civiltà della Sardegna mi pare di cogliere almeno un elemento comune, neppure troppo originale: nella storia dell'umanità la Sardegna sarebbe, in ultima analisi, sempre e comunque arrivata "prima". La cultura nuragica e prenuragica, per esempio, avrebbe sostanzialmente segnato il cammino a tutti gli altri popoli del bacino del Mediterraneo e i nostri antenati avrebbero parlato una lingua da cui, più o meno indirettamente, numerose altre lingue avrebbero tratto origine. A questo proposito confesso candidamente che non mi è chiaro, tenendo per buone le recenti teorie "innovative", quali sarebbero gli effettivi rapporti di parentela linguistica tra sardo e le altre lingue neolatine né se una notevole presenza di corrispondenze sistematiche debba essere attribuita a una lontana origine comune o a una bizzarra lotteria del caso. Il problema della storia della Sardegna e della sua adeguata conoscenza è senz'altro reale: i libri di testo utilizzati nella scuola forniscono spesso informazioni cursorie e superficiali. Neppure sembra farsi strada una decisa volontà politica in favore di una società realmente plurilingue e, aggiungo, ancora carente e dispersa appare l'opera di documentazione del nostro complesso patrimonio linguistico. Tuttavia, pensare di riscrivere la storia linguistica della Sardegna partendo dal mitico "primato" della sua lingua ci riproietta in una dimensione prescientifica e ingenua che certo non giova alla reale crescita della nostra terra.Peraltro, non mi pare che il prestigio di una lingua e della cultura che questa esprime sia da mettere in relazione alla sua capacità di rimanere uguale a sé stessa nel corso del tempo o, anche, al numero di varietà linguistiche che da essa si sarebbero sviluppate. L'inglese è andato modificandosi drasticamente a partire dal Medioevo in poi e, storicamente, non è certo la lingua più antica parlata nel Regno Unito, per quanto abbia subito il prestigio di altre lingue di cultura (si pensi a una buona parte del suo lessico di origine francese e latina), infine, è oggi ampiamente studiato e diffuso, senza che a nessuno venga in mente di giustificare la sua importanza con improbabili primati storici.

 

 

Questionario e social

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