Domenica 24 maggio 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
24 maggio 2020

L'Unione Sarda



 

1 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 maggio 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 6
Fase 2. L’antropologo Tiragallo: le stoffe alla moda contro l’appiattimento

NUOVA VITA CON LA MASCHERINA
Cosentino, prof di Igiege: “Ok le lavabili se c’è il distanziamento

Adesso che la portiamo tutti, ma davvero tutti, è diventata un accessorio di moda. A parte quelle chirurgiche, fino a ieri quasi introvabili in farmacia e peraltro monouso, la maggior parte di noi utilizza le mascherine lavabili - di tessuto non tessuto o di cotone - vendute in mille fantasie più o meno come l'intimo donna: animalier, fiori, tinta unita, quadretti e via. Quel che ancora non abbiamo capito bene, però, è come indossare tale accessorio e soprattutto come maneggiarlo sempre nel rispetto della massima igiene.

CHI PROTEGGE LA BARRIERA. Adesso che fa caldo poi, chi di noi - appena vede che attorno non c'è anima viva - non la sfila liberando il naso e respirando a pieni polmoni? «In teoria bisognerebbe metterla e lasciarla, in pratica capisco che è impossibile. Per cui, come sempre, bisogna avere buonsenso. Ciò che occorre ricordare - avvisa la professoressa Sofia Cosentino, docente di Igiene dell'Università di Cagliari - è che la mascherina serve a proteggere gli altri e non me, quindi se sono positivo al Covid e sto sempre ad aggiustarla e a sfilarla e poi tocco le cose intorno, lì può trasmettersi l'infezione. Quindi è vero che ci vuole buonsenso: ormai non stringiamo più la mano per salutarci, ovunque entriamo troviamo il disinfettante all'ingresso, nei supermercati usiamo i guanti. A quel punto un po' di elasticità ce la possiamo anche permettere con la mascherina». Dunque, se stiamo facendo una passeggiata, e vediamo che attorno a noi non c'è nessuno, possiamo spostarla? «Con i dovuti accorgimenti».

ISTRUZIONI PER L'USO. Come? Posso levarla e metterla in borsa? «No, la si può abbassare sotto il mento toccandola ai lati oppure sotto». Ovviamente, avverte la professoressa Cosentino, «bisogna sempre ricordarsi che le mascherine sono utili se si rispetta la distanza fisica, l'igiene delle mani e la regola di non toccarsi il viso, il naso, la bocca e gli occhi. Se si sta in un ambiente chiuso dove non può essere rispettata la distanza bisogna utilizzare quelle chirurgiche, per il resto vanno bene quelle di Tnt o cotone, le coprinaso-bocca ammesse dal decreto Cura Italia per la popolazione generale». Prima di mettere la mascherina, «bisogna lavarsi bene le mani con acqua e sapone e indossarla toccando solo gli elastici».

COME LAVARLE E SANIFICARLE. La mascherina monouso, va detto, per la maggior parte di noi (che non siamo medici) non è mai usa e getta. E' così tanto sbagliato? «Se la si usa tutto il giorno non va bene: il vapore acqueo che emettiamo con la respirazione dopo un po' la inumidisce facendole perdere efficacia. Se invece la si porta solo per qualche ora, sarebbe uno spreco enorme buttarla». Uno dei metodi per sanificarla sarebbe lasciarla all'aria per qualche giorno: ha senso? «Sono stati fatti degli studi preliminari utilizzando diversi metodi di disinfezione, ma non c'è niente di pubblicato in merito. E' ancora questione di buonsenso: per evitare l'usa e getta, scongiurando l'incremento dei rifiuti, magari sarebbe meglio scegliere le mascherine di stoffa, sempre se si ha la possibilità di mantenere le distanze». Stoffa o tessuto non tessuto. «Si possono lavare e disinfettare. Basta un lavaggio in lavatrice a 60 gradi oppure a mano in acqua calda col disinfettante per biancheria». Dove va riposta la mascherina che riutilizziamo? Mai in tasca o poggiate sui mobili, avverte il vademecum dell'Istituto superiore di Sanità. «Basta una bustina pulita - dice Sofia Cosentino -. Di carta o di stoffa. Niente plastica, inquina».

LA MODA SALVA LA SOCIALITÀ. Le mascherine lavabili fanno bene all'ambiente, ma evidentemente - in epoca di distanziamento fisico - pure alla socialità. Felice Tiragallo, docente di antropologia culturale dell'Università di Cagliari, dice che, «le mascherine alla moda, magari personalizzate come quelle coi colori di una società sportiva, o più vivaci per le donne, più austere per gli uomini, distinguono appartenenze di ordine generale. Credo sia un modo per combattere questo appiattimento, la difficoltà che comunque tutti avremo per un po' di tempo a mostrarci vicini e ad avere una vera prossimità, una vera intimità sociale. Un fatto necessario, un segnale anche positivo dal punto di vista sociale, ma frappone tra le persone delle barriere riguardanti proprio la riconoscibilità, l'identità, che appunto questa moda di personalizzare le mascherine può cercare di contrastare». Nei nostri comportamenti c'è già un fondo di contraddizione. «Quel che mi colpisce di più - spiega l'antropologo - è che usare le mascherine in una situazione pubblica è un segnale di cura e di responsabilità nei confronti degli altri, però si collega anche a un modo diverso, che ormai tutti stiamo imparando, di concepire e regolare le distanze, e stabilire così situazioni di difesa rispetto al prossimo».

Piera Serusi






 

2 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 maggio 2020 / ITALIA - Pagina 21
CELEBRAZIONI. Ventotto anni fa le stragi di Capaci e via D’Amelio dove fu uccisa la poliziotta di Sestu Emanuela Loi
FALCONE E BORSELLINO, CAGLIARI RICORDA I MARTIRI DELLA MAFIA
Lenzuoli bianchi stesi sulle facciate del Municipio e di sedi dell’Università

La prima bomba, tanto potente da far saltare un intero tratto di autostrada a Capaci, vicino a Palermo, uccise il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie e i tre agenti della scorta il 23 maggio del 1992. L'altra strage al tritolo, quella di via D'Amelio nel capoluogo siciliano, è di pochi mesi dopo: il 19 luglio, quando a saltare in aria fu il magistrato e più grande amico di Falcone, Paolo Borsellino, assieme alla sua scorta. Tra i poliziotti uccisi c'era Emanuela Loi, agente della Polizia di Stato di scorta a Borsellino. Aveva 25 anni. Alla sua memoria è dedicato il ponte sopra la Statale 554 che conduce alla strada per Sestu, il paese della poliziotta che in via D'Amelio concluse nel modo più tragico la propria giovane esistenza.

LA RICORRENZA. Ieri, nel giorno del 28° anniversario della strage di Capaci, anche a Cagliari sono stati ricordati i due magistrati dilaniati in quelle due terrificanti esplosioni che scossero Palermo. Falcone e Borsellino sono ricordati insieme perché nella lotta alla mafia lavoravano insieme e, appunto, insieme avevano spaventato Cosa Nostra a tal punto da indurre Totò Riina a organizzare due attentati di esemplare violenza e potenza mediatica.

IL SINDACO TRUZZU. Ieri il primo cittadino cagliaritano ha partecipato alla Giornata nazionale della legalità, promossa dall'Associazione nazionale Comuni italiani (Anci). Paolo Truzzu ha ricordato la figura di Falcone. Accogliendo l'invito giunto proprio dall'Anci, sulla facciata del Municipio in via Roma è stato esposto un lenzuolo bianco per ricordare il sacrificio di vite nella lotta contro la mafia.

L'UNIVERSITÀ. Anche sulla facciata dell'Ateneo cagliaritano sono comparsi i lenzuoli bianchi (quattro) per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo (magistrata, moglie di Falcone) e la loro scorta. L'Università ha deciso di aderire all'invito della Fondazione Francesca Falcone con l'obiettivo di commemorare il sacrificio del magistrato palermitano, di sua moglie e degli agenti fatti saltare in aria con loro. «L'impegno contro la mafia e le mafie», ha scritto la rettrice dell'Ateneo cagliaritano, Maria Del Zompo, in una lettera inviata a Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso, «non deve arrestarsi mai. Neanche durante la lotta al Covid-19 si possono dimenticare i magistrati, le forze dell'ordine e i semplici cittadini che hanno perso la vita. Questa iniziativa sottolinea l'impegno dell'Ateneo cagliaritano contro la criminalità. Abbiamo appeso i lenzuoli in Rettorato», conclude Del Zompo, e invitato prorettori, presidenti di facoltà, direttori di dipartimento e dei centri di servizio dell'Ateneo, dirigenti e presidente del Consiglio degli studenti, a nome dell'intera comunità accademica, a fare altrettanto sui vari edifici».

Luigi Almiento




 

3 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 maggio 2020 / SASSARI E ALGHERO - Pagina 44
Sassari. Per la prima volta nella storia dell’Ateneo un sindacato sollecita il dibattito
LA CISL: IL RETTORE CONVOCHI LE ELEZIONI, È ORA DI PARLARE DELL'UNIVERSITÀ

«Il rettore Massimo Carpinelli è in scadenza di mandato e non si hanno ancora notizie delle elezioni, ma soprattutto c'è un silenzio inspiegabile nell'Università di Sassari, quasi un timore reverenziale». Con una "Lettera aperta alla comunità universitaria" cerca di smuovere le acque Piero Canu, segretario della Federazione Cisl Università di Sassari, la sigla sindacale più rappresentativa sia fra il personale tecnico-amministrativo sia fra i docenti.

«Lavoro come funzionario nell'ateneo da 42 anni e mai ho vissuto una situazione simile. Il 31 ottobre scade il mandato dell'attuale rettore, ma ad oggi si tergiversa, non si parla né di elezioni né di candidati né di programmi. Così, per la prima volta nella storia del nostro Ateneo, la nostra Organizzazione sindacale ha ritenuto di intervenire all'interno del dibattito abbattendo il dogma dell'equa distanza e del rispetto verso gli organismi statutari. «Vogliamo - scrive - risvegliare le coscienze, soprattutto nei componenti del Senato Accademico che possono inserire un ordine del giorno per stimolare l'avvio della procedura e la nomina della Commissione elettorale».

Il lockdown da Covid-19 non può essere una scusa, come evidenzia Piero Canu: «Altri atenei come la Sapienza di Roma e Genova hanno già avviato le procedure per le elezioni rettorali. Il termine per emanare il decreto elettorale è il 31 luglio e sono convinto che le scadenze verranno rispettate dal rettore, ma è opportuno iniziare un dibattito alla luce del sole, tanto più che il distanziamento sociale non consentirà lo svolgimento delle consuete campagne elettorali a cui eravamo abituati».

Giampiero Marras





 

4 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 maggio 2020 / COMMENTI - Pagina 45
L’INTERVENTO
Danni neurologici dal coronavirus

Nei giorni in cui il Paese riapre e si spera di intravedere se non la fine almeno una flessione consistente della pandemia, lo sguardo dei ricercatori si sta allargando sulle possibili conseguenze dell'infezione da Covid-19. In un articolo uscito pochi giorni fa su “Frontiers in Neurology”, si materializzano le inquietudini che hanno aleggiato sulla malattia ma che l'urgenza delle rianimazioni e delle terapie intensive ha tenuto alla larga dall'attenzione delle varie agenzie. Il titolo dell'articolo, a firma del professor Pereira, brasiliano, dice molto. Traduco: “Le minacce neurologiche a lungo termine del Covid-19: un richiamo per aggiornare circa le conseguenze della pandemia”. L'argomentazione è in realtà quanto molti neurologi lontani da microfoni e telecamere avevano pensato sin da quando è stata evidente la semeiologia iniziale dell'infezione: perdita dell'olfatto, del gusto, problemi gastrointestinali. Ma questi sintomi erano poi soverchiati dalla compromissione grave polmonare e cardiaca che, insieme, hanno rappresentato di gran lunga la più comune causa mortis.

Tuttavia l'articolo di cui sopra ricorda come certi disturbi iniziali del Covid-19 erano stati spesso presenti nel percorso clinico iniziale del famigerato virus che causò nel 1918 la pandemia nota come “spagnola”, che ebbe una fase mortale immediata ma poi, in moltissimi di coloro che erano scampati alla morte, indusse malattie degenerative come il morbo di Parkinson. Il film “Risvegli” venne tratto da un racconto del neurologo Oliver Sacks che, giovanissimo, prestò servizio in un ospedale di New York che fece i primi trattamenti farmacologici anti-Parkinson su alcuni di questi pazienti. In conclusione, non sappiamo come il virus si stia comportando nel sistema nervoso, non conosciamo se il suo patrimonio genetico possa modificare il traffico delle nostre sinapsi ed eventualmente reindirizzare i prodotti metabolici nel neurone verso i famigerati accumuli proteici che inducono la maggior parte delle malattia degenerative (Parkinson e demenze incluse). Ora più che mai dovremo investire in ricerca e soprattutto dovremo essere estremamente prudenti nei nostri comportamenti sociali. Inoltre questo monito ora riguarda proprio i giovani: le malattie neurodegenerative dopo la “spagnola” si manifestarono a decenni di distanza e riguardarono una altrettanto numerosa popolazione rispetto alla fase acuta.

FRANCESCO MARROSU
NEUROLOGO

La Nuova Sardegna

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