UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 17 dicembre 2008

Mercoledì 17 dicembre 2008

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
17 dicembre 2008
Rassegna quotidiani locali
A cura dell’Ufficio Stampa

 
L'UNIONE SARDA
 
LA NUOVA SARDEGNA
 

1 – L’Unione Sarda
Pagina 41 - Speciale
Università sarda, sempre più ampia l'offerta formativa ma le sedi decentrate non riescono a sopravvivere
Nuovi corsi e dottori in fantasia
Lauree di ogni tipo. Costi: 6 milioni di euro  
Un'esplosione di corsi universitari: i comuni fanno a gara per avere una sede. Così anche nell'Isola
 
C'è lo scienziato del fitness e quello dei materiali, l'etologo degli animali d'affezione, il laureato in Scienze del fiore e del verde. L'Università italiana ne sforna ormai di tutti i colori, dottori con i nomi più fantasiosi, quasi quasi da non crederci. Invece è così. L'offerta formativa è oggi talmente ampia da non lasciarsi sfuggire la benché minima opportunità: i corsi di laurea universitari si sono moltiplicati in tutta Italia, toccando quota 5.734, di pari passo all'aumento delle sedi distaccate attivate oggi in 246 Comuni. La Sardegna non fa eccezione: a disposizione degli studenti c'è un ampio ventaglio di opzioni e di percorsi alternativi alle tradizionali discipline universitarie.
Così, sfogliando tra le proposte dei due atenei di Cagliari e Sassari, si scopre una caterva di corsi di laurea triennali portati a battesimo nelle sedi decentrate quasi tutti intorno al Duemila, con la riforma dell'università in due cicli (3+2): Scienza dei materiali a Iglesias (24 matricole), Economia e gestione dei servizi turistici (41 matricole) e Biotecnologie industriali (20) a Oristano; Scienze forestali e ambientali a Nuoro, Economia e impresa del turismo a Olbia. Fino all'anno scorso nell'elenco delle sedi distaccate comparivano anche Alghero (assorbita dall'Università di Sassari, con il corso di Scienze dell'architettura) e Tempio con Tecniche erboristiche, il cui corso è stato chiuso per via del troppo esiguo numero degli studenti. Per mancanza di immatricolazioni sono stati chiusi tanti altri corsi come Scienze del Servizio sociale a Nuoro (dove ci sono ancora 75 studenti che stanno ultimando il triennio) o Ingegneria ambientale a Iglesias (ancora 40 laureandi), già trasferita a Cagliari. Queste sono (ed erano) le sedi “gemmate”, cioè sedi in ci sono docenti e strutture fisicamente operanti sul posto e il corso ha un'unica sede autonoma ed esterna alle università madre (a differenza dei corsi a distanza, tenuti in video conferenza). Qui gli studenti seguono i primi tre anni del corso, mentre a Cagliari o Sassari proseguono - quasi sempre è così - il biennio per la laurea specialistica (ora in via di trasformazione nelle cosiddette lauree magistrali).
Ma quanto costa mantenere in vita questa miriade di corsi universitari? All'Università manco un euro, ma tanto alla Regione: proprio ieri la Giunta ha dato via libera al fondo di 6 milioni di euro in favore delle sedi decentrate, «in modo da assicurare - si legge nella delibera - la prosecuzione e il completamento dei corsi già avviati». Il loro destino, infatti, è già segnato dalle rigide maglie del decreto Mussi, con cui il Governo vuole mettere ordine nel caos degli atenei italiani per avvicinare di più l'Università agli standard europei: i fondi regionali serviranno dunque ad aiutare gli studenti a completare il corso triennale già avviato, che comunque ha le ore contate.
Il vero problema dei corsi decentrati è sempre stata la sopravvivenza. Ci si interroga sulla loro utilità, spesso in polemica con gli enti locali che li hanno fortemente voluti anche per offrire un'opportunità di lavoro a tanti giovani che mai avrebbero frequentato un ateneo fuori dal loro paese. Spesso è la carenza di soldi a decretarne il fallimento, anche sei i risultati a volte sono dignitosi, come succede - caso esemplare - nella sede di Iglesias a Monteponi (che dal 2000 ha sfornato 120 laureati), dove il corso di laurea va avanti tra mille difficoltà e dal prossimo anno sarà trasferito alla cittadella universitaria di Monserrato: per mantenere la sede di Iglesias la Regione dava ogni anno per tutti i corsi 470 mila euro all'anno.
«Scienza dei materiali è una laurea, equivalente al titolo dei chimici, che si spende bene nel mercato del lavoro - spiega Anna Musinu, presidente del corso di laurea - l'80% dei nostri laureati lavora anche fuori dall'Isola e i nostri 60 studenti studiano volentieri in quest'area mineraria particolarmente adatta allo svolgimento dei loro studi e ben attrezzata con una foresteria, una mensa e camere per i fuorisede. Purtroppo gli sforzi da noi sostenuti non sono stati compresi, nonostante i docenti di tutti i corsi abbiano lavorato moltissimo ottenendo anche la certificazione di qualità, pur senza percepire alcun incentivo». Ma tant'è: il 28 novembre il Consiglio di classe ha votato la delibera per la chiusura dell'unico corso che ancora sopravvive a Villa Bellavista, «dopo aver preso atto del chiaro intendimento della Regione di non impegnarsi più per le sedi decentrate». Un altro fallimento, dunque, dopo il flop dei corsi a distanza di Sorgono, Ilbono e Sanluri? «La colpa è dell'improvvisazione della Regione - ricorda la Musinu - un conto è fare un master o una scuola estiva, altro è un corso: sono arrabbiata perché non si è mai fatto un inventario, una seria valutazione sulla resa di ciascun corso: così i soldi si buttano via senza tener conto dei criteri di qualità».
La proliferazione dei corsi non per tutti è un'esperienza valida. «Secondo me - spiega da Sassari il preside di Scienze politiche Virgilio Mura - c'è una bella differenza tra una targa universitaria e l'Università vera e propria: le sedi di Nuoro, Oristano, Iglesias gli inglesi le chiamano teaching university , un diminutivo per dire che lì si insegna ma non si fa ricerca. Resta l'illusione di chi le propone e di chi le subisce: pensano di riscattarsi ma sono solo medagliette che gli enti locali si appendono al petto per dire votateci. E sono costate milioni e milioni di euro, soldi sottratti al sistema universitario».
CARLA RAGGIO
 
Il caso. Le sedi di Sorgono, Ilbono e Sanluri in video conferenza sono rimaste attive sino al 2005
Teledidattica, un esperimento chiuso
   
La polemica è scoppiata in Sardegna tra l'Università e la stampa. Oggetto del contendere un articolo uscito nei giorni scorsi sul Corriere: “L'Italia degli atenei inutili”. In quell'Italia, appunto, ci finisce anche la Sardegna, con i comuni di Sorgono e Sanluri infilati nel calderone della mala-università . Il tutto con la “supervisione” del ministero visto che i dati, a corredo dell'articolo, arrivano dall'ultimo Rapporto sullo stato dell'università redatto dall'ufficio statistica del Miur.
«Affermazioni non veritiere», avverte Gianni Fenu, presidente del corso di laurea in Informatica, il corso chiamato in causa nel pezzo “incriminato”. Perché tanto clamore? Nel servizio i paesi sardi sono, innanzitutto, erroneamente rappresentati in un grafico come sedi di corsi universitari con zero immatricolati (in realtà si trattava di lezioni in videoconferenza, le prime in Italia, attive fino al 2005) e citati nell'articolo, insieme a tanti altri del Belpaese, come esempio di sprechi e inutilità. «Infastidisce l'ironia con cui si afferma: il record è di Sorgono, un paese sardo che coi suoi 1949 abitanti è meno popolato di certi palazzoni popolari nelle periferie delle metropoli. Senza una facoltà proprio non riusciva a stare. Adesso c'è un corso di laurea in Informatica. Se dovesse non essere sufficiente (nessun immatricolato nuovo, ma i vecchi iscritti sono 38: wow!) il panorama nazionale è in grado di suggerire un mucchio di corsi alternativi . Quel che si dice nell'articolo non corrisponde alla realtà», ribatte Fenu che spiega: «I 38 studenti sorgonesi si sono iscritti dal 2001 al 2005 al corso di laurea dell'Università di Cagliari e non certo di Sorgono dove c'era solo un corso di informatica in video conferenza sincrona: ora che il corso non esiste più - come quello di Sanluri e di Ilbono (non citato) - sono studenti in Informatica di Cagliari. Il nostro dovere è garantirgli di arrivare alla laurea».
L'esperimento era stato fatto per contrastare il fenomeno degli abbandoni scolastici e dell'inadeguatezza di sedi e trasporti. «Molti studenti non hanno la possibilità di frequentare un corso universitario data la distanza dalle città universitarie. Sapete come da Sorgono si arriva a Cagliari? C'è un solo autobus che parte alle 6,58 e arriva nel capoluogo alle 9,55: tre ore di viaggio per 125 chilometri». Per questo motivo gli amministratori locali di Sorgono e degli altri due centri - anche lì i corsi d'informatica non esistono più dal 2005 - e l'Ateneo di Cagliari ritennero utile organizzare un corso in video conferenza, «con una spesa minima, circa 20 mila euro l'anno, finanziata dagli Enti locali e non dall'Università. L'esperimento, per il quale i docenti non hanno percepito alcun compenso aggiuntivo, non ha avuto il successo sperato (anche a causa delle ristrettezze economiche dei Comuni) ma ha messo in risalto potenzialità che valeva la pena indagare». (c.ra.)
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 22 – Cronaca di Cagliari
Università. Sit-in per contestare l'aumento dell'aliquota
I medici specializzandi: «Ridateci i contributi Inps»
   
Sono quattrocento i giovani professionisti alle prese con la rimodulazione del prelievo previdenziale. Ordine professionale e alcuni politici si dicono pronti a sostenere la loro battaglia.
Hanno completato un lungo e complesso ciclo di studi e ora, arrivati alla specializzazione, si sentono defraudati di una parte del compenso loro dovuta dall'università. Sono i medici specializzandi, che ieri, in contemporanea con la manifestazione nazionale, hanno inscenato un sit in in via Università: 150 giovani dottori si sono radunati davanti alla sede del Rettorato per protestare contro l'aumento - dell'aliquota Inps a loro carico, passata dal 17 per cento (la percentuale minima) al 24,72.
I NUMERI In Sardegna gli interessati sono 750, di cui 400 con sede a Cagliari. Incuranti della pioggia i medici hanno manifestato per chiedere al ministero del Lavoro il congelamento degli effetti della circolare Inps del primo ottobre, che prevede l'applicazione dell'aliquota intera. I medici hanno preteso anche la restituzione delle somme «improvvidamente incassate» dall'Inps sotto forma di trattenute finalizzate all'adeguamento dell'aliquota.
LA STORIA «Si tratta - spiega Francesca D'Agostino, 25 anni - di cifre non trascurabili che ci vengono tolte dallo stipendio. Un'ingiustizia se si considera che siamo già costretti a pagare contributi doppi all'Inps e all'Enpam. Il risultato è che ci resta poco dei 26 mila euro lordi annui, esenti Irpef, che percepiamo». La protesta è coordinata dalla Federspecializzandi ma i dottori cagliaritani hanno fondato un loro movimento chiamato con il nome Med.Spe.Ka. (Medici Specializzandi Kalaritani).
ASSEMBLEA Dopo il sit in si è tenuta un'assemblea nell'aula Costa del dipartimento di Anatomia, in presenza dei presidenti degli Ordini dei medici di Cagliari e Sassari Mondino Ibba e Agostino Sussarellu e di Pierpaolo Vargiu (capogruppo dei Riformatori in Regione). È stato letto inoltre un messaggio inviato da Amalia Schirru (gruppo parlamentare del Pd) che si è dichiarata disponibile ad appoggiare la vertenza. «Il Cda del nostro ateneo - afferma il portavoce Nicola Cillara - ha sospeso l'applicazione della aliquota piena ma questo non ci basta perché la sospensione è solo temporanea e resta ancora da chiarire la vertenza nazionale». Gli specializzandi hanno ribadito la necessità di un intervento legislativo che sancisca determinazioni in materia di inquadramento previdenziale e il recupero dei contributi previdenziali».
PAOLO LOCHE
 
3 – L’Unione Sarda
Commenti – pagina 43
ai docenti oneri e onori
Vizi e virtù del decreto sull'università
di Luigi Calcagnile*  
 
Tra le diverse incongruenze contenute nel decreto legge N.180 del 10 novembre scorso ("Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca"), tuttora in fase di conversione in legge, si può prendere in esame quelle che sembra di poter addebitare al suo articolo 1 (Disposizioni per il reclutamento nelle università e per gli enti di ricerca).
Riguardo alle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori ordinari e associati, con estensione applicativa anche ai concorsi in atto della prima e seconda sessione 2008, le commissioni giudicatrici saranno composte da un professore ordinario nominato dalla Facoltà che ha richiesto il bando e da quattro professori ordinari sorteggiati in una lista di commissari eletti tra gli ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando. L'elettorato attivo, invece, è costituito dai docenti ordinari e straordinari. Il dispositivo intende, giustamente, far valere l'istituto del sorteggio dei componenti necessari alla formazione delle commissioni tra i professori ordinari eletti. Niente di più saggio e necessario. Il problema insorge però nel momento in cui detto provvedimento sancisce il diritto di eleggibilità, attiva e passiva, riservato ai soli "professori ordinari", per ogni ordine e grado di concorso. Risvolto, questo, in aperto contrasto con gli aspetti positivi pure rinvenibili nella normativa preesistente. In effetti, se una commissione formata da cinque membri ordinari (4 più uno interno) risulta legittima in un concorso di prima fascia, meno legittima si rivela in un concorso destinato a docenti di seconda fascia, laddove parrebbe ragionevole il coinvolgimento del "professore associato" nelle commissioni di pertinenza. Pertanto, nei relativi concorsi, ritenuta appropriata, si potrebbe mantenere la regola - che si vorrebbe superare - della commissione a cinque componenti (tre più due associati), lasciare libera la scelta del componente designato e soprattutto fare salvo, sempre e comunque, il principio del sorteggio. Così come, per il reclutamento dei ricercatori, potrebbero continuare a valere commissioni del tipo ante quem (uno più uno associato più uno ricercatore). Semmai, ciò che bisognerebbe ancora recuperare è la presenza, con diritto di voto, di uno studioso autorevole straniero super partes, in aggiunta o in inclusione rispetto all'intero dei componenti. Le maggioranze di giudizio derivabili, oltre a essere più rappresentative, si dimostrerebbero certamente anche più attendibili.
Quando si tratta poi specificamente del reclutamento dei ricercatori, abbiamo la prova provata della fondatezza degli enunciati appena espressi. Le commissioni per la valutazione comparativa dei candidati saranno composte da un professore ordinario, o da uno associato, nominato dalla Facoltà che ha richiesto il bando e da due professori ordinari sorteggiati in una lista di commissari eletti tra i professori ordinari appartenenti al settore disciplinare oggetto del bando. Di grazia, se allora il professore associato è abilitato a far parte delle commissioni nei concorsi per ricercatore, e addirittura ad assumerne la presidenza, in virtù della nomina a componente designato, sembrerebbe appropriato confermare il coinvolgimento delle tre figure di docenti secondo l'articolazione delle commissioni sopra ricordata, articolazione analoga appunto a quella corrente. Anche perché, ove gli ordinari dovessero assumere il predominio totale nei tre ruoli di reclutamento, spetterebbe agli stessi accollarsi le conferme triennali di tutti i docenti reclutati. A quel punto sui professori ordinari dovrebbero gravare, in forma esclusiva, onori e oneri.
A chiudere, bastano un paio di chicche ancora. Paradossale sembra la prospettiva per le procedure di valutazione comparativa dei ricercatori bandite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge, secondo cui il reclutamento sarà effettuato sulla base dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, utilizzando parametri riconosciuti anche in ambito internazionale. Come dire: i nostri giovani aspiranti ricercatori hanno già completato il loro periodo di formazione, e saranno chiamati solo per chiara fama. Da ultimo, le disposizioni previste per ricercatori si applicano anche alle procedure di valutazione comparativa indette prima dell'entrata in vigore del famigerato decreto, per le quali non si sono ancora svolte le votazioni per la costituzione delle commissioni. Si parla alla maniera di chi non sa assolutamente niente del blocco delle votazioni per la costituzione delle commissioni subito dopo averlo sancito d'imperio. E qui evidentemente l'endiadi regna sovrana.
*Università di Roma La Sapienza
 

 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
STUDENTI. 
Proposte sui risparmi d’ateneo 
Continua la protesta del gruppo «Unicamente contro la 133» 
Colloqui col rettore e azioni di disturbo del Cda dell’università: sarà lotta a oltranza 
 
CAGLIARI.Linux al posto del costoso sistema operativo ideato dal colosso di Bill Gates. Skype invece della tradizionale linea telefonica. E ancora: garante d’ateneo, finanziamento filantropico, fino all’eliminazione dal bilancio di voci quali “spese varie”, tanto vaghe, quanto incontrollabili. Una chimera? Forse, ma per gli studenti del gruppo “Unicamente contro la legge 133” neanche più di tanto. Sono loro ad aver stilato la lista di queste richieste. E dopo quattro ore di colloquio serrato, lunedì con il rettore Pasquale Mistretta, domani disturberanno ancora la seduta del Cda d’ateneo. Sino quando qualcuno non comincerà a prenderli sul serio.
 «Le nostre proposte- dice Enrico Puddu, tra i portavoce di Unicamente per la facoltà di Scienze Politiche - nascono da attenti studi fatti da addetti ai lavori: quel che chiediamo è la realizzazione di una serie di punti che permetterebbe alla nostra università di non morire». Con un’idea di partenza ben precisa: l’attuale situazione dell’ateneo che non promette nulla di buono. «Da quel che abbiamo visto - aggiunge Enrico Puddu - quest’anno il bilancio chiude quasi in pareggio, ma che cosa succederà dopo?». Il timore degli universitari è che con i tagli previsti anche dalla legge 133 l’ateneo possa collassare. Un’ipotesi che fa paura a tutti, eppure reale. «Anche perché - dicono da Unicamente - già nel bilancio per il 2009 l’università ha polverizzato i finanziamenti per la ricerca». Ecco allora che gli studenti, che hanno dalla loro anche un discreto numero di ricercatori, presidi e professori, si rimboccano le maniche, provano a fare di conto, a unire l’utile e il dilettevole, e mettono insieme un documento zeppo di consigli, ipotesi su come risparmiare senza incidere sulla qualità e su come rendere l’ateno più attrattivo. Il primo punto, manco a dirlo, riguarda proprio il bilancio: serve più trasparenza, dicono gli studenti, in particolare, scrivono nel documento, «occorre fare chiarezza sull’effettivo utilizzo di somme di denaro per voci come: spese varie, altri rimborsi telefonici, etc.». In quest’ottica appare opportuno un sistema di controlli «per verificare la gestione e produttività delle risorse, evitando sprechi», ma anche una «razionalizzazione e ottimizzazione di tutte le risorse». In che modo? Usando alcuni accorgimenti come l’utilizzo di sistemi informatici per telefonare (Skype) o di sistemi operativi gratuiti (Linux). «Ponderando bene questo tipo di spese - dicono da Unicamente - l’ateneo potrebbe arrivare a risparmiare anche un milione e mezzo di euro l’anno». Domani, dopo che Unicamente aveva fatto sospendere i lavori di lunedì, il Cda si riunisce per esaminare il bilancio. Gli studenti saranno di nuovo lì a presentare le proposte.
Sabrina Zedda 
 
Pagina 1 - Cagliari
Mille persone per fare festa assieme alle facoltà universitarie 
Le idee del comitato anti-tagli della Gelmini 
 
CAGLIARI. Un occhio al bilancio e l’altro ben attento a non farsi sfuggire le ragioni della protesta contro la legge Gelmini. Per il comitato interfacoltà Unicamente, nato proprio per lottare contro i tagli e le ipotesi di riforma dell’università previsti dalla legge 133, la protesta non finisce con le ultime rassicurazioni del ministro dell’Istruzione. L’ultima iniziativa è stata, sabato, la “Notte bianca universitaria”: mostre, spettacoli di burattini, esposizioni e tanta musica, organizzati nel polo umanistico di Sa Duchessa, tra la facoltà di Lettere e Filosofia e quella di Psicologia, per mostrare a tutti, dai giovani non universitari sino alle famiglie, che l’università è viva, è radicata nel territorio, e, soprattutto, ha voglia di far sentire la sua voce. All’appello hanno riposto un migliaio di persone: un esercito pacifico arrivato sin dal pomeriggio, che ha voluto sfruttare sino a notte fonda le proposte culturali e di spettacolo messe in piedi dagli studenti, insieme all’aiuto di professionisti che hanno creduto nell’iniziativa. Riordinato tutto, ora si pensa al bilancio d’ateneo, ma non si escludono nuove forme di lotta contro il ministro Mariastella Gelmini. (s.z.)
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
L’esame della situazione finanziaria in un convegno dell’assessorato alla Programmazione 
«Credito più difficile per i sardi» 
Sassu: «Per lo sviluppo fanno meglio le banche cooperative» 
L’assessore Secci: «Nessuna risposta sui debiti degli agricoltori» 
 
CAGLIARI. Il mondo del credito al tempo della crisi più nera degli ultimi anni. Il problema è stato discusso lunedì dagli analisti delle Università di Cagliari e Sassari, da docenti universitari, esponenti degli industriali sardi e dai rappresentanti del governo della Regione. E sia pure in presenza di una crisi finanziaria di portata mondiale, è stata riproposta la più classica delle domande: che cosa cambierebbe nell’isola se la Regione avesse avuto ancora un po’ di competenze sul credito?
 Indirettamente il primo problema l’ha posto l’assessore al Bilancio, Eliseo Secci, che dopo aver esposto i programmi della Regione ha avanzato qualche riserva sulla gestione del credito: «Prendiamo i debiti degli agricoltori di cui si è scritto tanto negli ultimi mesi. Era stata raggiunta un’intesa tra il sistema pubblico nazionale, la Regione, le banche. Bene, dopo due anni da quell’accordo il governo regionale è disponibile, il sistema delle banche non risponde». Secci ha anche ricordato i tassi più alti praticati alla clientela, per quel fantomatico «rischio Sardegna» che ci trasciniamo da decenni. «Forse le banche potrebbero dare un contributo diverso alla nostra economia», è stata la conclusione.
 L’economista Antonio Sassu che del Banco di Sardegna è stato presidente spiega la relazione tra credito, finanza e sviluppo economico ed entra nel merito delle ripercussioni sull’economia reale. «Non c’è dubbio che il sistema finanziario internazionale raccoglie risparmio e lo incanala verso Paesi che ne hanno bisogno ma sullo sviluppo c’è anche l’influenza dovuta al comportamento dei risparmiatori». La domanda è: quanti hanno acquistato azioni infette o polizze assicurative riconducibili alla Lehman? Sassu torna sull’acquisto del Banco da parte di Bper: «La testa pensante e i vertici sono importanti. Non nego che ci può essere più efficienza in queste operazioni ma non c’è contributo allo sviluppo; le quote di mercato sono diminuite. Un maggior contributo allo sviluppo viene dalla banche di credito cooperativo». Il motivo è semplice: con le operazioni di fusione gli istituti di credito come il Banco di Sardegna «diventano sportelli della società madre, magari per vendere titoli».
 Piero Alessandrini, Università politecnica delle Marche, che partecipò in Sardegna alla prima Conferenza regionale sul credito, ha quindi messo in rilievo i paradossi legati al mito delle fusioni. «Con il gigantismo bancario, tra l’altro, la concorrenza è molto più difficile».
A. F. 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
In mostra l’arte dei nuragici 
All’Exmà le ricostruzioni dello scultore Carmine Piras che hanno spesso affiancato il lavoro degli archeologi 
ALESSANDRA SALLEMI 
 
 CAGLIARI. Il bronzetto nuragico del soldato orante custodito al museo Pigorini di Roma colpisce l’attenzione dei visitatori più esperti per quella spada appoggiata sulla spalla e non tenuta dentro la faretra: questo bronzetto è l’unico soldatino delle rappresentazioni guerresche del Mediterraneo a presentarsi in tale posa. Carmine Piras scultore di Oristano che da anni lavora al fianco di archeologi del periodo nuragico, ha riprodotto la spada nella dimensione originaria e ha capito perché non poteva stare appesa alla cinta o nella faretra: è pesantissima. Ci ha tagliato di netto un ramo di eucalipto calandola dall’alto, come una ghigliottina, unico modo possibile per usarla. Sugli oggetti riprodotti e poi esplorati nell’uso che se ne doveva fare cinquemila anni fa, Piras ci ha costruito sopra un’intera rassegna che è stata chiusa di recente a Cagliari al centro culturale Exmà, dove le copie di bronzetti famosi sfavillavano nel colore originario del bronzo. In una teca c’era un toro, copiato dal pezzo rinvenuto nel santuario di Santa Vittoria di Serri, di modernità sorprendente. Altri tori gli stavano affianco: per mostrare, attraverso il confronto, che gli scultori nuragici avevano almeno due stili, figurativo e stilizzato. Uno spillone per capelli rivelava un gusto raffinato, una madre con bambina stava seduta su uno sgabello a sei gambe di bella fattura. «I nuragici sentivano la necessità di tramandare, cercavano la bellezza, avevano un profondo senso della natura»: di questo si è convinto Carmine Piras, per il quale la scultura è stata un libro a tre dimensioni che gli ha restituito molte risposte sulla civiltà nuragica.
 Cominciò con l’antropologo Carlo Maxia dell’università di Cagliari che studiava quale fosse stato l’uso dei vasi ritrovati nei vari nuraghi riportati alla luce. Un incontro interessante: per indagare, all’antropologo servivano la mano e l’occhio dello scultore: «Scoprimmo che erano abilissimi fonditori - ricorda Piras -, che una fonderia nuragica avrebbe potuto funzionare anche oggi. Si erano creati gli ambienti, avevano inventato gli strumenti, conoscevano i metalli, andavano a cercare materiali come rame e stagno in giro per il Mediterraneo, sono diventati commercianti. Fondevano per altri popoli, poco è arrivato a noi perché i Romani, tra gli altri, riusavano tutti i metalli che trovavano. Certo furono i popoli nuragici a esportare l’ossidiana nel Mediteranneo: i Fenici, grandi mercanti, arrivarono quando questa pietra era caduta in disuso».
 Piras ha un lavoro in corso per il comune di Orroli: «Stiamo ricostruendo tutti i vasi trovati nel complesso del nuraghe Arrubiu, studiamo forme, misure e tecniche di lavorazione: i nuragici trattavano qualunque materiale, anche qui si vede la ricerca del bello». Sul tema del bello è spontaneo il paragone tra l’aspetto del nuraghe, massiccio, rozzo e senza una evidente evoluzione architettonica in senso estetico e quello di edifici dello stesso periodo costruiti in altre parti del mondo, da Babilonia all’Egitto. «Il nuraghe è rozzo forse nell’estetica - commenta lo scultore - ma è complesso e sofisticato nella costruzione. Le piramidi venivano edificate con pietre squadrate, qui facevano stare in piedi edifici fatti di pietre deformi in equilibrio su se stesse. Erano bravissimi ingegneri: i muri sono cavi, ci doveva stare la scala, nella cavità interna c’era la volta a tolos, tenuta senza malta e quindi con un rigoroso studio delle spinte». Si può concedere che una fortezza non dovesse rispondere a esigenze estetiche: «Io non credo che i nuraghi dovessero essere fortezze. Nell’isola ce ne sono quindicimila: c’era bisogno di quindicimila fortezze? E per cosa? Per tenere gli uomini dentro e le greggi fuori? Non credo che fossero fortezze: allora c’erano le foreste, più utili per nascondersi assieme agli animali. E poi sulla sommità delle torri venivano costruite le corone: l’idea che danno è più quella del tempio. Ma pensiamo per un attimo ai pozzi sacri: possiamo negare che siano anche ‘belli’?». A favore della fortezza, casa di un popolo guerriero, c’è la varietà di armi raffigurate attraverso i bronzetti: «E perché non consideriamo per un momento che potessero essere votive? Stiamo ricostruendo le armi proprio cercando di interpretarne l’uso». Di sicuro fascino l’arco lungo, circa un metro e sessanta, di frassino o di «spaccasassi» (bagolano), con le punte di corno, vere leve destinate ad aumentare la potenza del tiro: tremila anni fa, i nuragici avevano capito che l’arco doveva essere «alto» quanto la persona, così acquistava grande elasticità e poteva fare tiri a novanta metri. «Un arco del genere - continua Piras - si vede soltanto fra gli inglesi del Medioevo, una reinvezione che dilagò in tutto il Mediterraneo». Uno strumento di tal fatta non serviva probabilmente per la caccia, ma secondo Piras bisogna davvero smettere di pensare che i nuragici fossero per forza soltanto guerrieri, i ritrovamenti hanno dimostrato che in quel popolo c’erano altre sensibilità: «Se si bada ai ritrovamenti, si constaterà che non si rintraccia mai una tomba del capo, non c’era l’orgoglio di costruire una piramide, il capo era un uomo del popolo, un popolo che non adorava gli uomini divinizzati. Rispettavano la natura, l’acqua, gli animali: si capisce da come li scolpiscono. E poi c’erano i bronzetti che raffigurano gli offerenti: offrivano qualcosa alla divinità o al vicino di casa? L’usanza di ‘sa mandàra’, quando si ammazzava il vitello, in Sardegna è stata sempre quella di portare qualcosa al vicino. Ci si presentava augurando ‘salude’ e alzando la mano. Sono tanti i bronzetti ritrovati con la mano alzata, proprio come si fa ancora oggi nei paesi. Io credo che, per rientrare in quel mondo, sia d’aiuto anche l’immedesimazione nelle situazioni di necessità. Quando, nello studio degli usi degli oggetti, ci trovammo al punto di capire come facessero per tenere assieme pezzi di stoffa o di cuoio, quali fossero insomma le fibbie dei nuragici, ci imbattemmo in centinaia di cerchietti di bronzo: provammo e riprovammo a legarli insieme e vennero fuori le fibbie».
 
 

Questionario e social

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