Lunedì 13 ottobre 2008

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
13 ottobre 2008
Rassegna quotidiani locali
 
L'UNIONE SARDA
 
LA NUOVA SARDEGNA

1 – L’Unione Sarda
Prima pagina
Scienziati in ostaggio dei burocrati
La guerra dei Nobel e l'Università italiana
di Gaetano Di Chiara
 
Il premio Nobel è sicuramente il massimo riconoscimento pubblico per uno scienziato. È attribuito da una commissione di alto livello come l'Accademia delle Scienze svedese e l'affidabilità dei suoi giudizi è collaudata da una tradizione centenaria. Tuttavia quest'anno l'assegnazione dei Nobel per la Medicina e per la Fisica ha sollevato un vespaio di polemiche.
Si contesta il fatto che il Nobel per la Medicina sia stato assegnato a Montagnier, che isolò il virus dell'Aids, ma non a Robert Gallo, che coltivò il virus e ne dimostrò la relazione con la malattia. Assieme a Montagnier l'Accademia svedese ha invece premiato la sua più stretta collaboratrice. Con questa scelta la commissione del Nobel si è attribuita un ruolo di giudice morale, punendo Gallo, colpevole di aver tentato di attribuirsi il merito della scoperta del virus isolato da Montagnier.
Due scienziati, Gallo e Montaignier, espressione di due modi diversi di intendere la ricerca, competitivo fino alla pirateria scientifica l'americano, fiducioso nel potere di sublimazione della scienza l'europeo.
L'attribuzione del Nobel per la Fisica ci tocca più da vicino. Infatti sono stati premiati due scienziati giapponesi ma non Nicola Cabibbo, fisico della Sapienza, cui si deve l'idea originaria della matrice di calcolo per la quale sono stati premiati i giapponesi.
L'Accademia svedese non è nuova a queste scelte. Nel 2000 premiò Arvid Calsson per i suoi studi sulla dopamina ma lasciò fuori Ole Hornykiewicz, che dimostrò il ruolo della dopamina nel morbo di Parkinson e sperimentò per primo l' l-Dopa come terapia.
Superata la delusione, rimane l'orgoglio di un primato nella fisica che l'Italia mantiene dai tempi di Galileo Galilei e che, attraverso Fermi e la scuola romana di via Panisperna, porta fino ai Rubbia, Cabibbo, Parisi e i fisici che coordinano gli esperimenti con il mega-accelleratore del Cern di Ginevra.
Se scendiamo da queste altezze e guardiamo alla situazione della ricerca che si pratica nei laboratori delle nostre Università e dei centri di ricerca pubblici la situazione è ben diversa e in molti casi tragica.
La colpa secondo alcuni è dei tagli di bilancio. Secondo noi è molto peggio, dato che i soldi ci sono ma vengono attribuiti secondo criteri clientelari oppure si perdono a causa delle cosidette lungaggini burocratiche dovute anche all'inefficenza degli uffici preposti a istruire le pratiche: difficoltà a preparare un bando, redigere un rendiconto, scrivere una relazione. Così succede che i fondi destinati alla ricerca non vengono spesi e progetti già approvati per centinaia di milioni di euro diventano obsoleti.
Per il finanziamento statale della ricerca vale dunque quanto sostenuto da Roberto Perotti nel libro L'università truccata , e cioè che il problema non è la mancanza di fondi ma l'incapacità a spendere secondo criteri di efficienza e meritocrazia.
Purtroppo, nell'ultimo bando nazionale (PRIN) i progetti di ricerca da finanziare sono stati selezionati sulla base della frequentazione dei corridoi ministeriali da parte dei coordinatori dei progetti, piuttosto che del merito. Questo è ciò che accade quando la gestione della selezione dei progetti di ricerca è delegata ai funzionari del Ministero. Si spera che il ministro riaquisti il controllo di questi meccanismi, togliendolo ai burocrati e affidandolo ai ricercatori.
2 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 12
concorso
Collezione Ingrao, tre borse di studio
 
L'assessorato alla Cultura - Galleria Comunale d'Arte ha messo a concorso tre borse di studio e ricerca intitolate a Francesco Paolo Ingrao per lo studio delle opere e degli artisti dell'omonima collezione, dell'importo di 2700 euro ciascuna e della durata di 12 mesi. Al concorso potranno partecipare giovani di età non superiore ai 35 anni e senza un reddito fisso, che abbiano conseguito all'Università di Cagliari la laurea in Lettere con indirizzo artistico (vecchio ordinamento) o la laurea specialistica in Storia dell'Arte (nuovo ordinamento). Il termine per la presentazione delle domande scade il prossimo 24 ottobre. Per informazioni 070 490727 - 4525682, fax 070 42091) o mandare una mail all'indirizzo museicivici@comune.cagliari.it 

 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Fatto del giorno
LA RICERCA 
I tagli selvaggi affosseranno l’università 
 
Si è discusso poco nei media italiani di alcune recenti misure inserite nel Dl 112 del Governo che, a detta di molti, può infliggere un colpo mortale all’università pubblica italiana. Le riforme sono necessarie. Tuttavia, il DL 112 prevede unicamente un pesante taglio di fondi pubblici al settore e nessuna riforma.
 Alcuni numeri aiutano a capire perché l’università italiana in questo momento non abbia proprio bisogno di un taglio di risorse e di personale come quello prospettato. Un confronto con gli altri paesi industrializzati evidenzia come l’Italia sia il paese che dedica meno risorse pubbliche alla sua Università. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti spendono circa il doppio, mentre la Danimarca più di tre volte tanto. Se poi guardiamo alla percentuale di docenti universitari rispetto all’utenza potenziale, composta dalla popolazione in età universitaria si scopre che in Italia il corpo docente è fortemente inadeguato rispetto alle esigenze. E pochi sono i ricercatori: uno ogni 1000 abitanti, contro i circa 3 di Francia e Gran Bretagna ed i quasi otto della Finlandia (per i dati si veda www.insardegna.eu). Sappiamo tutti quanto il settore pubblico soffra, in quasi tutti i sui comparti, di un eccesso di personale rispetto agli altri paesi. Appare dunque ingiustificata la scelta di tagliare risorse pubbliche proprio ad uno dei rari comparti palesemente sottodimensionati e sotto-finanziati.
 Secondo alcuni vi sarebbe in realtà un elemento di riforma positiva del settore nella parte che incentiva la trasformazione delle Università pubbliche in Fondazioni con la presenza di capitali pubblico-privati. Buona idea la sostituzione dei soldi pubblici con quelli privati? Sicuramente ben vengano le facilitazioni all’entrata di capitali privati. Non la sostituzione dei fondi pubblici con i privati.
 Il pericolo per alcune Università, e per quelle sarde in particolare, è che la norma introduca una sorta di meccanismo di federalismo non solidale. Dati i divari di ricchezza e sviluppo regionali italiani, con ogni probabilità assisteremo ad una concentrazione crescente di fondi in mano alle Università presenti nelle regioni più ricche. Mancano invece del tutto gli incentivi a cambiare ed aumentare la produttività. Anzi. La proposta prevede un taglio generalizzato sia degli stipendi che dei fondi per la ricerca.
 I fannulloni (e chi nega che esistano anche qui?) non si accorgeranno neppure di questi provvedimenti: non facendo ricerca non percepiranno la riduzione di risorse ad essa dedicati e, potendosi dedicare ad attività extra universitarie più degli altri, integreranno facilmente il calo di stipendio. Tutto ciò invece umilia i ricercatori seri e danneggia le prospettive nel settore dei giovani ricercatori, incentivando ancor di più il fenomeno della “fuga dei cervelli” dall’Italia.
* ricercatrice università di Cagliari
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 21 - Cultura e Spettacoli
In un’area vicino al cimitero di Olmedo gli scavi fanno riemergere i resti del villaggio medievale 
Riaffiora l’antica Ulumetu 
L’importante borgo fu distrutto dai Barbareschi 
MICHELE SPANU 
 
La campagna di scavi è durata oltre due mesi sotto il sole estivo, ma alla fine le fatiche di Marco Milanese e della sua équipe sono state ricompensate: in un’area nei pressi del cimitero del paese sono emersi i resti di «Ulumetu», il villaggio medievale di Olmedo distrutto nel 1540 da un’incursione barbaresca. Marco Milanese è un archeologo di lungo corso, ed è certamente abituato a scoprire «civiltà sepolte», come suggerisce il fascinoso titolo del libro di C.W. Ceram. Questa volta, però, la sua soddisfazione è doppia. «Non abbiamo trovato un semplice villaggio di pastori. La scoperta è resa particolare - dice - dalla presenza di reperti quattrocenteschi, i quali rimandano al mondo della feudalità spagnola che allora controllava le comunità locali dell’isola». A differenza degli altri scavi medievali, infatti, la «civiltà sepolta» di Ulumetu non ci ha restituito miti attrezzi agricoli o pastorali, ma cinturoni, foderi di spade, staffe e vari oggetti metallici che dimostrano la presenza di cavalieri armati. Non a caso, il reperto più interessante è un pendente in bronzo dorato utilizzato per la bardatura dei cavalli; un oggetto che riporta lo stemma della nobile famiglia catalana degli Alagon e che veniva posizionato sulla fronte del cavallo, agganciato alle cinghie di cuoio delle briglie, affinché tutti riconoscessero il padrone dell’animale durante raduni, viaggi e battaglie. Anche la struttura degli ambienti riportati alla luce, grandi e rettangolari, si differenzia rispetto ai tipici villaggi agro-pastorali, che avevano case piccole per ospitare un singolo nucleo familiare, riunito attorno al focolare domestico.
 Come avviene sempre più spesso nell’archeologia, la scoperta è avvenuta a causa delle ruspe, che qualche mese fa erano all’opera per realizzare un depuratore a pochi metri dal suo cimitero. Ulumetu, dunque, sorgeva ai piedi dell’abitato moderno. Era un centro molto attivo dal punto di vista commerciale, come dimostra la varietà dei manufatti in ceramica di produzione valenzana, catalana, savonese e regionale: la carta vincente per Ulumetu-Olmedo è dovuta, ieri come oggi, alla vicinanza con Alghero e con il suo porto, crocevia di vari popoli.
 Il nome del villaggio compare per la prima volta nelle carte d’archivio fra XI e XII secolo con il Condaghe di San Pietro di Silki, che cita alcune persone originarie del luogo. Nel Duecento faceva parte degli ampi possedimenti dei Doria, con Alghero e il Nulauro, ed era anche sede di una curatoria, cioé di un distretto territoriale autonomo; si trattava quindi di un centro importante anche da un punto di vista demografico. La struttura appena portata alla luce è stata costruita nel Quattrocento e distrutta nella prima parte del Cinquecento; probabilmente faceva parte di un insieme di magazzini o di scuderie appartenenti ad una grande residenza feudale: un’ipotesi avvallata dal fatto che gli ambienti sono grandi e collegati tra loro. Inoltre, si affacciano tutti su un’area aperta, che potrebbe essere una sorte di cortile del palazzo. È anche possibile che il villaggio sorto agli inizi del Medioevo si sia spostato intorno alla residenza nel Quattrocento, in seguito all’arrivo del feudatario spagnolo. Per il momento ci sono molte ipotesi, e tutte da verificare. Una delle poche certezze è l’anno di distruzione del centro: il 1540, quando i Barbareschi, noti per le loro razzie in Sardegna e nel Mare Tirreno, sancirono con le armi la fine di Ulumetu. L’importanza della scoperta permette fin da ora di riscrivere la storia di Olmedo nel Medioevo, ma ovviamente il prossimo obiettivo sarà quello di trovare il cuore della residenza feudale, nella speranza che si sia salvata dalle ruspe.
 Marco Milanese, che da diversi anni insegna Archeologia nel dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, ritiene che questa scoperta sia soltanto la punta dell’iceberg, perché la porzione scavata è minima in confronto a quanto ancora sepolto. L’unico rammarico è per quella porzione del sito distrutta irrimediabilmente dalle ruspe. Un episodio ma che il professore definisce «l’ennesimo caso che ci pone di fronte all’urgenza di un monitoraggio più attento del patrimonio archeologico regionale da parte di chi concede con troppa facilità le aree per i lavori pubblici e privati».
 L’équipe che ha condotto la campagna di scavo è composta da una decina fra archeologi e studenti dell’Università di Sassari, in collaborazione con Daniela Rovina della Soprintendenza archeologica per la Sardegna e il Comune di Olmedo. Le operazioni tecniche sono state coordinate da Chiara Deriu e Mauro Fiori, mentre Milanese ne ha curato la direzione scientifica. Il lavoro degli studenti nelle campagne di scavo fa parte del modus operandi di Marco Milanese. «Per me è importane che gli studenti si formino con il lavoro archeologico e non solo attraverso i libri», conclude Milanese. Ma oltre alle motivazioni pedagogiche ci sono quelle economiche: «Senza di loro il lavoro di scavo non sarebbe possibile, vista la modestia della risorse finanziarie che abbiamo a disposizione».
 
Pagina 21 - Cultura e Spettacoli
L’autore della scoperta  
Marco Milanese, una carriera in Sardegna 
 
 SASSARI. Ordinario di archeologia, Marco Milanese insegna nelle facoltà di architettura e di lettere e filosofia dell’università di Sassari e in quella di Pisa, dopo essere stato docente anche negli Atenei di Genova, Siena-Arezzo e Cagliari. Autore di numerosissime scoperte archeologiche, ha diretto circa 200 campagne di scavo e di ricerca in Liguria, Sardegna, Toscana, Lombardia, Abruzzo,Tunisia e Portogallo. Autore di oltre 350 pubblicazioni, è membro di redazioni e comitati scientifici di riviste, direttore di collane di pubblicazioni archeologiche e nel 1997 ha fondato la rivista «Archeologia Postmedievale». Lavora in Sardegna a partire dal 1992, quando ha avviato i primi progetti di archeologia medievale nell’Isola: negli ultimi anni si è intensamente occupato di archeologia urbana ad Alghero, di archeologia del potere e di incastellamento con gli scavi di Bosa, Monteleone Rocca Doria e di Castelsardo ed ha sviluppato un ampio progetto di ricerca archeologica sui villaggi abbandonati della Sardegna.
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 11 - Attualità
A Milano si arriva a punte di 900 euro mentre a Roma ne vengono chiesti 600; a Perugia maggiorazione per gli stranieri 
Affitti record e senza regole per gli studenti fuori sede 
 
 ROMA. Per molti studenti universitari l’anno è già iniziato, ma il primo esame da affrontare ha poco a che fare con i libri, riguarda invece l’alloggio. Quasi metà degli universitari è «fuori sede», frequenta cioè facoltà che si trovano fuori della propria provincia. Le camere in affitto hanno un costo alto, spesso proibitivo secondo l’ultima indagine del Sunia (Sindacato unitario nazionale inquilini).
 Una ricerca basata sui dati raccolti in alcune città metropolitane e in centri minori sedi di Università. A Milano per un posto letto in zona Brianza occorrono circa 450 euro, per una stanza singola si va da un minimo di 650 (zona Bande Nere) a un valore medio di 800 (zona Lambiate, Udine e Fiera) a un massimo di 900 (in zona Vittoria).
 A Firenze un posto letto costa in media 350/400 euro, una stanza circa 700. A Bologna, dove gli studenti si concentrano nelle zone vicine all’Università, occorrono 250/280 euro per un posto letto in una doppia, da 370 a 500 per una singola.
 A Roma in zone vicine alle università centrali (San Lorenzo, Piazza Bologna) vengono chiesti circa 600 euro per una stanza singola, 450 per un posto letto in una doppia. Valori solo leggermente più bassi (550 euro per una camera singola) in zone vicine alle altre Università (zona Ostiense e Cinecittà). Si risparmia soltanto se ci si sposta in zone molto periferiche: 300 euro per un posto letto e 450 una singola in zone Prenestina, Centocelle e simili.
 A Napoli per un posto letto occorrono 300/450 euro, per una stanza si spende dai 400 ai 600 euro, con i prezzi più alti nelle zone Policlinico, Vomero e Colli Aminei.
 A Bari per un posto letto occorrono 250/350 euro, almeno 350 per una singola. Nelle città più piccole i prezzi sono più bassi in termini assoluti, ma hanno un peso maggiore nell’economia cittadina. «In queste città la forte domanda da parte di studenti ha notevolmente deformato il mercato, economicamente e socialmente - spiega la responsabile dell’ufficio studi del Sunia Laura Mariani -: i proprietari riescono a praticare alti canoni affittando un alloggio a più studenti, fenomeno che innesca un processo di aumento generalizzato anche per i residenti i quali sono espulsi da intere zone urbane».
 «Il problema - continua Mariani - non è solo il costo alto, nella maggioranza dei casi ci sono anche tutta una serie di violazioni, clausole capestro e vessatorie con contratti non registrati senza limite di canone, alloggi privi di dotazioni minime sia impiantistiche che di qualità, modalità irregolari di accollo sugli inquilini delle spese condominiali». Nelle città in cui è più frequente il fenomeno degli affitti a studenti extracomunitari, come a Perugia, si registra infine un’ulteriore anomalia: l’aumento di circa il 25/30% del canone chiesto agli studenti stranieri rispetto a quanto chiesto agli italiani.
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Sardegna
Università di Sassari, test in orbita 
Sulla Soyuz esperimento di biologia spaziale del dipartimento sardo: studio sulla morte programmata dei linfociti, che a gravità zero perdono efficacia 
SANDRO MACCIOTTA 
 
SASSARI. Terzo esperimento di biologia spaziale per il Dipartimento di scienze fisiologiche, biochimiche e cellulari dell’Università di Sassari diretto dal professor Proto Pippia. Il test in microgravità - a bordo della Stazione spaziale internazionale che ruota attorno alla Terra a un’altezza di 400 chilometri - servirà per verificare il fenomeno dell’apoptosi dei linfociti, la morte programmata di queste cellule del sistema immunitario che in orbita perde rapidamente di efficienza. L’esperimento scientifico, in collaborazione con l’Università di Teramo, sarà seguito dalla dottoressa Maria Antonietta Meloni di Sassari e dal professor Mauro Maccarone dell’ateneo abruzzese. L’apoptosi serve per mantenere costante il numero delle cellule di un organismo.
 Le cellule di tutti gli organi invecchiano e a un certo punto si suicidano per essere sostituite da nuove. Da quali segnali sia innescato il fenomeno non è ancora chiaro: il linguaggio di comunicazione tra le cellule deve essere ancora in gran parte decifrato. Il suicidio ha un fine «altruista» perché evita l’instaurarsi di fenomeni di infiammazione e di autoimmunità. Se ciò non avviene, si ha un proliferare di cellule in eccesso come i tumori metastatizzati. Se l’apoptosi è eccessiva, c’è una perdita di cellule come avviene nell’Aids, nell’Alzheimer, nel Parkinson, nella Sclerosi laterale amiotrofica ma anche nell’infarto, nei danni ischemici o nell’ictus.
 Da alcuni giorni la docente sassarese si trova nel cosmodromo di Baikonur, in Kazakhstan. Il box con le cellette sterili dell’esperimento è stato preparato sabato col prelievo di sangue sui volontari. «Ci siamo portati tutto dall’Italia - spiega Maria Antonietta meloni - dalle siringhe alle provette al medico». Il tutto è stato stabilizzato e imbarcato sulla Soyuz TMA-13, la navetta spaziale che stamane alle sette è stata lanciata ed è entrata regolarmente in orbita, grazie a un potente lanciatore a tre stadi. Nella navicella tre astronauti: due professionisti (un americano e un russo) e un turista spaziale, Richard Garriott, 47 anni, figlio di un ex astronauta e ricchissimo programmatore di videogochi. Ha pagato 30 milioni di dollari per viaggio e 11 giorni di soggiorno sulla Iss. Da ragazzo era stato scartato dalla Nasa: portava gli occhiali.
 Martedì la Soyuz attraccherà alla stazione spaziale. Poco dopo il comandante premerà il bottone che attiverà automaticamente le cellette. Poche ore e l’esperimento biomedico - l’unico su cellule umane e che è dovuto passare al vaglio della commissione bioetica - sarà concluso, i campioni di sangue saranno congelati in attesa di essere riportati a terra forse nell’aprile 2009 in una delle ultime missioni degli Shuttle americani.
 «La ricerca - spiega la dottoressa Meloni - si chiama ROALD, l’acronimo di Role of apoptosis in lymphocyte Depression (Ruolo dell’apoptosi nella depressione linfocitica). Dai risultati si attendono alcune indicazioni sui meccanismi responsabili della ridotta capacità di risposta del nostro sistema immunitario osservata in condizioni spaziali. Bastano infatti pochi giorni in assenza di peso perché il sistema immunitario degli astronauti collassi. I linfociti T, che sono i difensori del nostro corpo dagli agenti esterni, si impigriscono. Dopo lunghe permanenze nello spazio si arriva a una condizione di immunodeficenza per qualche aspetto simile all’Aids».
 «Il problema - spiega ancora la dottoressa Meloni - è particolarmente grave in prospettiva di viaggi spaziali molto lunghi. Non è neppure chiaro se possano svilupparsi situazioni patologiche. La missione su Marte (è questo il progetto più ambizioso della Nasa) prevede 4 anni di viaggio tra andata e ritorno. Per affrontare il problema del crollo delle difese immunitarie bisogna quindi chiarirne le cause per trovare le sostanze per ripristinare la normale risposta».
 «Dalle precedenti missioni - aggiunge Meloni - abbiamo scoperto che in assenza di gravità i monociti (le sentinelle del sistema immunitario) si modificano. Il citoscheletro di queste cellule si deforma, soprattutto i filamenti actinici, riducendone le capacità di movimento. Per questa ragione non sono più in grado di «abbracciare» i linfociti T per trasmettergli l’allarme dell’invasione di virus, batteri o altri patogeni che vanno combattuti dal sistema immunitario.
 
 
 
 
 

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