Mercoledì 30 marzo 2016

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30 marzo 2016
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RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

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L’UNIONE SARDA


1 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Primo Piano (Pagina 5 - Edizione CA)
I DATI DEL MINISTERO. Cresce il numero di quelli che restano fermi un anno prima di decidere
SARDEGNA, FUGA DALL'UNIVERSITÀ
I giovani isolani sono tra i meno propensi a proseguire gli studi
Dopo il diploma o la maturità, per molti studenti sardi, non c'è l'Università. È il dato, preoccupante, diffuso dal Ministero dell'Istruzione, sulla mappa delle immatricolazioni italiane per il prossimo anno accademico. I ragazzi con la minore propensione a proseguire lo studio dopo il liceo sono quelli sardi, siciliani, campani e pugliesi, con tassi attorno al 43%. Significa che, nell'Isola, su dieci giovani che ottengono il diploma di maturità, appena quattro scelgono il percorso universitario. Altre regioni d'Italia arrivano al 55%: i dati migliori sono in Liguria, Marche, Abruzzo e Molise.
L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Primo Piano (Pagina 5 - Edizione CA)
 PIÙ DONNE L'indagine rivela che sono le studentesse a iscriversi di più rispetto ai loro compagni, 55,6% rispetto al 45 dei maschi. Otto immatricolati su dieci inoltre sono liceali e anche il voto condiziona l'iscrizione. Il 90,7% di chi prende il 100 e lode sceglie l'università, mentre lo fa solo il 22,1 dei diplomati con 60.
«Sempre meno ragazzi vogliono proseguire gli studi», conferma Roberto Marini, che da 30 anni insegna italiano e latino al liceo classico Siotto di Cagliari: «Se fino a dieci anni fa tutti, e dico tutti, si iscrivevano all'università, oggi noto nelle mie classi che sono indecisi. Almeno due o tre prendono un anno di riflessione e si iscrivono a 19 anni». La maturità classica non apre strade diverse dallo studio universitario, e chi frequenta i licei lo sa: eppure «nell'ultimo lustro almeno un alunno per classe non si iscrive proprio», prosegue Marini, «molti studenti pensano che comunque, a prescindere dal titolo di studio, le prospettive di lavoro siano veramente poche. Per questo provano a cercare lavoro fuori e mettono da parte l'idea della laurea».
 IN ATTESA E poi c'è il gruppo degli indecisi. Preferiscono andare un anno a imparare l'inglese, poi rientrano e decidono se continuare a studiare. Anche dalle statistiche del ministero emerge una crescita del 3% delle matricole universitarie che hanno già compiuto 19 anni. Dunque per i neodiplomati non è più una cosa rara una battuta d'arresto, con una riflessione di un anno. «I motivi della mancata scelta universitaria vanno letti anche nella consapevolezza che gli stessi studenti acquisiscono», riflette Marini: «Si rendono conto che per gli studi universitari devono essere veramente convinti e motivati, il sacrificio richiesto è alto».
Nella mappa delle scelte universitarie la fa da padrone la sfera scientifica con il 33,6%, seguita dall'ambito sociale e da quello sanitario. «Sono veramente pochi gli studenti che scelgono Lettere o Filosofia», dice ancora Roberto Marini, «la maggior parte opta per Ingegneria, molti Medicina. Provano i test anche cinque volte finché non li superano; nel frattempo si iscrivono in altre facoltà, aspettando di passare a Medicina».
GLI ESPERTI «Per leggere e capire i motivi della minor propensione alla scelta universitaria dopo la conclusione del secondo ciclo bisognerebbe avere una consulenza specializzata», premette il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, Francesco Feliziani: «Noi, come direzione regionale, non abbiamo i dati dei nostri studenti in uscita in merito all'università. Con la “Scuola in chiaro”, leggibile nel sito del ministero, c'è il sistema di valutazione delle scuole fino alla maturità ma non oltre».
E se i numeri parlano di minor propensione a proseguire gli studi universitari tra gli studenti sardi, è anche vero che c'è chi ha le idee chiare: come Lorenzo Prisciano, studente al quinto anno del liceo scientifico Don Bosco di Cagliari. «Farò l'università perché voglio fare il medico, è già tempo di fare le prove per il test di medicina», racconta. «Le selezioni le farò a Roma per motivi familiari, non perché qui l'università non mi garantisca un buon livello di preparazione. Andrò a studiare nella capitale».
Ha già scelto la facoltà anche Tommaso Brignore, studente del liceo classico Siotto di Cagliari: «Mi iscriverò a Scienze politiche, continuerò il mio percorso di studi dopo il liceo. Con la maturità e basta non ci sono grandi prospettive di lavoro. Ho intenzione di arrivare alla laurea per darmi una possibilità in più, sia dal punto di vista lavorativo che da quello della formazione».
 Maura Pibiri
 
 
 
2 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Primo Piano (Pagina 6 - Edizione CA)
Battaglia legale per i precari della Sanità
Nuova battaglia del Codacons. Dopo l'azione avviata a tutela dei lavoratori della scuola con risarcimenti in favore dei docenti precari, l'associazione dei consumatori lancia una nuova azione collettiva riservata ai precari del “settore sanità” della Sardegna.
L'iniziativa legale prende spunto da una sentenza della Corte di Cassazione del 15 marzo, che ha riconosciuto i diritti dei lavoratori precari degli ospedali pubblici, stabilendo che le aziende sanitarie non possono ricorrere al continuo rinnovo dei contratti a tempo determinato senza assumere personale tramite concorso. Per i supremi giudici, inoltre, in caso di abuso di contratti a termine, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno da «perdita di chances lavorative».
Tutti i lavoratori a tempo determinato impiegati presso le Aziende sanitarie pubbliche della Sardegna con contratti a termine che abbiano superato i 36 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi), possono ora aderire all'azione collettiva lanciata dal Codacons, e ottenere l'assunzione a tempo indeterminato, il riconoscimento dell'anzianità di servizio e il risarcimento del danno fino a un massimo di 50.000 euro.
 
 
 
3 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Borsa (Pagina 14 - Edizione CA)
Conclusi gli studi di economia preferisce fare la coltivatrice nelle campagne di Tula
LA MARMELLATA DELLA BOCCONI
Dopo la laurea sceglie di produrre confetture in Sardegna
La domanda principale della scaletta muore sulle labbra. Daniela Scarpellino, l'intervistata, se la pone da sola. Sarà perché, da sportiva professionista, è abituata a giocare d'anticipo. Oppure perché chissà quante volte, negli ultimi cinque anni, si è sentita chiedere chi gliel'abbia fatto fare, dopo una laurea in economia alla Bocconi, a trasferirsi in Sardegna, nella campagna di Tula, per produrre miele e confetture. «A tutti, do la stessa risposta: dopo gli studi, e tanti lavori diversi, ho capito che da grande avrei voluto fare qualcosa di utile e produttivo», racconta nel mezzo di una dura giornata tra lavoro e famiglia, «ho trovato il mio futuro, nel cercare soluzioni nei lavori tradizionali».
Quindi coltivare la terra, allevare maiali, seguire le api, scegliere la frutta al giusto punto di maturazione, cuocerla e farne delizie senza alcuna aggiunta gelificante o sintetica, che vende nei mercati Campagna Amica di Coldiretti e oltre Tirreno con il marchio Areste, nato nel 2010. «Un nome scelto perché andiamo oltre il biologico, puntiamo al selvatico, un po' come noi». Prima di tutto questo però, ci sono l'infanzia in Calabria, gli studi milanesi, l'arruolamento sfiorato nell'arma dei Carabinieri.
Da lì l'inizio di una lunga riflessione, che l'ha portata a una carriera nel volley professionistico tra le file di Roma, Fidia e Pomezia. Qui l'incontro con Alessandro Pintadu, velocista delle Fiamme Gialle, diventato suo marito, nonché il tramite tra lei e il suo destino in terra sarda. «Per costituire l'azienda, ho investito i risparmi in un terreno con due ruderi», racconta la giovane calabrese, «uno, prima adibito a stalla, è stato trasformato in laboratorio polifunzionale». L'altro diventerà la casa per sé e la sua famiglia, nel frattempo arricchita dall'arrivo di due bimbi. «Senza i miei suoceri, Nicolina e Gavino, sarebbe molto più difficile conciliare la mia attività con la vita da mamma», confessa, «la campagna impone ritmi severi, ma sono sempre più soddisfatta della scelta».
Anno dopo anno, l'azienda si è specializzata nella produzione di confetture e marmellate, ventisei fra tipologie classiche e abbinamenti originali. L'obiettivo è diversificare ancora. «È in cantiere un progetto che permetterà la fusione tra un'equilibrata attività sportiva, una sana vita in campagna e un'alimentazione biologica». Non è la sola eredità, degli anni trascorsi sotto rete. «Lo sport mi ha trasmesso l'energia, insegnato a pormi degli obiettivi e gestire l'ansia», elenca, «quando mi capita di raccontare la mia esperienza agli studenti, concludo sempre così: ragazzi, praticate lo sport perché vi insegna la vita».
Clara Mulas
 
 
 
4 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Cronaca di Cagliari (Pagina 19 - Edizione CA)
LILA. La denuncia
«Nuove medicine da destinare ai coinfetti»
«Nessun trapianto per pazienti coinfetti a Cagliari»: la denuncia è di Luchino Chessa. L'infettivologo e epatologo dell'ospedale universitario si sofferma sulla situazione di alcuni pazienti. «I pazienti coinfetti (da Hiv e Hcv) con epatocarcinoma che ho avuto, sono tutti già morti», ha spiegato il medico «Questo perché non fanno in tempo ad essere trapiantati. È difficile riuscire a trapiantare i pazienti cirrotici con e senza epatocarcinoma coinfetti».
 
 
 
5 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 30 marzo 2016 / Esteri (Pagina 11 - Edizione CA)
Il padre e la madre del ricercatore friulano ucciso al Cairo: l'Italia agisca
Regeni, il grido dei genitori:
«Gli hanno sfigurato il viso»
ROMA «Sono la mamma di Giulio. Non è facile essere qui...». È cominciata così, ieri mattina nella sala Nassiryia del Senato, la conferenza stampa di Paola e Claudio Regeni, i genitori del ricercatore friulano scomparso al Cairo il 25 gennaio e ritrovato senza vita il 3 febbraio.
LA VERITÀ NASCOSTA Non è stato facile per il padre e la madre di Giulio. Ma hanno deciso di rompere il riserbo per non vedere insabbiata, sotto una montagna di bugie e depistaggi, la verità sulla morte del loro ragazzo. Loro l'avevano previsto che dal Cairo avrebbero trovato dei colpevoli di comodo. E infatti è accaduto. L'ultima ricostruzione fornita dalla polizia egiziana - omicidio ad opera di una banda di criminali uccisi poi in una sparatoria con le forze dell'ordine - fa acqua da tutte le parti. Tanto che Giuseppe Pignatone, il capo della Procura di Roma, ha dichiarato che «gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non sono idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell'omicidio». Ieri Pignatone ha ricevuto la telefonata del procuratore generale della Repubblica Araba di Egitto che gli ha ribadito «l'impegno a continuare le indagini in ogni direzione, sino all'accertamento della verità».
 TENSIONI TRA PAESI Il momento è molto delicato per i rapporti tra Italia e Egitto. Così, mentre l'assassinio del giovane studioso diventa un caso internazionale, Palazzo Chigi ribadisce ancora l'appoggio alla Procura di Roma («Ci fermeremo solo davanti alla verita», ha detto il premier Renzi) e le forze politiche, tutti i partiti, chiedono «verità».
VERTICE A ROMA Il 5 aprile gli investigatori egiziani sono attesi a Roma, dove dovrebbero fornire risposte al procuratore Pignatone, anche sui documenti d'identità alcuni dei quali non appartengono al ragazzo. L'appuntamento istituzionale avrà un valore particolarmente significativo perché i funzionari della polizia italiana incontreranno i colleghi del Cairo per fare il punto sull'inchiesta.
IL CORPO MARTORIATO È anche in vista di quella data che i genitori di Giulio Regeni hanno deciso di rompere il silenzio. «Se il 5 aprile sarà una giornata vuota, confidiamo in una risposta forte del nostro Governo», ha detto Paola Regeni che, assieme al marito, era accompagnata dal presidente della Commissione per i diritti umani Luigi Manconi, dall'avvocato Alessandra Ballerini e dal portavoce di Amnesty international Italia Riccardo Noury. Ma se quel giorno non dovessero arrivare le risposte, la verità sulla morte di Giulio, i genitori sono pronti a fare ciò che finora non avrebbero mai pensato di dover fare. Mostreranno la foto del corpo martoriato del loro ragazzo.
 IL RICONOSCIMENTO «Voi avete visto le sue foto. Quel bel viso, sempre sorridente. Un'immagine del 15 gennaio, compiva 28 anni. Poi c'è una foto che gli scattai il giorno della sua partenza per Il Cairo. Mi disse: “Mamma, fammi una foto, dici sempre che non ne facciamo mai”. Giulio è sparito dieci giorni dopo la foto del compleanno, il 25 gennaio. Una foto felice, era con gli amici al Cairo. Ora a quella immagine ne sovrapponiamo un'altra: quella del suo volto come ci è stato restituito dall'Egitto. Era diventato piccolo piccolo. Non vi dico cosa hanno fatto a quel viso. L'unica cosa che vi ho ritrovato era la punta del naso».
«NON ERA UNA SPIA» Paola e Claudio Regeni hanno trovato il coraggio di vedere il corpo del figlio solo quando il feretro è arrivato a Roma. «Nella sala dell'obitorio - ha raccontato lei - l'ho riconosciuto dalla punta del naso. Non era più il nostro Giulio. Quello che è accaduto a nostro figlio non è un caso isolato: Giulio poteva aiutare l'Egitto, il Medio Oriente, studiava i problemi del sindacato, l'emarginazione». Un ragazzo aperto al mondo. «Ed è morto sotto tortura. È dai tempi delle dittature fasciste e naziste che non si vedeva una morte sotto tortura. Ma noi non siamo in guerra: Giulio faceva ricerca, era un ragazzo di oggi. Non era un giornalista, non era una spia».
 «SI RICHIAMI L'AMBASCIATORE»Mentre il senatore Luigi Manconi sollecita «una determinazione maggiore» da parte del Governo «di quella finora adottata», magari tenendo in conto l'eventuale «richiamo in Italia del nostro ambasciatore in Egitto» e dichiarando «l'Egitto Paese non sicuro»; l'avvocato Ballerini avvisa: «Non ci aspettiamo l'ultima parola per il 5 aprile. Per questo chiediamo che l'attenzione resti altissima, che la mobilitazione del Paese non smetta mai, altrimenti domani ci venderanno l'ennesima verità». Ne ha venduto diverse, finora, l'Egitto. La droga, l'attività di spionaggio. «Di certo Giulio non era una spia: lo dice il conto corrente bancario, Giulio indossava i vestiti del padre per risparmiare», ha puntualizzato il legale della famiglia. L'esame tossicologico sul cadavere, poi, ha dimostrato che era «il ragazzo più pulito del mondo».

 


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