UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 6 novembre 2013

Mercoledì 6 novembre 2013

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 novembre 2013
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI


 
L’UNIONE SARDA

 
1 - L’UNIONE SARDA / Primo Piano (Pagina 3 - Edizione CA)
Rapporto
Uno studio dell’Università inchioda i responsabili
Che la miniera d’oro avrebbe avuto un effetto devastante sull’ambiente lo aveva previsto anche la Sargold, se è vero che nel dicembre del 2006, nell’annuale rapporto finanziario, la società canadese stanziava un milione di dollari americani per le bonifiche. Va da sé che tali lavori non sono mai stati fatti. Meno di un anno dopo, nel settembre del 2007, la miniera veniva abbandonata, lasciando dietro di sé un disastro ambientale. Al quale dovrà porre rimedio la Regione, con uno stanziamento di nove milioni di euro.
Nel 2008 l’Università di Cagliari ha emesso un rapporto nel quale si denunciava che «il più alto potenziale inquinante era rappresentato dalle rocce minerali ammassate in grandi discariche a cielo aperto». Nel 2011 l’Università aggiungeva: «Le piogge che drenano l’area della miniera hanno un’alta acidità e un’elevata concentrazione di metalli. La più grande sorgente di contaminazione è rappresentata da materiali abbandonati, minerali flottanti sul lago e rocce minerali all’aria aperta. Questi materiali - sostiene ancora l’Università di Cagliari - hanno un’alta capacità di generare acque acide da drenaggio e rilasciare grandi concentrazioni di agenti contaminanti».
È la fotografia di un disastro ambientale senza precedenti. E il lago al cianuro è talmente pericoloso da essere considerato “obiettivo sensibile”, da tenere sotto vigilanza armata in caso di allarme terrorismo.
 


2 - L’UNIONE SARDA / Speciale (Pagina 11 - Edizione CA)
1961 1947 1945 1919. Dal 6 novembre 1964 la Gran Bretagna vendeva il Cepharin
L’antibiotico sardo che ha fatto la fortuna delle farmacie inglesi
Poco meno di mezzo secolo fa, il 7 novembre 1964, L’Unione Sarda uscì con un forte titolo in prima pagina: “Realizzato dagli inglesi l’antibiotico del prof. Brotzu”. Da quello stesso giorno il “Cepharin” era in vendita nelle farmacie della Gran Bretagna, prodotto e distribuito dalla società Glaxo. Un motivo d’orgoglio per Cagliari e per l’Italia, considerato che il nuovo farmaco era definito «più efficace della penicillina» scoperta da Fleming nel 1932. Motivo di sconcertata delusione, allo stesso tempo, perché lo scienziato cagliaritano inventore delle cefalosporine - da cui venne poi ricavato il composto cepharin - restò nell’ombra, mentre Sir Alexander Fleming aveva conquistato il Nobel per la medicina. Senza contar che per decenni abbiamo esportato quell’antibiotico dal Regno Unito.
Farmacologo, biologo, igienista, nel 1943 Giuseppe Brotzu era rettore dell’ateneo quando fece il primo passo verso la scoperta maturata poi nel silenzio del laboratorio. Era un ricercatore poderoso. Giovanissimo laureato in medicina e chirurgia (1919), nel ’23 aveva pubblicato uno studio sul tifo endemico che affliggeva Cagliari. Lungo quel filone di osservazioni andò avanti per dieci anni, fino a notare con sorpresa che le micidiali salmonelle (principale causa d’infezione) scomparivano rapidamente nelle acque fognarie urbane scaricate a Su Siccu. Intuì che quel fenomeno di autodepurazione del mare dovesse essere legato a una sorta di “lotta biologica” tra specie viventi. Rilevati da quel tratto di costa cittadina svariati campioni di muffe, avviò una lunga osservazione in coltura, assistito da un promettente allievo: Antonio Spanedda.
Fu nel luglio del ’45, dopo lo studio di centinaia di colonie di germi, che Brotzu isolò un fungo chiamato chefalosporium acremonium. La scoperta: il liquido ricavato da quest’ultimo gruppo di cellule inibiva alcuni microrganismi, fra i quali la salmonella typhi. Si gettò a capofitto sui test pratici, con risposta positiva: aveva trovato l’origine di un inedito, insospettato e potente antibiotico capace di aggredire e sconfiggere famiglie di bacilli portatori di gravi malattie: tifo, paratifo, infezioni da salmonella, colera, peste, carbonchio, antrace, brucellosi, tossine antagoniste dei globuli rossi...Alle sostanze antibiotiche ricavate dal cephalosporium lo scienziato diede un nome: cefalosporine. Il primo estratto fu la cefalosporina C. Era il 1947. Ora occorreva andare avanti per isolare il principio attivo, identificare le molecole, preparare un farmaco e produrlo. Un’occasione storica per l’Italia appena uscita dalla guerra. Servivano ingenti risorse che l’Università cittadina non aveva e Brotzu si rivolse alla Regione, ai ministeri della Sanità e della Pubblica istruzione, al Cnr: nessuno rispose. Del “micete-Brotzu” si occupò invece la Sanità britannica, chiedendo allo scopritore chiarimenti scientifici. Cosa che egli fece, inviando una relazione con un’amara conclusione: «Si è voluto riferire quanto sopra nella speranza che altri istituti meglio dotati di mezzi possano giungere a un progresso maggiore nella selezione del micete, preparazione culturale dell’antibiotico ed estrazione di esso». E subito rispose l’Università di Oxford: una coltura del fungo gli fu richiesta da sir Howard Florey (ricercatore che aveva prodotto la penicillina scoperta da Fleming). Tra il 1951 e il ’61 i biologi inglesi estrassero, purificarono e catalogarono differenti sostanze ad attività antibiotica, e la cefalosporina C divenne il capostipite di una nuova generazione di antibiotici molto importanti per forza antibatterica e bassa tossicità. Il brevetto fu venduto alla compagnia Glaxo, che produsse il farmaco, distribuito 49 anni fa e molto più tardi sostituito da derivati di altre cefalosporine e analoghe sostanze antibiotiche. Ancora quel farmaco è prodotto in India, a Mumbai.
Mauro Manunza

Speciale (Pagina 11 - Edizione CA)
Ex docente e rettore universitario, ha dato il nome all’ospedale più grande della Sardegna
Guidò la Regione, fu sindaco di Cagliari
Il professor Giuseppe Brotzu è stato inutilmente candidato al premio Nobel per la medicina: anche in questo caso l’Italia s’è desta troppo tardi. Nonostante la fama per una scoperta scientifica di straordinaria importanza, lo scienziato cagliaritano ha avuto poche soddisfazioni: la laurea honoris causa all’Università di Oxford nel 1971 e il diploma della National Research Development Corporation nel ’72. Onorificenze anche dalla Glaxo, dal British Council e dall’Università di Milano (laurea ad honorem). Quando era ormai scomparso da otto anni gli è stato dedicato l’ospedale più grande della Sardegna: fu Emanuele Sanna, allora assessore regionale alla Sanità, a decidere l’apertura di quell’importante complesso e a stabilirne l’intitolazione respingendo le molte acide contrarietà di un ambiente che non amava lo scopritore delle cefalosporine.
Nato a Cagliari il 24 gennaio 1895, era destinato a fare il medico. Il nonno (di Nulvi) era medico condotto e suo padre era ufficiale sanitario nel capoluogo. Si laureò a 24 anni, divenne subito assistente universitario e poco più tardi direttore degli ambulatori antimalarici della città. Divenne igienista collaborando con il suo maestro Donato Ottolenghi, che seguì negli atenei di Siena (dove conobbe la giovane chimica Maria Castellani, poi divenuta sua moglie) e di Bologna. Cattedratico di Igiene a Modena, tornò nella sua città (1934) dove fu preside di Farmacia e poi di Medicina e chirurgia. Nel 1936 divenne rettore dell’Università e lo fu per otto anni (durante i quali istituì le facoltà di Ingegneria mineraria e di Magistero). Dopo la guerra fu commissario governativo nel Comitato alleato per l’igiene pubblica della Sardegna. Attivissimo nella lotta alla malaria, nel 1950 creò il Centro regionale antinsetti (importante presidio rimasto in piedi fino a pochi anni fa). È stato sovrintendente sanitario regionale.
Burbero ma signorile, taciturno ma di ironia sagace, Brotzu fu anche abile uomo politico fin dalla nascita della Regione autonoma della Sardegna (1948): subito eletto consigliere nella lista della Democrazia Cristiana, dal ’49 assessore all’Igiene e sanità per sei anni e nel 1955 presidente della Giunta. Fra mille polemiche formò un monocolore Dc sostenuto da missini e monarchici e governò fino al ’58. Due anni più tardi divenne sindaco di Cagliari, carica che lasciò nel 1967 quando cadde la sua quarta giunta comunale (di centro-sinistra, dopo le tre democristiane). Fra le più importanti iniziative di quei sette anni di governo cittadino vanno ricordati il varo del piano regolatore generale e l’avvio di una politica ambientale che si concretizzò, fra l’altro, con l’eliminazione della discarica di rifiuti di Giorgino, l’allargamento del sistema fognario, il divieto dl saccheggio della sabbia del Poetto.
Intanto continuò a frequentare l’istituto di Igiene fino agli ottant’anni. L’8 aprile 1976 morì in seguito a un ictus.
M. M.
 
 
 
3 - L’UNIONE SARDA / Cultura (Pagina 44 - Edizione CA)
Si è aperto ieri pomeriggio all’Exmà di Cagliari il Festival della Scienza
GALILEO GALILEI RACCONTATO DA MICHELE CAMEROTA
Quelle buste da lettera con appunti per l’umanità
Era fatto così: prendeva appunti dove capitava, per esempio sulle buste delle lettere, usate come post-it dell’epoca. Compilava accurate liste della spesa di ciò che gli serviva per la vita di ogni giorno come «lenticchie, ceci, riso, farro, uvapassa, confettura d’arance e una deliziosa malvasia» e minuziosi promemoria di cose da procurarsi «come palle d’artiglieria, canne d’organo o di stagno, pece greca, feltro» e altre da fare come visitare botteghe di «occhialieri e specchieri». Note strettamente personali, alle quali Galileo Galilei non accompagnava ovviamente alcuna spiegazione. Quell’involucro di carta, anonimo, che aveva custodito la lettera inviata il 23 novembre 1609 allo scienziato dal suo corrispondente veronese, Ottavio Brenzoni, rivela molto di più di quanto non appaia. Ci dice quando lo scienziato decise di occuparsi personalmente della lavorazione delle lenti che avrebbero fatto del suo cannocchiale quello strumento tanto potente da leggere il cielo per come realmente era, una volta celeste così diversa da quello contemplata da Aristotele e Tolomeo, ma mai esistita. Così scrive Galilei a Belisario Vinta sulla scoperta dei satelliti di Giove: ma quello che eccede tutte le meraviglie, ho ritrovato quattro pianeti di nuovo et osservati li loro movimenti... Da quel momento in poi fu chiaro che il mondo non era stato costruito intorno all’uomo dalla Provvidenza divina, e lui ne era solo un complemento.
Una storia emozionante, racchiusa tra l’ottobre del 1608 e il 13 marzo 1610, quando Galilei pubblica le sue scoperte nel “Sidereus Nuncius”, e raccontata in una bella e intensa lectio magistralis dal professor Michele Camerota, docente di Storia della scienza all’Università di Cagliari. Con lui, l’attore Gaetano Marino che ha dato voce ai pensieri di Galileo, leggendo alcuni suoi brani. Autore con Massimo Bucciantini e Franco Giudice del libro “Il telescopio di Galileo. Una storia europea”, Camerota ha aperto ieri pomeriggio all’Exmà la sesta edizione del Festival della Scienza. Un appuntamento prezioso che mette Cagliari nei circuiti delle città capaci di promuovere eventi di valore, scoprendo al tempo stesso quanto la scienza, tenuta nell’angolo e affidata agli esperti, sia la nostra vita quotidiana.
«Il fatto che la scienza sia una cultura - ha esordito Camerota - lo dimostra il fatto che ha una storia, capace di documentare la nascita dell’astronomia telescopica che segna il passaggio dell’osservazione a occhio nudo a quella col telescopio». Strumento nato in Olanda, a opera di un occhialaio, Hans Lippershey. A documentarlo è un quadro di Jan Brueghel il Vecchio: «È il paesaggio con vista del castello di Mariemont nel quale si vede l’arciduca Alberto d’Austria, fratello dell’imperatore Rodolfo II, osservare con un cannocchiale la bellezza della natura». Il dipinto, del 1611, testimonia la diffusione in Europa di uno strumento semplice, fatto utilizzando due lenti, una concava e una convessa. «Non avevano un uso scientifico - ha proseguito Camerota -, obiettivo sul quale lavora Galilei che tra il maggio e il giugno del 1609 comincia a costruire uno strumento più potente che possa arrivare fino a 9 ingrandimenti». Il vero problema era di trovare delle lenti in cui la curvatura fosse profonda. Ecco che spunta quella busta da lettera, così preziosa per ricostruire l’avventura, anche umana, della realizzazione del telescopio di Galilei, rimasto a lungo il più potente. A Venezia si procura quel che gli occorre, anche le palle d’artiglieria «necessarie a molare il vetro delle lenti». Galileo sa quanto vale il cannone e vuole trarne utilità. Oggi si direbbe che cerca nel Doge il suo sponsor, al quale rivela come il suo cannocchiale possa avvistare i nemici, contare le forze in mare e prendere tempestive contromisure.
Galileo è ormai in grado di produrre lenti da inserire nel suo cannocchiale e rivolgere la sua speculazione al cielo. È certo questo il momento più emozionante. Ed ecco spuntare ancora una preziosissima busta della lettera inviatagli da Giovan Francesco Sagredo, console di Venezia ad Aleppo, il 28 ottobre del 1609, e ricevuta da Galilei ai primi di gennaio dell’anno seguente. In un angolo Galilei disegna per la prima volta i tre satelliti di Giove: è il 7 gennaio del 1610. E scrive ad Antonio dei Medici (Enea Piccolomini) una lettera sulle sue scoperte lunari: ...la luna non essere altramente di superficie uguale, liscia e tersa, come da gran moltitudine di gente vien creduto esser lei e li altri corpi celesti, ma all’incontro essere aspra e ineguale...ripiena di eminenze et di cavità, simili ai monti et alle valli che nella terrestre superficie sono sparse . «Questa così precisa descrizione della luna - ha osservato ancora Camerota - contraddiceva la teoria aristotelica dei quattro elementi che compongono i corpi celesti».
Galileo scopre non solo la vera luna e la riproduce in alcuni disegni, vede i satelliti di Giove, la via Lattea, e sa quanto prezioso sia quel cannocchiale che lui ha costruito. Perciò dispensa consigli su come utilizzarlo: che lo strumento si tenga fermo, et perciò è bene fuggire la titubazione della mano...I vetri si tenghino per tersi e netti dal panno o nuola che il fiato, l’aria umida e caliginosa e il vapore stesso... . Il “Nuncius Sidereus”, il messaggio degli astri, viene pubblicato il 13 marzo del 1610 in 550 copie. «Appena 60 pagine che segnano lo spartiacque e ridisegnano i confini del cielo».
C’è un’altra storia tanto emozionante? Forse. Di sicuro è merito del Festival della Scienza, promosso dall’associazione “Scienzasocietascienza”, animata dall’instancabile Carla Romagnino, aver dato a un pubblico di non addetti ai lavori la possibilità di scoprirla. «È un appuntamento che lascia il suoi frutti oltre la durata del Festival», ha osservato Enrica Puggioni, assessore alla Cultura del Comune di Cagliari. Tutti d’accordo.
Caterina Pinna
 
 
 
4 - L’UNIONE SARDA / Provincia Sulcis (Pagina 33 - Edizione CA)
Figli della crisi, il presidio
«COMMOSSI DA QUESTO GESTO DI SOLIDARIETÀ»
«La generosità dei sardi emigrati in Belgio nei confronti della studentessa in difficoltà economiche ci ha commosso. Sarebbe bello se ci fossero altre persone così sensibili, ma è terribile il pensiero che debbano pensarci i volontari e non le istituzioni». Ieri nel piano pilotis sotto il Consiglio regionale a Cagliari, quasi non parlavano d’altro i “Figli della crisi”, giovani e meno giovani del Sulcis accampati ormai da 26 giorni per protestare contro la Regione, fra tende a igloo, fornellini a gas e sculture di Nivola. A Fabio Muntoni, 22 anni di Gonnesa, manca solo l’anno di diploma per diventare perito agrario: un sogno infranto insieme alle speranze di suo padre. «Sono figlio di un ex dipendente Alcoa», chiosa, «perciò non ho potuto fare altro che smettere di studiare per evitare ulteriori spese. Ora mi basterebbe trovare un lavoro, uno qualsiasi, per aiutare la mia famiglia».
Gian Walter Murgia, arriva da Uta, di anni ne ha 47: la crisi per lui ha il volto di una legge, la 44 del 1988, che lo convinse ad accendere un mutuo con tasso agevolato del 4 per cento per potenziare la sua azienda (produceva fiori e dava lavoro a 20 dipendenti) e lo costrinse, pochi anni dopo, a fallire per il tasso salito fino a un incredibile 33 per cento. Ora azienda e casa sono state svendute all’asta, «come è successo a oltre 4800 imprenditori sardi, e secondo la Regione sarei ancora in debito di 190 mila euro». A solidarizzare con lui, nel freddo granito del piazzale, la mamma infortunata al piede e il padre ormai disabile. «Mia madre è infermiera, mio padre pensionato», incalza Ivano Sais, 23 anni di Villamassargia, «a me il piatto di pasta non manca. Ma quando loro non ci saranno più?». Geometra sulla carta, attende invano un posto di lavoro: nel frattempo lotta per i giovani che, come lui, «stanno perdendo a poco a poco la speranza di cui ha parlato Papa Francesco». Ieri ha chiesto il permesso in Questura per stare in via Roma un’altra settimana, e poi chiederà una proroga, e un’altra ancora: «Fino a quando la politica non ci darà risposte scritte nero su bianco».
Michela Seu
 
 
 
5 - L’UNIONE SARDA / Provincia di Sassari (Pagina 42 - Edizione CA)
Sassari
DISABILI, UN AIUTO DALLE ACLI
SASSARI Il Caf delle Acli offrirà, anche quest’anno, assistenza fiscale gratuita agli studenti disabili dell’Università di Sassari. I ragazzi portatori di handicap potranno usufruire di una serie di servizi offerti dagli uffici del Patronato e Caf. In particolare, il Caf fornirà anche assistenza specializzata nella gestione del contributo, assegnato dall’Università agli studenti disabili, per la retribuzione dei tutor che li supportano nelle attività didattiche e nella vita universitaria. Gli uffici delle Acli si trovano a Sassari, in via Roma 130 e gli sportelli riservati agli studenti portatori di disabilità sono aperti il martedì e giovedì, dalle 10 alle 12. Contatti allo 079/2829212 o via mail all’indirizzo sassari@acliservice.acli.it e sassari@patronato.acli.it. (a. br.)

 


 
LA NUOVA SARDEGNA
 
 
6 - LA NUOVA SARDEGNA / Pagina 7 - Ed. Nazionale 
Savona: «L’isola può avere più fondi Ue»
CAGLIARI Paolo Savona, professore emerito di Economia politica, ex ministro dell’industria nel governo Ciampi, oltre che presidente storico del vecchio Credito industriale sardo, dice un sì «condizionato» alla zona franca. Come dovrebbe essere questo strumento per l’isola? Savona ne ha parlato ieri a Cagliari intervenendo a un convegno dell’Aidda, l’associazione delle donne dirigenti d’azienda. «Si tratta di creare una zona franca prevalentemente produttiva», ha spiegato Savona, «sorretta da un assetto regolamentare corretto, una pubblica amministrazione dinamica, un sistema fiscale e creditizio adeguato, una pubblica opinione favorevole con imprenditori capaci. E con centri di ricerca di eccellenza». Una ricetta complessa e lo stesso Savona ha parlato di alternative: «Poichè la creazione di una zona franca è compito lungo e difficile», ha spiegato Savona, «perché vincolato dagli accordi europei, l’alternativa sarebbe quella di un’azione diretta sul deficit esterno della Sardegna (circa il diciotto per cento del Pil), per trattenere le risorse all’interno e il sostegno di investimenti innovativi attraverso un «private fund« con Fondi pubblici ma gestito da privati». Secondo Savona la Regione dovrebbe richiedere all’Europa di rivedere l’esclusione dell’economia sarda dall’Obiettivo 1 - la fascia principali degli aiuti riservata alle zone in ritardo di sviluppo - e questo si potrebbe fare riconoscendo che il peso dell’industria petrolifera non compensa il costo dell’insularità. Per Savona gli errori commessi nell’accettare produzioni a basso valore aggiunto e nel gestire quelli a più elevato valore pesano sulle risorse finanziarie della Sardegna. E l’alternativa agropastorale pecca di difetti di organizzazione e relazionali che incidono sulla competitività. (a.f.)
 
 

7 - LA NUOVA SARDEGNA / Pagina 33 - Ed. Nazionale
FILOSOFIA
di Giacomo Mameli
In principio fu Antonio Gramsci che, in una lettera dal carcere alla cognata Tania Schucht, si chiedeva: «A quante società appartiene un individuo?». E ancora: «Non esiste un processo storico generale che tende a unificare tutto il genere umano?». Più avanti, interrogandosi sull’essenza e sul mistero dell’uomo, quasi tentando una tac psicologica al formarsi e manifestarsi delle singole personalità, il grande filosofo sardo scriveva una delle osservazioni più geniali delle sue opere: «Ognuno elabora e sgomitola ogni giorno la propria personalità e il proprio carattere, lotta contro i propri impulsi, tendenze deteriori e antisociali e si conforma a un sempre superiore livello di vita collettiva. Non c’è in ciò nulla di eccezionale, di individualmente tragico. Ognuno impara dai suoi prossimi e affini, cede e acquista, perde e guadagna, dimentica e accumula nozioni, tratti e abitudini». Se queste riflessioni erano indiscutibili nei tormentati anni Trenta del secolo scorso, immaginiamo quanto sia più facile oggi, nella società della comunicazione opulenta, nel Medioevo trasformato in Media Evo, farsi condizionare «da prossimi e affini» e domandarci quanto ci sia di soggettivo in ogni uomo e quanto, invece, sia plasmato dagli influssi, dalle impalcature esterne, da ciò che ci circonda. Chiederci insomma quanto siamo realmente autonomi, quanto siamo solo-noi e quanto invece siamo sintesi degli altri, cioè eterodiretti. Una risposta a questi tormenti del pensiero moderno la offre Remo Bodei nel nuovo libro “Immaginare altre vite” (editore Feltrinelli, pagine 263, euro 22), sottotitolo “Realtà, progetti, desideri”. Il filosofo sardo (è nato a Cagliari nel 1938, insegna all’Università della California, a Los Angeles) non nega che «dipendiamo da potenze inconsce più o meno grandi di noi» e che «operano senza il nostro consenso e che segnano in parte il nostro destino». Ma dal tunnel di una società che punta alla omologazione di tutto e di tutti, alla globalizzazione del singolo uomo, vede anche la luce. Perché questo innegabile stato di cose «non significa che dobbiamo consegnarci loro passivamente». Saranno anche “inconscie” e anche “potenze” ma «tutta l’evoluzione della nostra specie rappresenta lo sforzo di emanciparci dal loro diretto dominio». Perché crediamo nel valore dell’educazione, del «mettere argini alle passioni attraverso il consolidamento della volontà, di incrementare le conoscenze grazie all’esperienza e alla riflessione di apprendere a risalire il corso del tempo a ritroso per mezzo della memoria». In uno dei capitoli più intensi del volume (“Un altro luogo, un altro tempo”) Bodei crede che l’uomo sia singolarità, autonomia, proprio perché dotato della sua volontà. Volontà singola che può riuscire anche a sbriciolare, perfino a imporsi sulla grande reggia del mondo, della società. Usa una una parola (“identità”) abusata anziché no nella pubblicistica e nella politica in Sardegna e spiega: «Pur nei turbamenti dell’alterità non si perde mai completamente il filo dell’identità. Si prova pur sempre l’ambigua percezione dell’identità ibridata con la diversità, ma anche la sensazione indefinibile di una densità eccedente di senso, di un di più insituabile che turba e commuove. È come se, oltre al senso manifesto, ve ne fossero incapsulati altri, in un gioco di rinvii e di riverberi che sciolgono i contorni indeterminati di persone e cose». Oppure siamo incapsulati in un ping pong continuo fra continuità e discontinuità cercando di salvare, quasi proteggere il nostro io. «I diaframmi cadono o diventano porosi, permettendo una maggiore regolarità delle esperienze. L’accento della realtà si sposta e si ritira così da un mondo all’altro, obbligandoci a imparare come entrare e uscire da questi inframondi, come intrecciare la nostra esistenza ai possibili, senza perdere il contatto con quella che William James chiama la paramaount reality, la realtà che appare superiore a tutte le altre, quella della vita quotidiana da svegli». Uomini a corrente alternata, a sentimenti alterni, appunto in altalena fra continuità e discontinuità che «costituiscono la storia sincopata di noi stessi, in cui troviamo però di volta in volta una serie di ubi consistam, luoghi di più o meno durevole convergenza di pensieri, percezioni, ricordi e affetti attorno a un punto mobile, il nostro io, capace di travalicare tutte le cesure». Un io schiacciato dagli altri? Ha più peso una singolarità forte, capace di eterodirigere il mondo che lo circonda? È il grande dilemma attorno al quale ruotano le riflessioni di Bodei convinto che «l’identità individuale, ibrido frutto d’imitazione e d’invenzione di sé, da un lato si indebolisce perché i modelli diventano effimeri, perdono d’autorità. Dall’altro, quasi per compensazione, esige per il soggetto maggiore visibilità e riconoscimento». Se ciascuno di noi è «connesso ad altre esistenze» ed è «capace di racchiuderne molte» non corre forse il rischio- insinua Bodei - di «perdere la propria consistenza» e di «trasformare l’immaginazione, più che in un fattore di crescita, in un trastullarsi inoperoso o, peggio, in un nocivo strumento di fuga dal mondo e di paralisi della volontà?». Il libro presenta molti ritratti dell’uomo moderno e della società degli internauti. Ci si chiede «chi vorrei essere?» ma si constata «l’impotenza dei desideri a esprimersi». Rileggete Marcel Proust col suo “ometto di piombo” o le vite esemplari di Plutarco citato addirittura da Napoleone che – a proposito di identità, frequentando l’Accademia per diventare ufficiale – preferiva essere «il primo degli operai di fabbrica piuttosto che l’ultimo tra questi boriosi dell’Accademia». E così si analizza il potere e la gloria, l’essere e l’apparire, i vacanzieri che subentrano ai monaci», storie di «eroi anonimi» e di «uomini infami» indicando comunque «un cammino verso la realtà» per sapersi «preparare all’imprevisto». Infine una eccellente particolarità: una ampia bibliografia per rendere «attendibili le argomentazioni». Leggere per credere. Per «immaginare altre vite». Imparando, con Gramsci, dai «prossimi e affini». 
 
 
 
8 - LA NUOVA SARDEGNA / Pagina 33 - Ed. Nazionale
Viaggio nel mondo delle scoperte
CAGLIARI Oggi all’Exmà la seconda giornata del Cagliari Festival Scienza 2013. Momento centrale della giornata sarà quello della conferenza che Guido Pegna dell’Università di Cagliari, terrà alle 16.30 nella Sala conferenze dell’Exmà. Nel corso dell’incontro “Come scrivono i narratori di formazione scientifica?” andrà alla ricerca di quegli elementi peculiari, modi, tecniche narrative, forme, stilemi, procedimenti espliciti e non, costrutti che ha scoperto nei narratori di preparazione scientifica. Oggi si comincia alle 9 con un dibattito rivolto agli studenti delle scuole medie superiori dal titolo “Le tecniche geofisiche al servizio del patrimonio culturale” in cui Silvana Fais, Paola Ligas e Francesco Cuccuru dell’Università di Cagliari, presentano tecniche non distruttive, in particolare di tipo acustico, impiegate nella diagnostica, conservazione e restauro dei beni culturali. Nell’aula didattica si svolgeranno due animazioni rivolte agli alunni della scuola primaria: “A bordo di una cometa” (ore 9) in cui i partecipanti partiranno per un avventuroso viaggio virtuale nel Sistema Solare alla scoperta di comete e asteroidi; mentre chi prenderà parte a “La valigia senza tempo di Galileo Galilei” (ore 10.30) rivivrà l’avvincente storia di Galileo Galilei per scoprire il metodo sperimentale. Sono 2 gli spettacoli: alle 10.30 “Leopardi, Copernico e una minutissima stella”, un adattamento da "Il Copernico" di G. Leopardi a cura di Gaetano Marino, per bambini dagli 11 anni in su; mentre alle 12.00 “Giusto in tempo” di e con Antonio Iavarone e Pietro Olla della Compagnia l’Asino nel Secchio, in cui un pensionato e un nativo digitale rispondono diversamente a due importanti quesiti: “come si misura il tempo”e quanto vale?”.La giornata termina con una tavola rotonda: “Don’t let our future dry up”: esperienze e proposte del nucleo ricerca desertificazione (inizio ore18), coordinata da Pier Paolo Roggero, direttore del Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione dell’Università di Sassari che ha come argomento di discussione la desertificazione e le strategie per gestire in modo sostenibile le risorse ambientali. Tante iniziative anche al Parco di Monte Claro con diversi laboratori per bambini su i temi della scienza. 

 



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