Giovedì 14 aprile 2016

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
14 aprile 2016
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RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

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L’UNIONE SARDA


1 - L’UNIONE SARDA di giovedì 14 aprile 2016 / Primo Piano (Pagina 9 - Edizione CA)
EGITTO. Parla il presidente
Omicidio Regeni, Al Sisi: «Caso creato dai media»
IL CAIRO Si è scagliato contro i media il presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi, accusandoli di aver sfruttato l'omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni per puntare il dito contro gli organi di sicurezza. Durante un discorso televisivo trasmesso alla nazione, a seguito di un incontro con esponenti politici e ong in Parlamento, Al Sisi ha dichiarato che in Egitto c'è «gente malvagia» che «spaccia bugie e menzogne» sull'omicidio e che imbarazza il Paese. «Non appena si è saputa la notizia dell'omicidio di Regeni alcuni hanno incolpato le forze di sicurezza, senza alcuna prova», ha aggiunto il presidente. «Stiamo trattando questo caso con trasparenza, non indaga solo il ministero dell'Interno ma anche il procuratore generale e la magistratura egiziana», ma purtroppo «noi egiziani abbiano creato un problema con l'omicidio del giovane italiano», ha sottolineato Al Sisi riferendosi ai media.
Di fatto né un progresso nella ricerca della verità né un arretramento: questa è la lettura prevalente delle dichiarazioni del presidente egiziano. Il Cairo ha sempre cercato di difendere la tesi secondo cui la morte del ricercatore sarebbe la conseguenza di un furto da parte di una banda locale, teoria che non ha convinto né l'Italia, che la scorsa settimana ha richiamato il suo ambasciatore al Cairo, né molti egiziani. Nel suo discorso, Al Sisi ha fatto più volte riferimento alle accuse di violazione dei diritti umani che molte ong nazionali ed internazionali hanno rivolto al suo governo. «Lavoriamo perché vi sia equilibrio tra le forze di sicurezza e i diritti umani. Chiunque vive in pace e tranquillità vivrà tranquillo, chi vive con le armi no», ha avvertito.
 
Primo Piano (Pagina 9 - Edizione CA)
GINEVRA. Polizia sulle tracce del fidanzato di Valentina
CONOSCEVA IL KILLER Delitto Tarallo, non è stata una rapina
GINEVRA Colpo di scena nelle indagini sull'omicidio di Valentina Tarallo, la ricercatrice torinese di 29 anni massacrata a colpi di spranga a Ginevra, all'uscita dall'università. La giovane conosceva il suo assassino, stando alle rivelazioni del quotidiano svizzero “Tribune de Geneve” che cita fonti della polizia. Perde quota insomma l'ipotesi avanzata in un primo momento, che l'aggressore fosse un balordo.
L'uomo è ancora in fuga, ma la polizia l'avrebbe individuato e sarebbe già sulle sue tracce: si tratterebbe, secondo alcuni testimoni, di un giovane di origine africana, tra i 20 e 30 anni, alto circa 1,90 metri, che potrebbe essersi rifugiato in Italia. Con lui, sempre secondo le indiscrezioni non confermate, la ricercatrice avrebbe avuto una relazione. In ogni caso non è credibile che la giovane sia stata assassinata per una rapina: sul luogo dell'omicidio è stato ritrovato il suo zainetto con il portafogli.
Valentina Tarallo seguiva in Svizzera un dottorato di Fisiologia cellulare e metabolismo, secondo quanto si legge sul portale web dell'Università di Ginevra. È stata aggredita intorno alle 23 di lunedì sera in avenue de la Croisette da un uomo armato di una spranga di ferro che l'ha violentemente colpita alla testa a poche decine di metri dalla casa in cui abitava e dove stava probabilmente facendo rientro. Dopo il ritrovamento del corpo la polizia svizzera ha lanciato un appello rivolto ad eventuali testimoni, appello che con tutta probabilità ha dato buoni risultati.
«Orrore e sdegno. In queste ore di drammatico dolore siamo vicini alla famiglia di Valentina», ha dichiarato il sindaco di Torino, Piero Fassino. Sgomento a La Loggia, il paese in cui Valentina era cresciuta e dove la sua famiglia è molto attiva nel volontariato.

 
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LA NUOVA SARDEGNA
 
 

15 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 14 aprile 2016 / Attualità - Pagina 14
Il presidente egiziano: «Solo menzogne dei media». E invita gli inquirenti italiani a tornare al Cairo
REGENI, AL-SISI “SCAGIONA” I SERVIZI
di Maria Rosa Tomasello
ROMA Le risposte alle domande degli inquirenti italiani non sono ancora arrivate, come una settimana fa non sono stati consegnati i tabulati telefonici e i filmati delle telecamere di sorveglianza necessari per ricostruire gli ultimi movimenti di Giulio Regeni. Ma per il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il giallo della morte del ricercatore italiano, torturato e ucciso al Cairo, è un caso montato dai media e i servizi segreti non hanno alcuna responsabilità. Ma chi abbia commesso il delitto e quale sia il movente resta oscuro: «C’è gente malvagia fra noi che fa ciò» afferma al-Sisi, senza ulteriori dettagli. Meno di una settimana dopo il fallimento del vertice tra i pm di Roma e la delegazione di magistrati e investigatori arrivati dall’Egitto, seguito dal richiamo dell’ambasciatore italiano al Cairo, dunque, il presidente scagiona le forze di polizia e punta il dito contro alcuni media egiziani «che hanno lanciato accuse criptiche contro gli apparati di sicurezza». Il problema per l’Egitto, accusa durante un incontro con i portavoce dei gruppi parlamentari e del Consiglio nazionale per i diritti umani, i leader dei sindacati e dei gruppi editoriali, è stato generato dalla pubblicazione di «menzogne» da parte di media egiziani, riprese dai media internazionali. «I social media non devono essere le vostre fonti» ammonisce i giornalisti, rivendicando «la totale trasparenza» delle autorità egiziana nella vicenda Regeni. «Il procuratore generale sta seguendo di persona le indagini, e questo significa che il caso è in cima all’agenda dell’autorità giudiziaria», a conferma delle «relazioni molti privilegiate con gli italiani». «Perché l’Italia - ricorda al-Sisi - è stata il primo Paese a stare dalla nostra parte dopo la rivolta del 30 giugno» del 2013, quando le manifestazioni di piazza appoggiate dai militari portarono alla deposizione del presidente Mohamed Morsi. Per questo, afferma, gli inquirenti italiani devono tornare in Egitto e «partecipare a tutti gli sforzi che si fanno». Ma l’Italia, a sua volta, chiede, non deve dimenticare un “figlio” dell’Egitto, Adel Meawwad Heikal, scomparso a Roma nell’autunno scorso, una sparizione su cui indaga la procura di Roma. Sull’omicidio di Giulio Regeni si muove intanto anche l’Ue. L’alto rappresentante per la Politica estera Federica Mogherini, a margine del G7 in Giappone, assicura al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni la massima attenzione. «Il caso è sollevato a ogni livello dalla Ue nei contatti sull’Egitto» dichiara la portavoce Catherine Ray. A Strasburgo intanto oltre 40 europarlamentari italiani di tutte le forze politiche hanno manifestato ieri di fronte al Parlamento europeo per chiedere la verità sulla morte del ricercatore. «Bisogna intervenire con fermezza, anche con sanzioni di carattere economico, perché gli egiziani fanno finta di non ascoltare - ha detto Lorenzo Cesa, Ncd - Bisogna che ci sia un intervento dell’Europa per far luce sul caso Regeni, come anche sulle altre 380 persone sparite in Egitto». Una delegazione di deputati egiziani ha incontrato ieri gli europarlamentari italiani, assicurando che la vicenda sarà esaminata in Parlamento. Ma per Isabella De Monte, Pd, vice capodelegazione italiana, l’incontro non è stato soddisfacente. «Sono sembrati più che altro interessati alle ripercussioni negative sull’economia e sul turismo nel loro Paese - ha spiegato - hanno condannato il delitto, ma hanno seguito la linea di al-Sisi, attaccando gli organi di informazione». Ma nuove accuse al regime arrivano da Human Rights Watch: 7.400 civili, tra i quali almeno 86 bambini, denuncia l’associazione, sono stati processati da tribunali militari in Egitto dall’ottobre del 2014, quando il presidente al Sisi ha emanato un decreto per estendere i poteri delle corti militari. La maggior parte sarebbero stati giudicati tramite procedimenti sommari che hanno violato i fondamentali diritti processuali. Alcuni di loro, denuncia l’ong, sono stati torturati e sono poi spariti per sempre.

La ricercatrice uccisa a Ginevra conosceva il killer
Conosceva il suo assassino Valentina Tarallo, la giovane ricercatrice torinese uccisa lunedì? a Ginevra. L’ipotesi iniziale di una rapina finita male sembra lasciare strada ad altri scenari, tra cui quello di una aggressione per motivi passionali. La polizia sarebbe sulle tracce di un un 36enne di origini senegalesi, già noto alle forze dell’ordine, sospettato di avere ucciso a sprangate la ventinovenne che, dopo la laurea in Italia, si era trasferita in Svizzera per un dottorato in Microbiologia molecolare. L’accanimento nei confronti della ragazza, colpita più volte alla testa, e il ritrovamento del portafogli sul cadavere hanno indotto la polizia ad allargare le ipotesi. Alcuni conoscenti hanno riferito di una breve storia con una persona di origini africane: un uomo «geloso» da cui Valentina si sarebbe allontanata proprio per questo motivo.
 

 

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