Giovedì 16 aprile 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
16 aprile 2020

L'Unione Sarda



 

1 - L’UNIONE SARDA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMA
L’EMERGENZA. Nell’Isola 23 contagi e 3 morti. La Regione ipotizza un passaporto sanitario per gli arrivi
IL COVID UCCIDE UN CHIRURGO SARDO
Marco Spissu, docente sassarese, aveva operato al Policlinico un paziente positivo

Un chirurgo di Sassari, Marco Spissu, 72 anni, è morto per Covid-19. Docente universitario, Spissu aveva operato al Policlinico sassarese, a inizio marzo, un paziente risultato positivo. È il secondo medico, in Sardegna, a morire per il coronavirus. In attesa dello screening sulla popolazione («non partirà subito», dice Nieddu), nell'Isola il contagio rallenta. Ieri 23 nuovi positivi e 3 decessi. Intanto la Regione ipotizza un passaporto sanitario per gli arrivi.  alle pagine 2, 3, 4, 5

PRIMO PIANO - Pagina 2
L’EMERGENZA. È spirato in Terapia intensiva, lavorava al Policlinico
Morto un altro medico, Sassari piange Marco Spissu

È stato un professore universitario tra i più apprezzati, ma la sua vita erano il reparto e la sala operatoria. Proprio dove è stato tradito da un virus di cui ancora non si conosceva del tutto la pericolosità. Marco Spissu, medico chirurgo di 72 anni, è morto a Sassari nel reparto di Terapia intensiva delle Cliniche di viale San Pietro. Aveva contratto il coronavirus mentre operava un docente universitario. Un intervento banale che si era svolto il 4 marzo. Successivamente era stata scoperta la positività del paziente che aveva avuto un contatto con un familiare arrivato dalla Lombardia. Da allora, era il 12 marzo, il Policlinico era stato chiuso per essere riaperto qualche giorno fa solo per pazienti Covid.

Il ritratto

Come i medici che hanno prima di tutto a cuore la salute dei pazienti e poi la loro, Marco Spissu aveva trascurato l'arrivo di un po' di febbre. Quando il servizio di Igiene Pubblica ha disposto il tampone, la temperatura era salita. Il medico è stato ricoverato in Malattie Infettive, poi è peggiorato e trasferito in Terapia intensiva. Anche la moglie è positiva al Covid, in questo momento ricoverata in Pneumologia.

Marco Spissu, dopo aver insegnato Patologia Chirurgica all'Università, aveva lasciato l'Ateneo senza troppi rimpianti. Troppo distante per carattere dall'ambiente accademico, aveva iniziato a collaborare negli anni '90 con il Policlinico Sassarese nell'ambito di un accordo tra pubblico e privato. E anche grazie al suo arrivo l'ospedale gestito dalla famiglia Bua era diventato un'eccellenza. Spissu aveva trovato l'ambiente ideale per lavorare con accanto diversi collaboratori, scelti tra i suoi studenti più dotati. I pazienti cercavano lui, volevano un chirurgo affidabile e trovavano una persona disponibile e curiosa, sorridente e diretta. E nei momenti peggiori, quando per i buchi nel bilancio il Policlinico è finito all'asta fallimentare, Marco Spissu è stato vicino al personale, esponendo con i dipendenti i cartelli di protesta davanti alla struttura di viale Italia e sfilando con loro.

Il collega

La nuova proprietà arrivata l'estate scorsa gli aveva proposto un contratto di collaborazione e aveva accettato. Anche per questo il 4 marzo era in sala operatoria assieme al collega Carlo Conchedda, prima suo allievo, poi collaboratore diretto. Anche lui ha contratto il Covid anche se non in forma grave. Proprio ieri è stato sottoposto al secondo tampone dopo che il primo è risultato negativo. «Provo una tristezza incredibile - ha raccontato il chirurgo - ho lavorato accanto a Spissu per 25 anni. Ho iniziato in sala operatoria con lui, praticamente gli devo tutto quello che so. Più che un amico era diventato un fratello maggiore. Era bravo tecnicamente, ma soprattutto era una persona di rara umanità. Un soldato della corsia e un galatuomo». Marco Spissu, cugino dell'ex presidente del Consiglio regionale Giacomo, aveva frequentato anche il mondo dello sport cittadino. Appassionato di pallavolo era stato dirigente della Solo Volley e all'epoca aveva favorito la fusione con la storica società Silvio Pellico. La notizia della morte di Spissu si è diffusa in un attimo in città e sui social sono apparsi tantissimi messaggi di ringraziamento per quello che ha fatto in corsia. Il suo nome va aggiunto a quello dei troppi medici uccisi da questo maledetto virus.

Franco Ferrandu


 

 

 

 

 

2 - L’UNIONE SARDA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 5

LA POLEMICA. Il prorettore Marongiu replica ai primari del Policlinico

«NON SPETTANO AI CHIRURGHI LE PROPOSTE OPERATIVE»        
Al Policlinico di Monserrato nei giorni scorsi sono stati individuati 19 casi di positività tra operatori sanitati e degenti

«Non spetta ai chirurghi fare proposte operative. Rifarei quello che ho fatto con il collega contagiato. Chiunque può aver portato il virus all'interno del Policlinico, non solo i pazienti, il personale sanitario non è +immune da questo sospetto. La lettera dei primari ha l'intento di attaccare l'Aou e non di fare quadrato intorno ad essa, questo è grave. Non si sarebbe dovuta coinvolgere la stampa e l'opinione pubblica».

Nella querelle esplosa al Policlinico di Monserrato, ieri si registra una dura replica del prorettore Francesco Marongiu.

Diciannove casi di positività all'Aou di Cagliari - accertati in differenti giorni di analisi, tra operatori sanitari e degenti - hanno fatto da detonatore a polemiche su eventuali falle del protocollo di sicurezza, scontri tra dirigenti e primari e tanta paura.

E mentre continuano le indagini serrate, con oltre mille tamponi fatti e ripetuti, prosegue anche il botta e risposta cominciato all'indomani della scoperta di un primario contagiato (insieme con infermieri, oss e pazienti).

Sabato scorso il direttore generale dell'Aou Giorgio Sorrentino ha chiesto ai dipendenti maggiore attenzione; un gruppo di primari (tra cui quello infettato) del dipartimento di Chirurgia ha replicato chiedendo la chiusura della struttura per il tempo necessario ad adottare maggiori condizioni di sicurezza; l'azienda ha risposto che non ci sarebbe stato nessun lockdown, e ieri è arrivato l'intervento del professor Francesco Marongiu, pro rettore per le attività assistenziali. Che dice: «L'Aou ha messo in atto tutte le misure di sicurezza previste per un ospedale non Covid. È vero che c'è stata sempre una carenza di presìdi, ma certamente non mi pare che la responsabilità sia della Direzione generale dell'Aou. Si è tratto di un problema regionale e nazionale».

Ancora: «I tamponi sono sempre stati contingentati, e occorre l'autorizzazione dell'Unità di crisi. Il Pronto soccorso ha fatto uno screening adeguato riguardo ai pazienti sospetti, e ha tenuto i pazienti in attesa dell'esito del tampone. I colleghi chirurghi sono stati diffidati dal direttore sanitario Nazareno Pacifico quando 15 giorni fa hanno minacciato di non operare alcun paziente se non dopo averlo sottoposto a tampone. Occorre anche far notare che l'attività chirurgica da circa un mese sia quasi del tutto ferma. Non così quella delle altre discipline. Il nostro ospedale, infatti, poiché non Covid, ha aperto le porte a tutti i pazienti che in questo periodo non hanno trovato assistenza in altri ospedali. Sembra, infatti, che ci siamo dimenticati del fatto che le altre malattie non sono sparite, anzi. Impossibile fare un filtro adeguato che copra il 100% del rischio, certo, si dovrà fare di più, disegnando percorsi rigorosi, una zona filtro per tutti gli operatori, la disponibilità adeguata dei presidi necessari: mi risulta che la Direzione sanitaria si sia già attivata.

Non sarebbe anche adesso il caso di incontraci tra noi e non sulla stampa, per discutere?».

 

 

 

 

 

 

3 - L’UNIONE SARDA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 17

L’EMERGENZA. Maura Statzu fa parte dello staff di ricercatori guidato da Guido Silvestri

COVID-19, UNA GIOVANE SULCITANA IN PRIMA LINEA AD ATLANTA
Alla Emory University studi su test sierologici, terapie, farmaci e vaccinia

Da Nuraxi Figus a uno dei templi mondiali della virologia: è l'incredibile salto fatto da una giovanissima scienziata sarda. Dopo la laurea all'Università di Cagliari e la magistrale alla Sapienza di Roma, Maura Statzu, 31 anni, è volata sino ad Atlanta (Georgia), alla Emory University. Non un ateneo qualunque: il capo dipartimento di Patologia e direttore della divisione di Microbiologia e Immunologia allo Yerkes national primate research center è Guido Silvestri, lo scienziato e divulgatore scientifico in prima linea nella lotta contro il Sars-cov2.

Il lavoro

Un osservatorio privilegiato quello della scienziata sulcitana. Che, direttamente, si occupa di hiv («Una malattia che continua a provocare un milione di morti l'anno»). E condivide lo stesso ottimismo del suo mentore. Recentemente Silvestri ha scritto su Facebook che il coronavirus «non ha speranze». Lei, dal canto suo, ostenta la stessa fiducia quando parla di hiv. «Stiamo cercando la cura definitiva, arriveremo al vaccino». Ovviamente, in queste ore tutti i riflettori sono puntati sulla lotta contro il coronavirus. «La Emory University sta lavorando su tutti i fronti: è stato messo a punto un test sierologico e, nel frattempo, si studiano terapie, farmaci antivirali e anche i vaccini». I passi avanti già sono stati fatti. «Nella nostra università li stiamo testando».

L'ottimismo

La ricerca per l'immunizzazione è quella seguita con maggior interesse da tutta la popolazione mondiale: soltanto quando esisterà un vaccino, il covid-19 smetterà di essere un incubo. «La luce in fondo al tunnel si vede anche se, ovviamente, serve tempo». Qualcuno sostiene che sia inutile pensare a un vaccino dal momento che il virus è a Rna e, quindi, muta velocemente. «Certo. Ma esistono già altri vaccini contro virus a Rna». Tra i tanti approcci seguiti dalla Emory c'è quello di riconoscere e neutralizzare la proteina spike, quella che consente al virus di entrare nella cellula umana. «Ogni settimana, Silvestri ci riunisce in un meeting per parlare dei progressi che vengono fatti volta per volta. Lui è un vero leader, un grande motivatore. Impossibile non condividere il suo ottimismo. Tra l'altro, qui abbiamo la grande fortuna di lavorare con scienziati che provengono da tutto il mondo: lo scambio di saperi, di culture si rivela un'arma in più». In fondo, la ricetta più semplice del mondo. In realtà, ce n'è anche un'altra. «Il mio suggerimento? Mai come in questo periodo bisogno riporre fiducia negli scienziati, nei ricercatori e nei medici».

Il trasferimento

Una carriera che merita di essere raccontata quella della giovane scienziata sulcitana. «Dopo la magistrale alla Sapienza, sono rimasta a Roma per il dottorato di medicina sperimentale in virologia e immunologia. Lì ho saputo che Silvestri cercava post doc: ho avuto modo di parlarci quando era a Roma per un congresso. A novembre 2018 ho fatto l' application e a giugno dell'anno scorso mi sono trasferita ad Atlanta». La guerra contro un infido virus come quello che provoca l'hiv; una guerra destinata al successo: il massimo per una scienziata. Ma Statzu è anche una giovane sarda. «Che cosa mi manca della Sardegna? Tutto. Gli affetti, gli amici, la famiglia, il mare, il cibo, il clima. Certo, siamo nel sud degli Stati Uniti: qua in Georgia il clima è caldo. Ma vuoi paragonarlo con quello della Sardegna?».

Marcello Cocco









 

La Nuova Sardegna



 

 

 

4 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 10
POST LOCKDOWN
Tamponi, app e controlli a tappeto sulla popolazione per cancellare i contagi e isolare subito i positivi sul modello Corea

IL LABORATORIO SARDEGNA
Appello di 150 accademici: sblocchiamo ora l’isola con un protocollo speciale

di Luca Rojch
SASSARI La Sardegna come un immenso laboratorio, in cui sperimentare un modello per contrastare il coronavirus e far ripartire l'economia. L'idea arriva da un gruppo di 150 accademici italiani, che hanno scritto una lettera-appello in cui propongono una strada per uscire dalla pandemia. Basta leggere con attenzione il documento per capire che il protocollo necessita di una fase di sperimentazione: l'area ideale per avviarla è una regione in cui i numeri del contagio sono contenuti. E l'ideatore dell'iniziativa, Giuseppe Valditara, già capo dipartimento alta formazione e ricerca del Ministero dell'istruzione, sembra avere pensato alla Sardegna, mentre buttava giù le linee guida di questo protocollo.
L'IDEA
L'idea è ambiziosa, far diventare la Sardegna la prima regione covid free del Mediterraneo. «Si parla da qualche giorno della fase 2 - spiega Valditara - e di come attuarla. La Sardegna potrebbe essere il luogo ideale da cui partire. Perché per avviare la fase 2 serve una regione che abbia un numero di contagi basso e dunque sia più facile da controllare. Si potrebbe ripartire da qua. E si potrebbe ripartire da un modello che prenda come base quello applicato con successo nella Corea del Sud, declinato però in base alle esigenze di un'area differente come l'Italia». Ma serve velocità. «Non si può attendere. La fase 2 deve essere avviata rapidamente per evitare che il sistema produttivo ne esca fortemente danneggiato, con la perdita di milioni di posti di lavoro e l'impoverimento di ampie fasce di popolazione. La riapertura deve essere graduale, accompagnata da misure che mettano in sicurezza i cittadini. La vera sfida, infatti, è coniugare economia e salute. Noi abbiamo proposto un modello che si basa su quattro misure».
LE 4 MISURE
Valditara spiega come esista un protocollo preciso e determinato. «Per prima cosa devono essere fatti tamponi per tutte le persone che presentano sintomi, per i loro familiari e per tutti quelli che sono venuti a contatto con loro. Servono poi il tracciamento e la geolocalizzazione. I contatti di chi è positivo nei giorni topici, che sono quelli precedenti alla manifestazione della malattia, sono garantiti attraverso il tracciamento. In questo modo si può capire chi può essere stato potenzialmente infettato. La geolocalizzazione è ugualmente fondamentale. La persona positiva viene geolocalizzata e si conosce il percorso e la posizione in tempo reale. Servono anche le mascherine filtranti e proteggenti obbligatorie per chi frequenta luoghi pubblici o ha rapporti con il pubblico. L'ultimo punto sono le strutture di contenimento per i positivi e per chi è venuto a contatto con loro. E queste possono essere procurate utilizzando le seconde case, gli alberghi o altri luoghi attrezzati».
PERCHÉ LA SARDEGNA
Per diffusione del virus, per conformazione geografica e bassa densità abitativa la Sardegna sembra essere il luogo ideale in cui applicare questo protocollo. «L'isola potrebbe diventare la prima regione covid free del Mediterraneo - spiega Valditara -. E grazie a questa condizione si potrebbero trasferire nell'isola molte produzioni strategiche che in altre regioni di Italia non si possono fare. Perché bloccate dai divieti governativi». Valditara elenca altri aspetti positivi. «Si potrebbe far risollevare subito l'economia e accompagnare lo sviluppo turistico. Resterebbe l'obbligo di fare il tampone per chiunque voglia arrivare in Sardegna».
IL COINVOLGIMENTO
Non si deve creare un modello imposto dall'alto. Al contrario. «È indispensabile la collaborazione delle migliori intelligenze dell'isola. A partire dalle due università di Cagliari e Sassari. Nei due atenei ci sono risorse che hanno grande esperienza in materia medica e nell'intelligenza artificiale. Si potrebbe realizzare qualcosa di importante anche per l'economia della Sardegna».
I TEMPI
Valditara non nasconde l'urgenza di partire da subito. «Non c'è dubbio. Si potrebbe iniziare prima del via della fase 2 nel resto d'Italia. Sarebbe una fase di sperimentazione». Un passaggio è legato alla possibilità che l'app, che tutti dovrebbero scaricare sul cellulare e che monitora gli spostamenti, violi la privacy. Ma anche questo ostacolo è rimosso. Ci sono diverse sentenze in cui si stabilisce in modo chiaro che il diritto alla vita e alla salute pubblica sono prioritari rispetto alla tutela della privacy del singolo. La app. Nel progetto è previsto che tutti scarichino l'app. Ma serve un decreto della presidenza del consiglio. «Si può immaginare un'intesa con il governo centrale in cui si dà una deroga alla Sardegna. Si concede di circolare a patto che venga scaricata l'app sul telefonino - precisa Valditara -. Questo sarebbe un forte incentivo. Ma non significa che si potrà dire addio a guanti e mascherine, con cui dovremo convivere ancora a lungo. Così come non si potranno abbandonare comportamenti di maggiore cautela». I tempi. È impossibile pianificare una data per la dichiarazione della Sardegna come regione Covid free. «Ma posso dire che il modello della Corea del Sud, che abbiamo come riferimento, è riuscito ad abbattere i positivi - conclude Valditara -. In poche settimane è passato da centro dell'epidemia a uno dei Paesi con i contagi più bassi, anche se molto vicino all'epicentro cinese. Un dato che da solo basterebbe a far capire l'efficacia di questo approccio. E sottolineo l'importanza di adottare questo approccio per affrontare il coronavirus perché non è ancora chiara la dinamica della pandemia. In altre parole secondo alcuni esperti ci si dovrà convivere a lungo. E in autunno si potrebbe di nuovo rischiare una seconda ondata. Ecco perché è importante da subito adottare un metodo che garantisca il controllo dell'epidemia».@LucaRojch@

 

 





 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 10

L'ISOLA LABORATORIO POST VIRUS

di LUCA ROJCH
Ma la loro non è solo una richiesta astratta, una esposizione della propria volontà da intellettuale. È un progetto concreto che vuole mettere la Sardegna al centro di un protocollo sperimentale che le consentirebbe di uscire in modo graduale dalla quarantena di massa attraverso il rispetto di una serie di regole.

Un mix di disciplina e alta tecnologia che si ispira al modello messo in atto nella Corea del Sud. Secondo gli accademici la ripartenza è possibile e la Sardegna sarebbe il laboratorio perfetto. La curva dei contagi è stata contenuta, l'isola ha una bassa densità abitativa e ha porti e aeroporti sigillati. Le condizioni ideali per sperimentare il protocollo. A questo si deve aggiungere la alta formazione medica e tecnologica che in alcuni poli sardi ha raggiunto livelli di eccellenza.

Questo consentirebbe, secondo il pool di accademici, di anticipare la fase 2 e mettere le basi per evitare una seconda ondata del virus in Sardegna.

La linea viene segnata in modo preciso, attraverso la scansione di alcune regole. Come l'obbligo di scaricare una app sul telefono che tracci tutti gli spostamenti e i contatti. Quello di indossare la mascherina, mantenere la distanza sociale.

 Ma il protocollo prevede anche tamponi a tappeto alla popolazione e l'utilizzo di strutture ad hoc per la quarantena dei positivi e di chi ne è venuto a contatto.

Una macchina complessa da allestire. Ma chi propone questo modello sembra certo della sua realizzazione.

L'obiettivo è fare della Sardegna la prima regione d'Europa covid free. Un obiettivo ambizioso che potrebbe essere raggiunto. Basta il sostegno della Regione.

E il governatore Christian Solinas, che in queste settimane si è contraddistinto come uno dei più accaniti sostenitori della linea dura, tanto da vietare la riapertura anche di librerie e cartolerie, e ribadire la chiusura di tutte le spiagge, potrebbe avere una nuova possibilità. Solinas potrebbe fare della Sardegna, grazie a questo protocollo, una regione all'avanguardia nella lotta al coronavirus. Un modo per diventare una locomotiva della ripresa e non una delle carrozze più frenate. Un modo non solo per far ripartire l'economia, ma anche per tutelare la salute dei cittadini.

Perché solo con un modello che metta al primo posto le persone e la loro salvaguardia si potrà sconfiggere il virus. Ma per una volta i tempi dilatati della politica dovranno lasciare posto a un certo pragmatismo per organizzare una reazione alla pandemia che ha messo in ginocchio la Sardegna. @LucaRojch@
 

 

6 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 11
Il sistema ha quasi azzerato la curva della pandemia grazie a una app e a un controllo capillare della popolazione

Il modello Sud Corea per cancellare la diffusione del covid
SASSARI Si parla da tempo del modello coreano come il punto di svolta per affrontare il virus e tenerlo sotto controllo. Un sistema che si è rivelato vincente sia nell'immediato, sia nella gestione a lungo termine che di fatto ha mantenuto basso il livello di contagio e di vittime.

L'arma segreta per affrontare l'inarrestabile morbo è una applicazione da scaricare sul telefonino che può diventare il più efficace degli antivirus. Ma da solo non basta. Servono una serie di protocolli da rispettare. In Sud Corea sono riusciti a contenere in modo incredibile la diffusione del virus e lo hanno fatto grazie all'utilizzo di una app e di un sistema di intervento efficientissimo, ma che può essere riprodotto anche in Italia. L'indice di letalità in Corea del Sud è dello 0,7 per cento. In Lombardia è dell'8 per cento.

E in molti elogiano il modello che viene proposto. Anche l'ex governatore Francesco Pigliaru è un sostenitore di questo metodo e sul suo profilo Facebook spiega perché può essere la svolta.

Non basta da solo il lockdown, la chiusura totale di ogni attività, non basta. È indispensabile per prendere tempo ed evitare che il virus dilaghi nella popolazione, ma serve una strategia di più ampio respiro. I motivi sono semplici. Per prima cosa i contagiati sono più di quelli che vengono rilevati in modo ufficiale. C'è un esercito di positivi sommersi che non sono stati censiti.

C'è anche un altro aspetto fondamentale. Anche se il lockdown avrà effetto bastano minuscoli focolai perché il contagio divampi nuovamente. Uno studio di Science sostiene che basterebbero anche solo quattro persone.

Questi dati devono far riflettere e far capire quanto sia fondamentale il tracciamento digitale. Il sistema che viene adottato anche in Taiwan prevede l'utilizzo di una applicazione che viene scaricata sul telefonino che traccia e registra tutti gli spostamenti. Per due volte al giorno chiede al proprietario del telefono quali siano le proprie condizioni di salute.

A seconda della risposta, se si denuncia qualche sintomo di coronavirus si viene raggiunti da una task force che fa subito il tampone. In caso di positività, con il gps del telefono si ricostruiscono tutti gli spostamenti e i contatti avuti. Si fanno i tamponi a tutte le persone con cui si sono avuti i contatti. In questo modo si costruisce da subito un cordone sanitario che circoscrive il contagio. Vengono isolati anche gli asintomatici e i preasintomatici.

La somma di lockdown e di controllo con l'app limita il contagio. L'idea della Sardegna viene portata avanti per le sue condizioni. Contagi non troppo alti, scarsa densità abitativa e possibilità di intervenire sul territorio in particolare nelle aree molto urbanizzate. Che nell'isola sono relativamente poche.

Il sistema sistema ideato dalla Corea ha risultati sorprendenti: 204 morti e 10.423 casi. In Italia ci sono 18.279 morti e 143 mila positivi.

Il confronto diventa ancora più impietoso se si considera che in Corea del Sud il virus è arrivato prima e in modo più massiccio, visto la sua vicinanza alla Cina.

E gli esperti mettono in evidenza come il metodo coreano diventa ancora più centrale nella fase dopo il lockdown. Consente di monitorare eventuali focolai e metterli da subito sotto controllo.
 




 

7 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 11
Nel testo le coordinate per far ripartire il Paese in sicurezza e evitare un ritorno della pandemia
APPELLO LANCIATO DA SCIENZIATI E INTELLETTUALI

SASSARI Come ripartire. La domanda se la pongono 150 accademici. Che non spingono sull'acceleratore per partire subito, ma vogliono che si parta bene. Che si facciano le mosse giuste per evitare nuove ondate e altri lockdown. E lo fanno con un appello manifesto che indica le regole precise da seguire per ritornare alla vita in sicurezza. «È evidente che non si può immaginare di tenere bloccato il Paese ancora per mesi perché le conseguenze sociali ed economiche rischierebbero di produrre danni irreversibili, probabilmente più gravi di quelli prodotti dal virus stesso - riporta il documento -. Le prospettive economiche sono devastanti. L'ufficio studi di Confindustria prevede un calo del Pil pari al 10%per il primo semestre 2020. Ogni settimana in più di blocco delle attività produttive costerà lo 0,75% di Pil. Molte imprese sono destinate a fallire e molti lavoratori a perdere l'occupazione. Si profila un quadro di fragilità e impoverimento del Paese». E ipotizzano una fase 2. «Per poter riavviare i motori del sistema produttivo bisogna mettere in sicurezza i lavoratori. L'esperienza della Corea del Sud, che sta utilizzando l'intelligenza artificiale può indicare una strada utile. Si è riusciti a contenere la diffusione del virus senza bloccare l'intero sistema. Il contenimento attivo della progressione del contagio ha evitato la saturazione degli ospedali, limitando la mortalità dei contagiati. Riteniamo che si possano ottenere risultati comparabili in Italia. Occorrono tamponi e test sierologici generalizzati. Le app di tracciamento sono sotto questo profilo decisive, è dunque necessario l'avvio di una politica di geolocalizzazione che deroghi temporaneamente alle norme sulla privacy. Più in generale, il ricorso all'intelligenza artificiale è strategico per un efficace e risolutivo contrasto dell'epidemia. Ma serve anche l' obbligo delle mascherine per tutti coloro che frequentano luoghi pubblici o dove si possono riunire più persone: uffici pubblici e privati, supermercati, mezzi di trasporto. Si devono altresì prevedere forme di isolamento e monitoraggio con adeguata quarantena dei positivi per evitare il contagio dei conviventi e dei loro contatti stretti. Queste misure potrebbero richiedere l'uso di hotel e case vacanze. Dal momento che è possibile un ritorno dell'epidemia in autunno, è fondamentale preparare e attivare fin da subito una fase 2».






 

8 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / SASSARI - Pagina 17
Aveva operato al Policlinico la prima persona trovata positiva al Covid-19
Primario e docente universitario, era rientrato in servizio qualche mese fa
CONTAGIATO DA UN PAZIENTE MUORE IL CHIRURGO SPISSU

di Roberto Sanna
SASSARI Il professor Marco Spissu amava talmente tanto il suo lavoro da non essere riuscito, pur essendo già in pensione, a dire di no alla chiamata del Policlinico, che stava ripartendo dopo il fallimento e aveva bisogno di un medico come lui. Una garanzia sul piano professionale e, soprattutto, inarrivabile sul piano umano. Il coronavirus se lo è portato via ieri dopo essersi insinuato dentro di lui durante quella che doveva un'operazione di routine, effettuata però su quello che poi sarebbe risultato il primo paziente positivo al virus nella struttura privata cittadina. Quella scoperta aveva portato alla chiusura temporanea del Policlinico (oggi struttura interamente covid) al trasferimento del paziente nel reparto di Malattie infettive. Dietro le quinte di questo polverone, quel chirurgo sorridente stava già combattendo la sua battaglia: i primi sintomi, il ricovero in ospedale, un miglioramento che aveva illuso tutti, poi le sue condizioni si sono nuovamente aggravate fino alla resa di ieri mattina. Marco Spissu è il secondo medico ucciso in Sardegna dal coronavirus. Il primo, una settimana fa, era stato Nabeel Khair, medico di base a Tonara, deceduto al Santissima Trinità di Cagliari.Marco Spissu era nato a Cagliari 72 anni fa. Sposato, aveva due figli che avevano egualmente scelto di indossare il camice anche se con specializzazioni diverse: Fausto è anestesista, Noemi chirurgo plastico. Laureatosi nel 1972 all'Università di Sassari, era entrato alle Cliniche universitarie e nel 1994 era passato al Policlinico di Sassari, diventando il primario di Chirurgia. Era anche un apprezzato consulente della procura della Repubblica e professore associato all'Università di Sassari. «Uno dei pochi che veramente meritava di essere chiamato professore» dicevano ieri, in lacrime, i suoi tanti colleghi e amici distrutti dalla notizia. Perché di Marco Spissu prima ancora che la grande capacità professionale si ricorderà il lato umano, il modo in cui sapeva rapportarsi coi pazienti. Riusciva a farli sentire speciali con un sorriso, una battuta o un quadratino di cioccolato regalato a una paziente alla quale aveva salvato la vita perché, comunque, era Pasqua e bisognava festeggiarla in qualche modo. Era appassionato di sport, soprattutto di pallavolo e negli anni Novanta aveva fatto parte della dirigenza della Solo Volley, società che aveva ereditato il settore maschile della storica Silvio Pellico. Era anche legatissimo a Giave, il paese dei genitori (il padre Pantaleo è morto a 102 anni, la zia Maria Cosima è ancora viva e ha festeggiato i 101) che sentiva suo ricambiato con grande affetto dalla cittadinanza che ieri, tramite la sindaca Maria Antonietta Uras ha pianto «un uomo dal cuore grande, non solo un chirurgo d'élite che lascia un'impronta indelebile in tutti quelli che lo hanno conosciuto».L'ultima parte della carriera era coincisa con le difficoltà del Policlinico e infatti non aveva resistito a quella che era una vera e propria chiamata alle armi: far rinascere una struttura dove aveva ancora tanti amici. Un ospedale per il quale, si può dire senza retorica, ha dato davvero la vita.

 

 

 

 

9 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 16 aprile 2020 / LETTERE E COMMENTI - Pagina 48

IL RICORDO
L’Università di Sassari e la lezione di Capriotti

di Annico Pau
Nelle università sarde non sempre i professori provenienti dal continente hanno lasciato un segno tangibile della loro presenza. Lo stesso non si può dire lo scienziato marchigiano Gustavo Capriotti, che negli anni Sessanta ebbe l'onore di venire a Sassari per dirigere l'istituto di Microbiologia agraria della facoltà di Agraria.
Altri contributi e risultati fattivi avrebbe prodotto con il suo impegno scientifico per il settore agricolo isolano, sul latte delle pecore sarde, sul cannonau, sulla vernaccia, sul pane carasau, se un incidente stradale, il 10 aprile 1970, mentre percorreva la Sassari-Olbia, non lo avesse stroncato, mentre si recava nella sua San Benedetto del Tronto, dove era atteso per ultimare alcune ricerche sulla Microbiologia delle acque marine.
Le sue ricerche, che talvolta sono servite a migliorare le nostre produzioni e la nostra economia, hanno avuto il loro baricentro nella facoltà di Agraria dell'Università di Sassari nell'istituto di microbiologia agraria che oggi porta il suo nome.
Il professor Capriotti si era laureato in Agraria nell'Università di Perugia nel 1945, aveva iniziato la sua carriera di ricercatore come assistente del professor Tomaso Castelli, illustre microbiologo conosciuto e affermato a livello internazionale, pioniere della scuola che ha introdotto nel nostro paese il concetto e la pratica dei lieviti selezionati, negli anni 60 e, indirettamente, in molti paesi a tradizione vitivinicola. L'argomento è stato ripreso e portato a conseguenze inizialmente impensabili nel contesto dogmatico della provenienza della specie Saccharomyces cerevisiae dal suolo di vigneto della tradizionale scuola pasteuriana.
Successivamente, proseguì nella sua formazione scientifica frequentando vari qualificati Istituti di ricerca in diversi paese stranieri, in Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, Danimarca, Florida ed infine, nei laboratori della Rutgers University del New Jersey ove aveva stabilito una stretta e fattiva collaborazione con studioso di antibiotici e premio Nobel per la medicina nel 1952, Selman Abraham Waksman. Nel novembre del 1964 raggiunse Sassari per assunse l'incarico di professore della cattedra di Microbiologia Agraria. Dotato di una spiccata curiosità di indagatore nei vari settori della microbiologia, con i suoi studi e le sue ricerche aveva raggiunto grande autorevolezza internazionale nel campo dei lieviti.
Sul piano umano rimase sempre schivo, modesto e sempre lontano dallo stereotipo dello scienziato altezzoso. Molto vicino agli studenti, li seguiva con impegno da vero maestro di scienza e di vita, così come lavorò intensamente per dare gambe ad un prestigioso istituto e una scuola che in seguito si è ulteriormente evoluta con studiosi quali i professori: Fabrizio Fatichenti, Giovanni Antonio Farris e Pietrino Deiana, solo per citarne alcuni, che continuarono i suoi studi e le sue ricerche nel campo della microbiologia.
Uomo di scienza ma anche sincero democratico, laico e mazziniano, forgiato alla gloriosa scuola del repubblicanesimo marchigiano, che gli derivava da una consolidata tradizione familiare. Sulla sua scrivania, accanto ai testi scientifici, trovavano posto opere di Giuseppe Mazzini o giornali di tradizione risorgimentale come periodico repubblicano di Ancona "Il Lucifero".
Negli anni alla sua figura di studioso, oltre che l'Istituto di Microbiologia generale e applicata del dipartimento di Agraria di Sassari, sono stati dedicati il Museo Ittico di San Benedetto del Tronto ed un Istituto Tecnico della stessa città marchigiana.
Ricordarlo a distanza di cinquant'anni dalla scomparsa appare non solo un atto doveroso da parte di chi lo conobbe e lo stimò come uomo e come scienziato, ma un giusto riconoscimento per i suoi studi nel campo della microbiologia applicata, poco conosciuti dal vasto pubblico, ma molto importanti per la nostra agricoltura e per il settore agro-alimentare.
*Agronomoed ex sindaco di Nuoro





 

10 - COMUNE DI CAGLIARI - Coronavirus - Salute - Istruzione / Data: 15 aprile 2020
https://www.comune.cagliari.it/portale/page/it/coronavirus_luniversita_di_cagliari_mette_online_gli_aggiornamenti_sulla_ricerca_scientifica?contentId=NVT27817 
CORONAVIRUS: L'UNIVERSITÀ DI CAGLIARI METTE ONLINE
GLI AGGIORNAMENTI SULLA RICERCA SCIENTIFICA
L'iniziativa si affianca a quelle espresse anche dal Comune, per fornire informazioni certe e chiare su temi che spesso sono oggetto di false notizie che possono essere rischiose per la comunità.

Un servizio di aggiornamento sul tema della ricerca scientifica nei vari settori di interesse (medico, economico, sociale) intorno al nuovo Coronavirus Sars-Cov-2 e alla malattia da esso causata, Covid-19.
L'Università degli studi di Cagliari mette a disposizione nella homepage del suo sito web ( www.unica.it ) in poche righe il contenuto di lavori scientifici particolarmente importanti e rimanda, per un eventuale approfondimento, al link del lavoro originale o del sito scientifico da cui è stato estratto.
L'iniziativa dell'Ateneo cittadino si affianca a quelle espresse anche dal Comune di Cagliari, per fornire informazioni certe e chiare su temi che spesso sono oggetto di false notizie che possono generare scelte e comportamenti pericolosi per la comunità.

 

Questionario e social

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