Lunedì 27 agosto 2012

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
27 agosto 2012

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Tempo d'Estate (Pagina 31 - Edizione CA)
“Summer School”
Da oggi a Castelsardo si parla di filosofia
 
Summer School al via. Da oggi sino a giovedì 30, nei saloni del Palazzo comunale di Castelsardo, l'appuntamento è con la Summer School di Filosofia. Le lezioni inizieranno alle 10,30 per terminare alle 13,30. Oggi e domani interverrà Giuseppe Cantillo, della Federico II di Napoli, con due lezioni su logica, vita, diritto in Hegel. Della filosofia del giovane Lukacs parlerà invece Elio Matassi (Università di Roma 3) che interverrà mercoledì. Giovedì, in chiusura, Adriano Fabris dell'Università di Pisa proporrà una lezione sull'etica delle nuove tecnologie. La Summer School, organizzata dal Centro Ricerche Filosofiche di Sassari, dall'associazione Kenosis e dal gruppo della rivista on line inschibboleth.org in collaborazione con le università di Sassari e Roma 3, giunge alla quarta edizione. Il sapere accademico sconfina dagli spazi delle aule universitarie e invade luoghi che, per tradizionale vocazione, sono destinati alle vacanze.
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Provincia Medio Camp (Pagina 18 - Edizione CA)
Guspini
Tesi di laurea per arricchire la biblioteca
 
Per rispondere alla sete di cultura dei guspinesi il Comune chiede aiuto ai giovani e agli esperti di storia e tradizioni locali. Per questo ha promosso, senza spese per le tasche comunali, l'iniziativa "Scripta manent" che permetterà di raccogliere copie di libri, saggi, tesi di laurea e altre opere basate su studi di Guspini sotto il profilo storico, sociale, artistico, antropologico, naturalistico e tecnico-scientifico. Attraverso la donazione di una copia del proprio lavoro, studenti, ricercatori e scrittori contribuiranno ad arricchire il patrimonio librario della biblioteca comunale Sergio Atzei, messo a disposizione dei cittadini. «Credo che iniziative di questo tipo possano contribuire in modo significativo alla crescita culturale e al recupero dell'identità del nostro paese che ha ancora tesori sconosciuti da scoprire», commenta l'assessore alla Cultura Sandro Renato Garau. Per partecipare al progetto basta consegnare o spedire all'ufficio protocollo, entro il 30 novembre, il modulo disponibile anche in biblioteca. (s. p.)
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Provincia Sulcis (Pagina 19 - Edizione CA)
L'Europa punta sul Sulcis
Il museo del carbone tra gli itinerari di prestigio
CARBONIA. Il Cicc selezionato dall'European Route of Industrial Heritage
 
Il Centro italiano per la cultura del carbone della Grande miniera di Serbariu diventa uno dei siti più prestigiosi dell'European Route of Industrial Heritage (Erih).
LA RETE Si tratta di una rete di itinerari creata per unire in un unico filo i più prestigiosi luoghi del patrimonio industriale europeo. Al momento comprende 850 siti in rappresentanza di 32 nazioni. Da questi ne sono stati selezionati 77: sono gli Anchor Points , i siti chiave che compongono l'itinerario principale dell'Erih. Uno di questi, dal 12 agosto, è il Centro italiano per la cultura del carbone (Cicc).
NUOVO RICONOSCIMENTO Così, mentre stasera Carbonia sarà protagonista alla Biennale Architettura 2012 di Venezia (una vetrina mondiale) in virtù del Premio europeo del paesaggio vinto lo scorso anno con il progetto “Carbonia Landscape Machine”, c'è già da festeggiare un altro prestigioso riconoscimento. Un segnale preciso che dà ragione a quanti, da tempo, sono convinti che la via da seguire per la rinascita del Sulcis sia quella della cultura, della valorizzazione dei suoi siti e della promozione turistica.
Fino ad oggi soltanto un altro sito italiano, il Museo del tessuto di Prato, era stato inserito tra gli Anchor Points dell'Erih. Si tratta di luoghi individuati come punti forti della rete, in quanto capaci di raccontare un ampio aspetto della storia industriale europea e allo stesso tempo di attrarre importanti flussi turistici. All'interno di questa rete vengono individuati gli itinerari tematici europei ( European Theme Routes ) che hanno il fine di evidenziare le radici comuni e allo stesso tempo mostrare le diversità nella storia dei siti industriali d'Europa. Essendo un Anchor Point , il Cicc è stato inserito in due itinerari tematici: uno relativo all'Industria mineraria, l'altro ai paesaggi industriali. Si tratta di un percorso culturale che permetterà agli operatori del Cicc di prendere per mano chi vorrà scoprire questa parte dell'Isola per fargli poi conoscere anche tutti gli altri siti inseriti nel Parco Geominerario.
I FONDI L'ingresso nella rete dell'Erih dovrebbe anche consentire di supplire alla carenza di mezzi economici che troppo spesso rallenta la crescita e lo sviluppo. La rete è infatti alla costante ricerca di finanziamenti per l'organizzazione e la partecipazione ad eventi capaci di aiutare i visitatori nella scelta dei percorsi e delle destinazioni più importanti per la storia dell'industrializzazione del vecchio continente. Ecco perché nella Grande miniera in questi giorni l'entusiasmo è alle stelle: “Il Cicc si raffronta ora a pari titolo con i principali siti del patrimonio industriale europeo - si legge in una nota - con la possibilità di usufruire della collaborazione dei massimi esperti europei del settore. Aumenterà la visibilità internazionale, grazie anche al sito web dell'Erih, e la possibilità di condividere progetti e programmi europei».
Stefania Piredda
 

LA NUOVA SARDEGNA
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Ed_Cagliari
Pericolo arsenico: il riso sardo ci salverà
Sassari, studio dell’università contro i rischi da inquinamento
di Pier Giorgio Pinna
 
SASSARI Un gruppo di ricercatori sardi ha messo a punto un metodo per contenere l’inquinamento d’arsenico nel riso. Lo studio che si occupa della delicatissima questione, fonte di drammi umani e tragedie ambientali in molte parti del mondo, è già stato pubblicato sulla maggiore rivista specialistica di settore, “Enviromental Science & Tecnology”, della Società americana di chimica. La scoperta si basa su una semplice operazione: sostituire le tecniche per coltivare le piante, di solito lasciate immerse in aree spesso contaminate da veleni, con altri sistemi che permettono di bagnarle in continuazione inaffiandole. «In questo modo – assicurano gli studiosi – si ottiene la stessa quantità di prodotto e si riduce quasi a zero la possibilità di contaminazioni da parte di questo silenzioso e spietato killer che ogni anno nel mondo uccide milioni di persone». L’arsenico infatti è tossico per l’organismo di uomini e animali. Ma è diffusissimo: statistiche alla mano, rappresenta il ventesimo elemento più abbondante sulla crosta terrestre. Ed è all’origine di malattie, perlopiù mortali, soprattutto nei bambini, in vaste regioni dell’Asia. In particolare nel delta del Bengala, nell’India e nel Bangladesh. Problemi analoghi esistono in Mongolia, Cina, Vietnam, Argentina, Cile, Messico. E persino negli Usa. Ma anche in Europa (e sulla penisola italiana) le zone con falde d’acqua inquinate non mancano. Facile dunque immaginare le conseguenze positive che deriverebbero da un’applicazione su larga scala della scoperta fatta nell’isola. Dettagli. Gli autori della ricerca lavorano per l’università di Sassari. Qui, da decenni, uno staff di studiosi che spesso opera in campi sperimentali nell’Oristanese è in azione per valutare metodi di coltivazione alternativi. In queste settimane, l’esito degli straordinari risultati dell’ultimo lavoro su una vasta estensione di terreno vicino al Tirso ha portato una ventata d’ottimismo negli ambienti accademici sardi.«L’idea di fondo non è complicata – chiarisce Tonino Spanu, docente ad Agraria e coordinatore dell’indagine scientifica – Le tecniche tradizionali, per via della sommersione continua, comportano dispendio di risorse idriche, alle latitudini italiane da 13mila a 20mila metri cubi per ettaro, ed espongono a pericoli perché il riso ha un’eccezionale capacità di assorbire arsenico. Con il nostro metodo, che forse all’inizio potrà venire visto come eretico negli gli ambienti ortodossi della produzione, si possono raggiungere ottimi effetti. Il consumo d’acqua sarà dimezzato, la quantità di raccolto identica, i veleni quasi del tutto eliminati». Le prospettive. «Non solo: l’inaffiamento può essere praticato anche in terreni non piano, seguito con macchinari normali e non con trattori dalla ruote dentate di ferro o mietitrebbia cingolati, e consente un avvicendamento tra colture che valorizza le potenzialità dei terreni». Un altro vantaggio è la semplificazione nel controllo delle erbe infestanti, riducendo a uno solo il numero dei trattamenti. Seguendo il solco tracciato dagli studiosi sardi, nel caso dell’agricoltura biologica e del divieto di usare fitofarmaci, si otterrebbe un risultato più ecocompatibile, che passa attraverso la contrazione nei consumi di carburante grazie a macchine non più specifiche per risaie, il risparmio d’acqua, la riduzione dei diserbanti. Ma certo l’aspetto più clamoroso derivato dalla nuova ricerca è l’abbattimento delle tracce d’arsenico. Com’è stato possibile arrivarci? E i dati emersi hanno completa tenuta o sono necessari altri riscontri? «La nostra indagine non ha precedenti: siamo partiti dall’esigenza di valutare le eventuali differenze nel contenuto d’arsenico tra il riso coltivato in maniera tradizionale e il nostro riso e abbiamo studiato l’esito della sperimentazione su 37 varietà diverse in suoli del tutto simili – spiega il professor Tonino Spanu – L’unica diversità è stata appunto l’adozione delle due differenti metodiche. Alla fine, dopo il raccolto, abbiamo fatto analizzare tutti i campioni, per stabilire il contenuto d’arsenico, nello stabilimento della Polimeri Europa di Porto Torres. Bene, i risultati ottenuti non lasciano adito a dubbi: il riso innaffiato con la nostra tecnica contiene in media il 98% in meno di arsenico rispetto alla stessa varietà ottenuta con irrigazione per sommersioni continue». Raffronti. La concentrazione di veleno nei 37 campioni prodotti con il sistema alternativo risulta infatti pari a meno di 3 microgrammi per chilo, lontanissima perciò dalle micidiali concentrazioni registrate in Bangladesh (oltre 2mila per kg). Mentre quella misurata nei campioni prodotti in maniera storicamente standard è molto maggiore: 163 microgrammi per chilo. «Insomma, il pericolo di patologie legate all’arsenicosi non abita in Sardegna: soprattutto con i nostri criteri di coltivazione», dicono i ricercatori. Programmi. «Ma questo successo dev’essere supportato da nuovi studi – è la conclusione di Tonino Spanu – Ecco perché abbiamo già presentato un progetto alla Regione. E ci auguriamo che possa venire al più presto finanziato». Gli orizzonti che si aprono sono così suggestivi e di estremo interesse anche per la tutela della salute. Perché, come puntualizzano ancora gli autori dello studio, l’indagine ha confermato la tendenza delle diverse varietà di riso ad accumulare in maniera diversa tracce di sostanze nocive, con differenze del 400% tra gli estremi della scala di parametri presi in considerazione. I dati preliminari, in ultima analisi, sembrano così suggerire la possibilità d’investigare verso altri campi d’azione. Come quello delle tossicità derivanti da altri pericolosi veleni alla stregua del cadmio, del mercurio o del piombo. Un quadro di riferimento che potrà interessare la Sardegna. Dove dei temi ambientali sono spesso ignorati o sottovalutati.
 
LA NUOVA SARDEGNA
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Ed_Cagliari
Con le piante inaffiate anziché sommerse produzione garantita e grandi business
 
Innaffiare il riso anziché limitarsi a una coltivazione in immersione continua. Sembra l’uovo di Colombo. In realtà non è così. Ecco perché. Di solito, il primo dei due sistemi di produzione si rivela più dispendioso. E non garantisce poi la stessa quantità di raccolto assicurato dalle forme tradizionali ,che si basano molto sulla presenza costante d’acqua dei fiumi e degli stagni, in zone spesso semipaludose, quantomeno in certi periodi dell’anno. Che cosa ha reso quindi altrettanto vantaggiosa l’«aspersione», o innaffiamento delle piante? Appunto la metodica particolare, e per certi versi con caratteristiche del tutto inedite, messa a punto dallo staff di ricercatori sassaresi. Metodica accompagnata dai risultati di studi analitici che dimostrano due cose: come sia possibile arrivare a un quantitivo di raccolto pari a quello derivante dall’immersione e l’abbattimento delle tracce d’arsenico nel riso.«Un risultato che, se esteso alle aree dov’è maggiore la produzione promette grandi business», assicurano gli specialisti che hanno predisposto le nuove tecniche. Lo staff di di studiosi appartiene ai dipartimenti di Agraria, Chimica e Farmacia dell’università di Sassari, strutture che hanno raggiunto elevati livelli di premialità scientifica a livello nazionale. Già nell’isola, dove comunque nelle regioni di produzione non ci sono fenomeni d’inquinamento da arsenico, questi sistemi consentirebbero ottimi raccolti. In Sardegna gli ettari coltivati con questa pianta sono 3.500 (in tutt’Italia 240mila) e si producono in media 25mila tonnellate di riso all’anno (nelle restanti regioni un milione e 700mila). Sulla penisola, invece, ci sono parecchie zone compromese: 126 i comuni inquinati dall’arsenico, dal Lazio alla Toscana. E proprio a partire da queste aree la ricerca made in Sardinia potrebbe determinare un’importante svolta. (pgp)
 
LA NUOVA SARDEGNA
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Ed_Cagliari
Università, inizia l’emigrazione
Sono 1.427 i giovani che studieranno fuori dall’isola. L’allarme della Cna
 
CAGLIARI L’emigrazione universitaria è diventato il primo passo per la “fuga” dalla Sardegna che sta contraddistinguendo le nuove generazioni. Lo sostiene la Cna sarda che ha analizzato la questione partendo dai dati oggettivi: un giovane su cinque sceglie di compiere gli studi universitari fuori dalla Sardegna. «C’è un’intera generazione spinta ai margini del processo produttivo», spiega Francesco Porcu, segretario generale della Cna, «a cui viene impedito di contribuire alla crescita della società sarda». Perdere le migliori intelligenze è evidentemente uno dei modi per allontanarsi dalla crescita della società sarda. E sinora a ben poco è servito il tentativo del Master and back, effettuato quasi sempre solo in andata e mai con un ritorno nell’isola. Le immatricolazioni dei giovani sardi all’Universitaria dimostrano che nel corso degli ultimi anni è crescente il numero di coloro che hanno scelto di lasciare la Sardegna: 1.314 nel 2009, diventati 1409 nel 2010 e 1427 nel 2011 su un totale di studenti immatricolati pari a 6.707. L’associazione che raggruppa le imprese del settore artigiano lancia l’allarme: «Il fenomeno dell’emigrazione studentesca è preoccupante anche perché si inserisce in un contesto così problematico come quello economico regionale», spiega Bruno Marras, presidente della Cna, «ma è preoccupante perché rappresenta l’anticamera dell’emigrazione vera e propria. E deve far riflettere che, nonostante l’nsularità e la presenza di due importanti poli universitari, la Sardegna mostri un tasso di “emigrazione” piuttosto significativo con punte che in certe province, come la Gallura, raggiungono il quaranta per cento». Gli studenti immatricolati a Cagliari sono 2.065 con una quota di fuori sede pari al 15,7%; a Sassari gli isscritti sono 1.116 ma con una quota di fuori sede ancora più alta: 21,3 per cento. Dopo Olbia e Tempio che ha il record di fuori sede (40,8%) c’è l’Ogliastra (35,7%), seguita dal Nuorese (26,8%), il Medio Campidano (21,5%), Oristano (17,7) e il Sulcis Iglesiente (11,4). Idati del Centro studi della Cna non lasciano dubbi: nell’anno accademico 2010-2011 sono stati oltre 1.400 i giovani sardi che hanno deciso di lasciare la Sardegna per i propri studi, «nonostante la difficile situazione economica e l’elevato livelle delle spese per l’abitazione in città come Roma, Milano e Bologna che sono le principali destinazioni dei giovani studenti sardi». E’ una tendenza disastrosa: «Purtroppo non vediamo alcuna azione politica per cercare di correggere questa tendenza», sostengono Marras e Porcu, «questa legislatura pare destinata a concludersi mestamente, senza dare qualche speranza di riscatto economico e sociale»
 
LA NUOVA SARDEGNA
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Ed_Cagliari
Ex Turritania e studenti: intesa possibile con l’Ersu
L’amministrazione comunale inserisce l’immobile nella delibera approvata per il bando regionale per la riqualificazione urbana e recupero alloggi
 
SASSARI Il “piccolo ritocco” del 20 per cento sui pasti degli studenti universitari, che passano da 1,93 a 2,10 euro, ha provocato una “personale riflessione” da parte del consigliere comunale del Pd, Simone Campus. Il quale, da ex rappresentante degli studenti nel Cda dell’Ersu, allora presieduto da Antonello Mattone, sottolinea un aspetto della decisione dell’ente universitario: le risorse che abbiamo non ci bastano più, almeno per la gestione dei servizi. «Un problema annoso - dice Campus - tanto che “risparmiare sulla gestione” era il vero e proprio assillo della direttrice dell’epoca Maria Grazia Piras, molto oculata nell’amministrare. Ecco perché sono rimasto perplesso quando nei mesi scorsi ho saputo che il nuovo Cda voleva costruire un “campus universitario” da 500 posti su un’estensione da 4 a 10 ettari (vedi avviso pubblico sul sito dell’Ersu)». E Campus si chiese: “Chi paga?” Non nel senso di “chi realizza l’opera?”, per quello ci sarebbero i fondi Cipe, ma nel senso di “chi paga la gestione: luce, acqua, gas, manutenzioni, guardiania, pulizie, spese correnti etc.? «Da questo punto di vista - afferma Simone Campus - la residenza “Alessio Fontana” (Corte Santa Maria per i non addetti ai lavori) si è dimostrata fin dal primo istante un’idrovora succhia soldi. Su questo dovrebbe soffermarsi a ragionare il Cda dell’Ersu». Insomma, l’obiettivo deve invece essere quello di sempre, sottolinea Campus: «Fare Sassari città universitaria (veramente) è il primo punto del mio personalissimo programma di consigliere comunale per altro condiviso dal sindaco Ganau». Intanto, si riaffaccia la proposta di utilizzo dell’ex hotel Turritania, come residenza studentesca, immobile attualmente compreso nei beni in dismissione del Comune. La giunta comunale, infatti, ha deciso di partecipare al programma della Regione di interventi di riqualificazione urbana, recupero o nuova costruzione di alloggi da assegnare a canone sostenibile. È stato l’assessore alle Politiche abitative, Nicola Sanna, a illustrare il progetto in giunta. E in questo contesto rientra la delibera adottata ai primi di agosto, dove si ipotizza di procedere alla riqualificazione del tessuto urbano gravitante intorno all’ex hotel di porta Sant’Antonio, ipotizzando l’uso di parte dell’immobile a residenze studentesche, in accordo con l’Ersu. Sembra che l’Ente universitario sia intenzionato a cofinanziare l’operazione per una somma intorno ai 700mila euro, mentre l’amministrazione comunale concorrerebbe con un finanziamento di 1 milione e 450mila euro (per un totale, quindi, di poco più di due milioni). Insomma, il sindaco, come fa intendere la delibera di cui si diceva, sembra intenzionato a portare avanti il progetto di residenze per studenti universitari diffuse all’interno del centro urbano. (v.m.)

Questionario e social

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