UniCa UniCa News Rassegna stampa Martedì 19 novembre 2013

Martedì 19 novembre 2013

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 novembre 2013

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

LA NUOVA SARDEGNA
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 62 - Cultura-Spettacoli
I sardi nelle colonie Una memoria storica sepolta nei cassetti
Al via il progetto delle Università di Cagliari e di Sassari
di Valeria Deplano
 
Salvatore nel 1936 ha trent’anni, e il militare l'ha già fatto. Potrebbe restare a Samatzai a fare il suo lavoro, a fare il contadino, invece nell'autunno di quell'anno si arruola come volontario e parte per l'Eritrea o, come si dice di questi tempi, per Africa Orientale Italiana. Ci rimarrà quattro anni. Le foto che sua moglie custodisce con cura lo ritraggono in mezzo a uomini col volto cotto dal sole, con in mano il piccone o il fucile. Sul retro di ognuna Salvatore ha annotato le date e i luoghi, ed è facile da Samatzai seguire il suo percorso tra le montagne e gli altipiani africani. È più difficile seguire la strada di Giovanni, partito da Seui per l'Etiopia: lui va in Africa come civile, dicono per guidare i camion. Quando torna nell'isola ha i soldi per sposare Teresa e per aprire una bettola a Cagliari, alla Marina, come tanti suoi compaesani. Insieme a loro c'è Silvio, che l'Africa l'ha conosciuta dopo, quando in Libia si combattono le sorti della guerra mondiale; ma c'è anche la famiglia di Giulia, che viveva a Tripoli da prima del fascismo. Quelle di Sebastiano, Giovanni, Silvio sono le prime storie raccolte da "Sardegna d'oltremare", il progetto finanziato dalla Regione Sardegna e avviato dall'università di Cagliari in collaborazione con quella di Sassari, per recuperare le memorie coloniali dei sardi . Il colonialismo ha accompagnato la storia d'Italia sino al secondo conflitto mondiale: la Libia, l'Eritrea, la Somalia erano colonie italiane da prima che Mussolini arrivasse al governo; nel 1936 il regime vi aggiunse l'Etiopia e proclamò la nascita dell'impero. Sino alla metà del Novecento, quindi, gli italiani hanno seguito i progetti espansionistici del governo di turno, e hanno raggiunto a migliaia le colonie oltremare. Tra di loro anche moltissimi sardi: erano contadini, operai, soldati, medici, maestri, commercianti. Partivano perché dovevano o perché credevano alla propaganda che parlava del diritto dell'Italia ad avere un posto al sole. Oppure partivano perché si diceva che da quelle parti avessero bisogno di braccia, e le braccia, in un'isola già votata all'emigrazione, non mancano mai. Molti di loro sono tornati indietro portando con sé il ricordo di un'esperienza unica: un'esperienza di guerra, di violenza e di sofferenza, perché il colonialismo è prima di tutto questo, ma anche un'esperienza che chi era rimasto a Samatzai, a Seui, o a Ulassai non poteva nemmeno immaginare. In molti casi i reduci e i coloni hanno provato a raccontarla, almeno in parte, alle mogli e ai figli; molto più spesso hanno affidato le proprie memorie alle foto e alle cartoline con cui avevano riempito i cassetti di famiglia. Se si chiede agli storici di professione è facile sentirsi dire che il colonialismo gli italiani se lo sono dimenticato. Finita la guerra, perse le colonie, si è preferito rimuovere un capitolo scomodo del proprio passato prossimo, eliminandolo dai libri o riducendolo a poche righe nei manuali di scuola. Con il tempo alcuni studiosi hanno ricostruito gli avvenimenti militari e politici, colmando i vuoti e riempiendo i silenzi. Eppure una parte di quella storia è rimasta là, chiusa nei cassetti e nei ricordi dei reduci e degli ex-coloni. Coordinato da Luciano Marrocu, professore di Storia contemporanea nell'ateneo cagliaritano, un gruppo di ricercatori sta provando ora a farla venire alla luce. Sul modello di un progetto già realizzato dall’università di Modena e Reggio Emilia è stato diffuso un bando pubblico ed è stata creata una pagina su Facebook (www.facebook.com/sardegnadoltremare ) per chiedere a tutti i sardi di aprire i cassetti, frugare negli album, rovistare nelle soffitte per recuperare le fotografie, le lettere, i diari. Il materiale, scansionato, servirà per creare un archivio digitale che raccolga le memorie e le colleghi tra loro. Chi e quanti erano i sardi che andarono oltremare? Come vissero la realtà coloniale, e cosa portarono indietro? Come si sono tramandate le loro memorie? Il progetto vuole rispondere a queste domande per ricostruire un capitolo ancora inesplorato della storia della Sardegna e, contemporaneamente, per rendere disponibile alla comunità scientifica un patrimonio utile allo studio del colonialismo. In questo modo le storie di Sebastiano, di Giovanni, di Silvio non soltanto non si perderanno, ma diventeranno tasselli indispensabili per comprendere una vicenda molto più grande. Una storia che coinvolge tutti: i sardi, gli italiani, e gli africani.
 
LA NUOVA SARDEGNA
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 62 - Cultura-Spettacoli
Recuperare i documenti ancora custoditi dalle famiglie
 
I sardi che andarono in Africa furono migliaia. Quando sono tornati hanno riportato con sé il ricordo di quell'esperienza. Quelle memorie orali, scritte e fotografiche fanno parte della storia di molte famiglie sarde; ora vogliamo farle diventare parte della storia di tutti. L'Università di Cagliari, insieme a quella di Sassari e con il finanziamento della Regione Sardegna, ha iniziato un progettorecuperare quelle memorie. «Vogliamo raccogliere e conservare – dicono gli storici impegnati nel progetto – le storie, le immagini e i racconti che i sardi hanno tramandato ai figli e nipoti, per farla diventare patrimonio comune. Per questo vi chiediamo di tirare fuori le storie dai cassetti, dagli album di famiglia, dalle soffitte e di condividerle con noi. Le fotografie, le lettere, i diari, i vostri racconti resteranno vostri: i ricercatori dell'Università li copieranno in formato digitale e ve li restituiranno. Nessun uso pubblico dei documenti sarà possibile senza l'autorizzazione dei proprietari». Per contattare i ricercatori: telefono 070/6757060 (ogni giovedì dalle 9 alle 13); Facebook www.facebook.com/sardegnaoltremare; email sardegnaoltremare@gmail.com
 
LA NUOVA SARDEGNA
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 18 - Sassari
GIOVEDì E VENERDì
Chirurgia mini-invasiva, corso di alta specializzazione
 
SASSARI Nelle giornate del 21 e 22 novembre e 2-3 dicembre si terrà, nella sala conferenze della Patologia chirurgica dell’Aou, un corso teorico-pratico in chirurgia mini-invasiva avanzata (in laparoscopia) che vede come organizzatori Mario Trignano (direttore di Patologia Chirurgica) e Antonio Marrosu, rispettivamente presidente e direttore scientifico del corso. Tale evento è rivolto a tutti gli specialisti interessati ad apprendere o semplicemente perfezionare le tecniche di chirurgia mini-invasiva. La chirurgia mini-invasiva consiste in procedure chirurgiche effettuate introducendo, attraverso micro-incisioni della cute di 5 o 10 mm, una piccola telecamera e altri strumenti estremamente sottili inseriti nella cavità addominale o toracica. Con tale metodica il chirurgo è dunque capace di eseguire interventi di elevata difficoltà tecnica osservando su un monitor ciò che sta eseguendo all'interno dell'addome o del torace senza la necessità delle tradizionali incisioni chirurgiche.
 
LA NUOVA SARDEGNA
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 54 - Sassari
Al museo Biddas un premio di eccellenza
Sorso, il sindaco ritira a Roma il riconoscimento per l’allestimento sui villaggi medievali abbandonati
 
SORSO Il sindaco Giuseppe Morghen ha ritirato nei giorni scorsi a Roma il premio "Riccardo Francovich", per il miglior museo o sito archeologico italiano sul patrimonio archeologico di età medievale, assegnato quest'anno al Museo Biddas, Museo dei Villaggi abbandonati della Sardegna, allestito nel Palazzo Baronale. La consegna dei premi ai vincitori del concorso organizzato dalla Società degli Archeologi Medievali Italiani (Sami), d'intesa con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è svolta nella capitale con una manifestazione ufficiale inserita all'interno del convegno intitolato "Innovare la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dei patrimoni culturali e dei paesaggi storici: se non ora, quando?", al quale sono intervenuti tra gli altri il ministro per i beni culturali e Massimo Bray e altri massimi esperti del settore. Il prestigioso riconoscimento è stato consegnato nelle mani del sindaco, accompagnato dall'assessore alla Cultura, Simonetta Pietri e dal direttore del Museo Biddas, Marco Milanese. Il Comitato scientifico del premio intitolato alla memoria del professor Riccardo Francovich, fondatore della Sami ha decretato il Museo Biddas quale miglior sito archeologico medievale italiano dopo una votazione online, riservata ai soci della Sami. La giuria premia annualmente il museo o il parco archeologico che, a livello nazionale, rappresenti un caso di best practice di allestimento museografico, attività didattico-comunicative e qualità scientifica in grado di rappresentare adeguatamente le tematiche e le metodologie dell'archeologia post-classica.
 

L’UNIONE SARDA
5 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 20 - Edizione CA)
Convegno
“Invecchiare con l'Aids”
 
In vista della Giornata mondiale per la lotta contro l'Aids, che si terrà l'1 dicembre, la divisione Malattie Infettive dell'ospedale Santissima Trinità, l'istituto di Malattie Infettive dell'Università di Sassari e la cooperativa Osat promuovono per il 30 novembre il convegno dal titolo “Vivere e invecchiare con l'Aids: La malattia nelle diverse età della vita”. L'evento, rivolto agli operatori sanitari, è aperto anche a tutte le persone che vogliono approfondire i temi concernenti l'Aids. Nello specifico saranno affrontati aspetti epidemiologici riguardanti la diffusione della malattia in Italia e le problematiche che si rilevano nel mondo del lavoro, si approfondiranno i quadri clinici legati alle neoplasie e ai trapianti epatici e si parlerà della malattia nell'infanzia, nell'adolescenza e nell'anziano.
 
L’UNIONE SARDA
6 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 22 - Edizione CA)
«I farmaci non sono il male»
Carpiniello: un'arma efficace contro i disturbi mentali
Il consumo record: il docente di Psichiatria all'Università divide l'uso dall'abuso
 
Mette in guardia da pastiglie o gocce usate con disinvoltura per sfuggire a una vita che non funziona, ma difende l'utilizzo dei farmaci davanti alle patologie psichiatriche conclamate: «Sono l'arma principale per curare gran parte dei disturbi mentali». Bernardo Carpiniello, professore ordinario di Psichiatria all'Università, prende posizione sul fenomeno dell'aumento del consumo degli psicofarmaci, tenendosi alla larga da allarmismi o condanne. «Se non avessimo certi tipi di medicinali, sarebbe davvero un grosso problema».
Eppure una parte della medicina li condanna. Perché?
«Per motivi ideologici. Nessuno sognerebbe di contestare un oncologo che prescrive una cura contro i tumori fatta con un cocktail di tre-quattro farmaci. Eppure gli effetti collaterali sono pesanti».
Un giornalista americano ha recentemente pubblicato un'indagine che smentisce l'efficacia degli psicofarmaci.
«Casi di non risposta, di scarsa risposta o di risposta inadeguata valgono per tutti i medicinali. Non esiste la panacea».
Federfarma dice che un cagliaritano su tre fa uso di antipsicotici.
«Sono in aumento tutti i disturbi dell'umore, non solo i casi di depressione. Sono cresciuti i disturbi bipolari, d'ansia e della personalità. Ma il fenomeno è nazionale».
Chi vive un disagio sociale si rifugia nei farmaci?
«Esiste una relazione generale tra molti disturbi psichiatrici e i fattori socio-economici. Spesso la causa scatenante di depressione o attacchi d'ansia è legata a fattori esterni, come la perdita del lavoro, la difficoltà a pagare il mutuo e via dicendo. Ma la base è biologica».
La crisi non guarda in faccia nessuno. Tutti sono potenziali “malati mentali”?
«No, non si diventa depressi semplicemente perché si è sotto stress. Solo chi è predisposto può andare incontro a certi disturbi. Parliamo di persone vulnerabili».
Il mercato dei farmaci subisce spesso il pressing delle case farmaceutiche.
«Sono industrie, e come tutte le industrie cercano di spingere il loro prodotto. A prescindere da ciò che vendono. È la legge del mercato».
Gli sponsor influiscono sulla prescrizione di una medicina o di un'altra?
«No, assolutamente. Forse in passato era così».
Cosa è cambiato?
«Da qualche anno in Italia e in tutta Europa l'attività delle aziende farmaceutiche è rigidamente regolamentata. Gli informatori scientifici ora si limitano a presentare agli specialisti i nuovi farmaci, finisce lì».
Un tempo andavano di moda i congressi con cena gratis. In qualche caso ci è uscita pure la vacanza.
«È un'epoca finita da un pezzo. Queste cose non capitano più».
A chi sostiene che gli psichiatri siano al servizio delle aziende farmaceutiche cosa risponde?
«Che è falso. Se un farmaco non funziona, non c'è azienda che tenga. Il medico prova le novità del mercato, se non rendono ciò che promettono vengono abbandonate. Sarebbe contro i nostri stessi interessi fare il contrario».
Bimbi iperattivi, c'è una discussione sempre aperta.
«L'argomento è delicatissimo».
Il caso Ritalin non è mai stato chiarito. Viene definito la droga dei piccoli.
«Il problema del Ritalin, come di ogni farmaco, è che va dato solo quando la diagnosi è certa. Il che richiede una grande competenza clinica».
Si è parlato di abuso, e di piccoli zombie.
«Smentisco che venga dato indiscriminatamente. Il consumo del Ritalin per l'iperattività nei bambini è limitatissimo. Ci sono rigorosi criteri di selezione che stabiliscono quando prescrivere questo farmaco».
Qualcuno sostiene che vi siete inventati una patologia.
«È una follia».
C'è stata un'epoca in cui l'antipsichiatria diceva che anche la schizofrenia non esistesse.
«Purtroppo i residui di questa ideologia esistono ancora. È un'eresia, esiste e come. Lo sanno bene chi ne soffre e i familiari che convivono con i pazienti».
Quindi i bambini iperattivi esistono davvero?
«Certo, alcuni bambini manifestano meccanismi disfunzionali nel cervello. È la stessa cosa dell'autismo infantile. Nessuno si sognerebbe di dire che non esiste. Sarebbe come sostenere che il cancro è stato inventato da aziende che vendono medicinali antineoplastici».
Perché ci sono tanti pregiudizi sui farmaci psichiatrici?
«Si fa fatica ad accettare che una persona possa non farcela con le proprie risorse. La malattia mentale viene vista come una forma di debolezza. In realtà quando c'è bisogna affrontarla, e i farmaci servono a questo».
Sara Marci
 
L’UNIONE SARDA
7 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 22 - Edizione CA)
UNIVERSITÀ. Importante ricerca
Sentire meno gli odori può essere un sintomo del “Parkinson”
 
La diminuzione della percezione olfattiva è uno dei sintomi della malattia di Parkinson. Dunque l'analisi dell'olfatto è un possibile strumento per la prevenzione, il monitoraggio della progressione del morbo e per lo sviluppo di nuovi trattamenti. È uno degli importanti risultati a cui è pervenuto un gruppo di clinici e studiosi della ricerca di base dell'Università di Cagliari il cui lavoro è stato pubblicato su PlosOne, una importante rivista internazionale.
L'INSETTO DELLA FRUTTA A portare alla scoperta i gruppi di Francesco Marrosu, professore ordinario di Neurologia, e di Anna Maria Liscia, professore ordinario di Fisiologia, è stato un insetto, la Drosophila melanogaster , il cosiddetto moscerino della frutta. «Con il progetto sviluppato negli ultimi due anni grazie alla collaborazione di partner di ricerca internazionali - afferma Liscia -, abbiamo avuto modo di analizzare alcuni aspetti del Morbo di Parkinson in un efficace e semplice modello genetico in vivo qual è il comune moscerino della frutta, che presenta le complete caratteristiche dell'essere vivente. Il modello sperimentale così realizzato - continua - soddisfa alcuni dei più importanti criteri di diagnosi di tipo motorio e non motorio della malattia, come ad esempio la rigidità, il comportamento acinetico, la deficienza olfattoria».
«Da diversi studi clinici - spiega Marrosu - si è osservato che i pazienti parkinsoniani mostrano disturbi nella percezione olfattiva come sintomo precoce della malattia. Il nostro primo studio si è infatti concentrato sulle disfunzioni olfattive per il quale abbiamo utilizzato il mutante di Drosophila per il gene “Pink 1”, poiché le mutazioni del gene umano “Pink 1” sono tradizionalmente associate a forme familiari della malattia ad insorgenza precoce».
La ricerca ha dato modo di ottenere, per la prima volta, i risultati neurofisiologici e neuroanatomici sulla funzione olfattoria nei mutanti “Pink 1” di Drosophila . «Abbiamo osservato una riduzione della risposta olfattiva dei mutanti ad alcuni composti volatili sintetici e naturali - argomenta il neurologo - e si è visto che questa appare ridursi ulteriormente con il progredire dell'età. La causa della riduzione dell'olfatto è stata rilevata nello sviluppo di un processo neurodegenerativo. Dunque l'analisi dell'olfatto è un possibile strumento per la prevenzione, il monitoraggio della progressione della malattia del Parkinson e lo sviluppo di nuovi trattamenti».
LA REGIONE DISSE NO Il progetto è ambizioso anche se l'attività sulla Drosophila melanogaster è stata portata avanti dai ricercatori dell'Ateneo cagliaritano con costi estremamente ridotti: «Ci abbiamo creduto e oggi siamo lieti di presentare i primi riscontri - conclude Liscia - nonostante gli organi preposti ad esaminare i finanziamenti in sede regionale avessero ritenuto non finanziabile il progetto. Oltre a noi ordinari e ai ricercatori Mariella Setzu e Paolo Solla, il lavoro ha visto l'assiduo impegno di due giovani, Simone Poddighe, assegnista, e Francesca De Rose, dottoranda. Dobbiamo l'esito di questi primi dati ai nostri giovani e tutti i colleghi dei vari dipartimenti che hanno lavorato con passione per la riuscita dello studio».
Elisabetta Caredda

Questionario e social

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