Martedì 8 febbraio 2011

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
08 febbraio 2011

 

Rassegna quotidiani locali
A cura dell’Ufficio stampa e web

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Cagliari e Provincia - Pagina 15
Ritardi sulle nomine dell'Ersu, attività bloccata
Il rettore prepara una rosa di nomi per Cappellacci, cui spetta la scelta
Università. Protestano gli studenti di Unica 2.0: aspettiamo l'insediamento del nostro rappresentante
 
L'Università stringe i tempi per la designazione del nuovo presidente dell'Ente regionale per il diritto allo studio, da due mesi senza più una guida con pieni poteri. Il rettore Giovanni Melis ha chiesto un incontro al presidente della Regione Ugo Cappellacci per proporgli una rosa di nomi da cui viale Trento sceglierà il nuovo numero uno dell'Ersu, così come prevede l'articolo 21 della legge regionale 20 del 1995.
IL RETTORE «Attendiamo una convocazione da parte del presidente», afferma il magnifico, precisando di aver inviato la richiesta «una decina di giorni fa». Segno che in via Università hanno già le idee chiare su chi succederà a Daniela Noli.
TEMPI Sui tempi Melis è ottimista: «Nell'incontro faremo presenti le nostre proposte», dichiara il rettore, «e credo che la situazione di stallo attuale si possa risolvere in tempi brevi».
RITARDO Cappellacci, oltre la nomina del successore di Daniela Noli, che ha cessato di essere presidente il 9 dicembre, dovrebbe nominare anche il nuovo consiglio di amministrazione e quindi ratificare la nomina di Alice Marras, la rappresentante della lista degli studenti Unica 2.0 eletta nel cda dell'ente a novembre. Un ritardo che suscita le proteste di Unica 2.0. «Noi siamo ancora fuori e nel frattempo il vecchio cda ha approvato il bilancio che probabilmente taglia i fondi per i servizi agli studenti», lamenta Marco Meloni.
GELMINI Sul fronte interno dell'ateneo il rettore ha chiesto per giovedì i nomi dei due rappresentanti del personale tecnico e amministrativo che dovrebbero comporre l'organigramma della Commissione deputata alla riscrittura dello Statuto dell'Università, così come previsto dalla legge Gelmini. Per prendere questa decisione Cgil, Cisl, Uil, Cisal e Cisapuni hanno indetto due assemblee con i lavoratori: la prima si è svolta ieri nella facoltà di Ingegneria, mentre oggi si replica nell'Aula D della Cittadella universitaria per i dipendenti dell'ateneo di stanza nella sede monserratina.
UN FLOP La riunione di ieri è stata un flop per due ragioni. La prima: i partecipanti erano solo una cinquantina mentre i lavoratori nell'ateneo sono circa mille. Molti dei presenti, assolvono i loro colleghi “assenteisti”: «Hanno fatto bene a non venire, quello che avevano da dirci i sindacati potevano farlo con una mail». E qui si capisce la seconda ragione: i presenti accusano i sindacati di essere arrivati con una decisione “preconfezionata”. Opinione che si è rafforzata man mano che passavano i minuti. I sindacalisti presenti infatti si sono mostrati reticenti nel recepire le proposte dell'assemblea, che alle 14, dopo due ore di discussione, ha costretto i rappresentanti dei lavoratori a mettere ai voti la proposta maggioritaria: creare un comitato di dieci persone (due per ogni sigla sindacale) che al suo interno designi i due commissari da proporre a Melis. Proposta votata a maggioranza dai 30 che hanno resistito fino alle due. Ora la parola passa al personale di Monserrato.
MARIO GOTTARDI

LA NUOVA SARDEGNA
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Oristano
«Scure della Regione sull’istruzione, il futuro dell’isola»
Situazione grave nella provincia: una percentuale molto bassa di laureati e diplomati
 
 ORISTANO. La scuola deve essere pensata e progettata nel territorio, con l’obiettivo della crescita di qualità non dei tagli. È la posizione politica del Pd provinciale, che all’analisi della situazione scolastica ha dedicato alcune assemblee di lavoro e alcuni documenti riassunti ieri in una nota politica del Circolo della città capoluogo.
 Il Pd parte da alcuni dati. Tutte le ricerche, nazionali e internazionali, evidenziano una scuola sarda e oristanese in forte sofferenza. Nell’ultimo programma di valutazione delle competenze in lettura realizzata dall’Ocse i quindicenni sardi ottengono una media di 469 punti (486 è la media italiana, 493 la media OCSE). Nel 2009, in provincia i laureati erano il 4,3%, i diplomati il 19%, mentre oltre il 58% della popolazione possedeva solo la licenza media inferiore.
 «In questo stato di cose - osservano al Pd - interviene il governo regionale con le sue linee guida per il ridimensionamento della rete scolastica recentemente emanate. Ora, il meno che si possa dire di questo documento è che è contraddittorio, ipocrita e disonesto. Pone in primo piano una serie di obiettivi nobili legati alla qualità dell’istruzione, ma non è una scuola di qualità il suo vero obiettivo, bensì portare a compimento l’opera dei tagli alla scuola decisi dalla legge finanziaria del 2008».
 Il vero volto della Regione, dice il Pd, «è che nella politica dell’istruzione tutto è subordinato ai tagli». Un esempio tra i tanti citati dal Circolo: da una parte si pone l’eliminazione delle pluriclassi come uno degli obiettivi prioritari, poi però si afferma che gli accorpamenti vanno fatti “senza creare disagio o disfunzione nella scuola accogliente, o addirittura non segnare un vero e proprio risparmio economico” e dopo “un’analisi sull’effettivo risparmio che si otterrebbe in caso di soppressione” (insomma, se non si risparmia nel sopprimerle, le pluriclassi possono pure rimanere)».
 LO scenario si completa nel passaggio alle realtà locali: «In sintesi e dicendola chiara, agli amministratori locali si dice: “Questi sono i tagli da portare alla scuola del vostro territorio; organizzate voi dove e come farli”». La conseguenza? «Di fatto le amministrazioni locali si ritrovano nell’impossibilità di pianificare un efficace servizio di istruzione per il loro territorio, e per l’esiguità del tempo in cui dovrebbero farlo (poco più di un mese) e per la sottrazione di risorse finanziarie e umane».
 La strada da percorrere, dono al Pd, è ben altra. «Noi pensiamo che una scuola tagliata e con poche risorse sia una scuola selettiva, iniqua e inefficacie». Il taglio degli 8 miliardi non è accettabile: «Noi quei soldi e quegli insegnanti li rivogliamo indietro». Siamo convinti che il futuro di un territorio si giochi tra i banchi della sua scuola». E date le condizioni di sofferenza della scuola sarda, semmai le risorse vanno aggiunte, dice il Pd.
 La scuola dunque, «va pensata e progettata dal territorio sin dall’asilo infantile, funzionale allo sviluppo globale del singolo individuo e quindi del territorio tutto con tempi più lunghi e distesi, rinnovata dal punto di vista pedagogico e didattico, con più servizi agli studenti e alle loro famiglie, con maggiore attenzione a chi è portatore di un disagio, di una sofferenza, di un handicap, maggiormente integrata e coordinata con gli altri agenti educativi del territorio, che diminuisca o annulli del tutto il peso dell’ambiente socio-culturale familiare dell’alunno nelle sue prestazioni scolastiche e che sia costantemente monitorata e migliorata grazie a un sistema di valutazione locale».
 Un pianeta differente, insomma. «Una scuola come questa ha bisogno di un cambiamento radicale di considerazione, rispetto ai soldi che in essa si mettono: è necessario entrare nell’ordine di idee che le risorse destinate all’istruzione non sono una “spesa” ma un vero e proprio “investimento”». Una scuola «proiettata sulla crescita sociale, degli individui e che guardi al futuro».
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 33 - Cultura e Spettacoli
Lettera a Tremonti: «L’anoressia culturale ci farà perdere tutti»
Guardiamo al resto del mondo: in termini economici e di influenza politica con la cultura si mangia. Ci sono pochi soldi? Basterebbe cercare di non buttare via il poco che abbiamo
Pubblichiamo l’intervento di apertura del numero di gennaio-febbraio di Alfabeta 2. Il titolo è «Non si mangia con l’anoressia culturale», la firma è quella di Umberto Eco, che, insieme con Omar Calabrese, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti e Pier Aldo Rovati fa parte cel comitato storico della rivista.
di Umberto Eco
 
Gentile ministro Tremonti, scrivo a Lei perché qualcuno, probabilmente uno sciocco e un suo nemico, le ha attribuito la frase che la cultura non si mangia, o qualcosa di simile. Non mi risulta che Lei, a salvaguardia della Sua reputazione, abbia energicamente smentito, e quindi dovrà portarsi dietro questa leggenda metropolitana sinché vive. Si figuri che io mi trascino dietro la diceria che scrivevo le domande per Lascia o Raddoppia, e benché chi le scriveva davvero abbia a suo tempo pubblicamente smentito; ma tant’è, ritrovo questa notizia ora qui ora là, e pazienza, perché al postutto, non c’era nulla di vergognoso a inventare la domanda sul controfagotto o quella sull’uccello sul quale, a detta di Mike Bongiorno, era caduta la signora Longari. Ma cadere sulla cultura è disdicevole.
 E quindi indirizzo questa lettera a Lei e, se Ella è vergine di tanto oltraggio, la passi a chi di competenza e amici come prima.
 Una sola cosa voglio precisare. Fingendo che l’autore dell’infausta boutade sia stato Lei, parlerò non come si parla a un poeta ma come si parla a un economista, o addirittura a un diplomato in Scienze economiche e commerciali. Parlerò cioè in termini di Soldi, non di Valori spirituali. Farò finta che Dante e l’università, Raffaello e il liceo classico e scientifico, Morandi e Calvino, siano solo una pania per i gonzi (mi pare che lei a proposito degli insegnamenti umanistici abbia parlato un giorno di aria fritta). Non importa, mi chiederò solo quanto si mangia con Raffaello e Giuseppe Verdi. Dobbiamo ovviamente chiarire, se vogliamo parlare in termini economici di «consumi culturali», cosa si intende per «cultura»; e non mi occuperò dell’«accezione antropologica» del termine (cultura come insieme di valori e comportamenti) per cui esiste una cultura del cannibalismo, una cultura mafiosa, o una cultura del velinismo berlusconiano. Parlerò di cultura nei termini più banali, come di produzione creativa (pittura e letteratura, musi- ca e architettura), di consumo di questa produzione, di organizzazione dell’educazione (scuole di ogni grado) e di ricerca scientifica.
 In termini economici il Louvre, il Metropolitan Museum of Art, la Harvard University (e tra poco quella di Pechino) sono imprese che fanno un sacco di soldi. Credo che, bene amministrati come sono, facciano un sacco di soldi anche i Musei vaticani. Un sacco di soldi potrebbero fare anche gli Uffizi o Pompei, e sempre mi domando come mai l’Italia, di cui si dice che abbia circa il 50% delle opere d’arte esistenti al mondo (per non dire del paesaggio, che non è male), abbia meno indotto turistico della Francia o della Spagna, e naturalmente di New York. C’è qualcosa che non funziona, qualcuno che non sa come far soldi (e mangiare) con la cultura nazionale.
 New York non è la città dove si fa la politica degli Stati Uniti (quella è Washington), non è la città o lo Stato dove risiedono le maggiori industrie della nazione (è niente rispetto al Texas o alla stessa California); eppure quando si parla degli Stati Uniti (e quando i turisti acquistano pacchetti per voli charter e sette giorni allo Hilton) si pensa a New York. Perché il prestigio di New York è dato dai suoi scrittori, dai suoi musei, dalla sua moda e dalla sua pubblicità, dai suoi quotidiani e riviste, dalla gente che va al Carnegie Hall o ai teatri off Broadway, per cui farà sempre più opinione nel mondo il «New York Times» che l’ottimo e rispettabilissimo «Los Angeles Times». Si badi che così non la pensa la maggioranza degli americani, che ritengono New York una Babilonia fatta di italiani, ebrei e irlandesi, ma così pensa il resto del mondo e il prestigio degli Usa si basa sulla cultura newyorkese.
 L’esercito degli Stati Uniti (sempre vincitore nei film di Hollywood) non sbaraglia il nemico in Vietnam, in Afghanistan, in Irak, ma gli Usa vincono (in prestigio) a New York. Sì, lo so, poi c’è il resto dell’economia che tiene nei vari Stati, ma suppongo che anche quando l’economia cinese avrà sconfitto quella americana i cinesi si rivolgeranno ancora al mito di New York. Con la cultura gli Usa mangiano.
 Pensi a cosa è successo con Cesare Battisti. Un manipolo di intellettuali francesi (non tutti dei più grandi) ha deciso di difendere Battisti come una vittima della dittatura, manifestando completa ignoranza delle cose italiane e considerando, come accade talora ai peggiori dei nostri cugini d’Oltralpe, il resto del mondo come repubbliche delle banane. Bene, questo esiguo manipolo d’intellettuali ha convinto il governo brasiliano là dove il governo italiano non c’è riuscito. Sarebbe accaduto lo stesso se al governo ci fossero stati, che so, Andreotti o Craxi? Non so, sta di fatto che il mito dell’intelligencija francese ha vinto su quello della cultura delle veline (e mi spiace, per una volta tanto ero solidale col governo in carica perché rappresenta pur sempre il nostro paese e deve difendere, almeno all’estero, la dignità di quella magistratura che sputtana in patria).
 Insomma, anche in termini monetari e di influenza politica (non calcolo neppure il peso di dieci premi Nobel), con la cultura si mangia. So benissimo che non abbiamo soldi per sostenere università come Harvard, musei come il MoMA o il Louvre, però basterebbe cercare, e ferocemente, di non buttare via il poco che abbiamo. Certo che, se in quel poco non ci crediamo, abbiamo perso in partenza. Non si mangia con l’anoressia culturale.
 
 

Questionario e social

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