Martedì 30 ottobre 2012

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
30 ottobre 2012
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
  
    

 
L’UNIONE SARDA

1 - L’Unione Sarda / Provincia di Nuoro (Pagina 18 - Edizione NU)
Amministratori di Bitti, Bolotana, Desulo, Dorgali, Orgosolo contro il piano di ripopolamento La Barbagia chiude le frontiere «Coppie di immigrati? Facciamo tornare i nostri giovani»      
C’è chi, come il sindaco di Orgosolo, chiede con stupore: «Ma, scusi, stiamo parlando di fattrici?». Chi, come il primo cittadino di Dorgali, sentenzia: «Ritengo sia un’autentica fesseria». E chi, invece, dice che sì, la situazione delle zone interne - messe in ginocchio dallo spopolamento - è davvero grave e perciò occorre trovare subito un rimedio. Dopo l’intervento del professor Giuseppe Pulina, docente dell’Università di Sassari - che sul nostro giornale ha dichiarato: «Entro il 2050, nell’arco di dieci anni, è necessario accogliere 15 mila coppie fertili di immigrati che devono poter contare su un progetto di vita, a cominciare dalla cittadinanza italiana per i loro figli» - gli amministratori dei centri della provincia di Nuoro sono caduti dalla poltrona.
I NOSTRI GIOVANI «Per carità, io non sono contrario all’accoglienza di chi viene da fuori per costruirsi una nuova vita. Ma credo che prima dobbiamo fare in modo che rientrino i nostri giovani». Dionigi Deledda è il sindaco di Orgosolo , 4500 abitanti, meno 50 rispetto allo scorso anno. Questione di saldo naturale (nati-morti) negativo. «È vero che - conferma l’amministratore - questo rapporto è a nostro sfavore visto che non nascono moltissimi bambini. Ma, allora, perché non incentivare i nostri giovani emigrati a tornare in paese e a costruire qui la loro famiglia? Bisogna creare servizi, infrastrutture, occasioni di lavoro che spingano i ragazzi a fare questa scelta. Il professor Pulina dice che ci sono i soldi per far arrivare migliaia di immigrati qui da noi? E allora mi chiedo: se il progetto è valido e vale per gli altri, non può essere applicato invece ai nostri giovani?».
I FONDI EUROPEI I soldi, aveva spiegato nel suo intervento Giuseppe Pulina, sono quelli dei fondi europei e in particolare le risorse del programma Horizon 20.20 per le politiche di integrazione che potranno essere spesi dal 2014. «La Sardegna - ha sottolineato il docente dell’Università di Sassari - ha l’occasione storica di avviare per prima un progetto di questo tipo e gestire un flusso immigratorio che può rivitalizzare una società che sta morendo». Si è parlato anche di questi argomenti, ieri pomeriggio a Lodine, durante il convegno in tema di sviluppo delle zone interne organizzato dalle associazioni “Enrico Berlinguer” e “Nino Carrus”, da Confindustria e Università. «Io dico che prima dobbiamo pensare ai progetti che diano speranza ai nostri giovani». Angelo Carta, sindaco di Dorgali , 8650 abitanti, bolla come «una fesseria» l’idea del professor Pulina. «Il mio paese è aperto all’accoglienza: ci sono famiglie di rumeni, senegalesi e marocchini che si sono bene inserite. Ma - sottolinea - un conto è credere nell’integrazione, un altro è programmare l’arrivo di migliaia di immigrati. È un abdicare alla nostra cultura. Non so se tra 150 anni saremo destinati a essere musulmani; ma programmare di annullare l’identità sarda coi fondi europei... mi pare una cosa folle. Ora, il mio paese ha la fortuna di poter contare su diverse opzioni: l’artigianato, il turismo, la pastorizia, l’ambiente...». Già, però ci sono giovani disoccupati come ovunque. «Vero, per questo dico ai ragazzi: imparate un mestiere. A noi sindaci spetta avere una visione, una strategia per creare occasioni di sviluppo. Anche cercando alleanze coi paesi vicini». Appunto, basta vedere com’è finito il Progetto Supramonte che era stato pensato coi comuni dei dintorni. «È miseramente fallito per colpa della nostra idiozia - avverte Angelo Carta -. Per questo ora, con altri progetti, vado avanti per la mia strada, perché ad aspettare chi non si decide non si combina niente». La scuola, l’ospedale, i servizi. Il sindaco di Desulo Gigi Littarru crede che l’unico modo per rivitalizzare i paesi come il suo (2470 abitanti) sia legato alle politiche per la montagna.
LO SVANTAGGIO «È tutto inutile se chi risiede qui non viene messo in condizioni di vivere bene. Invece - puntualizza - viviamo in una situazione di svantaggio». Il primo cittadino di Bolotana (3 mila abitanti, 40 famiglie marocchine) Francesco Manconi sottolinea il presupposto di cui pochi, tra gli amministratori, tengono conto. «Lo spopolamento è un tumore maligno, una metastasi che la Regione e il Governo hanno sempre sottovalutato. È vero che se si continua così le zone interne moriranno; ma il problema è che manca il lavoro. Pensare di poter risolvere tutto accogliendo migliaia di famiglie di immigrati mi sembra azzardato. Occorre sedersi attorno a un tavolo e ragionare perché il rischio, in tempi di crisi, è innescare una forte conflittualità». Anche per il primo cittadino di Bitti Giuseppe Ciccolini l’analisi del professor Pulina è giusta ma «le risposte le vedo più legate a politiche di coesione sociale che di sviluppo; potrebbero, insomma, arginare lo spopolamento ma non la crisi economica». Negli ultimi 40 anni, il numero dei residenti del suo paese si è letteralmente dimezzato. «Oggi siamo 3 mila, con un centinaio di immigrati. L’integrazione è già una realtà».
Piera Serusi
 
 
2 - L’Unione Sarda / Cronaca di Alghero (Pagina 24 - Edizione OL)
ALGHERO Sociologia del cinema
Prosegue nella Sala Siotto il ciclo di proiezioni "Studiare sociologia del cinema", in collaborazione tra il Dipartimento di Architettura e la Società Umanitaria di Alghero. La rassegna intende presentare dilemmi e conflitti delle città contemporanee ed è indirizzata principalmente agli studenti, anche se è aperta anche ai tesserati della Mediateca dell’Umanitaria. Oggi alle 17.30 il programma prevede un film di Ridley Scott, Blade Runner. (c. fi.)
Commenti (Pagina 11 - Edizione CA)La voce degli schizzinosi Se l’assenza di lavoro diventa opportunità L’ultimo “consiglio” di Elsa Fornero ai giovani - non siate «schizzinosi» quando si tratta di lavoro (in inglese, come l’ha detta lei, choosy) - ha scatenato polemiche, dibattiti su Twitter, nuove imitazioni in televisione. È vero che Fornero (come il premier Mario Monti quando parlava di «monotonia» del posto fisso) usa un lessico duro, al limite dell’indelicatezza. Ma la sostanza del discorso non sembra essere “l’offesa” ai giovani, come pure si è detto da più parti, politici compresi. Il ministro mette il dito, magari in modo troppo tranchant, nel retropensiero che molti trentenni hanno avuto quantomeno una volta nella vita: ho studiato a lungo, ho avuto ottimi voti, merito il massimo, merito di meglio. È un atteggiamento mentale comprensibile, che però oggi può diventare una trappola, perché il mondo che è stato raccontato a chi adesso ha trenta o quarant’anni non esiste più. Non si può più, purtroppo, fare affidamento sull’idea (della generazione precedente) che se ti prepari bene automaticamente avrai, pur faticando, ciò che ti spetta, come collocazione e come guadagno, e di solito a vita.
Serve allora una (dolorosa) torsione psicologica per accettare senza scoraggiarsi la realtà, per combattere una mentalità che spesso cozza contro i tempi, per non cedere al vittimismo, pur giustificato dalla difficoltà reale di trovare un posto di lavoro. «Fare di più con meno risorse, questo è il ventunesimo secolo», ha detto il ministro degli Esteri inglese William Hague. «Altro che choosy », hanno scritto molti ragazzi sul web, «sono anni che, pur laureato, vado avanti con stage gratuiti o lavoretti da miseria». Vero, ma, invece di offendersi, si potrebbero prendere le parole di Elsa Fornero come un invito a pensare che se una condizione lavorativa più tribolata diventa il quadro in cui muoversi, non necessariamente deve diventare un dramma insanabile. Ferme restando le tutele di un welfare di base, può anche trasformarsi in fucina di idee, si spera in nuove opportunità.
Marianna Rizzini (Roma)
 
 
3 - L’Unione Sarda / Cronaca di Oristano (Pagina 16 - Edizione OR)
Giurisprudenza
Test per studenti universitari a Terralba

I test di verifica delle conoscenze di base, in programma domani 31 ottobre e rivolto agli studenti iscritti nella Laurea Magistrale in Giurisprudenza per l’anno accademico 2012 - 2013, si potranno sostenere presso i locali dell’università on line in Piazza Libertà a Terralba. Lo comunicano l’assessorato comunale alla Pubblica Istruzione e l’Unione dei comuni del Terralbese. L’appuntamento è fissato per le 8.30 ed è richiesto un documento di identità valido.
«È una grande opportunità per gli studenti dell’Unione dei comuni e non solo - afferma l’assessore alla Cultura e pubblica istruzione di Terralba, Stefano Siddi - soprattutto per quelli che non hanno la possibilità di spostarsi nella sede dell’Università di Sassari per motivi di tempo o per problemi economici. I nostri ragazzi avranno così la possibilità di rafforzare il loro bagaglio culturale, indispensabile per affrontare al meglio la crisi che tutta l’Italia sta attraversando». ( a.l. )
 
 
4 - L’Unione Sarda / Cultura (Pagina 43 - Edizione CA)
Scomparsa causata dal non uso dell’idioma sul web
Estinzione digitale: l’amaro destino di venti lingue europee
Venti lingue europee rischiano l’estinzione digitale. La previsione è del consorzio europeo Meta-net (Multilingual Europe Technology Alliance) costituito da 60 centri di ricerca di 24 Paesi. Lo studio ha valutato per ogni lingua le tecnologie dedicate alla traduzione automatica, all’interazione vocale, all’analisi del testo e alla disponibilità di risorse linguistiche. Ne abbiamo parlato con Claudia Soria, ricercatrice dell’Istituto di Linguistica computazionale del Cnr di Pisa, che ha curato la ricerca per la lingua italiana.
Cosa significa estinzione digitale?
«Significa il non uso di una lingua su Internet. L’esigenza primaria è svolgere le normali attività online nella propria lingua madre. La comunicazione digitale comincia a farsi difficoltosa quando la traduzione automatica diventa più imprecisa o quando i supporti alla digitazione sono meno efficienti o quando mancano le interfacce vocali in grado di riconoscere accenti e intonazioni diverse. La gamma dei contesti d’uso si restringerà, portando gradualmente alla scomparsa della lingua da Internet».
Cosa avete scoperto?
«La ricerca evidenzia che l’italiano si posiziona meglio rispetto a lingue molto poco diffuse o di recente sviluppo e presenza in Internet, o entrambe le cose. Questo, unitamente al fatto che il supporto alle tecnologie linguistiche sia considerato “buono”, non è poi così confortante, se si pensa che l’italiano è una delle lingue europee più parlate con 56 milioni di nativi residenti, ha una presenza su Internet stimata di 30,4 milioni di parlanti e circa 40 anni di attività di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie linguistiche».
Queste carenze non rischiano di colpire anche le persone con deficit cognitivi e comunicativi?
«Certamente. Le persone anziane, i disabili, gli ipo-vedenti potrebbero trarre enormi vantaggi, in termini di accessibilità, dallo sviluppo delle tecnologie linguistiche. Se questo sviluppo viene rallentato o frenato, queste categorie sono le prime a farne le spese. A seguire tocca ai parlanti monolingui, che sono privati dei contenuti disponibili in altre lingue e questo, lungi dall’essere un impulso alla globalizzazione, sarebbe un impoverimento del tessuto culturale europeo. Nonché del patrimonio di diversità linguistica».
Cosa rischiano le parlate minori?
«Le lingue regionali e minoritarie sono le più colpite dal rischio di estinzione digitale. Molte di esse sono a rischio di estinzione tout-court, come attestato dall’Atlante delle lingue in pericolo dell’Unesco, che individua sul territorio italiano ben 31 lingue a rischio, tra cui il sardo, il catalano algherese, il corso e il ligure tabarchino. L’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di diversità linguistica, ma questo aspetto della sua ricchezza culturale è scarsamente conosciuto e poco tutelato».
La tecnologia come può aiutare?
«Internet offre un enorme potenziale per le lingue: ha il potere di conferire riconoscimento e prestigio e aiuta a far capire, quando serve, che una lingua è viva. Servono investimenti dalle istituzioni e dalle associazioni culturali per aumentare il numero e la gamma di applicazioni digitali. Le tecnologie dedicate alle lingue maggioritarie fanno da traino alle applicazioni per le lingue minoritarie, come il sardo, il friulano, il ladino».
Andrea Mameli
 
 
4 - La Nuova Sardegna / Pagina 40 - Ed. Nazionale
Alla scoperta di malattie antiche
PORTO TORRES Identificare eventuali malattie infettive del passato e provare a scoprire l’origine delle genti che abitarono l’antica Turris Libisonis Colonia Iulia. È questo l’obbiettivo di David Kelvin e di sua moglie Nikki, due ricercatori canadesi che negli ultimi giorni hanno lavorato in due siti cittadini, l’area necropoli di Vicolo Brin e i "magazzini" della Soprintendenza. «Nikki, mia moglie, è un’esperta dei metodi archeologici d’estrazione del Dna antico. Sta lavorando con gli archeologi Luca Sanna e Rosella Colombi in Vicolo Brin, in una necropoli romana – rivela il professor Kelvin – Estrarremo Dna antico da ossa e denti e cercheremo di identificare i Dna di antiche malattie come batteri e virus. Con l’aiuto di Franco Satta, Luca Angius e Gabriella Gasparetti stiamo inoltre esaminando il Dna antico di ossa e denti conservati nel deposito della soprintendenza». Kelvin arrivò in Sardegna 5 anni fa con la moglie Nikki e «insieme al mio amico dell’Università di Sassari, il professor Salvatore Rubino, e ad altri colleghi, abbiamo fondato una rivista medica, il Journal of Infection in Developing Countries» dice il luminare. È stato il professor Rubino a introdurre David Kelvin «nel fantastico mondo dell’archeologia in Sardegna» continua il ricercatore, che con gli archeologi sardi Luca Sanna, Franco Campus e Maria Antonietta Demurtas ha lavorato sull’individuazione delle malattie infettive che uccisero le mummie di Castelsardo. «Un caso interessante è quello di Bisarcio, uno scavo diretto da Marco Milanese che studierà perché questa comunità si sviluppò per centinaia di anni e poi è scomparsa. Fu per un’epidemia? Speriamo di scoprirlo» dice Kelvin che spiega il metodo di lavoro sui campioni di Porto Torres: «Preleveremo un frammento di osso o dente e purificheremo il Dna antico. Questo sarà sequenziato e i dati analizzati da esperti nei nostri gruppi a Sassari e a Toronto, in Canada. Ci auguriamo che le analisi ci dicano se ci fu un’epidemia nell’antica città romana di Porto Torres e quali siano state le sue eventuali cause». Emanuele Fancellu
 
 

 
LA NUOVA SARDEGNA 
 
Pagina 23 - Nuoro
cervelli in fuga
L’ingegnere che vuol fermare il mare
Nuorese, 30 anni, è tra i progettisti del Mose, la maxi diga di Venezia.
E ai coetanei dice: «Credeteci sempre»
di Giovanni Bua
NUORO I Barbaricini, si sa, con il mare hanno un rapporto strano. Raramente lo amano, poco volentieri lo frequentano, spesso lo detestano proprio. Uno di loro ha deciso di imbrigliarlo. È Alessandro Soru, 30 anni, nuorese, che da tre lavora per la Mantovani, il colosso veneto dell’edilizia, leader nazionale dell’ingegneria idraulica. E soprattutto proprietaria del 60 per cento del consorzio Venezia Nuova che ha come non semplice mission quella di costruire il Mose. Il Mose. E proprio alla progettazione e alla costruzione della enorme diga mobile che dovrà proteggere la laguna di Venezia dalle acque dell’Adriatico lavora il giovane e brillante ingegnere nuorese. Che da un semplice curriculum inviato nel 2008 è arrivato in pochi anni a rivestire il ruolo di primo piano nella realizzazione delle “difese” nella bocca di porto di Lido-San Nicolò, la prima che verrà consegnata, il prossimo anno, nel progetto da 5 miliardi ideato nei primi anni ’80 e partito (tra non poche polemiche) nel 2004. Solo lavoro. Un lavoro complesso, frenetico. «Beh – racconta lui – diciamo che nell’ultimo anno non ci sono stati sabati e domeniche, riposi e vacanze. Solo lavoro. Succede spesso quando hai delle scadenze. Noi dovevamo completare il tunnel sottomarino che collegherà tutte le paratie entro dicembre. Abbiamo finito a settembre. E devo dire con enorme orgoglio che ho “affondato” gli enormi moduli di cemento armato che lo compongono, di cui io stesso, appena arrivato, avevo curato alcuni dettagli di progettazione. Ho completato un lavoro partendo dalla carta e arrivando a premere il pulsante che ha mandato giù i moduli. È stato inebriante, e mi ha ripagato di mesi infernali». I più grandi. Una corsa a perdifiato che non è un’eccezione in un cantiere delle dimensioni e dell’importanza di quello del celebre Modulo sperimentale elettromeccanico, formato da decine di paratoie mobili a scomparsa in grado di proteggere Venezia dall’alta marea. «Sono in vacanza a Nuoro per qualche giorno – racconta Alessandro Soru – ma entro stasera devo inviare un progetto finito. È normale. Immaginate la quantità di opere accessorie che ci sono in un cantiere che deve realizzare quella che, dopo il nuovo canale di Panama, è la più grossa opera di ingegneria idraulica del mondo». In fuga. Un lavoro trovato e creato con le proprie mani. E con il proprio cervello che, come troppo spesso accade, è nato e cresciuto a Nuoro («mi sono maturato allo scientifico Fermi») ma sotto l’Ortobene non ha nè modo nè voglia di tornare. «La Sardegna mi manca – spiega Soru – ma non saprei quale sbocco potrebbe offrirmi. D’altronde dei miei amici, del mio gruppo, sono l’unico che è rimasto in Italia a lavorare, sono già un’eccezione». Fuorisede. Un’eccezione costruita con una laurea in ingegneria a Pisa, guadagnata grazie agli ottimi risultati scolastici («sì, ero uno di quelli bravi») a una borsa di studio («che sono riuscito a tenere fino alla fine, nonostante già dal terzo anno abbia iniziato a lavorare») e con l’aiuto della famiglia («fondamentale, chiaramente. E certo dispiace che tutti i soldi che le nostre famiglie investono per farci studiare poi diano i loro frutti fuori dalla Sardegna»). Che a questo brillante trentenne hanno lasciato in dote un bel po’ di nostalgia («questa rimane la mia casa») ma anche molte amare constatazioni: «A Pisa mi sono scontrato con le difficoltà di uno studente fuori sede. Mi sembrava che i miei coetanei avessero una marcia in più. Poi mi sono reso conto che non era così, però diciamo che ho dovuto aprire la testa. Crescere, molto in fretta. E i contatti con alcuni veri maestri, che qui non avrei potuto incrociare, mi hanno fatto fare il salto di qualità». Basta un curriculum. A triennale ancora in corso Alessandro lavora già come ingegnere del traffico a Pisa. E, poco dopo, inizia a fare su e giù con l’Oman per uno studio di Livorno. «Smontavamo e ricostruivamo muri nel mezzo del deserto. Città del IV secolo avanti cristo divorate dai monsoni, che, insieme agli archeologi, mettevamo in sicurezza». Lì nasce l’amore per l’idraulica: «Ho saputo che stavano costruendo un enorme porto. Ho chiesto di visitarlo. Poi una sera, in un ristorante, ho conosciuto il direttore dell’autorità portuale omanita. Abbiamo parlato, mi ha chiesto un curriculum. Non penso che in Italia sarebbe potuto succedere». Ormai l’amore è sbocciato. Alessandro si specializza in Civile, poi in Idraulica marittima. Di curricula ne spedisce a decine, in tutta Italia. Risponde la Mantovani: «Quasi non sapevo chi fossero. E invece sono la più grossa impresa di costruzione del Nord Est, una delle prime dieci in Italia». L’impresa si fida del giovane, lo assume a tempo indeterminato. Al Mose. Choosy. E gli fa conoscere il Veneto: «Lì c’è una cultura, un’etica del lavoro. Che dovrebbe ispirarci. Gente che si spacca la schiena in cantiere, e poi magari torna a casa e si zappa l’orto. C’è la volontà di darsi da fare, da subito. In qualunque modo. Da noi invece sembra una bestemmia andare a lavorare la terra, o fare il pastore. Ho sentito la Fornero dire che non dobbiamo essere schizzinosi. Parole che fanno arrabbiare i tanti che un lavoro lo cercano disperatamente, ma che dovrebbero far riflettere chi invece un lavoro non lo cerca proprio. Crogiolandosi nell’attesa della spintarella che sistema tutto. Certo non è colpa solo di noi giovani anzi, siamo le vittime». Il risultato è che le persone che potrebbero cambiare le cose qui non trovano più posto. I cervelli migliori fuggono, sempre più lontano. «Ma i nostri cuori rimangono qui in Sardegna. E, se le cose cambieranno, saremo in tanti a tornare».
   
 

QUOTIDIANI NAZIONALI
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