UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 3 settembre 2014

Mercoledì 3 settembre 2014

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
03 settembre 2014
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
 

 
L’UNIONE SARDA

1 – L’Unione Sarda di mercoledì 3 settembre 2014 / Primo Piano (Pagina 16 - Edizione CA)
UNIVERSITÀ. Nei 38 atenei
Professioni sanitarie, test per 85 mila
ROMA Meno uno ai test d’ammissione alle professioni sanitarie. Oggi 85 mila aspiranti matricole in tutta Italia affronteranno la prova d’ingresso per accaparrarsi uno dei 25.540 posti messi a bando nelle 38 Università statali.
Alle matricole del 2014 va comunque meglio che ai colleghi dell’anno scorso: in media, per le 22 professioni, ci sono 3,3 domande per 1 posto. Un rapporto inferiore al 3,9 del 2013, quando le domande erano di più, 101.865.
Il test è diverso da ateneo ad ateneo. Ciascuno sceglie i contenuti della prova, identica per l’accesso a tutte le tipologie dei corsi attivati. Compito del Miur è quello di stabilire invece data dei test e numero di posti a disposizione per singolo corso. Il compito prevede 60 quesiti a risposta multipla su cultura generale, ragionamento logico, biologia, chimica, matematica e fisica. Una prova definita «azzardo» dalla Rete della conoscenza: «Il futuro degli studenti - sottolinea - è una questione di diritti non di fortuna». Basta spot, aggiungono Udu e Rete degli studenti medi, e basta numero programmato. Per l’università «serve un piano di investimenti».
A causa del rapporto tra posti disponibili e iscritti solo 1 su 12 passerà. Segue poi - secondo l’ultima indagine della Conferenza nazionale corsi di laurea delle Professioni sanitarie - Logopedia con un rapporto domanda-posti di 9 a 1. Difficili anche le professioni di Dietista e Ostetrica, dove passerà circa 1 su 7. Per Tecnico radiologo ci sarà una possibilità su 6 circa e circa 1 su 3 per Tecnico di laboratorio. Va meglio invece agli infermieri: ce la farà uno su due.
 
 
 
L’UNIONE SARDA

2 – L’Unione Sarda di mercoledì 3 settembre 2014 / Cronaca di Cagliari (Pagina 29 - Edizione CA)
SCUOLA ESTIVA DI ARCHITETTURA
Si inaugura domani alle 10.30 nell’aula magna di via Corte d’Appello, la terza scuola estiva internazionale di architettura, “Sardegna. Il territorio dei luoghi”, che andrà avanti fino al 13 settembre. Questa edizione è organizzata dal dipartimento Dicaar di Cagliari e dal dipartimento Dadu dell’Università di Sassari con sede ad Alghero. All’inaugurazione sono previsti gli interventi di Giovanni Melis (Rettore Università di Cagliari), Attilio Mastino (Rettore Università di Sassari), Francesco Pigliaru (Presidente RAS), Massimo Zedda (Sindaco di Cagliari), Nicola Sanna (Sindaco di Sassari), Enrica Puggioni (Assessore alla Cultura di Cagliari), Antonello Sanna (direttore dipartimento Dicaar - Cagliari), Arnaldo Bibo Cecchini (direttore dipartimento Dadu - Alghero).
 
 
 
L’UNIONE SARDA

3 – L’Unione Sarda di mercoledì 3 settembre 2014 / Cronaca di Cagliari (Pagina 27 - Edizione CA)
Viale Poetto
Ripulisce la spiaggia: multata
Un’archeologa amante dell’ambiente è stata multata dopo aver ripulito la spiaggia di Piscinas da bottiglie, flaconi e rifiuti vari. il motivo è presto spiegato: Ilaria Montis, 35 anni, residente a Baratili San Pietro, nel fine settimana è stata fermata in viale Poetto dagli agenti della Polizia municipale mentre buttava la spazzatura precedentemente raccolta al mare in alcuni cassonetti. Ma poiché «non residente a Cagliari», come specifica il verbale, ha ricevuto una multa di 167 euro.
La ragazza, ricercatrice dell’Università di Cagliari, davanti al Nucleo di vigilanza ambientale, avrebbe spiegato di aver raccolto i rifiuti in spiaggia, di averli caricati in macchina perché non c’erano cassonetti sulla strada e di non sapere, tra le altre cose, che a Cagliari ci fosse il divieto di buttare rifiuti per i non residenti: «Nei cassonetti non c’è divieto». Non intende comunque fare ricorso ma piuttosto denunciare un problema: la mancanza di contenitori per rifiuti lungo le strade porterebbe le persone, soprattutto i turisti, a non saper dove liberarsi della spazzatura. (v. n.)
  
 
 
L’UNIONE SARDA

4 – L’Unione Sarda di mercoledì 3 settembre 2014 / Primo Piano (Pagina 11 - Edizione CA)
Nel piano dell’assessorato alla Sanità ricoveri autorizzati a Cagliari e Sassari
Ebola, tutti pronti alla guerra nella speranza che non arrivi
L’influenza aviaria ci doveva decimare a fine anni Novanta. Quella da virus H1N1 quella suina e la Sars (Sindrome acuta respiratoria grave, una polmonite proveniente dalla Cina) dovevano finire il lavoro. È finita che siamo ancora qui, quasi tutti, tremanti per la nuova minaccia: si chiama Ebola, è un virus micidiale (uccide sette-otto pazienti su dieci) e si diffonde sempre di più in alcuni Paesi africani: Guinea, Liberia, Sierra Leone, Nigeria e, a quanto sembra, ora anche Congo, secondo i dati del ministero della Salute. Poche polemiche sulle cure: semplicemente non esistono, anche se negli Usa è stato preparato un siero iniettato a due pazienti. Erano un sacerdote (poi deceduto) e un altro uomo, guarito. «Il problema», sospira Sandro Piga, direttore della struttura complessa del reparto di Malattie infettive dell’ospedale “Santissima Trinità” di Cagliari, «è che non si sa se il contagiato strappato alla morte faccia parte del 20-30 per cento che sopravvive senza cure, oppure se il siero nel suo caso abbia funzionato».
 I SOSPETTI Anche altri particolari certamente non secondari, meriterebbero di essere chiariti: «I migranti africani morti nei barconi, e gettati in mare senza tanti complimenti dagli scafisti, perché sono morti? Potrebbero esserci stati casi di contagio da Ebola? E qualcuno, tra chi è invece giunto in Italia con la stessa imbarcazione, potrebbe essere stato contagiato? Altri avevano già il virus nel proprio organismo?». Domande interessanti, quelle che si pone il primario cagliaritano , ma le risposte sono impossibili. «Resta la verità dei numeri», precisa però Piga, «che indicano chiaramente la totale assenza di casi di Ebola in Italia. L’allarmismo sarebbe del tutto fuori luogo, come ci indica l’Istituto superiore di sanità, esattamente come lo sarebbe fare spallucce: dobbiamo essere coscienti che non abbiamo casi in Italia ma anche essere preparati all’eventualità che il virus raggiunga la Sardegna. Se poi non arriverà, com’è assai possibile, tanto meglio».
 ALLARME PREVENTIVO Nemmeno un caso in Italia, almeno per ora: né accertato né sospetto (la sindrome della hostess che era stata in uno dei Paesi dove l’epidemia si sta diffondendo è poi stata declassificata a banale influenza). Per ora, i 142 contagiati di cui 77 deceduti - attraverso i liquidi biologici, come ad esempio sangue, sperma e saliva, anche se la via preferenziale è certamente quella sessuale - vivevano tutti negli Stati africani a rischio. Però non si sa mai: l’Italia si prepara, e anche in Sardegna c’è un piano messo a punto la settimana scorsa durante un incontro tra l’assessore regionale alla Sanità, i dirigenti delle Asl e i responsabili dei reparti di Malattie infettive, per discutere l’idoneità delle uniche due strutture sanitarie che in Sardegna potranno trattare casi sospetti o accertati di Ebola. Sono quella ospedaliera del “Santissima Trinità” di Cagliari e quella dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, diretto dal prorettore alla Sanità, Maristella Mura.
 IL PIANO I protocolli da seguire, se dovesse arrivare un caso sospetto di contagio da virus Ebola, sono chiari e ruotano attorno alla parola “riservato”. I percorsi devono esserlo: dove passa la barella di un paziente Ebola (ma anche affetto da tubercolosi polmonare aperta), nessun altro dovrebbe passare. Anche il personale dev’essere “riservato”: medici e infermieri non devono avere contatti con gli altri pazienti per almeno tre settimane dopo la guarigione, o la morte, del paziente Ebola e devono indossare le maschere dotate di filtro FP3, oltre che i guanti di lattice lunghi di tipo ginecologico. “Riservate” anche le attrezzature: stetoscopi, termometri ecologici, copriscarpe monouso non devono entrare in contatto con pazienti non Ebola.
 SASSARI Sulla carta, il reparto universitario di Sassari non avrebbe speranza di essere idoneo, considerato che è ospitato in un padiglione fatiscente annesso all’ospedale Civile, in viale San Pietro. Di fatto, sotto il profilo logistico e non solo, è invece un gioiello perché il trasferimento nel nuovo edificio di fronte è questione di ore: potrebbe avvenire già domani, se la Regione darà l’ok. I posti letto sono 19, sufficienti alle esigenze del Nord Sardegna.
 CAGLIARI Diversa la situazione nel capoluogo, che teoricamente parte da una situazione avvantaggiata: lo stabile che ospita Malattie infettive, a Is Mirrionis, è del terzo millennio, ma una parte è occupata da Pneumologia. Molti si chiedono che cosa ci faccia, quest’ultimo reparto, in un palazzo destinato ad accogliere pazienti pericolosissimi per la salute pubblica, oltretutto sottraendo posti letto. Il problema è però legato a ciò che, relativamente a Ebola, dovrebbe essere “riservato”, a partire dai percorsi che un caso sospetto o accertato dovrebbe compiere all’interno dello stabile, senza incrociare altre persone. Voci interne all’ospedale che il primario non commenta («Il mio ruolo consente di rispondere solo ai quesiti di tipo medico, ogni altro chiarimento spetta esclusivamente alla direzione dell’Asl», liquida la questione Sandro Mura), dicono che di “riservato” non ci sia molto, nel reparto di Malattie infettive a Is Mirrionis. L’ingresso sul lato di via Timavo, ad esempio, è stretto e compreso tra due scale: la barella ci passa, ma il letto no e questo è un problema, perché costringerebbe chi assiste un eventuale paziente Ebola a farlo transitare nell’androne, tra guardie giurate, personale e cittadini in attesa. Anche il personale non sarebbe sufficiente per garantire la normale attività, se alcuni medici e infermieri dovessero entrare nel protocollo “riservato”, che impedisce loro di avere contatti con pazienti non Ebola. Resta la speranza che il virus non arrivi.
Luigi Almiento
 
Primo Piano (Pagina 12 - Edizione CA)
Al Brotzu volontari a pagamento
Le cavie umane che sperimentano le medicine
I volontari, quelli che i giornali chiamano brutalmente cavie umane (perché di cavie umane si tratta), si trovano abbastanza facilmente. E forse tra qualche settimana torneranno a riempire i letti momentaneamente sgombri di Fase 1, centro di sperimentazione all’undicesimo piano dell’ospedale Brotzu.
Fase 1, nome che sembra pescato da un film di James Bond, è una società a responsabilità limitata (srl) interamente partecipata dalla Regione. Non si sa quale sia il nuovo preparato da testare né se a sacrificarsi saranno volontari sani o malati. Il direttore, Giampaolo Pilleri, che è stato per una vita autorevole epatologo, non scuce un dettaglio: ragioni di riservatezza. La cautela non è tuttavia legata esclusivamente a ragioni di carattere scientifico: il destino di Fase 1 è sospeso. L’amministrazione regionale potrebbe decidere per l’eutanasia (ovvero chiusura) o un passaggio: dalla direzione generale (finora decisamente assente) all’assessorato alla Programmazione. Cambierebbe qualcosa? La chiusura farebbe felice molti universitari che non tollerano l’iniziativa, convinti come sono che a fare ricerca scientifica possono essere loro e soltanto loro. Gli altri sono, nel migliore dei casi, abusivi.
Nel frattempo, giusto per mantenere un po’ di cuori in ansia, la Regione ha dimenticato di versare i finanziamenti previsti per il 2013 (un milione e 400mila euro) e per il 2014 (un milione). L’organico, di diciotto persone, è fermo alla metà. «Ma questo non è un problema», dice Pilleri: l’importante è capire cosa riservi il futuro, visto che intanto bisogna continuare a pagare l’affitto al Brotzu (centottantamila euro l’anno), gli stipendi e tutto il resto.
Più che inaccessibile, Fase 1 è un laboratorio molto, molto nascosto. Dietro un ingresso identico a quello dei vicini reparti ospedalieri, c’è un androne semivuoto e alla fine una solida porta a vetri. Inutile bussare, non entra chiunque. Serve un buon apripista, in questo caso il dottor Pilleri. Che mostra soddisfatto, quasi fosse una cerimonia di benvenuto, le pareti rivestite da geometrie optical: antidepressive, o almeno capaci di sollevare l’umore di chi vi entra nella veste di cavia e ci deve trascorrere ore infinite. Una volta sistemato in posizione da combattimento, sedia comoda e pc a portata di mano, Pilleri inizia a demolire molti tabu, a cominciare dal fatto che i suoi “clienti” siano disperati che offrono il proprio corpo a noleggio. «Qui non c’è la realtà americana dove un volontario può arrivare a intascare fino a cinquantamila dollari». A Fase 1, secondo lui, si approda per altre ragioni. Più nobili.
Fra i centri italiani che operano in questo settore, quello cagliaritano si colloca a media classifica. «Non siamo fra i primi tre ma posso dire che abbiamo lavorato benino». Tra i test d’una certa importanza portati a termine fino a questo momento ce n’è uno sulla sensibilità al dolore ed un altro (per conto della multinazionale Novartis) sulle terapie anti-tumorali. In programma ci sono altri due studi importanti: il primo riguarda l’autismo (ma non si sa da quale punto di vista), l’altro una cura per il cosiddetto piede diabetico. In attesa di un segnale dai palazzi della politica, tutto resta fermo.
Giorgio Pisano

Primo Piano (Pagina 13 - Edizione CA)
Per sperimentare i farmaci il ricovero varia dai due ai sette giorni
Cento euro più gli extra: corpi prestati alla scienza
Maschio o femmina non ha importanza. Conta che sia sano. E che non abbia qualche corto circuito mentale. Insomma, che non abbia il cervello come optional. Che sappia, in parole povere, cosa sta per fare.
Tra i circa centoventi sardi che dal 2010 a oggi, cioè negli ultimi quattro anni e mezzo, si sono candidati a fare i volontari per la sperimentazione di nuovi farmaci, nessuno è sembrato fuori di testa. A Fase 1, società partecipata interamente dalla Regione, le richieste di contratto a tempo molto, molto determinato sono poche. «Non è semplice trovare le persone giuste», dice Giampaolo Pilleri, padre padrone dell’iniziativa. I rimborsi non sono allettanti: si va da un minimo di cinquanta euro se si abita tra 20 e 100 chilometri di distanza fino ai cento per chi vive ancora più lontano. Una tantum, e tutto controllato dall’occhio severo del Comitato etico.
Siccome il lavoro di volontario (con degenze che vanno dai 2 ai 7 giorni) fanno parte della serie “il pericolo è il mio mestiere” sono previsti anche piccoli (piccoli?) extra. Quando per esempio sono state testate nuove sacche di sangue per le trasfusioni ai talassemici (obiettivo: evitare eventuali contagi da Aids), i volontari hanno avuto una paga di centottanta euro al giorno. Una pacchia, salvo incidenti di percorso. Incidenti che però capitano. Com’è successo nei giorni di test d’un nuovo farmaco contro l’ipertensione. È ben vero che nelle regole d’ingaggio sta scritto che «un farmaco completamente privo di effetti collaterali non esiste» ma da qui a quello che è successo ce ne passa: durante la sperimentazione in alcuni centri (non c’era solo Cagliari al lavoro), alcuni pazienti hanno avuto gravi scompensi cardiaci. Addirittura uno, se sono vere certe voci, ci avrebbe rimesso la pelle. Morto: in cambio di cento euro?
Da questa domanda ne sorge istintivamente un’altra: cosa spinge un disgraziato qualunque a presentare domanda per fare la cavia? Giuseppe Spiga, incaricato di accogliere e valutare i volontari che si presentano a Fase 1, salta sulla sedia quando sente parlare di cavie. «Si chiamano volontari. Cavia è una parola, oltreché falsa, insultante e intollerabile». Rientra, sempre per stare al contratto delle regole d’ingaggio, nella tattica del principale nemico di questa attività: i giornali. Che, con «informazioni ambigue e poco chiare, alimentano la cultura del pregiudizio, della diffidenza e del sospetto, senza mettere in evidenza il vantaggio rappresentato dall’opportunità di controllare il proprio stato di salute attraverso controlli dettagliati e ripetuti nel corso del tempo». Il messaggio segreto contenuto in questa accusa alla stampa sembra nascondere un’offerta da supermercato. E cioè: se vuoi farti un check up gratuito (dettagliato e rigoroso), chiedi di fare il volontario.
Naturalmente la filosofia è ufficiale ben altra, tant’è che il dottor Spiga incassa senza imbarazzo una provocazione: consiglierebbe a suo fratello di fare il volontario, di offrire il suo corpo a noleggio per il progresso della Scienza? «Sarei contento per lui», è la risposta secca, guarnita perfino di un sorriso. Insistere non serve: qual è la differenza fra un topo di laboratorio e un uomo che si affida a Fase 1? «L’uomo può scegliere, il topo no». Accade però che talvolta non può scegliere neppure l’uomo, per esempio quando bussa alla porta di Fase 1 perché non riesce a mettere insieme pranzo e cena. «Fra i 118 volontari che abbiamo avuto finora nessuno ci è sembrato afflitto da problemi economici. Qualcuno, a voler spaccare il capello in quattro, vanta anche una laurea: questo per dire che non siamo di fronte a ignoranti, disperati e poveri in canna». L’unico rischio, ammette Giuseppe Spiga, è che siccome non esiste un Registro nazionale dei volontari, possa esserci una serial cavia che, per un pugno di euro, passi da uno all’altro degli otto centri ufficiali di ricerca in Italia.
G. Pi.
 




LA NUOVA SARDEGNA

5 - La Nuova Sardegna di mercoledì 3 settembre 2014/ Pagina 22 Nazionale
Le malattie dei sardi, nasce un Centro studi
SASSARI Nasce a Sassari una struttura d’avanguardia: il Centro studi antropologici, paleopatologici e storici, istituito su iniziativa di studiosi dell’Università di Sassari e dell’Università di Pisa. Il centro farà capo al dipartimento di Scienze biomediche dell’ateneo di Sassari, diretto dal professor Andrea Montella, e studierà il profilo biologico, sociale e culturale delle popolazioni sarde e dell’intero bacino del Mediterraneo con un approccio interdisciplinare, facendo cioè interagire discipline mediche e antropologiche con la storia della medicina, dell’igiene e della salute. Avvalendosi dell’esperienza accumulata in questi anni nello studio di reperti ossei e resti umani rinvenuti nelle campagne di scavo o facenti parte di collezioni osteologiche, il Centro promuoverà e coordinerà ricerche sulle condizioni di vita e le malattie di individui e comunità, per arrivare a ricostruire il modo in cui le popolazioni sarde e mediterranee del passato hanno affrontato le sfide per la salute attraverso i secoli. I dati che derivano dallo studio dei resti umani antichi sono infatti fondamentali per la comprensione dei processi di adattamento e della lotta per la vita delle società umane. Il centro si propone anche un’attività di sensibilizzazione per la salvaguardia e la tutela delle fonti materiali dirette e indirette. Da una parte reperti bioarcheologici come resti mummificati e scheletrici – una fonte primaria di informazione paleoecologica e paleopatologica – la cui ispezione con raggi X, analisi chimiche e biomolecolari permette di penetrare nel passato biologico e bioculturale di ogni individuo, e attraverso la ricostruzione della storia patologica, di risalire alle attività in vita e spesso alla causa di morte. Dall’altra, le fonti scritte archivistiche, tra cui anche gli importanti documenti degli archivi degli ospedali sassaresi, che permettono di inserire la storia biologica del singolo in un più ampio contesto storico-medico e sociale. Tra gli obiettivi non secondari del Centro rientra la collaborazione con Università, Soprintendenze, musei e le diverse strutture per lo studio e la valorizzazione dei resti scheletrici umani, per fornire analisi e indagini specifiche, sviluppando e mettendo in atto le più moderne tecnologie biomediche e biotecnologiche da affiancare alle indagini archeologiche e storiche più tradizionali. Al gruppo, che comprende antropologi fisici, anatomici, storici, medici legali, esperti di paleopatologia, archeologi (Andrea Montella, Pasquale Bandiera, Eugenia Tognotti, Elena Mazzeo, Marco Milanese), si sono aggiunti prestigiosi studiosi come Gino Fornaciari dell’Università di Pisa, un’autorità nel campo della Paleopatologia e ricercatori di varie Università tra cui uno dei più famosi antropologi al mondo, Clark Spencer Larsen dell’Università dell’Ohio. Tra le adesioni figurano la divisione di Paleopatologia, dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa; la scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria, Università di Camerino; il dipartimento di Scienze e Tecnologie ambientali biologiche e farmaceutiche, II Università di Napoli.
 



QUOTIDIANI NAZIONALI

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