Lunedì 16 marzo 2009

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
16 marzo 2009
Rassegna quotidiani locali
a cura dell’ufficio stampa

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 14
«Non dite che queste non sono vite»
Cosa succede nella coscienza di chi è in stato vegetativo
Il caso di Cristina Pinna ripropone la questione dei pazienti in stato vegetativo
Cristina, Eluana e le altre: intervista a Salvatore Pisu, medico e docente di Bioetica
 
Come Eluana: né più né meno. In stato vegetativo l’una, in stato vegetativo l’altra. Il caso di Cristina Pinna, la cagliaritana di 42 anni che vive in stato vegetativo da 18 anni e, accudita dai genitori, ha gradualmente recuperato alcune delle capacità perse dopo l’emorragia cerebrale che l’ha colpita quando aveva 25 anni, è direttamente confrontabile a quello di Eluana Englaro, morta il mese scorso a Udine dopo la sospensione delle cure e dell’alimentazione forzata.
Ne abbiamo parlato con Salvatore Pisu, medico dell’emergenza in servizio alla centrale operativa del 118 e docente di Bioetica all’università di Cagliari: «Spesso si fa confusione sui termini. Lo stato vegetativo è diverso dal coma. Se in entrambe le condizioni sembrerebbe che il paziente non abbia contenuti di coscienza (coscienza di sé e dell’ambiente circostante), nel coma non è risvegliabile mentre nello stato vegetativo ha cicli di sonno e veglia: in certe ore si muove, emette suoni, sposta la testa, muove gli occhi, sembra sorridere o piangere».
Come Cristina. Ma anche come Eluana?
«Eluana non poteva muovere il corpo perché, oltre alla lesione cerebrale, ne aveva anche una al midollo spinale che la paralizzava dal collo in giù, ma muoveva occhi e testa ».
Cos’è lo stato vegetativo irreversibile?
«Nel 1994 una task force di scienziati ha fatto lo stato dell’arte sulla materia. Si stabilì allora che lo stato vegetativo permanente viene definito irreversibile dopo il dodicesimo mese».
Cristina è in questo stato da 18 anni. Eppure ha avuto miglioramenti.
«E tanti come lei. La realtà è che lo studio del ’94 è stato rimesso in discussione da altri più recenti. Ciò che sconcerta, nella sentenza della Cassazione di due anni fa sul caso Englaro, è che ci si sia riferiti ad acquisizioni che risalivano a tredici anni prima. Con i nuovi studi, sono stati rimessi in discussione vigorosamente sia la presunzione di mancanza di contenuti di coscienza sia l’irreversibilità. Per il primo punto, sono stati fatti studi (come quelli di Owen e Coleman pubblicati su “Science” e sugli Annali dell’Accademia delle scienze di New York) con le neuroimmagini funzionali (attraverso la Pet) che evidenziano contenuti di coscienza nei pazienti in stato vegetativo: invitati a immaginare di giocare a tennis o di visitare la propria casa, ma anche quando gli sono state sottoposte affermazioni di volta in volta vere o false sulla loro vita, il loro cervello ha reagito esattamente come quello di soggetti sani».
E l’irreversibilità?
«Si ha sempre più spesso notizia di pazienti che dopo il primo anno di stato vegetativo danno segni notevoli di miglioramento. Per esempio, Gian Battista Guizzetti, primario del reparto per malati in stato vegetativo del Don Orione di Bergamo, segnala dodici pazienti che hanno avuto miglioramenti netti: alcuni di loro sono addirittura rientrati a casa».
Anche Cristina Pinna è rientrata a casa e sembra le abbia fatto bene.
«Il caso è emblematico: contro il parere dei medici (che qualche volta farebbero bene ad astenersi) e degli amici, i genitori di Cristina hanno fatto prevalere l’amore. Che vuol dire accudire la paziente, non farle venire le piaghe da decubito, insegnarle deglutizione e respirazione, parlarle come si fa con qualsiasi persona, lavarla. Questi genitori, che non sono degli eroi, hanno fatto ciò che avrebbero voluto fare i genitori di Terri Schiavo e che hanno fatto le suore misericordine che accudivano Eluana».
Cristina, come Eluana, disse che non avrebbe accettato di vivere in queste condizioni.
«La libertà è un valore fondamentale, e giustamente l’articolo 32 della Costituzione riconosce il diritto a non essere sottoposti a terapie (anche le più appropriate) contro la propria volontà. Ma qui abbiamo dei pazienti che, attualmente, non possono confermare o smentire una volontà manifestata in altri tempi e altre circostanze: allora occorre un pregiudizio positivo nei confronti della vita».
C’è chi dice che lo stato vegetativo non è vita.
«Chi lo dice non sa quel che dice. Altra cosa è dire che non è una vita degna di essere vissuta: questo può deciderlo solo il paziente. Senza che da ciò derivi il diritto di chiedere di essere aiutati a morire da un medico. Detto questo, il medico ha il dovere di non accanirsi nella terapia».
E il confine dove sta?
«Un criterio definito non c’è: l’arte della medicina implica, istante per istante, la responsabilità delle decisioni del medico».
MARCO NOCE
 

Questionario e social

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