Domenica 23 aprile 2017

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
23 aprile 2017
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RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

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L’UNIONE SARDA

 
1 - L’UNIONE SARDA di domenica 23 aprile 2017 / Speciale (Pagina 35 - Edizione CA)
LE NOVITÀ. Sarà possibile anche gestire applicazioni di telemedicina nell’appartamento
Il maggiordomo virtuale ci aiuterà nella quotidianità

La casa intelligente presto lo sarà ancora di più. Tra i filoni più promettenti della ricerca nel campo della domotica c’è soprattutto quello della gestione energetica degli immobili e la possibilità di connetterli alla rete elettrica anche come fornitori. «In un futuro non troppo lontano», spiegano Fabrizio Pilo, direttore del dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica dell’Università di Cagliari, e Massimo Barbaro, coordinatore della laurea magistrale in Ingegneria elettronica, «la gestione ottimale di diverse fonti energetiche interne (pannelli solari, mini eolico, geotermico) diventerà fondamentale».
Un altro campo in decisa crescita è quello dell’assistenza sanitaria e sociale che vede l’automazione domestica come uno strumento utile per integrare la cura del malato e dell’anziano «tramite dispositivi che consentano di monitorare parametri clinici a distanza», confermano i ricercatori, «creare una rete sociale di supporto (videochiamate, servizi a domicilio, reti sociali). Tutto questo integrato in un sistema che trasformi l’abitazione da luogo passivo in un sistema attivo per la riduzione dei tempi di degenza ospedaliera, tramite telemedicina integrata che non isoli i pazienti più anziani dalla società».
Ma il meglio, forse, non lo abbiamo ancora immaginato: «Come avvenuto nel campo della telefonia, l’intelligenza distribuita nelle nostre case avrà probabilmente anche applicazioni impreviste», dicono ancora Pilo e Barbaro, «i maggiordomi virtuali potranno creare profili delle nostre abitudini, gusti e interessi, proprio come i browser Internet di pc e smartphone fanno adesso interpretando le nostre ricerche online. I servizi domotici inizieranno a gestire l’illuminazione di casa (non solo intensità ma anche colore o tonalità) in funzione del nostro umore; inizieranno a proporci servizi e prodotti interpretando le nostre azioni, prevedendo il momento in cui avremo bisogno di fare un acquisto perché un prodotto nel frigo sta per esaurirsi o scadere; cercheranno di favorire infine la nostra salute individuando comportamenti poco sani o parametri vitali in peggioramento». ( l. m. )
 
 

2 - L’UNIONE SARDA di domenica 23 aprile 2017 / Fondi Investimento (Pagina 21 - Edizione CA)
Carriere 
MAURO MALEDDU
Centodieci e lode in Scienze politiche e un master in relazioni internazionali all’Università di Cagliari: Mauro Maleddu (foto) , dopo un secondo master conseguito alla Luiss di Roma, nell’aprile del 2014 diventa consulente del marketing per la Coldiretti, passando poi alla Sardex come consulente per le relazioni internazionali e il marketing. Nel settembre 2015 arriva il trasferimento a Bratislava e l’inizio della carriera come Expense Financial Analyst in Ibm, l’azienda Usa tra le maggiori al mondo nel settore informatico grazie alla produzione e alla commercializzazione di hardware, software e servizi informatici. (l. m.)
ALBERTO PAMBIRA Dopo la laurea in Matematica a Cagliari Alberto Pambira (foto) si trasferisce in Inghilterra, a Leeds, per un dottorato di ricerca. La sua carriera inizia come analista in Ibm, per poi passare a Londra, prima alla sede della Deutsche Bank e poi alla Citibank dal luglio del 2010 fino al marzo del 2012. Dopo un passaggio alla Kpmg, multinazionale di fornitura di servizi alle imprese specializzata nella revisione contabile e nella consulenza manageriale, nell’ottobre 2014 arriva il trasferimento alla Banca d’Inghilterra come Senior Risk Specialist. (l. m.)
 
 

3 - L’UNIONE SARDA di domenica 23 aprile 2017 / Cronaca Regionale (Pagina 7 - Edizione CA)
IL SOCIOLOGO
«L’ambiente non si può sacrificare per il Pil»
Gianfranco Bottazzi, professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro, è netto: «Non si può sacrificare la salvaguardia dell’ambiente sull’altare del Prodotto interno lordo e dello sviluppo turistico».
Il modello spagnolo, per quanto affascinante sotto il profilo dei risultati, non deve essere applicato alla Sardegna: «Nelle Baleari la cementificazione ha fatto cose terrificanti». Poi non è tutto oro ciò che luccica: «Alle Canarie la disoccupazione giovanile è più alta di quella dell’Isola, che già è preoccupante», ricorda il docente dell’Università di Cagliari, ex presidente della Sfirs.
Detto questo, in Sardegna ci sono ancora poche alternative allo sfruttamento delle coste: «È difficile fare turismo nell’interno, visto che assistiamo a uno spopolamento costante di quelle zone. Nelle Canarie invece cercano di attirare pensionati da tutta Europa con un regime fiscale più favorevole e con servizi. La nostra offerta comunque dovrebbe essere più diversificata. Ora invece possiamo competere solo sulle vacanze al mare». La stella polare rimane l’ambiente: «Il rispetto della natura deve rimanere fondamentale. Vedrete, alla lunga avremo ragione noi». (m. r.)
 
 

4 - L’UNIONE SARDA di domenica 23 aprile 2017 / Quartu Sant’Elena (Pagina 28 - Edizione CA)
L’Ente al lavoro d’intesa con l’Università. Anche le nutrie creano problemi
Molentargius, gambero killer: allarme all’interno del parco
C’è una strana presenza che da qualche tempo si aggira nello specchio di acqua dolce del Molentargius, tra il Bellarosa minore, il Perdalonga e l’ecosistema filtro. È un grosso gambero che rischia di creare un potenziale pericolo per la biodiversità e il patrimonio naturalistico del Parco. Si riproduce con grande velocità e infesta i canali.
L’INVASORE Viene chiamato gambero killer della Louisiana: oltre a nutrirsi di avannotti, di piccoli pesciolini e delle forme larvali degli anfibi, scava le tane nelle sponde degli argini, minandone la stabilità. Per questo l’Ente parco è già corso ai ripari, predisponendo la cattura del gambero con la stretta collaborazione dell’Università di Cagliari.
LE NUTRIE In questo delicato periodo della nidificazione dei fenicotteri, è allarme rosso anche per la presenza delle nutrie. Hanno raggiunto numeri troppo elevati e, anche in questo caso, si sta procedendo alle catture: le gabbie sono state posizionate nei canneti che circondano gli specchi d’acqua. Le nutrie catturate sono poi soppresse. Sia il gambero che le nutrie sono specie aliene, importate per attività di allevamento. Il primo a scopo alimentare, le seconde per le pellicce.
LA BIOLOGA «C’è un progetto, realizzato con il sostegno di Fondazione con il Sud, per contenere il gambero della Louisiana» spiega la biologa del parco Luisanna Massa, «prima di procedere con le catture, è stato effettuato un attento monitoraggio per capire in quali bacini di acqua dolce fosse effettivamente presente e in seguito sono state posizionate le esche specifiche». Tutto questo con la stretta collaborazione dell’Università con Andrea Sabatini del dipartimento Scienze della vita e dell’Ambiente e Paolo Solari del dipartimento Scienze Biomediche.
LE CATTURE Si lavora invece con la Provincia per cercare di arginare il pericolo nutrie. I roditori, anche se erbivori, stanno facendo danni perché scavano gallerie negli argini disturbando la quiete dei fenicotteri. «Nell’ambito di questo progetto portato avanti con la provincia» aggiunge la biologa, «sono state posizionate 25 gabbie nei canneti che circondano gli specchi d’acqua dolce del parco, scelti in base all’ abbondanza di tracce dell’animale. Le gabbie, innescate con mele, vengono monitorate da coadiutori, personale formato dalla Provincia ed iscritto ad un albo».
LE INIEZIONI Alle nutrie catturate non aspetta una bella sorte. Prima vengono addormentate, poi uccise da un veterinario con un’iniezione letale. Per ora ne sono state prese circa quaranta.
Giorgia Daga

5 - L’UNIONE SARDA di domenica 23 aprile 2017 / Cultura (Pagina 53 - Edizione CA)
La ricerca L’antropologa Alessandra Guigoni, esperta di cibo, spiega le nostre abitudini
Le nuove tribù alimentari Gastrocentrici, relativisti culinari e revivalisti

Gli inglesi, seri colonizzatori, si sono inventati il tea delle cinque, facendo diventare bevanda nazionale l’infuso con le foglie di piante arrivate dalle terre conquistate. Lo zenzero, oggi così à la page , loro lo hanno sempre usato. Che dire di quell’intenso profumo di cannella che si respira appena si superano le Alpi? Porta in buona parte il timbro di un altro popolo di conquistatori, gli olandesi, che hanno costruito sulle spezie delle colonie floridi commerci.
E noi italiani? Santi, poeti, navigatori, esportatori di pizza negli Stati Uniti e «conservatori», assicura Alessandra Guigoni, antropologa dell’Università di Cagliari e studiosa della cultura e della storia del cibo, blogger attenta ai fenomeni di globalizzazione alimentare. «Il culto per la nostra cucina, certamente più ricca di altre, ha impedito a lungo che ci fossero significative contaminazioni». «Oggi - prosegue - non è più così. I flussi migratori nel bacino del Mediterraneo hanno portato sulle nostre tavole altri prodotti. Un cibo familiare attenua la nostalgia di casa, e grazie a questo bisogno, anche noi italiani abbiamo scoperto altre pietanze. Molti immigrati poi sono diventati i nuovi imprenditori: le botteghe di frutta e verdura sono gestite da loro».
Il resto della rivoluzione in cucina l’ha fatto la globalizzazione, che ha dato un segno esotico e orientale alla nostra tavola, con prodotti e tecniche di cottura immediatamente disponibili a tutte le latitudini. Sono così nate le tribù alimentari.
Di fronte a un prodotto sconosciuto, la studiosa ha individuato grossomodo tre categorie: i gastrocentrici, i relativisti culinari e revivalisti. «I primi - aggiunge Guigoni - sono quelli che vogliono bere un caffé all’italiana o mangiare un tiramisù in terre dove non sanno neppure che cosa siano e che scelgono il locale di un tedesco con il cuoco vietnamita perché l’insegna dice “Pizza mia”. Sono quelli che mettono le loro abitudini (cucina di mamma, di casa) sempre e comunque al centro».
Dotato di più curiosità è il gruppo dei relativisti culinari. «Sono quelli che amano il sushi più dei giapponesi e magari rischiano di mangiare pesce crudo mai passato in un abbattitore. Aperti, desiderosi di gustare altri sapori, conoscono tutte le cucine etniche: si nutrono di bacche di goji, zenzero, curcuma. Il loro frigo - osserva la studiosa - è un giro del mondo in otto scomparti e a fine pasto offrono zenzero candito».
La terza categoria è la più alla moda e di tendenza. Anche se un gruppo di fedelissimi, da sempre attenti all’alimentazione, ha radici lontane, e ha fatto dell’adagio “fai che il cibo sia la tua medicina” una regola di vita. «Sono le persone che adorano i cibi fermentati. Nella loro casa non manca mai un barattolo di lievito madre e hanno cercato di reinventare un po’ la tradizione. Fanno birra, yogurt, ricotta, formaggio e naturalmente pane in casa, con grani antichi. Presto anche a Cagliari - aggiunge l’antropologa - si potranno apprezzare all’Osteria Kobuta, il locale di Riccardo Porceddu, chef cagliaritano con il cuore che batte in Giappone, cibi ispirati a questa filosofia alimentare».
Dietro al cibo si giocano partite molto più ampie. Economiche in primis, visto il fiorente mercato dell’ethnic business, per esempio. Spirituali poi, nel senso più ampio della parola: si va dalla bellezza del cibo che si porta in tavola alla salvezza di animali la cui carne un gruppo sempre più robusto (dicono le statistiche) non si è più disposti a mangiare. Ma un occhio più attento e aperto ci fa scoprire prestiti, adozioni, scambi, analogie che fanno del cibo che mettiamo nel nostro piatto una storia più vicina ad altre. «Gli italiani e i cinesi hanno inventato gli spaghetti, così come dalla vite si è ricavato vino in tutto il bacino del Mediterraneo».
Caterina Pinna
 
 

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LA NUOVA SARDEGNA
 
 

6 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 23 aprile 2017 / Cultura e spettacoli - Pagina 33
La scelta di alcuni stati Usa nel film dell’economista-filmaker Francesco Bussalai
Dall’uso millenario al proibizionismo e la lotta agli effetti della sclerosi multipla
«Rilegalizzare la cannabis: dai malati al business»
di Marco Vitali
CAGLIARI Se vuole creare dibattito, il film di Francesco Bussalai “Relegalized, un viaggio nella cannabis rilegalizzata” riesce nel suo intento. Alla la prima cagliaritana, al Teatro Massimo, Gianluigi Gessa ha esordito dicendo: «Mi riconosco in tutto quello che ho detto ma non sono d’accordo su tutto quello che dice il film. Faccio un esempio: l’uso medico vuol dire dare a dei malati delle speranze che oggi non sono ancora certezze e non credo che un medico possa ordinare una canapa preparata in cucina da persone improbabili». Una farmacista è intervenuta quindi per dire che il film apre loro prospettive interessanti dati problemi legati al riconoscimento del Cbd, principio attivo non riconosciuto come farmaco. In attesa che il dibattito prosegua al Senato il 29 maggio, il film sarà proiettato da domani al teatro degli Intrepidi Monelli, in viale Sant’Avendrace 100 a Cagliari. Da filmmaker Francesco Bussalai parla così del proprio lavoro. Quando e come nasce l’idea di un film sulla legalizzazione della marijuana negli Usa? «L’idea nasce da un viaggio che avevo deciso di fare. L’uso legale della cannabis è la cosa più grossa a livello sociale, economico e sanitario che sta succedendo oggi nella parte occidentale degli Usa quindi Oregon, California, stato di Washington. Il film parte con l’idea di raccontare quello che vedevo lì: il coltivatore, il produttore, quello che fa gli estratti, il laboratorio di analisi, il venditore. Però mi sono accorto che mancavano un punto di vista scientifico e lì entra in gioco professor Gessa e una prospettiva storica». Perché tutti oggi pensiamo che sia il male assoluto? «Per raccontarlo ho trovato un personaggio eccezionale come Nixon che ha deciso di partecipare solo in voce. Nixon per tre anni registra tutte le conversazioni che si svolgono nello studio Ovale della Casa bianca, dove incontra i suoi collaboratori e tutti gli esterni. Le registrazioni sono le stesse che lo incastrano per il caso Watergate, e lui è costretto a dimettersi. Nixon muore nel ’98 e dal 2008 cominciano a pubblicarle, oltre 3000 ore di documenti. Qui ho trovato le cose che cercavo e Nixon ci aiuta a capire la guerra alla droga e l’incredibile aumento del tasso di carcerazione in tutto il mondo ma soprattutto negli Stati Uniti». Rilegalizzata perché? «Prima di tutto è solo una pianta e che ci sia bisogno di legalizzarla è già un paradosso. La verità è che l’uso della cannabis è conosciuto da migliaia di anni, per uso medico e per uso anche ricreativo. L’uso medico è riconosciuto nella farmacopea di tutto il mondo: negli Stati Uniti fino al ’41, in Italia fino al 47. L’idea del titolo è che una pianta legale da sempre e sempre usata, pensiamo sia proibita ma lo è solo da 80 anni. Ma è già stata rilegalizzata, non solo negli Stati Uniti dove c’è un riconoscimento formale, ma anche nei fatti anche in Europa e in Italia perché i farmaci a base di cannabis esistono, sono in commercio, utilizzati ad esempio dai malati di sclerosi multipla, l’unico problema ad esempio col Sativex che è citato nel film è che costa 8000 euro l’anno per una pianta che puoi coltivare in giardino dove cresce come il basilico o i pomodori. Professor Gessa appare come un vero protagonista, il personaggio ponte tra la Sardegna e l’universo mondo... «La mattina in cui abbiamo registrato l’intervista io e Paolo Carboni eravamo alle telecamere ma ci dimenticavamo di averle: è stata un’esperienza straordinaria. E mi sembra che col suo essere uno scienziato, un professore, un insegnante che fa capire le cose con semplicità leghi le storie che succedono dall’altra parte del mondo ma sono universali. Anche nella versione americana che alcuni hanno già visto tutti sono rimasti colpiti e rapiti da quest’uomo. Il documentario punta il dito contro il proibizionismo e offre una visione sempre ottimista della legalizzazione». Perché non parla degli adolescenti che pure sono tra i consumatori considerati a rischio? «Negli Stati Uniti, salvo l’uso medico, è legale solo dai 21 anni e dobbiamo riflettere sul fatto che i ragazzi fumano già ora che è proibita. Io non punto il dito contro il proibizionismo ne racconto gli effetti. Metto in fila delle storie e lì è la mia responsabilità di narratore, ma ho fatto solo un documentario. Il film tratta il business che si è creato intorno alla cannabis. Qui entra in gioco il suo lavoro precedente di esperto in economia del lavoro in Sardegna... «In Oregon sta trasformando un mondo finora in mano alle mafie e ai narcotraffici. Se questo potere lo dai a tutti crei un settore economico enorme. Le storie che racconto accadono a Eugene (che ha 150.000 abitanti come Cagliari) dove oggi 25 dispensari occupano 10/15 persone ognuno, con una rete di una decina produttori ciascuno; le trasformazioni, gli estratti, quelli che preparano i cibi e i venditori autorizzati. Dalla sera alla mattina si nono creati circa mille posti di lavoro. Se gestita bene diventa un settore economico enorme: noi abbiamo bisogno di cannabis per i nostri malati di sclerosi, ma la Sardegna ha 6000 malati di sclerosi. La stiamo sperimentando, ma se dovesse funzionare sono 48 milioni di euro solo per un farmaco e per una malattia. Non possiamo permettercelo. Non solo: è una possibile fonte di lavoro e sviluppo per categorie che normalmente sono considerate non impiegabili nel campo delle economie. Se coltivare diventa legale chi prima lo faceva illegalmente, i pastori, i ragazzi che spacciano diventerebbero negozianti. In Oregon sono diventate persone con un lavoro legale che pagano le tasse. Diventa un salto sociale potenzialmente incredibile. Nel film cito come un gioco di proiezioni i dati della Yale Economic Rewue, numeri veri di economisti importanti, pubblicati cinque anni fa quando avevano la percezione di un mercato meno grande di quanto non si sia rivelato in realtà».


 
 
 
7 - LA NUOVA SARDEGNA ONLINE di domenica 23 aprile 2017 http://m.lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2017/04/23/news/conti-pubblici-e-qualita-del-sistema-sanitario-ricerca-sarda-presentata-a-budapest-1.15237190?ref=hfnscaea-1
CONTI PUBBLICI E QUALITÀ DEL SISTEMA SANITARIO: RICERCA SARDA PRESENTATA A BUDAPEST
Il lavoro è stato condotto dal nucleo regionale della Sardegna dei Conti pubblici territoriali in collaborazione col dipartimento di Scienze economiche dell’università di Cagliari
CAGLIARI. La spesa pubblica analizzata in relazione alle prestazioni e alla qualità del sistema sanitario in Sardegna e in Italia è la ricerca presentata a Budapest alla conferenza annuale dell’Irspm, International research society for public management) dal team del Nucleo regonale della Sardegna dei conti pubblici territoriali. La ricerca è stata condotta in collaborazione con il dipartimento di Scienze economiche dell’università di Cagliari, del gruppo fanno parte Alessandro Spano, Valentina Tagliagambe, Elisabetta Mallus, Anna Aroni, Benedetta Bellò, Silvano Castangia.
Si tratta di una ricerca sperimentale nelle fasi preliminari che già però ha mostrato un’evidenza, vale a dire che non sempre l’aumento della spesa si accompagna a migliori performance. In alcuni casi si è rilevata anzi una correlazione negativa tra aumento spesa e performance perché nella gestione del problema salute resta fondamentale l’efficienza dell’organizzazione. Un altro aspetto emerso è che, per portare a termine un’analisi completa e quindi utile, servono dati sulle prestazioni valutate in un ampio arco temporale e confrontati con quelli analoghi delle singole regioni. Il tema dei dati a disposizione si è rivelato cruciale e il gruppo sta lavorando per acquisire un ventaglio il più ampio possibile di informazioni sulle varie prestazioni
La presentazione del lavoro è avvenuta alla Corvinus University di Budapest
 
 
 

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