Venerdì 2 marzo 2018

02 marzo 2018

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di venerdì 2 marzo 2018 / Economia (Pagina 13 - Edizione CA)
La rettrice di Cagliari Del Zompo: «Il nostro lavoro non valorizzato dai criteri nazionali»
RICERCA, SOLO BRICIOLE PER L'ISOLA
Dal ministero risorse per 27 assunzioni: sono 1300 in tutta Italia

L'Università sarda non brilla di certo nel panorama nazionale. Lo hanno confermato i 27 nuovi posti di lavoro assegnati dal Piano straordinario di reclutamento per ricercatrici e ricercatori previsto dalla legge di bilancio del 2018 agli atenei di Cagliari e Sassari, entrambi svantaggiati dai criteri imposti dal ministero dell'Istruzione. A sfavorire le sorti dell'Isola non c'è stata soltanto l'assenza di centri di ricerca riconosciuti, ma anche la poca vivacità mostrata dal tessuto imprenditoriale locale al fianco dei progetti di ricerca dei due capoluoghi.
PARAMETRI PENALIZZANTI Per il 2018 i fondi ministeriali garantiranno appunto l'assunzione di 27 nuove figure, 16 a Cagliari e 11 a Sassari: forse un po' poche se confrontate con gli oltre 1.300 posti finanziati in tutta Italia, e non a caso insufficienti anche per la rettrice dell'Università di Cagliari Maria del Zompo «I ricercatori non basterebbero mai, ma possiamo comunque, per ora, accontentarci dei posti assegnati. Occorre in ogni caso osservare che i parametri imposti dal Ministero hanno sminuito il nostro lavoro rispetto ad atenei come per esempio Pavia, Modena, Siena e Ferrara, i quali, nonostante coefficienti di valutazione della qualità della ricerca inferiori ai nostri, si sono assicurati più posti da trasformare in nuovi ricercatori. Non è una coincidenza siano anche strutture presenti in realtà economiche più sviluppate della nostra, che hanno saputo instaurare proficui rapporti di sinergia con le imprese locali, in termini di ricerca, brevetti e creazione di start up».
IL SINDACATO I criteri di premialità sono finiti anche sotto la lente dei sindacati, consapevoli che i nuovi termini di valutazione ministeriali non rispondano alle particolari richieste della Sardegna. «Le nostre università hanno esigenze funzionali non soddisfatte dalle norme attuali - protesta Manuel Usai, responsabile per il Cagliaritano della Flc Cgil Università - anzi, la creazione di figure professionali precarie nel campo della ricerca ha contribuito in questi ultimi anni a dare risposte limitate al comparto»
Nelle classifiche ministeriali, stilate in base a numero di iscritti, standard di eccellenza accademici e risultati raggiunti, le strutture di Cagliari e Sassari si sono piazzate rispettivamente trentunesima e quarantunesima sulle sessantasei beneficiarie. Mentre, degli oltre 88 milioni di euro stanziati in ambito nazionale, all'Isola andranno meno di due milioni.
BONUS PER IL MEZZOGIORNO «Possiamo comunque essere soddisfatti per un risultato migliore del passato - aggiunge Del Zompo - che ci fa capire quanto la strada intrapresa sia quella giusta. La speranza per ulteriori risorse è ora rivolta al secondo decreto firmato dalla ministra Fedeli, quello che assicurerà 110 milioni di euro solo alle regioni del Sud. Un'opportunità per riallineare gli standard accademici meridionali a quelli del resto d'Italia».
«GAP DA COLMARE» Una distanza tra Nord e Sud che secondo i rappresentanti dei lavoratori, non verrà certo colmata in breve tempo. «Le università sarde hanno perso centinaia di docenti - conclude l'esponente della Cgil - e continuano ad arrangiarsi con budget ridotti dalle scelte degli ultimi governi. Politiche che non faranno il bene della ricerca nell'Isola»
Luca Mascia

 

2 - L’UNIONE SARDA di venerdì 2 marzo 2018 / Cronaca di Cagliari (Pagina 17 - Edizione CA)
Il presidente degli psichiatri: «Fate attenzione, non esistono droghe leggere o pesanti»
«IL PRIMO SPINELLO? A 9 ANNI»
In aumento l'uso di cannabis, don Cannavera: legalizzatela

Non erano a caccia di un'ondata di euforia. Almeno secondo la scienza. Le 27 persone segnalate la settimana scorsa dalla Guardia di finanza per uso di cannabis durante il concerto del rapper Caparezza tutt'al più volevano fare amicizia con i vicini sotto il palco. Perché «la cannabis non è un'euforizzante, ma una sostanza calmante e talvolta può facilitare i contatti sociali» spiega Bernardo Carpiniello, presidente dell'associazione italiana di Psichiatria. E i dati dicono che i consumatori sono sempre più giovani e in continuo aumento. «C'è chi prova a 9 anni» denuncia don Ettore Cannavera della comunità La Collina.
IL PROFESSORE Carpiniello mette tutti in guardia: «Le sostanze stupefacenti, se c'è una predisposizione, possono contribuire a sviluppare sindromi psicotiche come la schizofrenia. Dipende dal mix che si utilizza e dalla frequenza. Di sicuro la cannabis disponibile sul mercato ha una concentrazione di principio attivo molto più alta rispetto al passato e non bisogna fare confusione tra quella usata a scopo terapeutico, priva di thc, e quella sul mercato illegale. C'è chi sostiene la sua legalizzazione, io sono contrario». Federica Pinna, della clinica Psichiatrica di Cagliari di recente ha condotto uno studio nelle scuole dell'Isola. In un liceo scientifico di Cagliari su 965 studenti il 15 per cento ha detto di aver fatto uso di sostanze, nel 95 per cento si è trattato di cannabis.
IL MEDICO «In base a una ricerca su larga scala l'80 per cento di intervistati tra i 14 e i 30 anni ha provato lo spinello almeno una volta. Cagliari non fa eccezione» spiega Massimo Diana, responsabile del Serd. «Quel che vale la pena sottolineare è che nel Cagliaritano, così come nel Nuorese, c'è un preoccupante e apparentemente inspiegabile incremento nell'uso di cocaina ed eroina». In base alla relazione presentata al Parlamento in Sardegna, e il dato cittadino secondo il servizio dipendenze della Asl è perfettamente aderente alla realtà locale, la frequenza d'uso di cannabis negli ultimi 12 mesi è stata tra le più alte d'Europa. Una spiegazione la fornisce don Ettore Cannavera: «Si comincia sempre più presto ed è più facile che chi usa droghe leggere poi decida di passare a quelle pesanti».
L'EDUCATORE Il sacerdote non è un proibizionista. «L'età di chi fuma spinelli continua ad abbassarsi. Da me vengono genitori di bambini anche di 9 anni che non sanno cosa fare. Quel che sostengo è che serve educare. I genitori terroristi non funzionano». E poi: «La cannabis è già liberalizzata, credo si debba passare alla legalizzazione, così da togliere agli adolescenti la sensazione di fare qualcosa fuori dalle regole. In questo modo ci sarebbe più controllo e si colpirebbe la criminalità che guadagna da queste sostanze». Osservatorio speciale quello dei dirigenti scolastici. «A scuola ci sono controlli serrati. Il problema è fuori. Ho segnalato più volte la presenza di persone sospette ma mi è stato detto che non possono darci una pattuglia tutti i giorni», racconta Daniela Diomedi preside del Tecnico Meucci. «Condivido quel che dice don Ettore. Il problema è che i giovani ora non hanno la percezione di fare qualcosa di illegale» spiega Valentina Savona preside dei 1.139 liceali del Pacinotti. «Tutti pensano che non ci saranno conseguenze. È sbagliato. Ci sono conseguenze a lungo termine sulla memoria e sull'intelligenza. E se un bambino di 9 anni fuma una canna è più facile che ne abusi o passi a qualcosa di più pesante» insiste don Ettore.
LE CONSEGUENZE Effetti a lungo e a breve termine anche in base alle ricerche del presidente degli psichiatri italiani. «Proprio ieri mi è capitato di visitare un ragazzo che dopo aver provato per la prima volta uno spinello ha avuto un attacco di panico. Non parliamo solo del principio attivo della cannabis ma dei cannabinoidi che attivano meccanismi di ansia. È una sostanza psicotropa a tutti gli effetti e non bisogna sottovalutarla. La differenza tra droghe leggere e pesanti dal punto di vista scientifico non ha alcun senso».
Mariella Careddu

 

3 - L’UNIONE SARDA di venerdì 2 marzo 2018 / Salute (Pagina 42 - Edizione CA)
L'Università di Cardiff e lo studio della dememza
Quando donare il cervello aiuta la scienza

«Ho 75 anni e sono un donatore di cervello. Ho avuto un amico che è stato colpito da demenza ed è morto, nel giro di 4 anni è peggiorato e peggiorato. È una malattia terribile. Ed è allora che mi sono convinto che avrei fatto quanto nelle mie possibilità per aiutare la ricerca». Ken Baxter spiega così in un video la sua scelta di donare il cervello alla scienza dopo la morte, un modo per fare la propria parte. È uno dei pochi che ha riposto all'appello: in Galles gli anziani vengono esortati a valutare la donazione per aiutare gli scienziati negli studi sulla malattia che ruba i ricordi e la lucidità. I ricercatori dell'università di Cardiff sono desiderosi di esaminare over 85 senza una diagnosi. Perché i cervelli sani sono necessari per i confronti.
NON È UNA MISSIONE FACILE «Alcune persone inorridiscono quando glielo dici, ma io non riesco a vedervi una ragione - testimonia Baxter - Come per ogni altra donazione di organi, se possono usare il tuo cuore, i polmoni, gli occhi, con il cervello non è diverso. Quando avrò finito non mi sarà più utile», evidenzia il 75enne, protagonista di un servizio pubblicato sulla “Bbc” online. Dal 2009 in Galles si sono iscritte per donare 460 persone, e 79 sono finora le donazioni andate a buon fine al progetto “Brains for Dementia Research”. Il reclutamento avviene attraverso il team di scienziati che sta lavorando per identificare quali geni contribuiscono alla suscettibilità di una persona a sviluppare la malattia di Alzheimer. La speranza è riuscire un giorno a prevedere chi ha maggiori probabilità di ammalarsi. Ma per raggiungere la meta c'è bisogno di studiare il tessuto cerebrale umano.
STUDIARE IL CERVELLO Osservare nel cervello la distribuzione dei depositi di proteina è l'unico modo per ottenere una diagnosi definitiva. E mentre i pazienti con demenza spesso vengono a sapere dai medici della donazione per motivi di ricerca, può essere più difficile attrarre chi ha un cervello sano. Baxter lo vede come un modo per aiutare gli altri, ma ammette che non sempre ottiene una reazione positiva da parte degli altri alla sua scelta. «Molte persone la prendono nel modo sbagliato», racconta. Anche la moglie Kate ha opinioni contrastanti sulla donazione di cervello, ma sostiene la decisione del marito. E confessa di non aver escluso del tutto che non farà la stessa cosa.
BANCA Se si intende donare il proprio cervello alla scienza, spiegano gli esperti, va fatta la registrazione in una banca locale dei tessuti cerebrali. C'è infatti una finestra di 72 ore per la raccolta, e il testamento del defunto di solito viene letto quando è troppo tardi. Il suggerimento è anche quello di condividere con la famiglia i propri piani, in modo che sappiano cosa fare quando è il momento. Gli scienziati, spiega Rachel Marshall, ricercatrice del Dementia Research Institute dell'ateneo, hanno capito che potrebbe non essere una prospettiva attraente per tutti, ma questo è uno strumento di ricerca fondamentale. «Puoi analizzare modelli animali, modelli di cellule, ma osservare il tessuto fisico umano reale ha un valore inestimabile», dice.
PERSONE A differenza della normale donazione di organi chi desidera offrire il proprio cervello alla scienza deve fare una richiesta specifica. Una volta accettati, i potenziali donatori vengono visitati una volta l'anno per una valutazione cognitiva e della memoria. Il Galles non ha una propria banca del cervello, quindi i tessuti donati vengono conservati al King's College di Londra.

 

4 - L’UNIONE SARDA di venerdì 2 marzo 2018 / Cronaca Regionale (Pagina 7 - Edizione CA)
Sanità, 2000 assunzioni entro l'estate
Entro l'estate il piano di stabilizzazione del personale del sistema sanitario regionale sarà cosa fatta. La novità riguarda circa duemila persone: 903 solo nell'Azienda per la Tutela della Salute, 508 assunzioni che seguiranno il ciclo di pensionamenti, altri 500 dipendenti circa saranno ingaggiati attraverso concorsi. «Al momento si tratta solo di stime», ha precisato l'assessore alla Sanità, Luigi Arru, che ieri ha presentato la delibera con cui la Giunta stabilisce che «le aziende del servizio sanitario regionale predispongano un piano delle stabilizzazioni». Secondo il protocollo firmato ieri da Regione e sindacati, entro il 31 marzo Ats e aziende sanitarie dovranno dare indicazioni sul censimento del personale, il 30 aprile è il termine entro il quale comunicare il fabbisogno preciso, entro il 30 giugno dovrà essere adottato il piano di stabilizzazione triennale. Subito dopo dovrebbero scattare le prime assunzioni.
«Così riusciremo a tutelare le esperienze maturate - ha spiegato il titolare della Sanità - con l'obiettivo di offrire una prospettiva a tantissimi che vivevano nell'incertezza. La delibera di Giunta risale al 27 febbraio scorso e recepisce la legge Madia in materia di superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni. Le stabilizzazioni saranno a costo zero anche perché il personale a cui verrà fatto un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ricoprirà le stesse mansioni di quando era precario». ( ro. mu. )

 

5 - L’UNIONE SARDA di venerdì 2 marzo 2018 / Cronaca Regionale (Pagina 7 - Edizione CA)
Pil sotto il 75% della media europea: l'Isola potrebbe ritornare nell'Obiettivo 1
SARDEGNA, PASSO INDIETRO UE
Ma così arriveranno più soldi

Una retrocessione non fa mai piacere: ma questa potrebbe essere pressoché indolore, o addirittura vantaggiosa. Dal 2021 la Sardegna ritornerà, secondo i parametri dell'Unione europea, tra le regioni più povere, quelle etichettate un tempo come “Obiettivo 1”. E questo, se da un lato è l'ennesimo effetto della crisi, dall'altro si tradurrà in un maggiore afflusso di aiuti europei nei sei anni successivi.
Non c'è ancora un verdetto definitivo, perché il regolamento sui fondi Ue 2021-2027 vedrà la luce non prima del prossimo anno. Ma che la Sardegna stia per essere riaccolta nell'Obiettivo 1 è una voce che circola da un po' negli ambienti della politica e dell'economia isolana, e che ora trova conferma nei dati diffusi da Eurostat.
LA CLASSIFICA I conti rivelano che nel 2016 il Pil pro capite dei sardi era di 20.600 euro, pari al 71% della media Ue (per poterle paragonare, tutte le cifre sono calcolate a parità di potere d'acquisto: dieci euro in Italia non valgono come dieci euro in Slovacchia). Fino alla soglia del 75% si rientra nelle cosiddette “regioni in ritardo di sviluppo”, che si aggiudicano la fetta maggiore degli aiuti comunitari.
Nell'attuale ciclo di programmazione dei fondi (2014-2020) la Sardegna è ricompresa invece tra le regioni “in transizione”, l'ex Obiettivo 2, con un Pil che si colloca tra il 75 e il 90% della media europea. Potremmo definirle le regioni che vanno bene ma non benissimo: fuori dall'arretratezza peggiore ma non ancora al livello di quelle più sviluppate.
Solo che, come tutte le statistiche, i parametri europei tagliano la realtà con l'accetta e spesso finiscono per tradirla. La Sardegna era uscita dall'Obiettivo 1 agli inizi del terzo millennio non per una prepotente crescita economica, ma per ragioni per l'appunto statistiche: l'ingresso nell'Ue di nuovi Paesi meno sviluppati, soprattutto dall'Est Europa, aveva abbassato la media generale. Il Pil sardo, rimanendo grosso modo lo stesso, era emerso dalla soglia del 75% (portandosi attorno all'81%) alla stessa maniera di uno scoglio quando c'è la bassa marea.
Con l'Isola, oggi, tra le regioni in transizione ci sono Abruzzo e Molise, mentre il Sud è da sempre nell'Obiettivo 1. I dati resi noti da Eurostat sono di fatto decisivi perché i calcoli, per il futuro ciclo di programmazione, si faranno sui parametri registrati in questi anni: «Presumibilmente si prenderà come base la media del 2015, 2016 e 2017», prevede Andrea Murgia, esperto di fondi strutturali presso la Commissione europea. «Non ci può essere niente di ufficiale, ma darei per scontato il rientro della Sardegna tra le regioni in ritardo di sviluppo».
CHE COSA CAMBIA Definire le conseguenze pratiche, per ora, «è assolutamente impossibile», precisa l'economista barbaricino: «Se il futuro regolamento fosse lo stesso del 2014-2020, i fondi per l'Isola potrebbero persino raddoppiare». C'è però la probabilità («quasi una certezza») che al prossimo giro gli aiuti di Bruxelles alle regioni meno sviluppate siano significativamente ridotti, non foss'altro perché il bilancio Ue farà a meno del contributo del Regno Unito. Quindi rientrare nell'Obiettivo 1 potrebbe quanto meno servire a contenere i tagli.
Murgia, candidato nel 2013 alle primarie per la leadership del centrosinistra sardo, si astiene da qualsiasi valutazione politica sulla questione. Ma ricorda che «è tutta l'Italia che è calata, dal 106-107% al 96. L'Isola segue la tendenza nazionale». Anche per il declassamento, insomma, le ragioni sembrerebbero soprattutto statistiche. Ma non è una grande consolazione, ora che l'Europa ci spiega ciò che sapevamo già: siamo più poveri di dieci anni fa.
Giuseppe Meloni

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie