UniCa UniCa News Rassegna stampa Domenica 11 febbraio 2018

Domenica 11 febbraio 2018

11 febbraio 2018

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di domenica 11 febbraio 2018 / Economia (Pagina 20 - Edizione CA)
INGEGNERIA
Costruzioni, innovazione e futuro

Università e professionisti insieme per promuovere l'uso del Building Information Modeling. Dietro l'acronimo Bim si nasconde la rivoluzione delle costruzioni: un software di progettazione che a partire dal prossimo anno sarà obbligatorio nel settore pubblico e metterà le specifiche di costruzione di un edificio in condivisione con ingegneri, architetti, amministrazioni e tecnici impiantisti. Dati liberi e fruibili anche per una migliore sinergia tra personale tecnico e uffici pubblici.
Ecco perché il Dipartimento di Ingegneria Dicaar dell'Università di Cagliari ha istituito anche nel capoluogo un corso di perfezionamento dedicato proprio al Bim, in collaborazione con il Politecnico di Milano e sostenuto dal Progetto Iscol@ della Presidenza della Regione.
«La crisi che ha investito il settore dell'edilizia impone l'innovazione», spiega Antonello Sanna, direttore del Dicaar, «l'utilizzo del Bim permetterà di portare il mondo della costruzione verso il futuro: questo è il ruolo dell'Università di Cagliari».
Il corso dell'Università, modulato in 150 ore, offre la possibilità di certificare le competenze acquisite sulla base del protocollo di Building Smart International. «Un bel segnale», aggiunge Andrea Casciu, dell'Ordine degli Ingegneri di Cagliari, «fare rete con gli ordini professionali può consentire una crescita culturale del sistema e di avere un vantaggio competitivo». (l. m.)

 

2 - L’UNIONE SARDA di domenica 11 febbraio 2018 / Agenda Cagliari (Pagina 27 - Edizione CA)
UNIVERSITÀ. Sale disponibili per gli studenti sino alle 23.30
Biblioteche, la svolta dell'orario prolungato
Biblioteche universitarie aperte tutti i giorni fino a tarda sera e in certi casi anche la domenica. L'Ateneo cagliaritano si adegua alle esigenze degli studenti rivendendo gli orari delle sue sale di studio. Da domani la biblioteca della sezione “Dante Alighieri” del distretto delle Scienze umane - nel Polo di Sa Duchessa - rimarrà aperta anche la sera fino alle 23.30. L'orario sarà dunque continuato e prolungato, fin dalle 8 del mattino. Dallo stesso giorno anche la biblioteca della facoltà di Ingegneria del distretto tecnologico - nel Polo di via Is Maglias - osserverà lo stesso orario.
Fino al 31 luglio dunque entrambe le biblioteche osserveranno l'orario dalle 8 alle 23.30, dal lunedì al venerdì, mentre il sabato dalle 8 alle 18. Le tre biblioteche del polo economico-giuridico di viale Sant'Ignazio mantengono gli stessi orari utilizzati finora: dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20, il sabato dalle 8 alle 18 e la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 20.
Prosegue così l'estensione e il perfezionamento dei servizi agli studenti dell'Università di Cagliari: il provvedimento di prolungamento di apertura delle biblioteche - e dei relativi servizi connessi - è stato assunto dall'Ateneo per venire incontro alle richieste degli studenti, ottimizzando le risorse a disposizione e garantendo una continuità di servizi e di apertura delle biblioteche lungo tutto l'arco della settimana. In particolare il servizio è molto gradito ai pendolari che, in questo modo, riescono a rendere più proficua la loro trasferta in città. Nel periodo immediatamente precedente, la direzione per i Servizi bibliotecari, guidata da Donatella Tore, ha monitorato con attenzione i numeri degli accessi alle sale di lettura dell'Ateneo.

 

3 - L’UNIONE SARDA di domenica 11 febbraio 2018 / Primo Piano (Pagina 3 - Edizione CA)
Nel 2017 duemila sardi hanno perso il lavoro e sono dovuti andar via
Emigrati dopo i 40 anni, è la nuova emergenza

Tra il 2016 e il 2017, dice il rapporto Migrantes, se ne sono andati via dalla Sardegna in 5528, quasi otto al giorno e da un anno all'altro sono cresciuti del 14,5%.Uno su quattro ha tra 35 e 49 anni, uno su dieci ne ha fra 50 e 64. Sommati fanno più o meno il 35%, oltre 1900 persone. E non sono i ragazzi che lasciano l'Isola per mancanza di prospettive - quelli occupano un altro capitolo - ma adulti che hanno avuto un impiego, più o meno lungo, più o meno retribuito e più o meno precario, e poi lo hanno perso o non lo hanno ritenuto in linea con le proprie competenze. E sono emigrati.
QUELLI CHE CI PROVANO Storie senza lieto fine, fughe obbligate alla ricerca di un riscatto. Come quella di Michela Pibiri, cagliaritana, 37 anni, storica dell'arte, esperta in comunicazione e giornalista, che ha studiato al Dams di Bologna, ha vissuto a Roma e Dublino, è voluta tornare nella sua città ma dopo un'infinità di lavori precari e progetti sottovalutati e sottopagati ha deciso di trasferirsi a Segrate perché quello sardo, dice, «non è un contesto che valorizza le proprie competenze e questo è un problema economico ma anche culturale».
SPERANZA E DELUSIONE Alle delusioni si resiste, ma non all'infinito. Perché le idee anche in Sardegna sono tante, arrivano incentivi economici, si propagandano progetti comunitari e regionali apparentemente bellissimi, si prova a convincere che i Master&Back sono la soluzione. Ma la realtà è diversa e siccome il pane a casa bisogna portarlo tutti i giorni si finisce, inevitabilmente, per recitare sempre la stessa storia: la Sardegna è casa mia, è bellissima ma per me non c'è più spazio . Nicola Ghiani, per esempio, è stato per molti anni a Londra e quando la Regione ha pubblicizzato il “Pacchetto giovani”, che incentiva i primi investimenti in agricoltura, ha pensato che i terreni di famiglia poteva metterli a frutto. Ha lasciato la sua vita britannica, ha speso i suoi risparmi per mettere in moto l'attività ed ha aspettato invano il contributo per un anno e mezzo. Poi ha deciso di tornare su. «È stata solo una fregatura, una delusione e non me lo posso permettere».
VERSO IL REGNO UNITO Proprio il Regno Unito, e Londra in particolare, è di gran lunga la meta più ambìta, seguita - rigorosamente in ordine numerico - da Germania, Svizzera, Francia, Brasile, Stati Uniti, Spagna, Argentina e Belgio. In Italia vanno prevalentemente in Lombardia, Milano in testa, e Lazio. Ma rispetto a un passato caratterizzato da una migrazione da sud a nord, ora l'estero rappresenta il 70% degli spostamenti.
Serafina Mascia, presidente della Fasi, l'organizzazione che raggruppa 70 circoli sardi con circa 30mila associati, conosce bene il problema. «Soprattutto quello dei più colti e specializzati che hanno avuto la fortuna di formarsi fuori e provano a usare le loro competenze a casa loro ma dopo molti anni si accorgono che non è possibile e tornano dove ritengono di essere adeguatamente valorizzati e retribuiti».
BAMBINI E ANZIANI Le partenze, come rileva il rapporto “Italiani nel mondo” della fondazione Migrantes, non sono sempre individuali ma spesso di famiglia: il 12,9% di chi va via e cambia residenza ha meno di 10 anni. Se ne deduce che poco più di uno su dieci va via con la famiglia. Gli altri o non ce l'hanno o la lasciano a casa. Migrantes rivela anche un aspetto meno atteso: quello dei genitori pensionati ormai oltre la soglia dei 65 anni che diventano accompagnatori e sostenitori del progetto migratorio dei figli: sono il 5,2% di chi espatria. Poi ci sono i disoccupati senza speranza, i cinquanta-sessantaquattrenni rimasti senza lavoro in Italia, non pensionabili e con enormi difficoltà di riuscire a continuare a mantenere la propria famiglia: sono il Chi parte lo fa quasi sempre con il desiderio di tornare. Ma spesso col tempo spesso finisce con lo stabilirsi definitivamente all'estero. Li chiamano disterraus , che rispetto a emigrati fa più impressione.
Fabio Manca
  
Silvia Aru, geografa sociale, fa avanti e indietro da Cagliari da 15 anni
«Fuori sto bene ma avrei voluto scegliere»

«Sono più che felice dell'importante esperienza internazionale che sto svolgendo. Certo, avrei preferito essere libera di scegliere al 100% dove stare, soprattutto dopo tanto investimento economico ed esistenziale per la mia formazione. Soprattutto a 37 anni, dopo 14 anni avanti e indietro. Rincorrendo il futuro, accuso un po' di difficoltà nel presente, nella quotidianità oggi qui, domani lì, dopodomani chi lo sa». Silvia Aru, cagliaritana, conosce bene il problema dell'emigrazione perché lo vive e lo studia. Assieme alla collega Francesca Mazzuzi, ha svolto una ricerca, in fase di pubblicazione, per conto del Cedise, il Centro europeo diffusione informazione Sardegna estero, ed ha analizzato il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. Geografa sociale, ora lavora ad Amsterdam dopo essersi aggiudicata una “Marie Curie fellowship all'Amsterdam institute for social science research”, una borsa riservata ai migliori ricercatori europei.
IN OLANDA ATTIRANO I MIGLIORI Ci resterà due anni e se volesse trattenersi di più le stenderebbero un tappeto rosso. «Qui in Olanda posso usufruire per i primi otto anni di importanti sgravi fiscali per il fatto di essere un alto profilo. Insomma: fanno di tutto per incentivare la mia permanenza qui», racconta.
PRECARIATO DI LUSSO Silvia Aru ha lasciato l'Isola a 23 anni. Dopo la laurea triennale in Operatore culturale per il turismo a Cagliari è andata a Firenze per la specialistica in Geografia umana e organizzazione del territorio. Poi, grazie ai fondi del Master&Back, ha fatto un dottorato di ricerca all'Università di Trieste. «Tornata a Cagliari nel 2010 per un contratto biennale, sono ripartita per mancanza di prospettive all'Università di Cagliari, con la quale collaboro felicemente tuttora», racconta. «Dopo una parentesi al Politecnico di Torino, sono tornata a Cagliari nel 2014 grazie a un contratto all'università che mi ha permesso di rimanere nell'Isola circa due anni, ma anche in questo caso, a causa della difficoltà di mantenere una posizione pagata, sono ripartita per Siena. Ora dopo anni di contratti precari nelle università ho preferito la via dell'estero».
CONSIDERAZIONE E STIPENDI ALTI «Probabilmente la posizione lavorativa all'inizio è altrettanto precaria, ma il ruolo all'interno dello staff di ricerca è maggiormente riconosciuto, così come non è paragonabile lo stipendio, decisamente più alto all'estero», continua Aru. «Naturalmente, queste considerazioni valgono rispetto al più ampio contesto italiano - accademico e non solo - e non esclusivamente per la Sardegna. Non sono una persona che piange perché non è entrata nel mondo del lavoro o è dovuta partire», conclude, «ma guardo all'Italia e alla Sardegna e mi chiedo quanto ancora reggerà il sistema da un punto sociale, economico e politico». (f. ma.)

 

4 - L’UNIONE SARDA di domenica 11 febbraio 2018 / Cronaca Regionale (Pagina 12 - Edizione CA)
Un'altra volta in piazza per rivendicare il diritto a insegnare con un diploma magistrale
«Ora fateci uscire dal limbo» La battaglia infinita delle maestre

Le maestre sarde con diploma magistrale tornano in piazza. E lo fanno con un sit in a Cagliari sotto la sede dell'ufficio scolastico regionale. Protestano, ancora una volta, contro la sentenza del Consiglio di Stato dello scorso dicembre che ha stabilito che il loro diploma non è sufficiente per insegnare. Una decisione che le allontana dall'obiettivo di un contratto a tempo indeterminato e, per molte di loro, vanifica un contratto di assunzione a tempo indeterminato già stipulato, anche se con “riserva”.
LA NUOVA PROTESTA «Siamo di nuovo in piazza e stavolta abbiamo portato anche le nostre famiglie perché loro, proprio come noi, sono parte lesa in questa assurda vicenda», spiega Silvia Mureddu, insegnante alla scuola primaria, laurea in Pedagogia e un master, portavoce del Coordinamento diplomati magistrali abilitati. «Il ministero della Pubblica istruzione continua a nascondersi dietro il parere dell'Avvocatura generale», alla quale ha chiesto di esprimersi in merito alla sentenza del Consiglio di Stato, «ma per noi si tratta solo di un tentativo per tenerci in classe almeno fino alla elezioni del 4 marzo e scaricare la responsabilità sul futuro governo. Nonostante lo sciopero, le manifestazioni, i tavoli con la Fedeli, finora purtroppo nulla è cambiato». Per questo motivo, aggiunge, «il 23 febbraio parteciperemo allo sciopero generale della scuola», indetto dai Cobas e altri sindacati di base, «e se non avremo risposte certe entro la fine di febbraio, andremo dal governatore della Regione Francesco Pigliaru e gli consegneremo i nostri certificati elettorali».
IL PASTICCIO Le maestre diplomate prima del 2001 (soltanto dopo, infatti, la legge ha stabilito che per fare i maestri occorreva la laurea in Scienze della Formazione) hanno ottenuto dopo sette sentenze dei giudici amministrativi il diritto di essere inserite nelle Gae, le graduatorie a esaurimento, che rappresentano la via per l'assunzione. Una parte è entrata nel giro delle supplenze con la possibilità di ottenere il ruolo in pochi anni, un'altra invece è stata assunta a tempo indeterminato. Il Consiglio di Stato, però, ha deciso che il loro titolo non è più abilitante. Un pasticcio che in Sardegna coinvolge oltre 1.200 maestre delle elementari e delle materne (circa 50.000 in tutta Italia).
LA BEFFA La gran parte di queste insegnanti ha anche una laurea, come Monica Dessì, di Quartu Sant'Elena, laureata in Giurisprudenza. «Dopo quasi 20 anni di precariato, nel 2016 ho ottenuto il ruolo», cioè l'assunzione a tempo indeterminato. «Adesso lo Stato mi dice che non sono più abilitata all'insegnamento. È un controsenso», dice, «se non siamo abilitati, perché ci permettono di restare in classe fino alla fine dell'anno scolastico?». «Ormai siamo esasperate», sottolinea Floriana Mela, laurea in Lettere e master, insegnante alla primaria da 20 anni. «Siamo in un limbo, e nessuno oggi sa che cosa accadrà. Ma per noi una cosa è certa», conclude Silvia Mureddu, «le maestre non si toccano».
Mauro Madeddu

 

5 - L’UNIONE SARDA di domenica 11 febbraio 2018 / Provincia Ogliastra (Pagina 49 - Edizione CA)
LANUSEI. Sindaci a confronto sul drammatico calo demografico
La ricetta per non sparire: «Diamo lavoro ai giovani»

Calo delle nascite ed emigrazione continuano a crescere con ritmi allarmanti. L'Ogliastra deve fare i conti con le cause dello spopolamento, prima di programmare il proprio futuro con qualche possibilità di successo. A rischio sono in primo luogo i paesi montani più piccoli, come Ussassai, per il quale una ricerca dell'Università di Cagliari ha fissato la data della scomparsa al 2.072, o come Gairo che in 20 anni ha perso 400 residenti.
Non hanno motivo di stare allegri neppure grossi centri come Lanusei passato dai 6.300 abitanti del 1991 ai 5.400 del 2017.
Anche Tortoli, fino a ieri principale calamita dell'emigrazione interna, cresce più lentamente che in passato, attestandosi su 11.082 residenti.
LE OPINIONI «Il cuore del problema - spiega Massimo Cannas sindaco di Tortolì - sta nell'assicurare ai giovani un lavoro stabile e giustamente remunerato. Altrimenti, nessun incentivo sarà in grado di fermare il loro esodo verso l'Europa, privando il territorio delle risorse migliori».
In attesa di un cambio di passo da parte del governo nazionale, i sindaci mettono in campo proposte e strategie: «Il piano di riordino urbanistico e il nuovo Puc - sostiene Davide Burchi sindaco di Lanusei - sono gli interventi che questa amministrazione intende portare avanti in modo prioritario. Occorre reperire nuove aree per consentire alle giovani copie di restare in città, riqualificando, nel contempo, il centro urbano per renderlo più vivibile per tutti».
IL NODO Per Roberto Marceddu, già vicepresidente regionale della Consulta per i piccoli comuni, il nodo sta nella politica centralista del governo nazionale, mutuata dall'Unione Europea. «Gli amministratori locali - insiste l'ex sindaco di Gairo - devono rivendicare la centralità dei piccoli comuni come produttori delle risorse».
LA SPERANZA Un obiettivo che resta prioritario per i sindaci, insieme a quello dell'abbattimento dei tempi della burocrazia regionale. «Non ci resta che sperare - insiste Giannino Deplano sindaco di Ussassai - in un pronunciamento da parte del Tar del Lazio che ha ravvisato dubbi di incostituzionalità nella legge Calderoli sul riordino degli enti locali, recepita acriticamente dalla Regione Sarda con la legge 2 del 2016».
Nel frattempo i piccoli centri continuano a sparire lentamente.
Nino Melis


 

1 - L’UNIONE SARDA ONLINE di domenica 11 febbraio 2018 / Cultura » Cagliari - 8:46  
Valentina e Maura, due donne sarde
per l'Osservatorio Astronomico di Cagliari

Valentina Vacca, classe '84, e Maura Pilia, classe '82, hanno numerose cose in comune. Sono sarde innanzitutto, la prima è cresciuta ad Arbus, la seconda è nata a Villasalto. Hanno studiato al Classico e poi hanno deciso - arrivata la scelta dell'università - di iscriversi alla facoltà di Fisica di Cagliari.
Poi, determinate, hanno sposato la loro grande passione, l'Astrofisica, che per anni le ha portate lontano da casa - tra Bologna, Como, la Germania e l'Olanda - per poi ritornare in Sardegna, a Cagliari, dove oggi lavorano all'interno dell'Osservatorio Astronomico, una struttura di ricerca che fa parte dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) dedicata allo studio dell'Universo e degli elementi che lo compongono. Qui lo sguardo (sempre rivolto verso l'alto...) si concentra soprattutto sulla radio-astronomia, l'osservatorio gestisce infatti il Sardinia Radio Telescope (SRT), grande e nuovissimo radiotelescopio costruito nel Comune di San Basilio.
Valentina occupa la posizione di ricercatrice (fuori dall'Isola è invece membro del team di gestione del "Key Science Progect del Magnetismo" del radio telescopio Lofar). Maura, quello di assegnista Oac. Entrambe hanno un contratto a tempo determinato e per questo si definiscono "precarie", altra cosa in comune.
Quale lavoro svolgete all'interno dell'Osservatorio Astronomico di Cagliari?
V: "Mi occupo di studiare i campi magnetici degli oggetti più grandi che esistono nell'Universo: centinaia di migliaia di galassie (come la nostra, la Via Lattea). L'obiettivo è quello di capire come questi elementi magnetici che noi vediamo nell'Universo e che ci circondano, si siano originati e poi evoluti: è una delle grandi domande a cui l'astronomia cerca di rispondere oggi. Mi occupo anche di coordinare il Re-commissioning scientifico del Sardinia Radio Telescope, di organizzare e svolgere test scientifici al fine di capire se lo strumento sta funzionando come dovrebbe prima di poterlo riaprire all'intera comunità internazionale".
M: "In ambito scientifico mi occupo prevalentemente di pulsar, che sono stelle di neutroni nate dopo la morte di una stella grande molto più del sole. Si tratta di oggetti molto interessanti perché al loro interno si sviluppano condizioni fisiche estreme, quasi come quelle dei buchi neri, che però in questo caso possiamo studiare. A parte questo, l'analisi di oggetti astrofisici inizia da più lontano: mi occupo in particolare di sviluppare gli strumenti necessari per le osservazioni e faccio parte del team delle operazioni di SRT e anche del gruppo di Cagliari responsabile dello sviluppo del futuro telescopio NASA, IXPE, che verrà lanciato nel 2021".
Si parla tanto dei pregiudizi e delle disuguaglianze che le donne subiscono in molti ambienti di lavoro, la vostra carriera è passata attraverso queste difficoltà?
V: "Sono stata molto fortunata perché sia nella mia vita privata (mia madre era una lavoratrice), sia nell'ambito professionale, ho sempre lavorato con uomini e donne qualificati e con competenze riconosciute dal mondo scientifiche. In Italia questo problema si percepisce molto meno che all'estero, specie nel Nord Europa dove è molto sentito e dove deriva - probabilmente - da una questione salariale e culturale. Gli stipendi sono alti per i ricercatori, per questo gli uomini sono molto attratti da queste posizioni e tendono ad essere più competitivi, la presenza maschile si fa più forte. Un'altra ragione è quella culturale, di educazione: le donne stesse tendono a mantenere in piedi degli stereotipi. L'arma migliore per combattere questo fenomeno è l'esempio, l'esempio che noi donne possiamo dare alle bambine di oggi che saranno le donne di domani: mostrare loro che possiamo essere mogli, madri, avere degli interessi e allo stesso tempo lavorare (in qualunque settore), accedendo anche a quelle professioni che - per puro retaggio culturale - sono considerate ancora maschili".
M: "All'interno dell'Osservatorio di Cagliari non ho mai assistito a discriminazioni di questo tipo o non mi è mai pesata la mia qualità di donna. Quando invece sono stata in Olanda, per il post-doc Astron, un comitato ha valutato l'Istituto dove avrei poi lavorato, sottolineando come questo avesse poche donne all'interno e invitandolo a nuove assunzioni. Poco dopo ho avuto quel posto di lavoro e per qualche tempo mi sono chiesta se fossi stata assunta in quanto donna o per le mie capacità e competenze, una sorta di discriminazione al contrario insomma".
Sono tanti i giovani che fuggono dall'Italia denunciando l'impossibilità di fare ricerca. Cosa vorreste dire a chi ha lasciato la propria terra?
V: "In Italia le difficoltà sono numerose, i finanziamenti sono limitati e questo rende molto difficile la ricerca. Io sono stata fortunata perché sono potuta tornare anche grazie ai soldi che sono stati stanziati per il telescopio di San Basilio. Per fare il ricercatore bisogna avere molta determinazione: in Italia è difficile, ma all'Estero non è più semplice. La difficoltà più grande è accedere a una posizione a tempo indeterminato. I contratti a tempo, tra borse di studio, dottorati, etc., ci sono, ma la difficoltà più grande è rimanere nell'ambito della ricerca a tempo indeterminato. Se c'è la passione, bisogna provare a perseguire il proprio obiettivo, consci però di quella che è la realtà".
M: "Sono stata a lungo fuori dall’Italia e credo sia una esperienza importante da fare, di grande arricchimento sia professionale (conoscere altre realtà lavorative), che personale (una grande esperienza umana). Se non fosse stato per gli affetti non so bene cosa avrei deciso e non so bene se sono la persona giusta per dare un consiglio. Sarebbe bello se l’Italia diventasse una realtà da dove non solo si va via, ma anche dove si arriva, questo è anche l’obiettivo dell'Osservatorio cagliaritano: essere un luogo dove i giovani non scappano, ma tornano, non solo per l'amore che li lega alla loro terra, ma perché lavorativamente è un posto di alto livello".
Cagliari è o può diventare il contesto ideale per fare ricerca?
V: "Il capoluogo sardo sta conoscendo un forte sviluppo negli ultimi anni. Nel 2012, quando sono andata via, l'Osservatorio era un piccolo istituto, si trovava a Poggio dei Pini, e dentro lavoravano 40-50 persone tra ricercatori, tecnologici e amministrativi. La comunicazione a livello internazionale era ancora troppo poca. Oggi è allo stesso livello di tutti gli altri osservatori nazionali. Una delle ragioni è la costruzione del telescopio che ha portato nuovi finanziamenti, che a loro volta hanno portato nuovi ricercatori, nuove personalità. Oggi siamo in 70: ci sono molti collaboratori stranieri che rimangono qui per giorni, settimane. È un ambiente vivo, competitivo, nonostante le difficoltà che comporta trovarsi in un'isola".
M: "Cagliari rappresenta un bel contesto di ricerca. Abbiamo molti studiosi e studiose che arrivano dal resto dell'Italia. Nel nostro gruppo di lavoro abbiamo anche due ricercatrici straniere, una arriva dal Sudafrica, l'altra dalla Cina, e stiamo cercando di espandere i nostri orizzonti nonostante le difficoltà della burocrazia italiana. Siamo sempre più attivi per rendere il contesto sempre più internazionale, in modo da ingrandire ciò che facciamo. Non è un ambiente statico o dormiente, ma un luogo di ricerca a livello super competitivo".
Come si concilia la vita privata con il lavoro di studioso?
V: "Il lavoro del ricercatore è un lavoro particolare perché ti permette di viaggiare tanto per convegni, collaborazioni, conferenze, specie nel periodo della formazione. Questo non agevola certamente la vita privata, perché ci si deve allontanare dai propri affetti, ma allo stesso tempo rappresenta un grande arricchimento professionale e umano (ti spinge a superare i tuoi limiti). Per questo è fondamentale avere vicino una persona che capisce il nostro lavoro, il nostro impegno che ci porta lontano da casa. Per me - fino ad ora - è stato più un arricchimento che una rinuncia".
M: "L'essere astrofisica mi ha portato lontana da casa. Non 'va dove ti porta il cuore', come si usa dire, ma 'va dove ti portano le pulsar!'. Uno studioso deve andare là dove si studia quello che è il suo ambito di ricerca e questo per me, che sono legata al mio attuale marito da quando avevo 18 anni, ha significato stare separati a lungo. Non ho messo la carriera prima della mia vita privata, ma ho fatto delle scelte, specie quando ero giovane. Ora sono tornata in Sardegna. Avrei potuto scegliere la Thailandia, invece sono tornata a casa. Sono stata fortunata: Cagliari mi ha permesso di non abbandonare quello che è il mio percorso professionale, immergendomi in una nuova sfida".
Mettiamo il caso che siate destinate a una scoperta che finirà sui libri di storia, quale vorreste che fosse?
V: "Mi piacerebbe scoprire come i campi magnetici si sono formati e come poi si sono evoluti nell'Universo, scoprire quanto è accaduto nelle epoche più lontane: questa per me sarebbe la scoperta più bella da compiere".
M: "È una domanda difficile, a cui non ho mai pensato! Mi piacerebbe fosse una grande scoperta non legata alla fortuna o al caso (a volte succede), ma che fosse qualcosa a cui sono riuscita ad arrivare partendo dall'inizio, da un ragionamento, da una teoria. Una scoperta che nascesse da un mio pensiero astratto che si concretizza".
Da bambine che cosa avreste voluto fare da grandi?
V: "A 5-6 anni avrei voluto fare il muratore o il benzinaio! Poi crescendo il mio interesse si è rivolto alle materie scientifiche. Pensavo di voler fare ingegneria o architettura edile. In seguito ho capito che mi appassionavano molto la Matematica e la Fisica, in particolare l'Astrofisica e l'Astronomia e mi sono orientata verso questo campo".
M: "Sono sempre stata a metà strada tra la Storia e la Fisica, forse perché i miei genitori - entrambi docenti - insegnano Filosofia, mio padre, e Matematica, mia madre, e questo mi ha sempre spinto a credere di voler fare una sola cosa: insegnare, magari all'università. Crescendo, grazie all'astrofisica, sono riuscita a conciliare le mie più grandi passioni".
Simona Arthemalle (Unioneonline)


 

1 - L’UNIONE SARDA ONLINE di domenica 11 febbraio 2018 / Cultura » Cagliari - 8:55
SILVIA CASU: LA MAMMA RICERCATRICE CHE INSEGNA A CREDERE NEI PROPRI SOGNI
Silvia Casu, 47 anni, è ricercatrice nel gruppo di Astrochimica e Astrobiologia dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari.

Una passione verso la ricerca che, a differenza di altre colleghe, non è nata nel periodo dell'infanzia, ma è scaturita da un colpo di fulmine per la Fisica all'ultimo anno del liceo classico Dettori.
Una formazione umanistica di base, dunque, che ha poi trovato nella ricerca scientifica il suo sviluppo più appassionato e sincero. Un percorso animato dalla curiosità, dalla voglia di dare risposte alle domande su come funziona e dove va il mondo. E una carriera densa di soddisfazioni, ma non senza privazioni e difficoltà, per cui l'essere donna ha giocato un ruolo importante.
Oggi si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale delle donne e delle ragazze nelle Scienze, istituita proprio per combattere la disparità di genere in questo ambito. Un tema, dunque, che ancora oggi esiste?
"Il diverso approccio alla scienza con riferimento ai generi, fenomeno senz'altro più marcato nel passato, è ancora oggi ben presente, e sotto gli occhi di tutti. Sarà capitato a chiunque di andare in un negozio di giocattoli, e vedere i prodotti ben differenziati in corsie e confezioni tramite colori tendenti al rosa per le femmine e al blu per i maschi. Dove si collocano il meccano, le costruzioni, il piccolo chimico e tutti i giochi relativi all'ambito scientifico? Negli spazi riservati ai maschi. E questo senza alcuna corrispondenza sostanziale: per conto dell'Osservatorio di Cagliari mi occupo delle attività di divulgazione scientifica, entrando così spesso a contatto con le scuole. La curiosità e l'interesse dei bimbi dell'asilo e delle elementari verso la scienza non ha alcuna distinzione di genere".
Dopo quell'età cosa succede?
"Succede che il preconcetto instaurato dalla società prende il sopravvento. E così ci ritroviamo con ragazzine delle medie che si rifiutano di mettersi alla prova con qualsiasi tipo di esperimento scientifico perché ritengono di non esserne capaci, all'altezza. E perché pensano che la scienza sia poco femminile e possa dare un'immagine distorta del loro essere donna. Poi, invogliate a cimentarsi, dimostrano spesso di essere addirittura migliori dei loro coetanei maschi".
Un preconcetto, dunque, che esiste, e in cui le scuole giocano un ruolo determinante.
"In ambito educativo, ancora oggi, troppo poco si fa per far passare l'idea che la scienza è anche donna. Qualche anno fa Sardegna Ricerche aveva portato avanti nelle scuole elementari un curioso progetto: 'Disegna il tuo scienziato'. Nella stragrande maggioranza dei casi, il risultato era al maschile. Non solo: ci è capitato più volte di chiedere alle scolaresche in visita all'Osservatorio di elencare tre nomi di scienziati uomini e poi tre nomi di scienziate donne. Se alla prima risposta, e parliamo di scuole superiori, tutti più o meno se la cavano, alla seconda sono molti i ragazzi che fanno scena muta. E lo stesso imbarazzo lo riscontriamo, spesso, anche nei docenti.
Volendo tracciare un quadro della composizione uomini/donne nel mondo della ricerca oggi, che immagine si ricava?
"Partiamo da un presupposto, e cioè che una distinzione fra i livelli di responsabilità è d'obbligo. Mi spiego meglio: nell'approccio alle materie scientifiche in ambito universitario e post universitario c'è una pariteticità fra i sessi, ovvero scelgono studi universitari indirizzati a materie scientifiche un numero sostanzialmente uguale, o comunque non troppo lontano, di uomini e donne. La situazione cambia quando ci si alza nella scala delle responsabilità: a livello di incarichi dirigenziali il numero di donne crolla drammaticamente, non superando in alcuni casi il 10%".
Dove sta il nodo da sciogliere?
"Sicuramente, riallacciandomi a quanto detto prima, in ambito educativo e sociale, insegnando fin dalla più tenera età che la passione scientifica non ha sesso. Poi, certo, per le donne c'è la componente della famiglia che svolge un ruolo determinante, soprattutto in un mondo caratterizzato da precarietà e incertezza, e non tanto di stipendio quando di stile di vita: fare ricerca significa spesso sacrificare tante ore per il lavoro, viaggiare spesso, soggiornare in Paesi diversi. Con una famiglia e dei figli tutto diventa più difficile, e sono molte le mie colleghe che a un certo punto fanno la scelta: la professione o la famiglia".
Qual è, in questo senso, la sua esperienza personale?
"Sono madre di due figli, uno di 16 e uno di 8 anni, che hanno imparato a conoscere e amare la mia professione. E a capire che quando mamma è fuori la notte non è perché va a ballare, ma perché deve stare al telescopio, dedicarsi alla ricerca e non solo a Cagliari ma anche, spesso, in giro per il mondo. In questo mi supporta da sempre un marito splendido, che ha scelto di sposare con me anche la mia passione. Aiutandomi a trasmetterla ai nostri figli. Posso dire che i sacrifici di una mamma ricercatrice sono tanti, e all'ordine del giorno, ma anche le soddisfazioni".
Il suo curriculum vanta esperienze di studio e lavoro in numerosi Paesi esteri, dalla Germania, all'Inghilterra, agli Stati Uniti, alla Svezia. Si dice che all'estero per le donne che scelgono di dedicarsi alla ricerca vada un po' meglio. È davvero così?
"Nelle esperienze che ho fatto posso dire di non avere notato una sostanziale differenza. Essere donna e fare ricerca è senz’altro faticoso, in Italia come all'estero, dove forse esiste meno precarietà, una cosa che incide positivamente nell'ottica di costruire una famiglia. Ma il fatto stesso di avere dedicato una giornata internazionale alla scienza al femminile, dimostra che molto in questo senso deve ancora essere fatto".
Cosa si sente di suggerire alle giovani donne che vogliono approcciare il mondo della ricerca?
"Anzitutto di seguire i propri sogni e le proprie passioni: è la prima cosa che sttolineo quando vado nelle scuole per l'attività divulgativa dell'Osservatorio. E poi di essere curiose, di domandarsi il perché delle cose. E di non mollare mai, come mi hanno insegnato i miei genitori: papà era docente di materie umanistiche al Dettori, mamma professoressa di matematica e fisica al Pacinotti. In questo mondo, più che in altri, per andare avanti occorrono a una donna forza, tenacia, grande organizzazione. E una buona dose di pazienza".
Virginia Lodi (Unioneonline)





 

La Nuova Sardegna

 
 

7 - LA NUOVA SARDEGNA ONLINE di domenica 11 febbraio 2018 / Cagliari  > Cronaca  >
OPERE PUBBLICHE: IN ATENEO UN CORSO SULLA NUOVA PROGETTAZIONE ELETTRONICA
Il Dipartimento di Ingegneria civile e Architettura di Cagliari fra i primi in Italia a tenere le lezioni sul Bim, il Building information modelling che sarà obbligatorio dal 2019. L'iniziativa è sostenuta dall'Ufficio regionale del progetto Iscol@

CAGLIARI. Un corso di perfezionamento per rispondere all’obbligo a partire dal 2019 di progettare le opere pubbliche in tutta Italia con il Building Information Modeling (BIM), che costringe tutti i professionisti impegnati nel settore ad adeguarsi in tempi brevi al cambiamento imposto dalla legge. E’ quanto proposto dal Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e Architettura (DICAAR) dell’Università di Cagliari – e approvato dal Senato accademico nei giorni scorsi - con il corso in “Modellazione IMM del processo edilizio e BIM dell’edificio”. L’iniziativa progettata e condotta in collaborazione con il Politecnico di Milano, e sostenuta dall’Ufficio di Progetto Iscol@ della Presidenza della Regione Sardegna, è rivolta in particolare ai giovani laureati che cercano competenze innovative per un più efficace inserimento nel mondo del lavoro legato alla progettazione ed alla costruzione dell’architettura e delle infrastrutture e ai funzionari degli uffici tecnici degli Enti Locali.
“La crisi che ha investito il settore dell’edilizia impone l’innovazione – ha spiegato Antonello Sanna, direttore del Dipartimento, che ha presentato l’iniziativa con Carlo Argiolas e Giuseppe Martino di Giuda, coordinatori del DICAAR – L’utilizzo del BIM permetterà di portare il mondo della costruzione verso il futuro: questo è il ruolo dell’Università di Cagliari”. Il BIM è un modello per ottimizzare, tramite la sua integrazione con metodi e strumenti elettronici specifici, la progettazione, realizzazione e gestione di costruzioni in ambito di edilizia e infrastrutture. Tramite esso tutti i dati rilevanti di una costruzione e presenti in ogni fase del processo devono risultare disponibili in formati digitali aperti e non proprietari.
“Questo corso è un modello per la costruzione delle scuole del nuovo millennio – ha specificato Matteo Frate, coordinatore del progetto Iscol@ della Regione Sardegna - Prima ancora che l’obbligo scattasse per legge, abbiamo previsto nei bandi la possibilità di premiare la progettazione dei nuovi edifici scolastici realizzata con la tecnologia BIM. Ora anche i nostri uffici tecnici hanno necessità di formarsi su questa nuova tecnologia, quindi l’invito del DICAAR a collaborare per questo corso per noi è stato molto importante”. L’Ateneo del capoluogo sardo è il primo in Sardegna, e tra i primi in Italia, a proporre questo corso, molto atteso anche dagli Ordini professionali dei professionisti impegnati nel settore: “L’utilizzo del BIM può essere un elemento per uscire dalla crisi. Secondo i dati del Cresme in Italia il 70% degli studi di architetti è interessato ad adeguarsi rapidamente alle nuove normative – ha spiegato Teresa Demontis, presidente dell’Ordine degli Architetti di Cagliari – Per questo abbiamo accolto subito l’invito dell’Università di Cagliari a collaborare per istituire questo corso. L’integrazione dell’Università con il mondo delle professioni consente di proporre un corso di perfezionamento più accurato per assolvere ad un obbligo formativo ormai non più rinviabile”. “Quello di oggi è un bel segnale – ha aggiunto Andrea Casciu, dell’Ordine degli Ingegneri di Cagliari - Fare rete con gli ordini professionali può consentire di ottenere una crescita culturale del sistema e avere un vantaggio competitivo”. L’obbligatorietà di specifici metodi e strumenti elettronici di progettazione è stata introdotta dal nuovo Codice Appalti ed è finalizzata a razionalizzare le attività di progettazione e delle connesse verifiche, andando a migliorare e snellire processi che fino ad oggi hanno influito su tempi e modi di partecipazione agli appalti. Il corso dell’Università di Cagliari, modulato in 150 ore, offre la possibilità di certificare le competenze acquisite sulla base del Protocollo di Building Smart International, ormai fondamentale vista la direttiva europea che prevede l'obbligatorietà di metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nella progettazione. Sono previste sino a 6 borse di studio da 1.650 euro per giovani laureati inoccupati e 2 posti gratuiti da concordare con l’Ufficio Tecnico dell’Ateneo.

 

8 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 11 febbraio 2018 / Attualità - Pagina 18
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Ogni tre anni concorsi per le assunzioni

di Fausto Gasparroni
ROMA Assunzioni secondo piani predeterminati, concorsi con cadenza regolare, tre anni quella standard. Sarebbero queste alcune delle principali novità che scaturiranno dalle linee guida su fabbisogni e selezioni nella pubblica amministrazione. La ministra Marianna Madia dovrebbe presentare il pacchetto a Regioni e Comuni entro il mese. Dalla programmazione dei fabbisogni dipende anche la riapertura alle carriere. La riforma del pubblico impiego dà infatti la possibilità da quest'anno di riservare agli interni il 20% dei posti. Il ministero è a lavoro da tempo sul dossier e non solo perché è partita la stabilizzazione di 50 mila precari, ma anche perché dal prossimo anno il turnover si sbloccherà, e per gestire la prevedibile ondata la bussola verrà da i piani dei fabbisogni che avranno prospettiva triennale. Gli obiettivi da perseguire sono nero su bianco: «efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini». Non si può poi prescindere dal budget e dalla condizione di partenza: ogni ufficio dovrà indicare «la consistenza della dotazione organica». La pianta non sarà statica. Insomma non è detto che un centralinista vada per forza rimpiazzato con un suo collega se serve un infermiere. Gli «indirizzi» del ministero servono ad aiutare le amministrazioni, specialmente quelle più piccole, nella programmazione, anche «con riferimento a fabbisogni prioritari».

 

9 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 11 febbraio 2018 / Nuoro - Pagina 22
L'ISTITUTO PER LA STORIA DELL'ANTIFASCISMO
Eletto il comitato scientifico dell'Istasac

NUORO L'Istituto per la Storia dell'Antifascismo e dell'Età contemporanea nella Sardegna centrale, nodo sardo della Rete nazionale degli Istituti Storici della Resistenza, ha costituito e insediato il proprio Comitato Scientifico. L'organismo ha funzioni di supervisione e orientamento dell'attività, per il cui svolgimento formula proposte e indirizzi. La sua nascita segna un salto di qualità nella proposta scientifica e divulgativa dell'Istasac, presieduto da Marina Moncelsi, che potrà d'ora in avanti valersi del confronto con un qualificato gruppo di studiosi, rappresentativi delle diverse realtà accademiche sarde e di differenti campi disciplinari, realizzando inoltre positive sinergie con altre istituzioni culturali operanti nel territorio. Del Comitato, che ha espresso una positiva valutazione sull'azione scientifica e culturale finora svolta dall'Istituto, sono entrati a far parte: Luciano Carta (storico, già dirigente scolastico), Fiamma Lussana (Università di Sassari), Giuseppe Puligheddu (docente, vice presidente Fondazione Giorgio Asproni), Dino Gesuino Manca (Università di Sassari), Gianluca Scroccu (Università di Cagliari), Felice Tiragallo (Università di Cagliari).

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie