Domenica 6 aprile 2008

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 aprile 2008
Rassegna stampa a cura dell’Ufficio stampa e web
Segnalati  7  articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna
1 – L’Unione Sarda
Cultura Pagina 56

Medicina. I massimi esperti a confronto nella tavola rotonda che si è svolta ieri a Cagliari
Allarme diabete: in Sardegna è epidemia
Ha un tasso sei volte più alto rispetto alla media, ma questa malattia autoimmune si può curare

Se in una regione, negli ultimi 60 anni, una malattia cresce di oltre 15 volte all’anno e presenta un tasso sei volte più alto rispetto alla media nazionale, di cosa si può che parlare se non di epidemia? La malattia è il diabete mellito di tipo 1 e la regione è la Sardegna. Per questo l’interesse degli esperti di malattie metaboliche, di genetica e di immunologia è da tempo puntato sull’isola. I risultati della ricerca e dell’innovazione diagnostica e terapeutica sono stati gli argomenti del convegno Il Diabete mellito di tipo 1, oltre il futuro , che si è svolto ieri a Cagliari. Al simposio, organizzato dall’associazione Diabete mellito e celiachia Sardegna (Adms) con la supervisione scientifica di Marco Songini, direttore della Struttura Complessa di Diabetologia dell’azienda ospedaliera Brotzu, hanno partecipato alcuni esperti di rilievo internazionale, di fronte a un pubblico numeroso e attento.
«La Sardegna», ha spiegato Marco Songini, «non solo si conferma una delle aree con la più elevata frequenza di diabete di tipo 1 a livello mondiale, ma dimostra anche un elevato rischio per altre patologie autoimmuni, in particolare la malattia celiaca e la sclerosi multipla. Questa situazione rende la Sardegna un osservatorio epidemiologico unico per comprendere le dinamiche alla base dell’autoimmunità. Lo sviluppo di strategie di prevenzione, che avranno lo scopo di impedire l’inizio dell’aggressione autoimmune o di interrompere la sua progressione verso la malattia conclamata, sono l’obiettivo delle ricerche più avanzate.»
Ma cosa significa malattia autoimmune e qual è il ruolo dei genetisti in questo campo? Lo ha spiegato Francesco Cucca, docente di Genetica Medica all’Università di Sassari e responsabile del Laboratorio di Immunogenetica di Sardegna Ricerche a Pula: «Il diabete di tipo 1 si definisce malattia autoimmune in quanto è lo stesso organismo a distruggere le proprie betacellule pancreatiche, determinando una seria carenza di insulina. Il diabete è comune nelle popolazioni europee e di origine europea e mostra la più alta incidenza al mondo in Sardegna e in Finlandia. Il rischio di malattia è determinato dall’azione congiunta di più varianti genetiche predisponenti, in parte identificate, in presenza di fattori ambientali permissivi ancora del tutto sconosciuti».
E proprio il fatto che il diabete non è causato da un gene solo rende particolarmente impegnativo lo studio degli aspetti predisponenti e di quelli protettivi: «In collaborazione con il Centro Sclerosi Multipla dell’Università di Cagliari, guidato da Maria Giovanna Marrosu, del progetto Progenia dell’Inn-Cnr, della Clinica Neurologia di Sassari e dei Centri di cura del diabete», ha spiegato Cucca, «stiamo analizzando 2 mila diabetici e altrettante persone affette da sclerosi multipla. Questo sforzo senza precedenti punta all’identificazione dei fattori genetici di rischio».
Massimo Pietropaolo (direttore del laboratorio di immunogenetica e del Centro di ricerca del diabete di tipo 1 di Ann Arbor, Michigan) ha sottolineato l’importanza della diagnosi precoce della malattia: «In Europa e negli Usa stiamo iniziando a usare marcatori che ci consentono di identificare l’80 per cento dei soggetti a rischio per poi sottoporli a strategie in grado di bloccare l’insorgenza della fase acuta della malattia».
Luca Inverardi (direttore del Centro di trapianto cellulare e del Centro di ricerca sul diabete della Miller School of Medicine, Miami, Florida) ha illustrato il trapianto di isole di Langerhans o isole pancreatiche: gruppi di cellule, presenti nel pancreas, specializzate nella produzione di ormoni, fra cui l’insulina. «Oggi», ha spiegato Inverardi, «effettuiamo i trapianti su persone con severe e frequenti ipoglicemie. Alcuni pazienti dopo il trapianto stanno benissimo, altri manifestano effetti indesiderati: i nostri sforzi sono rivolti alla riduzione delle complicazioni».
Ma la cura del futuro, per Massimo Trucco (direttore della Divisione di immunogenetica al Children’s Hospital di Pittsburgh, Pennsylvania), risiede nel potenziare le naturali capacità di risanamento: «Stiamo cercando di fare in modo che anche nel pancreas malato si possano generare quantità di insulina sufficienti. Siamo già al trial clinico».
Queste sono le frontiere più avanzate. Ma il presente, come sottolinea Per Paolo Pusceddu, Direttore della Struttura Complessa di Pediatria del Brotzu, è fatto ancora di scarsa informazione: «Se in famiglia si prestasse attenzione ai segni premonitori, come aumento della diuresi, crescita dell’appetito e della sete, dimagrimento, il riconoscimento della malattia sarebbe molto più precoce: servirebbe una grande campagna di educazione sanitaria e alimentare». Parere condiviso dal presidente dell’Adms, Francesco Pili: «Le difficoltà che si manifestano quando il bambino va a scuola dimostrano l’importanza della preparazione e dell’informazione: ci sarebbe bisogno di una campagna informativa, come fu fatto con successo anni fa per il favismo e la talassemia. La Sardegna può e deve essere in questo una regione pilota». Osservazioni raccolte dal direttore del Servizio assistenza ospedaliera e Osservatorio Epidemiologico Regionale, Giuseppe Sechi, il quale ha ricordato la recente introduzione, nel contratto dei medici di base, dell’assistenza integrata ai diabetici.
ANDREA MAMELI
 

3 - La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari

Convegno. Colpisce i bimbi
Diabete 1, la speranza è la ricerca
Il rischio di ammalarsi può essere scoperto nell’80% dei casi




CAGLIARI. Diabete di tipo 1: la Sardegna insieme alla Finlandia detiene il primato della più alta diffusione in Europa. Eppure le istituzioni fanno ancora troppo poco per aiutare le famiglie alle prese con bambini che ne sono affetti. Il diabete di tipo 1, quello che colpisce prevalentemente i bambini e gli adolescenti, è stato ieri al centro di “Il diabete mellito di tipo 1, oltre il futuro”, affollato incontro organizzato dall’Adms (Associazione per il diabete mellito Sardegna) nella Banca Cis, per capire quali terapie può riservare il domani. L’idea della gravità del problema in Sardegna la danno pochi numeri: basti pensare, dice Massimo Pietropaolo, docente all’Università del Michigan e tra i maggiori esperti al mondo della materia, che se negli Stati Uniti la malattia ha un’incidenza del 12 per mille, «in Sardegna la media è trenta, anche quaranta volte più alta». I motivi? Vanno ricercati in fattori genetici, va avanti Pietropaolo, senza escludere però neppure i fattori poligenici. Una volta che la malattia si manifesta per la famiglia del bambino che ne soffre lo sconvolgimento è totale, al punto che, dice sicuro Francesco Pili, presidente provinciale dell’Adms, «il diabete va considerato una vera e propria patologia sociale». Mica facile, infatti, andare tutti i giorni nella scuola del bambino per fargli l’insulina e rivoluzionare così i ritmi di vita. «Devono farlo per forza i genitori - aggiunge con un certo rammarico Pili - perché in questo senso da parte delle istituzioni non arriva alcun tipo d’aiuto: il bambino non sa autogestirsi e a scuola non c’è personale incaricato di seguirlo». Data la situazione molte speranze sono riversate sul diabetologo che, dice ancora Pili, «è come un abito che ti devi cucire addosso, perché bisogna imparare a costruire con lui un rapporto saldo». Per il futuro le aspettative sono legate all’esito di alcune ricerche. «Con dei marcatori specifici - dice Massimo Pietropaolo - oggi è possibile predire la malattia sino all’80 per cento».
Al momento sono in fase di sperimentazione alcune terapie che, svolte su un soggetto considerato a rischio, potrebbero impedire il sorgere della patologia. «Non bisogna però dare illusioni - tiene a rimarcare Pietropaolo -. Prima di cantare vittoria, aspettiamo l’esito degli studi».
Sabrina Zedda
 
3 - La Nuova Sardegna
Pagina 15 - Cagliari

Dalla Cisal una lettera a Soru
«Dove sono finiti i dati sulle neoplasie rilevati nella zona?»
Le grandi potenzialità dell’allevamento con la rassegna della razza frisona (ieri) e degli ovini che saranno presentati oggi



PORTOVESME. Dopo tre anni di attesa la segreteria regionale di FederEnergia-Cisal ha invitato il presidente della giunta regionale Renato Soru, l’assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin e i ricercatori dell’Università di Cagliari incaricati di effettuare uno studio “Sui fattori ambientali ed occupazionali delle neoplasie polmonari, vescicali e pancreatiche rilevati nelle aziende ricadenti nel territorio di competenza della Asl 7 di Carbonia”, a rendere noti i risultati della ricerca, dello screening, prevenzione ed educazione sanitaria in Sardegna.
«Per questa indagine - sostiene Dino Madeddu - sono state impiegate ingenti risorse pubbliche e nessuno conosce quali siano stati i risultati raggiunti. Ci chiediamo quali siano state le fonti ambientali (sedi di residenza o posto di lavoro) o occupazionali (mansioni) che hanno generato neoplasie e quale pubblicazione scientifica è seguita allo studio epidemiologico e se, alla fine dello studio, è seguito un effettivo coordinamento ed un riscontro per fornire indicazioni di prevenzione primaria o prescrizioni compartimentali finalizzate alla sicurezza in fabbrica e nei centri limitrofi».
La richiesta del sindacalista è finalizzata a poter disporre di indicazioni valide maturate a seguito di quell’inchiesta che non doveva rimanere, data la gravità dei problemi ad usi non comunicati. Alcuni risultati erano stati forniti dall’assessore regionale alla Sanità nel corso di un convegno tenutosi a Carbonia, sulla piombemia negli scolaretti di Carbonia, Portoscuso e Sant’Antioco. Le schede ricavate dall’analisi del sangue dei bambini erano allarmanti ma a quella seduta non è seguito alcun intervento concreto. «Ci sono comportamenti contrastanti - aggiunge Dino Madeddu - quando qualche operaio, colpito da gravi malattie, si rivolge al reparto di medicina del lavoro del policlinico dell’Università di Cagliari (alcuni docenti sono coinvolti nell’indagine commissionata dalla Regione), rimandano al medico di base di effettuare le conclusioni sulle malattie polmonari. In questi accertamenti non viene data garanzia sull’effettiva patologia».
In definitiva i lavoratori di Portovesme lamentano che spesso si usa il condizionale per definire la patologia accertata dagli esperti. (ea)
 
4 - La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari


La miglior scuola fuori regione al Politecnico è stata il Pacinotti
L’università milanese esamina studenti e istituti

CAGLIARI. Il liceo scientifico Pacinotti di Cagliari è stato premiato come migliore scuola «fuori regione» per il test di architettura/design nell’ambito del progetto del Politecnico di Milano PoliTest Top schools.
La Sardegna è largamente rappresentata tra gli studenti del Politecnico: gli iscritti sono infatti duecentoquattordici (cinquantaquattro da Cagliari e provincia), di cui cinquantasei entrati nell’anno accademico 2007-08. Il PoliTest Top schools premia gli istituti medi superiori da cui provengono i migliori studenti immatricolati nell’anno. Le scuole sono state individuate in base al numero di immatricolati e alla qualità dei risultati ottenuti alle prove di ammissione.
I premi sono divisi in categorie rispetto alla tipologia di test superato, mentre le scuole sono raggruppate a seconda del loro indirizzo: c’è il liceo scientifico, quello classico, l’istituto d’Arte, l’istituto tecnico e, come categoria a parte, le scuole di fuori regione. Premiati anche l’istituto con i migliori studenti «in assoluto».
Quest’anno c’è stata anche una novità aggiuntiva: sono stati premiati gli studenti che hanno ottenuto il miglior risultato nei test per l’accesso alle facoltà di Ingegneria e di Architettura.

5 - La Nuova Sardegna
Pagina 38 - Cultura e Spettacoli


Il libro di Salvatore Mannuzzu che raccoglie il testo della lectio magistralis tenuta a Sassari nel 2004
Giobbe», l’arte dello scrivere
Il lacerante dialogo con una divinità inafferrabile



Una riflessione sulla scrittura, sul lutto, sulle passioni: nel segno della reticenza

ALBERTO CAPITTA


Giobbe seduto in mezzo alla cenere intento a grattarsi la piaga maligna con un coccio. Può essere questo il fotogramma più fedele da cui partire per discorrere del «Giobbe» di Salvatore Mannuzzu fresco di stampa. Da qui si diparte tutto. Si diparte per prima cosa la lectio magistralis tenuta dallo scrittore nel 2004 all’Università di Sassari in occasione della laurea honoris causa conferitagli. Il libro la riporta per intero. Per volare poi lontano, o intorno, ed è un sorvolare i campi della scrittura, della nostalgia, dei linguaggi, del lutto, delle passioni incandescenti, dell’adorata reticenza.
Giobbe dunque. Giobbe campione di desiderio. Desiderio che è, insieme, premio, tentazione e prova. Mannuzzu ci avverte che «l’etimologia della parola è trasparente: de-sidera, nostalgia delle stelle, da parte di chi le ha abbandonate. E a questa nostalgia, non solo alle cose desiderate, gli umani devono cercare di dare un senso: perché li aspetta la morte».
Così ha inizio il viaggio. Le parole ci accompagnano verso il mondo di Giobbe: «Il teatro dell’azione è una regione tra Edom e Arabia, a sud-est della Palestina. Siamo nel paese di Esaù». Ma al tempo stesso, e forse più, è un viaggio nello scrittore, nell’uomo «perché sempre più Giobbe ricopre con la sua ombra e col suo esempio l’immagine che io ho della vita». - Le domande sono alte, altissime. «Perché mi tocca questo?, Che ho fatto di male? E anche chi crede in Dio domanda: Ma Dio dov’è?» - È ciò che Giobbe si chiede ed è ciò che i molti gridano nei momenti di sofferenza «è l’anima muta di popoli interi ridotti alla disperazione che leva, così, il suo lamento». - L’attualità della bestemmia avvolge ogni parola. Mannuzzu accetta la tentazione (il desiderio, la prova), si cala nella notte di Giobbe contro Dio, quel Dio così puro e giusto che semina ingiustizie. È un corpo a corpo violento da cui di tanto in tanto lo scrittore e l’uomo sembra sollevarsi per osservare il paesaggio gelato dalla paralisi della fede.
E si domanda: «Esiste negli uomini l’amore gratuito? Può Giobbe amare Dio malgrado tutte le sue disgrazie?» - Poco a poco veniamo introdotti a un mondo di lettere profonde, come se quelle, alfine, fossero le acque in cui tutto finisse per andare poi a decantare: Giobbe piagato e inzaccherato di cenere, i suoi lamenti, il processo a Dio, l’apparizione stessa di Dio sembrano e sono abbracciate da questa foresta di lettere. È un mondo che Mannuzzu ci racconta assai bene, con dovizia di riferimenti e puntualizzazioni. Sotto la sua penna si muovono le storie degli amanuensi, delle loro attività certosine, delle traduzioni, delle mille interpretazioni, dei santi, delle tradizioni orali, delle vite spese nello studio dei testi sacri. Ognuno chino sul proprio lavoro, ognuno sprofondato nel suo personale mistero delle fonti. Questo è il mondo nel quale veniamo introdotti. Un mondo di apparizioni improvvise, di rivelazioni, di bambine sante, di suppliche e di proteste. «Giobbe protesta dal basso, dal profondo-de profundis. Dal livello della polvere e della cenere (...) protesta il suo dolore (...). Giobbe è il suo dolore». Siamo nel cuore della lectio magistralis. Il suo autore ci conduce in una zona priva di punti di riferimento, di appoggi, entriamo nella tenebra della fede che vacilla. La mancanza totale di luce ricopre le parole di un nitore raro: «E’ la notte oscura, la notte dell’assenza di Dio, nella quale ogni desiderio degli uomini risuona vano, la notte dello Spirito, la notte orrenda. (...) la notte nella quale Teresa di Lisieux ha trascorso l’ultimo anno e mezzo della sua breve esistenza di santa bambina (...), è la notte in cui la vita non ha senso. È l’ora delle tenebre nell’orto di Getsemani, quando Dio non risponde; è il buio che si fa sul Calvario quando Gesù grida: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato»”
È la notte delle tenebre. L’ora del processo a Dio. Entriamo nella mente combattuta di Giobbe: «Sono versi straordinari: Io so che il mio Vendicatore è vivo (...) dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio». - Le parole della Lectio ci precipitano in un universo di spaesanti suggestioni in cui si mescolano le nostalgie, quella dell’uomo per Dio e quella di Dio per l’uomo. Spaesanti suggestioni, paesaggi dominati dal desiderio, giacché a quello si ritorna. A quello tutto torna. “Io credo che rimanere all’altezza irraggiungibile del desiderio - del desiderio inappagato, mai pacificato-, sia la vocazione più vera della vita, e insieme della letteratura».
E di letteratura Mannuzzu parla, e a lungo, nel libro, chiuso il capitolo della lectio magistralis. È un discorrere a tutto campo. Piove sulla scrittura ed è una benedizione. Lo stesso autore ce lo confida: «Se non esistessero pioggia e neve non scriverei». - È una pioggia che ha bagnato da sempre i suoi personaggi, scintillanti di acqua e di nichilismo, quei personaggi che sembrano brillare proprio per assenza di fede, che si accendono più di oscurità che di grazia, la Grazia. È un raccontarsi, di sé, degli inizi, della storia e della Storia e ancora di scrittura. Le parole hanno l’effetto di una trasfigurazione pittorica in cui regna il nero, colore di reticenza: «La reticenza è un espediente retorico: è come il nero in pittura». È dentro questo affresco che ci inoltriamo. È un confessarsi, per quanto lo scrittore, citando Kafka, ci ammonisca che confessione e bugia sono la stessa cosa. È una continua trappola, dunque, che ci viene tesa. Un continuo deviarci, farci distogliere l’attenzione dal vero oggetto. Aliud pro alio, qualcosa per qualcos’altro. D’altro canto, lo dice lo stesso autore: «La partita di scrivere è una partita di carambola: per toccare -sperare di toccare- la palla cui miriamo bisogna colpirne un’altra».
È un discorrere a tutto campo. Sono passi importanti. Mannuzzu parla accoratamente della sua fede e del suo dio, ma ciò che illumina la pagina è la citazione, tratta dal Corano, del dio di un’altra confessione: «Allah ti sta più vicino della tua vena giugulare». Ed è questa apertura, questa lealtà intellettuale e spirituale a rendere il libro attraente, è questo scrivere affidandosi semplicemente al proprio dolore, scrivere in punta di coccio passando e ripassando la penna sulla piaga.
Ecco, concludo. Finisce questo mio viaggio tra paesaggi di cenere. Ho appuntato e riferito, cercando di fare del mio meglio dal mio piccolo osservatorio di miscredente. Non è stato certo un addentrarmi in spericolate analisi del testo, non ne avrei avuto gli strumenti. Solo passeggiarci un po’ dentro, questo sì. Insomma, per dirla ancora con le parole dell’autore di Giobbe: «né io né voi fingeremo che io sia chi non sono: certo nessuno si aspetta da me un’esercitazione accademica; e io non mi proverò a svolgerla, mancandomene del tutto i mezzi».
 
6 - La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari

di Silvia Sanna

Una casa dello studente nell’ex manicomio
La Asl è disposta a cedere all’Ersu una fetta inutilizzata dell’area di via Rizzeddu


Alloggi e impianti sportivi nella parte del parco che si affaccia su via Turati dove verrà ricavato un ingresso per consentire il libero accesso. Il Puc prevede la nuova destinazione d’uso



SASSARI. La Asl mette a disposizione una fetta di patrimonio, l’Ersu è pronto ad accoglierlo. L’azienda sanitaria vuole cedere tre edifici inutilizzati che si trovano all’interno dell’area di Rizzeddu, un tempo sede dell’ospedale psichiatrico. L’Ente per il diritto allo studio universitario si prepara a disegnare un campus nel cuore della città: in cantiere alloggi, sale di lettura, una palestra e spazi ricreativi. In programma anche il recupero delle oasi di verde da arricchire con piccoli impianti sportivi. L’amministrazione comunale ha già dato la sua benedizione, si attende solo il responso della Regione.
Le palazzine individuate si trovano nell’area confinante con via Turati. Il piano dell’Ersu prevede di ricavare un ingresso su quel lato, in modo da collegare il campus con la fermata degli autobus e accogliere i tanti studenti pendolari. Nei pressi c’è la mensa universitaria di via Dei Mille, a breve distanza anche le facoltà di Agraria, Medicina e Veterinaria. Una posizione assolutamente baricentrica, che fa gola al presidente dell’Ersu Antonello Mattone. Il discorso è iniziato un paio di settimane fa ma è già arrivato a una fase importante. Al punto che entro il mese di aprile si saprà se il progetto è realizzabile. Dipenderà dalla risposta della Regione: i vertici dell’Ersu illustreranno la proposta della Asl all’assessore alla Pubblica istruzione Maria Antonietta Mongiu, entrando nel dettaglio dei costi dell’operazione. La Asl, dal canto suo, non ha alcun interesse nei confronti delle tre palazzine, perchè le attività di tipo sanitario hanno già trovato collocazione negli altri edifici all’ingresso e nella zona centrale dell’area di via Rizzeddu. Sugli oltre quattro ettari di terreno, dalla fine degli anni ‘90 l’azienda sanitaria ha avviato un importante intervento di restauro conservativo, che ha restituito la bellezza delle origini a diverse costruzioni in stile liberty. Gli esperti hanno lavorato sotto gli occhi attenti della Soprintendenza, che ha vincolato l’intera area come testimonianza storica e culturale fondamentale. Che, proprio per questo motivo, deve poter essere goduta da tutti. Dice Giovanni Battista Mele, direttore generale della Asl: «Vogliamo che i cittadini si riapproprino di questo patrimonio. Per questo apriremo il complesso al pubblico, in particolare il parco, attraverso l’eliminazione dei muri divisori». Sparite definitivamente le barriere, potrebbero essere gli universitari i primi a sgambettare liberamente sull’erbetta o a preparare un esame all’interno delle stanze dell’ex manicomio.
L’Ersu, che attualmente può contare su 550 posti letto distribuiti in diverse residenze universitarie, punta a raggiungere quota 1000. Un tetto che consentirebbe di soddisfare la richiesta pressante che arriva dai fuorisede. Con il recupero delle tre palazzine ci andrebbe vicino. In cantiere ci sono infatti dai 150 ai 200 alloggi nuovi di zecca, ricavati all’interno di un contesto pensato a misura di studente universitario. In particolare del pendolare, che potrebbe contare su sale di lettura, caffetteria, locali con postazioni Internet e spazi relax. Senza dimenticare l’attività sportiva, al coperto e all’aperto: nell’area, che già ospita un campo di calcio, potrebbero arrivare una palestra e altre oasi del benessere immerse nel verde.
Il Comune guarda l’idea di buon occhio. Nel corso delle audizioni in commissione Urbanistica, la proposta è stata accolta positivamente dalla maggioranza come dall’opposizione. E anche l’assessore all’Urbanistica Valerio Meloni ha detto che si rivelerebbe vantaggiosa per la città intera. I tecnici sono pronti a intervenire nelle carte del Puc. Perchè l’operazione vada in porto, è indispensabile disporre la modifica di destinazione d’uso della fetta di parco che si affaccia su via Turati. Nel piano urbanistico, i quattro ettari sono classificati come G 1.2.1 (laboratori, ospedali e cliniche). Il cambiamento sarà quasi impercettibile, basterà invertire due numeri: la quota di terreno che passerà all’Ersu diventerà zona G 1.1.2, riservata in esclusiva a Università e residenze studentesche.
 
7 - La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
Cittadinanza italiana per David Harris
Azienda mista, nei prossimi giorni la notifica del provvedimento


SASSARI. La Regione non sembra intenzionata a rinunciare alla nomina di David Harris quale direttore generale dell’azienda mista ospedale-università. Tanto più ora che arrivano le prime conferme sulla «sistemazione» dei requisiti contestati. Il primo tassello che torna a posto è quello della cittadinanza italiana.
Ieri, infatti, in ambienti ufficiali è circolata la notizia della definizione della pratica. La conferma, quindi, del percorso avviato che - tra l’altro - dovrebbe prevedere anche il riconoscimento del titolo della laurea. A quel punto il presidente della giunta regionale potrebbe emettere un nuovo decreto e consentire al manager anglo-statunitense (attuale direttore amministrativo) di assumere l’incarico di direttore generale dell’azienda mista. Ieri, a conclusione di una luna mattinata nel corso della quale è stato impegnato in un corso, David Harris ha spiegato di non avere ricevuto ancora alcuna comunicazione ufficiale in merito alla cittadinanza italiana.
«Per come è andata finora questa vicenda - ha detto - preferisco attendere gli atti ufficiali. Ho sentito dire che il prefetto sta per convocarmi per la notifica del provvedimento. Ma al momento non ho ricevuto ancora la comunicazione. Sono però fiducioso che avvenga molto presto».
David Harris non ne fa un dramma, anzi continua a ribadire la sua piena disponibilità a lavorare per il bene dell’azienda e raggiungere l’obiettivo di migliorare davvero la sanità sassarese.
Nei giorni scorsi aveva chiarito di avere lavorato a lungo in Italia e di avere visto sempre accettati i suoi titoli: «Se avessi saputo tutto questo nel 2004, quando ho presentato la domanda di iscrizione all’albo, avrei già avuto la cittadinanza italiana e il riconoscimento della laurea».
Se i tempi dovessero allungarsi per via delle procedure burocratiche (e quindi per l’impossibilità di rendere validi i titoli richiesti) non è escluso che la Regione punti su una soluzione ponte, e si fa il nome dell’ex manager della Asl Bruno Zanaroli. Una scelta non facile, però, perchè si tratta di una nomina che dovrebbe andare bene anche all’Università: per questo è circolato con insistenza anche il nome del rettore Alessandro Maida. (g.b.)





Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie