Domenica 7 febbraio 2016

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
07 febbraio 2016

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 51 - Edizione CA)
Don Chisciote de sa Màntzia
narra le sue gesta in sardo 
Libri Condaghes: l’edizione dell’opera di Cervantes a cura di Gianni Muroni nelle librerie
 
È uno dei romanzi più tradotti nella storia della letteratura mondiale. Nonostante Don Chisciotte sia stato pubblicato quando la Sardegna era parte dell’impero spagnolo, la lingua sarda ha stentato a misurarsi col personaggio e con la materia complessa che il capolavoro di Miguel de Cervantes (1547-1616) affronta. Appare strano, se si considera la carica simbolica ed esemplare della creatura letteraria, che nemmeno nelle gare poetiche – sono conoscenza e memoria di Paolo Pillonca a parlare - fosse usuale citare il cavaliere della Mancia e i proverbiali mulini a vento. Eppure gli improvvisatori erano in grado di attingere a una galleria di personaggi articolata che, derivata perlopiù dalle fonti classiche, proponeva a un pubblico non erudito persino la figura del generale persiano Mardonio.
IL PROGETTO L’edizione in sardo dell’opera di Cervantes, nelle librerie per Condaghes e realizzata da Gianni Muroni, operatore linguistico sassarese, formatosi tra Sardegna e Spagna, va quindi salutata – pur di fronte alla pretesa normalità del sardo - come fatto straordinario. “Don Chisciote de Sa Màntzia” (543 pagine, euro 25) s’inserisce nella collana Sena Làcanas che comprende i titoli più noti di Goethe, Stevenson, Kafka, Saramago, Wilde, Garcìa Lorca, Joyce, Garcìa Marquez e la traduzione dall’arabo del siriano Zakaria Tamer. La pubblicazione coincide con un anniversario che ben si presta alle finalità di confronto e dialogo volute dal Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale che promuove l’iniziativa. Ricorrono infatti i quattro secoli dalla morte di Cervantes.
LA TRADUZIONE «In unu logu de sa Màntzia, chi su nùmene como non m’ammento, no est meda chi biviat unu hidalgo de sos de lantza in rastrelliera, iscudu, runtzinu làngiu e lebreri». Inizia così, facendo seguito a dedica e prologo, la storia del cavaliere errante. «La traduzione del Don Chisciotte, così come le altre - sottolinea Giuseppe Corongiu, anima del Csu - è stata realizzata partendo dalla lingua originale con l’uso delle norme ortografiche della limba sarda comuna. Non può esistere una lingua normale che si scrive in più varianti. Condizione essenziale per una letteratura degna di questo nome, o per l’uso ufficiale della lingua, è un modello condiviso di scrittura. La speranza è che dal confronto con le letterature prestigiose anche la letteratura della minoranza linguistica sarda cresca e si scrolli di dosso ogni residuo di stereotipi colonizzanti».
LINGUA E POTERE La traduzione, finanziata dal servizio linguistico regionale nel 2014 prima del cambio di vertice, favorisce anche una più ampia riflessione sulle ragioni che nella storia hanno limitato l’uso del sardo. Ai tempi della pubblicazione dell’opera di Cervantes (la prima parte fu edita nel 1605, la seconda nel 1615), la lingua era di rado utilizzata per redigere atti pubblici o per la tradizione letteraria. «Fino al 1630 circa il catalano era la lingua prevalente», dice Gianfranco Tore, già docente di Storia moderna all’Università di Cagliari. «Inizia a perdere terreno a favore del castigliano con la corsa alle iscrizioni nelle università ispaniche e l’istituzione delle università sarde». Anche la guerra dei Trent’anni ebbe da questo punto di vista una funzione determinante: i nobili sardi appresero a parlare il castigliano.
DON CHISCIOTTE IN SARDEGNA La diffusione dell’opera di Cervantes (di cui si ipotizza un passaggio a Cagliari durante gli spostamenti che da militare lo portarono a Lepanto e Algeri), si colloca nel contesto sopradescritto. «L’Isola era pienamente inserita nei circuiti culturali», dice Antonina Paba, docente di letteratura Sardo-ispanica all’Università di Cagliari . Il Seicento è stato per secoli interpretato, a causa del giudizio di condanna sulla dominazione spagnola, come periodo buio. «Invece anche Cagliari, Sassari e Alghero erano interessate dalla circolazione di libri e cultura, così come Napoli e Palermo», precisa. Difficile stabilire quando in Sardegna iniziarono ad arrivare le prime copie del don Chisciotte. Una rapida verifica nei repertori indica l’assenza del testo nelle biblioteche pubbliche, ma non può escluderne la presenza in fondi privati che è invece attestata nel Settecento. «Certamente l’opera era letta e posseduta, benché da una “minoria di letrados”». La docente, che a Cervantes dedica oltre a studi approfonditi anche i programmi di insegnamento, ha un indizio che rivela la diffusione del libro nell’Isola. La commedia “El Saco imaginado” (1658) del gesuita Antonio Del Arca (Ozieri, 1595 – Sassari, 1632) «contiene ripetuti riferimenti al romanzo».
Manuela Arca
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 52 - Edizione CA)
Nasce Medea,
nuova rivista di studi
UNIVERSITÀ. Martedì all’Exmà
 
Martedì, alle 16, l’Exmà di via S.Lucifero a Cagliari, ospita la presentazione di Medea, rivista internazionale di studi interculturali, open access dell’Università di Cagliari.
Il progetto interunivarsitario della rivista, nato in collaborazione con l’Università di Perugia, si connota per la sua apertura a studi e ricerche interculturali nei quali metodi e contenuti di vari ambiti disciplinari, dalle archeologie alle storie, dalle letterature alle antropologie, dalle arti alle scienze in senso lato, interagiscono con la finalità di tracciare insieme nuovi percorsi di indagine e delineare orizzonti condivisi. La rivista intende favorire una maggiore apertura alla ricerca, proponendo una stretta convergenza fra teoria e pratica e avvalorando gli studi nei quali il rigore analitico nell’esame dei fatti empirici e la contestualizzazione storica si accompagnino agli approcci teorici comparativi e generalizzanti. Relazioni di Ezio Pullizer e Giulio Angioni e interventi dei rappresentati della direzione della rivista. A conclusione perforamce teatrale di Rita Atzeri.
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 21 - Edizione CA)
Le 5 A per conquistare la città
Paolo Matta presenta il movimento, in platea Stefano Delunas
VOTO 2016. Il candidato a sindaco: «Vogliamo mettere i cittadini al centro del programma»
 
Cinque A per governare la città. La Quinta A , il movimento politico che sostiene la candidatura di Paolo Matta, presenta il progetto che porta dritto a Palazzo Bacaredda e alla risoluzione dei problemi che attanagliano il capoluogo e la sua area vasta. Piano che si sviluppa, appunto, su cinque tematiche: Area, Acqua, Ambiente, Arte e Accoglienza.
La corsa al Municipio è partita dal suo sottopiano, nella sala che ospita i cimeli della Prima guerra mondiale: il Search. Di fronte a una platea attenta di circa cento persone, tra le quali il sindaco di Quartu Stefano Delunas appena espulso dal Pd e l’ex autority Paolo Fadda, Matta declina i punti cardine della proposta.
I MOTIVI DELLA SCELTA L’aspirante sindaco, da navigato conduttore televisivo, conosce i tempi e sa interpretare lo stato d’animo di chi ha di fronte. Coadiuvato dal collega Mario Frongia, misura le parole e i toni. E inizia con una domanda: «Perchè siamo qui? Per due motivi. Primo, perché siamo coscienti del vuoto che si è creato in città. La prospettiva è di non sapere chi votare o, addirittura, non andare alle urne. C’è un collasso del potere, è venuto a mancare il rapporto tra cittadino e chi governa». Matta ha toni pacati. «Non ci piacciono gli effetti speciali e non ci piace il concetto di bandiera bianca ». La sfida è proprio nei confronti di quella metà di cagliaritani che non andrà a votare: «Il mondo più lontano dalla politica è quello dei giovani e dei giovanissimi».
LA GRANDE PASSIONE «L’altro grande perché che ci accomuna è la grande passione per la città». Il giornalista mette l’accento sulla cagliaritanità e suoi antichi valori. «Per giovedì grasso avete avuto sentore della festa?», chiede provocatoriamente. «Va bene la crisi, ma quando il carnevale è nato a Cagliari c’era de si zaccai de su famini . La città sta perdendo la sua identità. Ci vogliono far credere che il futuro sia con le urbanizzazioni. Ma per lo sviluppo non basta. Manca l’attenzione al cittadino che noi, al contrario, vogliamo mettere al centro del programma».
DISASTRO UNIVERSITÀ La dichiarazioni del rettore Maria Del Zompo, che descrive un’università sull’orlo del collasso, danno lo spunto a Paolo Matta per parlare di cultura. «Senza università Cagliari corre il rischio di non avere futuro, se muore non ci può essere prospettiva». Il moderatore incalza il candidato sindaco: «Perché chi non va a votare dovrebbe scegliere Matta?». Pronta la risposta: «I due grandi partiti non hanno espresso un candidato. Noi rappresentiamo un taglio netto verso questa politica. Il proliferare delle liste civiche è un segnale forte e chiaro».
IL SISTEMA CHIESA Sul fronte chiesa Matta è esplicito. «Non rinnego la fortissima impronta cristiana e cattolica, ma non siamo i candidati del vescovo o dei parroci».
Andrea Artizzu
 
L’UNIONE SARDA
4 – L’Unione Sarda
Cronaca di Nuoro (Pagina 43 - Edizione CA)
Nuoro
Presidenti a favore:
ora certezza di risorse
 
Venerdì sera il coro è tutto a favore della legge che affida alla Regione gli enti culturali nuoresi. Il commissario del consorzio Satta, Vannina Mulas, ricorda gli appelli del passato alla Regione e ora propone la candidatura di Nuoro a gestire il polo bibliotecario della Sardegna. Bruno Murgia, presidente dell’Isre, si limita a bocciare il museo dell’identità («va rafforzato l’Isre, produce cultura in Sardegna») che la Regione vorrebbe realizzare. Scelta difesa da Mario Zidda, ex sindaco e presidente della Fondazione universitaria che l’attuale amministrazione congela per rilanciare il consorzio. Sergio Vacca, per anni preside a Nuoro, rilancia l’università nonostante si vada a un polo unico regionale. «La scuola forestale - dice - deve stare qui assieme a una delle tre scuole europee del fuoco». Tonino Rocca, presidente Man, auspica la collaborazione con il comune di Nuoro sulla base del patrimonio di opere del museo. Intervengono anche Leonardo Moro, Caterina Loi, Totoni Sanna, Costantino Tidu e Francesca Ticca.
 
L’UNIONE SARDA
5 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 52 - Edizione CA)
Una sarda spiega ai britannici
l’Italia e la “paura dei migranti” 
Saggistica. L’opera della studiosa cagliaritana Eva Garau per la casa editrice inglese Routledge
 
Io e l’altro da me. L’identità e il contatto con il diverso seguito dal mutamento, dalla persona nuova. Fra una condizione e la successiva vive il processo, la costruzione della storia, gli atti e la narrativa che piegano la realtà. Oppure l’incertezza che la cristallizza. “Politics of national identity in Italy- Immigration and italianità” di Eva Garau, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice inglese Routledge, affronta la questione dell’identità nazionale e il suo intrecciarsi alle politiche di immigrazione. Un accostamento metodologico (vi convivono storia, filosofia e sociologia) che ha destato interesse negli Stati Uniti e Gran Bretagna, dove il volume è recensito e utilizzato in diversi corsi universitari. Le ragioni che hanno ispirato Garau, per diversi anni docente di Storia e Politica Italiana all’Università di Bath e oggi assegnista nel dipartimento di Storia dell’Università di Cagliari, abitano nella cronaca italiana degli ultimi trent’anni.
«In Italia si è ripreso a parlare di identità nazionale alla fine degli anni ’80, quando la debolezza dell’appartenenza collettiva veniva spiegata con le divisioni interne, le interpretazioni della Resistenza, la presenza di subculture inconciliabili, cattolica e comunista. Fino alla fine degli anni ’90 la retorica sull’italianità e il dibattito sull’immigrazione hanno proceduto su linee parallele. L’Italia continuava a raccontarsi come il Paese degli emigranti, simbolo patriottico del sacrificio collettivo. L’immigrazione è diventata all’improvviso emergenza con le crisi albanesi. La confusione che anche dal punto di vista legislativo ha caratterizzato il dibattito ha reso inevitabile una polarizzazione delle posizioni: pro o contro l’immigrazione».
Un’ identità irrisolta che secondo lei è stata sfruttata dalla Lega Nord.
«La Lega ha innescato il cortocircuito tra i due temi: italianità e immigrazione. Il collegamento è quello tipico dei populismi: la minaccia della diversità etnica e religiosa ai valori tradizionali di una nazione culturalmente omogenea. Superata la fase dell’istituzionalizzazione, la Lega è riuscita a cambiare la percezione dell’identità italiana, operando una rivoluzione copernicana. A metà degli anni Duemila, dismesso il mito celtico della comunità immaginata, la Padania, ha rilanciato il dibattito sull’identità tradizionale, rendendola per la prima volta, nazionale e cattolica. L’appropriazione del cattolicesimo come pilastro dell’italianità le ha consentito di lanciare un’identità in franchising e di affermarsi come l’ultimo baluardo a difesa della cristianità».
La deriva retorica ha determinato un mutamento nella politica?
«Nel giro di un decennio, sono diventati normali i muri, i respingimenti, la sovrapposizione strumentale di immigrazione e Islam. L’immigrazione ha assorbito le preoccupazioni legate alla globalizzazione, alla crisi economica, al rapporto conflittuale degli Stati con l’Unione Europea, al presunto fallimento dei grandi modelli di cittadinanza: il multiculturalismo e l’assimilazione. L’unica voce dissonante autorevole è di papa Bergoglio, cassa di risonanza dei migranti che hanno scelto o subìto l’Italia come destinazione finale. Per anni Ratzinger e parte della gerarchia ecclesiastica avevano cavalcato l’onda della retorica vittimistica per trasformare quello italiano in un modello di identità cattolica da esportazione ».
Il movimento migratorio diventerà una costante dei prossimi decenni. Chi sono oggi gli italiani che si preparano a riceverlo?
«L’immigrato rappresenta l’eccezione alla regola, il limite estremo dell’appartenenza e, pertanto, la sua misura. Da tre decenni gli italiani si definiscono per contrasto: sanno solo ciò che non vogliono essere. L’opportunità? Aprire un dialogo razionale su un fenomeno irreversibile e costruire una società nella quale i diritti non siano discrezionali e temporanei». (f.a.)

Questionario e social

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