Lunedì 23 febbraio 2009

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
23 febbraio 2009
Rassegna quotidiani locali
a cura dell’ufficio stampa

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna
Angel annusa l’alcol in auto e non fa partire gli ubriachi 
Il sistema brevettato da Gianfranco Azzena è dotato di un minuscolo sensore che potrebbe evitare molte stragi del sabato sera sulle strade 
 
CAGLIARI. Si chiama Angel lo strumento in grado di bloccare in partenza un’auto guidata da un ubriaco, quasi fosse un personaggio celestiale addetto a impedire le stragi del sabato sera. L’ha inventato - e regolarmente brevettato - Gianfranco Azzena, un medico sassarese che dirige la clinica chirurgica universitaria di Ferrara, con la collaborazione tecnica di un ingegnere di Padova, Antonio La Gatta. Casualmente ma non troppo, l’appellativo arcano del marchingegno antisbronza calza alla perfezione anche come sigla del nome completo dello strumento salvavita: Analyser Gas Expiratory Level (analizzatore del livello di gas nell’auto).
 Dire che gli ubriachi al volante hanno finito di vivere forse non dà l’idea precisa della rivoluzione che si annuncia. Il chirurgo sassarese adottato dalla città di Ferrara ha brevettato un marchingegno di dimensioni minuscole che può essere sistemato direttamente in fabbrica, ossia prima che la vettura sia messa sul mercato, oppure piazzato successivamente nell’abitacolo. Il micronaso elettronico è in grado di distinguere in modo inequivocabile fra le persone a bordo: se chi ha bevuto si mette al volante la macchina non parte. Le prove sono state lunghe, minuziose, ai massimi livelli di collaudo e anche in condizioni di stress estremo. Ma alcuni particolari sono comprensibilmente segretati.
 “Tutto inizia poco meno di due anni fa in occasione di un congresso sulle nuove attrezzature sanitarie a Milano”, racconta il professor Azzena. “Io vi partecipavo come moderatore di una tavola rotonda sull’argomento: fra gli altri c’erano il rettore dell’Università di Ferrara e un ingegnere elettronico di Padova, titolare di un’azienda biomedicale: Antonio La Gatta. Quest’ultimo mi offre un passaggio sulla sua Mercedes 400 ricca di sensori di ogni tipo”.
 Durante il viaggio a un certo punto l’ingegnere spiega al chirurgo le funzioni di ciascun sensore, un discorso interessante dal punto di vista delle innovazioni tecnologiche. “Una per tutte: la nostra macchina segnalava costantemente al mio compagno di viaggio perfino la distanza di sicurezza dal veicolo che di volta volta ci precedeva, rapportata alla velocità di marcia”, dice ancora il professor Azzena. Una volta a casa, il clinico sassarese riflette sui traumatizzati da incidente stradale che purtroppo arrivano con frequenza quasi quotidiana nella sua clinica. “Sono i più fortunati, tra l’altro, visto il numero di quelli che muoiono all’istante sulle strade. Ho iniziato a pensare a fondo a uno strumento che potesse riferirsi all’alcol. Avevo due strade: mettermi in contatto con l’ingegnere che mi aveva offerto il passaggio - ma non lo conoscevo ancora bene - o con un’istituzione deputata alla sicurezza stradale. Nel 2007 il ministro dei trasporti era Bianchi, rappresentante dei comunisti italiani e rettore dell’Università di Catanzaro. Ma non conoscevo neppure lui”.
 A questo punto entra in scena Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci, che invece Azzena conosceva. “Ne parlo subito con il ministro”, dice Diliberto al chirurgo. Dopo qualche giorno Azzena e Diliberto incontrano Bianchi a Roma. Risultato? Risponde il professore: “La firma di una convenzione fra il ministero e la clinica chirurgica di Ferrara che dirigo: per la ricerca, però: non per il brevetto, che è altra cosa”. Successivamente Gianfranco Azzena richiama La Gatta a Padova.
 Ancora il chirurgo: “L’ingegnere è venuto a casa mia, gli ho illustrato l’idea e lui è rimasto colpito. Dopo averci pensato un poco mi ha detto: credo si possa realizzare. Andandosene mi ha annunciato: fra breve le farò una sorpresa. Puntualissimo, è ritornato con un prototipo e mi ha puntualizzato: abbiamo fatto i test, funziona. Poi lo strumento è stato perfezionato e oggi siamo pronti a metterlo a disposizione di chiunque ne abbia bisogno”.
 Mettiamo che un ubriaco entri in macchina e si sieda al posto di guida. Che succede, con Angel? “Il sensore fa prima una ricostruzione dell’abitacolo”, spiega il professor Azzena. “Una valutazione molecolare delle fonti di emissione di alcol, con tre sensori che tramite una triangolazione localizzano esattamente chi ha bevuto. Se invece al volante si mette uno sobrio, anche se alla sua destra e sul sedile posteriore ci sono tre ubriachi, la macchina parte ugualmente”. In parole povere: l’apparecchio non si fa ingannare. Ma come sono state fatte le prove per arrivare a questi livelli? Ancora il professore sassarese: “Con l’abitacolo riscaldato dall’aria condizionata, con l’impianto di riscaldamento disattivato, con i finestrini chiusi, aperti e semiaperti. Alla fine sono state messe in macchina delle bacinelle con alcol puro, per saturare completamente l’abitacolo. Nonostante questo, quando è entrato in auto un ubriaco il sensore l’ha riconosciuto subito. Non solo, Angel ha individuato anche chi non aveva bevuto”. Le prospettive appaiono lusinghiere anche sotto l’aspetto assicurativo, nel senso che molte società di assicurazione sono estremamente interessate alla novità di Angel, con la proposta di polizze fortemente scontate. Ma non basta. “Nel decreto sulla sicurezza passato di recente al Senato”, dice ancora Gianfranco Azzena, “c’è un ordine del giorno in cui alcuni senatori chiedono al governo di impegnarsi perché all’interno delle auto sia messo uno strumento in grado di fare quello che la nostra strumentazione garantisce. L’ordine del giorno è stato accolto dal governo. Un ordine del giorno non è vincolante ma rappresenta comunque un notevole passo in avanti”. Non manca l’interesse di alcune case automobilistiche, anche se - puntualizza il chirurgo sassarese - “non possiamo entrare in tutti i particolari”. Disarmante il minimalismo di Gianfranco Azzena: sulla sua invenzione il professore fa risolve brillantemente tutto con una frase di Alberto Einstein: “C’è gente che crede nell’esistenza di cose impossibili da realizzare, poi arriva uno sprovveduto che non lo sa e inventa la soluzione”.
 
Pagina 7 - Sardegna
Dai banchi dell’Azuni alla clinica chirurgica di Ferrara 
La carriera di un figlio d’arte formato all’Università di Sassari 
 
CAGLIARI. Nato a Sassari il 15 ottobre del 1937, Gianfranco Azzena è un figlio d’arte in piena regola. Suo padre Josto è stato a lungo amatissimo primario di chirurgia nell’ospedale di Tempio. In pratica l’ha fondato: al suo arrivo, l’attuale nosocomio gallurese era poco più di un’infermeria. Il direttore della clinica universitaria di Ferrara ha studiato a Sassari, classico Azuni e Univerità.
 “Già in terza liceo avevo deciso di fare il chirurgo”, ricorda. “Adesso a distanza di anni mi rendo conto di quanto fossero bravi i chirurghi del tempo di mio padre”. Suo vicino di banco al liceo era Franco Sotgiu, rampollo di una famiglia di industriali. “Suo padre gli aveva regalato una Fiat 124 spider rossa, il nostro sogno era grande: andare a studiare a Bologna. Mio padre invece mi disse: no, tu stai a Sassari, ti laurei qui e poi fai quello che vuoi. Quando mi sono iscritto, nel 1956, eravamo in undici, poi siamo rimasti in sei. Al terzo anno eravamo praticamente degli assistenti, le cliniche avevano poco personale. Mi sono laureato nel 1962 e subito dopo ho seguito il mio professore di patologia chirurgica, Ruffo, che si era trasferito a Ferrara. Andato via lui, sono stato allievo del suo aiuto, il professor Russotto. Ferrara era ed è ancora un’isola felice: non c’è chirurgia generale ospedaliera, solo reparti universitari perché gli amministratori avevano deciso che non c’era bisogno di fare la moltiplicazione del pane e dei pesci. La gente era abituata ad andare in ospedale, non esistevano case di cura private, a differenza di Bologna”. Gianfranco Azzena ha tre specializzazioni: chirurgia generale, toracica e vascolare. Orgoglioso della sua équipe “consolidata e preparata”, sintetizza così il suo pensiero: il potere fine a sé stesso non serve a niente, io non ho il piglio del factotum, i miei allievi sono bravissimi”. Lo affascinano i progressi della chirurgia. “Nel manifesto di uno dei nostri ultimi congressi abbiamo messo per una metà la faccia di Einstein, nell’altra una collega con la maschera da chirurgo. Il settanta per cento degli iscritti alla scuola di specializzazione in chirurgia generale è composto da donne. Fino a poco tempo fa, in Italia la situazione era questa: i professori ordinari di chirurgia eravamo duecento, le donne soltanto quattro. Si tratta di un cambiamento epocale. Sul versante ospedaliero le donne cominciano a essere molte di più, tra poco la situazione cambierà nettamente”.
In questo piacere dello spirito gioca un ruolo importante la figura materna. “Mia madre abitava in via Mazzini, la casa confinava con un giardino che dava sull’abitazione dei Berlinguer”, rievoca. “Enrico aveva un gatto di nome Popof. Mamma si era laureata in Lettere a Pisa. Tornata a Sassari, all’Azuni ha avuto come alunno anche Francesco Cossiga. Quand’era presidente della Repubblica, una volta Cossiga venne a Ferrara. Pochi giorni prima io avevo operato la moglie del prefetto, che mi telefonò e mi chiese il favore di dimetterla perché doveva arrivare il presidente. Gli risposi: cercherò di fare quello che posso, mi saluti Cossiga. Il giorno dopo il prefetto mi richiamò: il presidente avrebbe piacere di salutarla. Era riconoscente a mia madre e venne ad abbracciarmi”. Un altro punto di innovazione caro al professor Azzena è il sempre maggiore spazio concesso alla chirurgia mini invasiva. “Oggi sono gli stessi pazienti a richiederla, diciamo la verità”, rileva.
 “Abbiamo puntato moltissimo sugli interventi mini invasivi al colon, tumori o non tumori. Se ripenso ai tempi di mio padre mi rendo conto della rivoluzione. Oggi entriamo anche nel fegato e nel polmone. Un tempo introdurre aghi nel polmone era un dramma. E le degenze duravano mesi. Adesso da noi un paziente operato di tumore al polmone torna a casa dopo cinque-sei giorni”
 
 

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