Domenica 2 febbraio 2014

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
02 febbraio 2014
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

 
L’UNIONE SARDA

1 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 35 - Edizione CA)
IL COMUNE. Uno scambio di locali per gli uffici
Il Comune ha già alcune idee: Buoncammino, così come l’ospedale San Giovanni di Dio e l’Anfiteatro romano, ma anche l’orto botanico e la vecchia clinica Macciotta, fa parte di un sistema di spazi dei quali reinventare il futuro e a partire dai quali disegnare il profilo di una città della cultura, del turismo, dell’ambiente. Una visione, quella evocata dal sindaco Massimo Zedda, che ricorda da vicino quelle su cui cinque mesi fa, a Cagliari, si sono concentrati studenti e docenti della Scuola estiva di architettura cui ha partecipato il maestro spagnolo Alberto Campo Baeza: un quadro ancora generale, da definire e riempire di contenuti.
Sui soldi da utilizzare per realizzare il progetto, invece, l’amministrazione comunale ha idee più chiare: i fondi europei per la programmazione 2014-2020.
Certo, in questo quadro l’intenzione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di mantenere a Buoncammino i propri uffici, occupando così una parte dell’immenso stabile che ancora per qualche mese ospiterà il carcere, rappresenta un ostacolo. «A noi non risulta nulla, nessuno ci ha comunicato niente del genere», fa sapere il sindaco: «Certo, la presenza di uffici di quel tipo non sarebbe compatibile con il tipo di destinazione turistico-culturale che stiamo ipotizzando per Buoncammino. Nel caso, dovremmo trovare un’alternativa».
Cioè uno stabile da offrire al Dap per collocarvi i suoi uffici.
(m. n.)
GLI ARCHITETTI. Parlano Antonello Sanna e Nicola Di Battista «Siano i cittadini a decidere cosa farne»
Uno è il direttore del dipartimento di Architettura (prima, quando esistevano le facoltà, era il preside), l’altro insegna da quattro anni a Cagliari e dalla scorsa estate dirige la più importante rivista italiana del settore, Domus . Su Buoncammino (al quale sono già state dedicate alcune di tesi di laurea) Antonello Sanna e Nicola Di Battista la pensano allo stesso modo: tocca ai cagliaritani dire quale sia il miglior futuro dopo il carcere. E come? «Attraverso un confronto. Il Comune deve dare prova di capacità di ascolto, università e giornali devono fare la loro parte».
Per Sanna non c’è dubbio: «Buoncammino è uno dei punti più panoramici del mondo». Il carcere fa parte di un «parco urbano» da disegnare. Un esempio di reinvenzione architettonica riuscita cui guardare c’è anche in città: la mediateca del Mediterraneo nata al posto del vecchio mercato di via Pola («un successo, la passeggiata coperta è frequentatissima e l’interazione con i luoghi di convivialità e studio funziona perfettamente»).
La differenza è che Buoncammino è enorme: «Tanto grande che difficilmente si può pensare a un monouso: si potrebbe pensare a destinare una parte a un uso residenziale, magari studentesco, ma occorrerà altro. Le tappe? Primo: arrivare, attraverso il confronto e senza calarla dall’alto, a un’idea di riconversione. Secondo: scegliere il progetto migliore. Terzo: realizzarlo. Questo in teoria. In pratica, bisognerà stare attenti perché un’area di tale pregio solleverà inevitabilmente grandi appetiti».
Marco Noce
 

2 - L’Unione Sarda / Cultura (Pagina 26 - Edizione CA)
L’intervista Il decano dei nostri archeologi
Ercole e i testimoni di pietra
La sua scoperta più celebre forse è Monte d’Accoddi, quella che lo ha divertito di più è il computer: sulle cattedre regnava ancora una generazione penna&calamaio quando il professor Ercole Contu già usava un McIntosh per stendere i suoi saggi e concedersi qualche pudica escursione nella poesia (“ho scritto anche un paio di romanzi ma poi li ho buttati: francamente erano delle schifezze”). Nei giorni scorsi il suo antico allievo Alberto Moravetti e il rettore di Sassari Attilio Mastino hanno omaggiato gli scintillanti novant’anni di un ricercatore appassionato e ironico, capace di celebrare Giovanni Lilliu con un impagabile “gli devo molto, anche perché lasciandoci ha fatto di me il decano degli archeologi sardi”. La sua passione di oggi è la genetica, il cruccio è «la timidezza dei miei giovani colleghi, restii a interessarsene come lo erano ieri verso il carbonio 14».
Pagine di osanna e auguri: un archeologo trasformato in monumento.
«È un affetto che fa davvero piacere. Solo una cosa mi lascia perplesso».
Quale?
«Quando dicono che sono “ancora lucido”, magari con aria sorpresa».
Professore, che cosa ignoriamo del nostro passato?
«Il passaggio dalla civiltà dei nuraghi a quella dei bronzetti. Dice: “Ma come, non è la stessa cosa?”. No, ormai tutti gli studi seri dimostrano che i bronzetti arrivano quando si era smesso da tanto di costruire quei nuraghi che vediamo ovunque per l’isola ma che dovremmo immaginare alti dieci, venti metri. Forse è vero che l’etimo di “Tirreni” è legato alle “torri”. Ma non è chiaro: sa, gli storici dell’antichità combinavano dei grandi pasticci. Lo stesso Erodoto ogni tanto racconta delle storie fantastiche: più che uno storico sembra - mi perdoni - un giornalista».
Almeno sappiamo che cosa erano?
«Fortificazioni erette per dominare il territorio».
Punto?
«Come sarebbe, punto ? Che cosa erano i castelli? Ma dove si raccoglieva in preghiera il signore? Dove dava i balli la sua signora?».
Quindi avevano più funzioni.
«Spesso non capiamo quanto era unitaria la concezione della vita che si aveva nell’antichità. Non dobbiamo attribuire ai nostri progenitori le partizioni culturali che abbiamo noi, eredi dei greci e poi del cristianesimo, se vogliamo fare onestamente gli storici. Perché l’archeologo, sia chiaro, è uno storico che fa parlare le pietre: è più difficile, ma a differenza dei testimoni le pietre non mentono. Certo, poi si pongono altri problemi, di natura direi filosofica».
Ovvero?
«Se la verità è la corrispondenza del fatto all’intelletto, come faccio a trasmetterla senza deformarla?».
E come si supera?
«Bella domanda. Se un archeologo volesse sentirsi sempre a posto con la coscienza, scriverebbe solo la scheda del reperto. Ma non sarebbe uno storico. Quando andavo a scuola per me la storia erano date e battaglie, battaglie e date. Poi ho letto Rostovcev, “Storia economica e sociale dell’Impero Romano”: è stata un’illuminazione. Perché nel 174 a.C. i romani sono così generosi con i sardi da distruggere solo un terzo della popolazione? Perché servivano latte, lana, maiali e qualcuno che li fornisse. Le guerre non sono eventi fatali: nascono da interessi precisi. E qui veniamo ai bronzetti».
Perché?
«Perché fanno pensare che i sardi siano stati un popolo di soldati di ventura: nessuno ha lasciato testimonianze tanto dettagliate in fatto di armi, a parte forse i cinesi. C’è un bronzetto di un arciere con una piccola bandiera che ha dato molto da pensare: mi sono convinto che sia uno strumento per individuare direzione e intensità del vento: una banderuola. Si dice anche di alcuni politici, no?».
Perché il nostro patrimonio archeologico è così poco valorizzato?
«Perché è troppo. E perché abbiamo un bellissimo mare. Ma sono cose che non mi riguardano. L’archeologo non deve valorizzare nulla, deve fare delle scoperte e farle parlare».
Quale è stata la più emozionante?
«Ora dovrei dire Monte d’Accoddi, vero?».
Infatti.
«Invece no, né Monte d’Accoddi né il nuraghe Orrubiu, che pure resta il mio sbaglio migliore: mi avevano dato da perlustrare un’area delimitata da una tavola dell’Istituto Geografico Militare ma avevo una bussolina da tre soldi e sconfinai in un’area che non mi competeva. La scoperta più bella è la tomba dipinta di Thiesi. Avevo dei fondi per scavare attorno al nuraghe Fronte ’e Mola: scavo e non trovo quasi nulla, giusto una moneta romana del periodo repubblicano. A quel punto commetto un peculato per distrazione».
Si autodenunci.
«Mi restavano dei soldi e ho deciso di scavare delle tombe nei dintorni. Nella prima non trovai granché, entrai strisciando nella seconda e mi venne lo sconforto: “Guarda i romani come hanno pasticciato tutto”. E invece non erano i romani, erano i sardi che avevano tracciato quelle spirali, quei dischi pendenti, quelle decorazioni senza paragoni nella nostra storia antica. Volevo essere certo della portata della scoperta e ne parlai a Pallottino».
E lui?
«La presentò a Roma, al VI Congresso Internazionale delle Scienze Preistoriche e Protostoriche del 1962. Disse: signori, ecco la scoperta clou ».
Celestino Tabasso






LA NUOVA SARDEGNA
3 - La Nuova Sardegna / Pagina 19 - Sassari
Medicina, il primario attacca le cliniche:
«Rifiutano i pazienti»
di Gabriella Grimaldi
SASSARI «Anche io mi sarei arrabbiato se nel cuore della notte mi avessero detto di sloggiare dal letto perché dovevo fare spazio a un altro paziente. Eppure, anche se sembra incredibile, il medico che ha agito in questo modo ha semplicemente seguito un regolamento in vigore nella nostra azienda. Il tutto però va inquadrato in una situazione di grave disagio determinata dall’atteggiamento irresponsabile dei colleghi delle cliniche universitarie e davanti alla quale chi dovrebbe non fa nulla». È più che amareggiato Franco Bandiera, direttore dell’Unità operativa di Medicina interna dell’ospedale Santissima Annunziata. Suo malgrado si è trovato a dover rispondere di un episodio eclatante avvenuto nel reparto: un paziente ricoverato da qualche tempo per una situazione di salute piuttosto complessa, ma che sarebbe stato dimesso e breve, è stato trasferito alle 4 del mattino da Medicina (1° piano dell’ala nuova) a Ortopedia (6° piano della stessa struttura) perché al suo posto doveva essere sistemato un paziente con insufficienza respiratoria in arrivo dal pronto soccorso. «È un’eventualità che si può verificare perché se non ci sono altri letti disponibili in quel momento, prima di ricorrere alle barelle – spiega Bandiera – dobbiamo trasferire i pazienti più stabili nei reparti appoggio, cioè quelli che hanno un tasso di occupazione dei letti più basso. Uno dei quali è proprio Ortopedia». Ed è il tasso di occupazione dei letti a creare tutti i problemi di Medicina interna: 128 per cento che tradotto in flusso di persone significa una massa di pazienti incanalata di continuo dal pronto soccorso. Fa parte ormai della cronaca quotidiana il racconto del sovraffollamento di questo reparto come di quello di Medicina d’Urgenza. Ma soprattutto il primo, che dovrebbe sì accogliere una parte di emergenza ma anche i ricoveri programmati o “di elezione”, si trova di fatto a trattare soltanto casi dirottati dal pronto soccorso, spesso parcheggiando i malcapitati per giorni sulle barelle nelle camere di degenza e persino nei corridoi quando proprio non ci sono altre possibilità. Una situazione che il primario Bandiera attribuisce in buona parte al costante rifiuto da parte di reparti simili, che però fanno parte dell’Azienda ospedaliero universitaria, di accettare pazienti provenienti dal pronto soccorso. «Un rifiuto fuori legge – sottolinea il dirigente medico – sul quale invece inspiegabilmente non si interviene. Quando la Regione ha stabilisce che nel nostro territorio ci sono un certo numero di letti disponibili comprende anche quelli delle cliniche. E invece di fatto tutto questo imponente lavoro ricade sulle nostre spalle. Anche noi vorremmo seguire i nostri casi, anche tanti gravi, con ricoveri ad hoc e invece siamo costretti ad arrangiarci con mille escamotage. Una grave ingiustizia». E i numeri in effetti parlano chiaro. Nel 2013 i ricoveri dal pronto soccorso nei reparti del Santissima Annunziata sono stati in totale 9612. Il primato spetta a Medicina interna con 2600 ricoveri mentre al secondo posto c’è Medicina d’Urgenza con 2116 trasferimenti. Segue Geriatria che ha ospitato 1390 anziani ammalati. L’Aou nel corso dell’anno ha accettato 1037 pazienti: 249, il numero più alto, sono andati in Clinica medica, 236 in Malattie infettive.







QUOTIDIANI NAZIONALI
Link: rassegna stampa MIUR

 

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