Venerdì 4 gennaio 2008

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
04 gennaio 2008
Rassegna a cura dell’Ufficio Stampa e Web
Segnalati 4 articoli dalle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna
1 – L’Unione Sarda
Week Viaggi Pagina 29
Reportage
L’antico profumo di civraxiu
di Patrizia Mocci
 
Tra il monte Arci e il Grighine l’ arte bianca si tramanda di generazione in generazione. Non ci si deve stupire, allora, se molte fanciulle, dopo aver visto madri e nonne impastare semola, acqua e lievito naturale, si cimentano nella preparazione del pane tipico: su civraxiu e su coccoi . Anche a costo di sacrifici che non sempre i giovani fanno volentieri, come per esempio, alzarsi praticamente nel cuore della notte per cominciare la preparazione del pane artigianale.
CITTÀ DEL PANE In un’area ricca di vigneti, uliveti e campi di grano, a venti chilometri da Oristano, sorge Villaurbana, proclamata dal 2002 Città del Pane. Il paese, cioè, è entrato nel circuito nazionale per la valorizzazione del pane casereccio che complessivamente conta una trentina di città, di cui tre in Sardegna: Gonnosfanadiga, Ozieri e, appunto, Villaurbana. Nel paese ai piedi del Grighine, che ha circa 1800 abitanti, quest’arte antica viene mantenuta viva da un centinaio di donne: proprio come si faceva in passato, preparano il pane per la famiglia in modo da averlo per tutta la settimana. Una così vasta attività giustifica la presenza nel paese di due mulini, quelli di Liliana Zucca (con un’antica macina) ed Emilia Pau, che lavorano a pieno ritmo il grano prodotto nella zona (Villaurbana, Siamanna, Simaxis) e in Marmilla. Sì, perché una delle peculiarità del pane di Villaurbana è proprio il grano: le donne lavorano la qualità “Capelli”, perché ritengono sia il migliore per ottenere la farina e la semola che poi diventeranno civraxiu e coccoi .
LIEVITAZIONE NATURALE Quel pane ha una fragranza e una consistenza particolari anche grazie alla cottura, rigorosamente nel forno a legna, e all’utilizzo di lievito naturale, tutt’altra cosa rispetto al lievito di birra. «La lievitazione naturale è un elemento che caratterizza tutto il processo della panificazione tradizionale» spiega Giovanni Antonio Farris, docente di biotecnologie delle fermentazioni all’università di Sassari. «Il lievito naturale altro non è che una porzione di pasta acida messa da parte in una lavorazione e utilizzata in quella successiva. Questo tipo di trasformazione rappresenta uno dei processi biotecnologici più antichi. La pasta acida è una miscela di farina e acqua che fermenta spontaneamente grazie all’intervento dei microrganismi presenti nelle materie prime e nell’ambiente: dopo una serie di rinfreschi, che consistono nell’aggiunta di farina e acqua, l’impasto acidifica e acquisisce capacità lievitante. Una porzione dell’impasto (madre) viene utilizzata per la panificazione, mentre la parte che resta si conserva per quella successiva».
IL LABORATORIO Una procedura antica applicata quotidianamente dagli operatori del laboratorio qualificato “Sa pabia e su fruconi” che da qualche tempo dall’arte di fare il pane ha creato un’impresa. «Per me è stata una cosa naturale, visto che per anni ho visto mia madre impastare farina, acqua e sale» racconta Rosella Pinna, giovane titolare del laboratorio. «Abbiamo pensato che potesse diventare un’attività e abbiamo cominciato a produrre coccoi e civraxiu da confezionare e mettere in vendita in alcuni supermercati». L’idea, naturalmente, è piaciuta prima di tutto ai titolari dei punti vendita della zona, poi ai consumatori. «Tanta fatica e tanto lavoro vengono ripagati quando senti i commenti di chi acquista i nostri prodotti» confessa Rosella Pinna. «C’è grande soddisfazione quando senti dire che il nostro pane ha il profumo e il gusto di quello di una volta. In quel momento il fatto di doversi alzare anche alle 3 del mattino per cominciare le operazioni non pesa più di tanto».
LA FILIERA DEL PANE L’esperienza di questo laboratorio ha offerto uno spunto agli amministratori comunali: perché non creare una fonte di reddito stabile anche per altre famiglie? E così è partita l’idea di una filiera del pane casereccio che possa mettere insieme gli agricoltori, i mugnai e le panificatrici per salvaguardare e continuare a mantenere viva questa tipicità. All’interno, secondo il progetto del Comune, c’è la nascita di due laboratori da dare in gestione a un gruppo di donne che conoscono i segreti dell’ arte bianca , ma che, a causa delle difficoltà, non hanno la possibilità economica di creare un’impresa. A sostegno della filiera ci sarà una struttura che diventerà la Casa del pane. «L’edificio individuato è inserito in un contesto architettonico di pregio» spiega il sindaco Luca Casula. «È la Casa Lai, una casa campidanese che risale ai primi del Novecento, ristrutturata nel rispetto dell’originaria struttura e con materiali originali. La Casa del pane dovrà rappresentare il fulcro culturale e scientifico del più ampio progetto di filiera e in essa si dovranno integrare l’aspetto della tradizione culturale con quello scientifico della produzione tipica. In altre parole, dovrebbe essere una sorta di percorso integrato in cui il visitatore, oltre che ammirare l’esposizione, potrà vedere e, nel caso volesse, partecipare alla preparazione e alla lavorazione dell’impasto e della cottura del pane».
IL CONCORSO DI IDEE Il percorso, secondo il progetto degli amministratori, dovrà articolarsi in tre parti fondamentali: quella espositiva, in cui saranno raccolti i diversi tipi di pane prodotti non solo a Villaurbana, ma anche nel resto dell’Isola, accanto alle produzioni più rappresentative dei Paesi del Mediterraneo. Poi ci saranno la parte produttiva, con la realizzazione di un laboratorio per la panificazione del pane tradizionale, e quella didattico-scientifica, con postazioni multimediali in cui sarà possibile apprendere la storia e l’illustrazione del processo produttivo e le proprietà nutrizionali del pane. «Per realizzare questo allestimento» dice ancora il sindaco Casula, «abbiamo bandito un concorso di idee, che scade fra qualche giorno, al quale hanno già aderito numerosi professionisti, compresi alcuni della Penisola che hanno mostrato grande interesse».
Fanno da contorno alcune iniziative promosse dalla Pro loco, con il sostegno del Comune: la sagra “ Su pai fattu in domu ”, che, giunta alla decima edizione nel 2007, si è arricchita di una mostra allestita nella vecchia casa del pane; una esposizione che racconta tutte le fasi di lavorazione, con uno sguardo sempre rivolto al passato, con l’esposizione degli attrezzi e delle decorazioni che si usavano per i buoi. Di rilievo, l’iniziativa di un’associazione culturale nata pochi mesi fa con l’obiettivo di recuperare le tradizioni della lavorazione agricola, una su tutte la semina a mano. Per questo motivo recentemente è stata acquistata una trebbia antica che sarà utilizzata a luglio per riproporre la mietitura del passato. 
 
2 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 48
Sassari. Esautorato dopo aver accettato un incarico in un altro ente: decide il giudice del lavoro
Il Consigliere contro il Magnifico
Cda dell’Ateneo: Temussi attacca il rettore Maida
 
Per la composizione del Cda dell’Ateneo deciderà un giudice del lavoro. L’otto gennaio davanti al magistrato si discuterà del ricorso presentato da Massimo Temussi contro la decisione del rettore Alessandro Maida di esautorarlo dal consiglio di amministrazione.
Da una parte il dipendente ribelle Temussi, dall’altra il Magnifico Rettore Maida: scontro a colpi di carte bollate, sentenze e provvedimenti rettoriali. Per la composizione del Cda dell’Ateneo sassarese deciderà un giudice del lavoro. Il prossimo 8 gennaio davanti al magistrato si discuterà del ricorso presentato da Massimo Temussi (consigliere eletto dal personale tecnico amministrativo) contro la decisione del rettore Alessandro Maida di esautorarlo dal consiglio di amministrazione dell’ateneo. Fuori Temussi e dentro il primo dei non eletti: Fausto Pier’Angelo Poddie. Alle carte bollate si è arrivati lo scorso novembre dopo che il Rettore ha dichiarato decaduto il consigliere perché non più dipendente dell’Ateneo. Massimo Temussi (difeso dall’avvocato Cesare Boschi) lo scorso settembre aveva accettato un incarico dirigenziale nell’Azienda mista: il neonato gigante della sanità sassarese composto dall’Asl e dall’Università. Un incarico di prestigio con contratto biennale. L’ex dirigente dell’Ateneo comunica il nuovo incarico il 19 settembre chiedendo l’aspettativa senza assegni. Così avviene: dal 21 settembre non è più nell’organico attivo dell’Università. Collocato in aspettativa, ma «con riconoscimento dell’anzianità di servizio». Per Temussi neppure il tempo di sistemare la carte sulla nuova scrivania che il Magnifico gli toglie la poltrona di consigliere di amministrazione: «Considerando l’articolo 19 dello statuto dell’Università» visto il regolamento; preso atto di; «dal 9 ottobre 2007 il nuovo consigliere d’amministrazione è il primo dei non eletti Pier’Angelo Fausto Poddie, in sostituzione di Massimo Temussi». Destituito, cacciato dalla stanza dei bottoni dell’Università. Da dove si: «Programma, indirizza e controlla la gestione amministrativa, finanziaria, economico -patrimoniale dell’Università, fatte salve le competenze delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio alle quali lo Statuto attribuisce autonomia finanziaria e di spesa. Approva i bilanci dell’Università proposti dal Rettore, sentito il parere del Senato Accademico». La cassa dell’Ateneo e dei suoi 19 mila studenti, sede gemmate a Alghero, Olbia e Ozieri e oltre 700 docenti. La distanza tra i due contendenti è netta. Il Rettore (regolamenti e Statuto alla mano) considera Temussi un ex dipendente. E per questo motivo decaduto dall’incarico di rappresentare il personale tecnico amministrativo all’interno del Cda. Del resto la nuova funzione lo tiene lontano da piazza dell’Università. Temussi invece si sente a tutti gli effetti ancora un dirigente dell’Ateneo: il periodo di aspettativa «non comporta certo la cessazione del servizio, né è ad essa equiparabile. Al contrario, il servizio prosegue, tanto è vero che è riconosciuta l’anzianità di servizio maturata durante tale periodo». Ora deciderà il giudice del lavoro. Carte bollate e avvocati per entrare a far parte di uno dei più influenti Cda del territorio: diciotto potenti consiglieri che amministrano un bilancio a molti zeri. (m. o.) 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Prima Pagina
Sclerosi, scoperto a Sassari il gene per combatterla 
 
SASSARI. Un gene «benigno» metterà al riparo i sardi dalle forme più gravi di sclerosi multipla. Dopo tre anni di ricerca su centinaia di pazienti, in Sardegna e in altre parti del mondo, gli studiosi dell’università di Sassari hanno infatti individuato un gene che consentirà cure particolarmente efficaci nelle forme più severe di una malattia autoimmune fra le più insidiose. Una patologia di cui ancora oggi non si conosce la causa e che pone la Sardegna fra le regioni europee a più alta incidenza di casi, seconda soltanto alla Scozia.
 
Pagina 3 - Fatto del giorno
Sclerosi multipla, il decorso si può fermare 
Scoperto un gene che consentirà di modulare progressivamente le cure 
di Gabriella Grimaldi 
 
SASSARI. Un gene «benigno» metterà al riparo i sardi dalle forme più gravi di sclerosi multipla. Dopo tre anni di ricerca su centinaia di campioni di sangue di pazienti ammalati, in Sardegna e in altre parti del mondo, gli studiosi dell’Università di Sassari hanno infatti individuato un gene che consentirà cure particolarmente efficaci nelle forme più severe di una malattia autoimmune fra le più insidiose. Una patologia di cui oggi non si conosce la causa e che pone la Sardegna fra le regioni europee a più alta incidenza di casi, seconda soltanto a un angolo della Scozia.
 A rendere noti in tutto il mondo scientifico gli importanti risultati della ricerca è stata, nel numero di dicembre, la prestigiosa rivista di medicina americana Proceedings National Academy of Science. Una grande soddisfazione per lo staff dell’istituto di Neurologia dell’università di Sassari guidato da Giulio Rosati (che è anche preside della facoltà di Medicina) e per i ricercatori Stefano Sotgiu e Maura Pugliatti che da anni svolgono indagini scientifiche ad ampio spettro sulle cause che determinano l’eccezionale suscettibilità (una sorta di predisposizione genetica) alla sclerosi multipla tipica della popolazione sarda.
 Gli studi stanno dunque portando a risultati interessanti che balzano ora all’attenzione del mondo scientifico.
 «Abbiamo condotto gli studi assieme ai laboratori del dipartimento di neurologia dell’università di Oxford guidato dal genetista George Ebers - spiega Stefano Sotgiu -. La proposta, tre anni fa, è partita da noi che avevamo necessità dell’appoggio di una struttura formidabile come quella inglese. Devo dire che l’idea è stata subito presa in esame e accettata. Abbiamo così analizzato un grande numero di campioni di sangue alla ricerca di similitudini e analogie nelle combinazioni dei geni e finalmente siamo arrivati alla conferma della tesi iniziale».
 In sostanza i ricercatori hanno osservato che i pazienti con la forma «benigna» di malattia (cioè scarsamente disabilitante nell’arco temporale di 15 anni) posseggono dei geni «protettivi» all’interno del cromosoma 6, chiamati HLA-DRB1. Tali geni sono invece pressoché assenti nei pazienti con decorso di malattia più tumultuoso e invalidante. I risultati ottenuti costituiscono un importantissimo tassello nell’intricato puzzle genetico della malattia pur avendo al momento un’applicazione clinica limitata. Lo studio è stato eseguito su 500 pazienti di cui circa la metà sono in cura nella clinica dell’università di Sassari.
 «È chiaro - spiega Sotgiu - che, sapendo già dall’insorgere della malattia quale decorso avrà, si potranno applicare le terapie più indicate. In altre parole se un paziente fosse destinato a una forma patologica particolarmente severa potremmo trattarlo dall’inizio con dosaggi adatti ad attenuare gli effetti più gravi». Si arriverebbe quindi a un maggiore controllo dell’evolversi della malattia. In un futuro prossimo di applicazione terapeutica delle tecniche di ingegneria genetica, poi, si potrebbe pensare a rinforzare i geni della «benignità» nelle persone affette da questa malattia.
 La sclerosi multipla è la patologia neurologica disabilitante più frequente fra i giovani dopo i traumatismi della strada. Le cause della malattia sono purtroppo ancora in gran parte ignote. Pur essendo generalmente considerata una malattia rara, in Sardegna la sclerosi multipla sta assumendo col tempo una valenza di malattia frequente, probabilmente a causa di un particolare assetto genetico della nostra popolazione. La sclerosi multipla colpisce individui giovani-adulti, in particolare le donne, tra i venti e i trent’anni, in pratica in una fase importantissima della loro vita, quella della programmazione del presente e del futuro. Uno dei drammi psicologici delle persone alle quali la malattia viene diagnosticata, e quindi delle loro famiglie, è infatti l’incertezza sul futuro, inteso come capacità di mantenere autonomia personale, lavorativa e di relazione sociale.
 La sclerosi multipla è considerata tra le più gravi malattie neurologiche disabilitanti. Ha una frequenza di circa 0,8 casi su 1000 persone, soprattutto di origine nord-Europea, con una prevalenza per il sesso femminile due volte maggiore rispetto a quello maschile. Nell’insorgere della sclerosi è stato osservato un forte coinvolgimento dei fattori genetici, con un rischio 20 volte maggiore di sviluppare la malattia nei fratelli gemelli monozigoti. Questo rischio decresce con l’aumentare della distanza genetica (cioè con la riduzione del grado di parentela) dal paziente. Il fatto che la sclerosi multipla sia più diffusa nelle persone di origine nord-europea e meno comune in quelle di origine asiatica o africana, indica una predisposizione genetica su base razziale.
 Tuttavia da precedenti ricerche risulta che fattori ambientali, specie virali, contribuiscono alla comparsa della malattia, talvolta in forme epidemiche, in soggetti o popolazioni geneticamente predisposte. Pertanto, la controversia tra l’ipotesi genetica e quella ambientale fra gli studiosi è ancora accesa. Così si è stabilito che la genesi di questa malattia può essere definita «multifattoriale». Si tratta comunque di una patologia che si ripresenta a cicli e che nelle forme più gravi impedisce i movimenti più elementari, dal camminare al tenere un oggetto tra le mani. Ecco perchè, in tutto il mondo, gli investimenti sulla ricerca relativa a questa malattia non sono trascurabili e l’obiettivo finale dei numerosi studi in corso è quello di individuare il gene responsabile della sclerosi multipla.
 
Pagina 3 - Fatto del giorno
Il caso Sardegna, unico al mondo 
Nel bacino del Mediterraneo è la regione che detiene il primato del numero di malati sul totale della popolazione 
GENETICA Due progetti scientifici coinvolgono la popolazione 
 
 SASSARI. Un caso unico al mondo, la Sardegna, rispetto al principio epidemiologico secondo il quale il bacino del Mediterraneo è a basso rischio di diffusione della sclerosi multipla. È seconda infatti soltanto alla Scozia come numero di ammalati sul totale della popolazione. Fra le ipotesi sulle cause di questo fenomeno c’è quella del corredo genetico dei sardi.
 Non è soltanto la sclerosi multipla a mietere vittime in modo più accentuato che altrove, nella nostra isola. Sono molto elevati i numeri riguardanti anche il diabete di tipo I, la malattia di Wilson e la talassemia beta 39. Per alcune di queste malattie si è trovata una relazione con epidemie del passato, come la malaria, che hanno provocato una selezione genetica e una modifica delle combinazioni del dna nella popolazione isolana.
 Proprio in virtù di queste caratteristiche gruppi di ricerca provenienti da varie parti del mondo hanno avviato studi che, partendo dal genoma dei sardi, dovrebbero portare, fra l’altro, alla individuazione dell’eziogenesi (la causa) di parecchie malattie oggi considerate incurabili.
 In Sardegna è quindi presente un’intensa attività di ricerca sulla genetica che coinvolge la popolazione (caratterizzata da un patrimonio genetico omogeneo) e che riguarda sostanzialmente due progetti: “ProgeNIA” è indirizzato allo studio dell’invecchiamento e delle malattie complesse. Iniziato nel novembre del 2001, è nato dalla collaborazione tra l’università di Cagliari, il National Institute of Aging degli Stati Uniti (che lo finanzia interamente) e il National Institute of Health (NIA-NIH). Vede la partecipazione attiva degli abitanti di Lanusei, Ilbono, Arzana ed Elini (è stato rifinanziato fino al 2011).
 Il progetto “AKeA” (acronimo di “A Kent’Annos”, tradizionale augurio sardo che significa “a cent’anni”), basato sugli studi effettuati a partire dal 1997 dal team del genetista Luca Deiana, fa capo alla cattedra di Biochimica Clinica dell’Università di Sassari e vede la collaborazione del Max-Planck Institute for Demographic Research, Rostock, Germania e dalla Duke University, North Carolina (Usa). Il monitoraggio viene fatto su tutta la popolazione sarda e mira a mettere a fuoco i meccanismi della longevità. In Sardegna, infatti, è stata constatata la presenza di numerosi ultracentenari (nel luglio 2007 erano più di 330), in media circa 22 ogni centomila abitanti, contro una media tra gli 8 e i 10 in altre parti del mondo. Questo rapporto risulta in crescita col passare del tempo, dal momento che nel periodo 1997- ’99 la media era di 13,5 ultracentenari, e nel 2000 era salita a 19. (g.g.)
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
«Quel parcheggio potrebbe essere inutile» 
Il docente di trasporti Italo Meloni critica la scelta di via Roma: «C’erano alternative valide, un’altra decisione approssimativa» 
di Mauro Lissia 
 
 CAGLIARI. Ci siamo, a giorni l’amministrazione comunale assegnerà a un’impresa l’appalto per la costruzione del parcheggio sotterraneo nell’area di via Roma. Ci sono undici milioni e mezzo da spendere, i lavori - salvo prevedibili intoppi - dovrebbero durare due anni. Per il Comune è un’opera risolutiva, destinata a decongestionare il traffico del centro. Per le associazioni ambientaliste si tratta invece di un intervento il cui impatto dev’essere valutato e che potrebbe impantanarsi in problemi prevedibili: dalle emergenze archeologiche legate alla presenza nel sottosuolo del porto romano fino alle bombe delle fortezze volanti americane, piombate su Cagliari in abbondanza e concentrate in buona parte su quella superficie. Comunque sia i lavori paralizzeranno la città senza che il beneficio finale sia certo e soprattutto senza che siano state valutate seriamente le alternative: dall’area dietro l’ex Sem a quella delle Ferrovie, fino all’ipotesi suggestiva di una chiusura al traffico dell’intera area di via Roma-largo Carlo Felice che avrebbe garantito la realizzazione del tanto auspicato centro commerciale naturale. Sulla scelta dell’amministrazione Floris abbiamo sentito Italo Meloni, docente di trasportistica a ingegneria e autorità riconosciuta in una materia talmente attuale da coinvolgere ogni giorno milioni di uomini e donne che per svago o necessità semplicemente si muovono.
 - Professor Meloni, è opportuno realizzare un parcheggio sotterraneo da 650 posti auto in piena via Roma, in un punto si snodo centrale per il traffico urbano?
 «Ho dato al Comune un parere positivo sulla congruità dei posti-auto previsti in rapporto alle esigenze del quartiere, un parere di tipo trasportistico. Ma ho aggiunto che il parcheggio sarà giustificabile solo se poi verrà vietata la sosta in superficie, cosa di cui dubito fortemente».
 - Uno spazio alternativo alle strisce blu di via Roma e del Largo.
 «Esattamente. Altrimenti servirà solo ad attrarre altro traffico nel centro della città. E non mi pare che ce ne sia bisogno».
 - Intanto i lavori di costruzione provocheranno la paralisi della circolazione per tre-quattro anni. Forse di più se salteranno fuori i resti del porto romano.
 «Questo è certo. Ma il punto è un altro: sono state valutate, sulla base di uno studio serio, alternative a questo progetto? Non mi pare».
 - Lei che cosa avrebbe proposto?
 «Un approccio diverso al problema. Un parcheggio del genere è un’opera trasportistica, legata a un progetto di funzionalità. Il comune di Cagliari la considera un’infrastruttura e questo è un errore. Ma è un errore che si ripete, a causa della politica minimalista che viene seguita da sempre nel campo dei trasporti a Cagliari. Si interviene a macchia di leopardo, manca una strategia complessiva».
 - Lei vuol dire che un parcheggio sotterraneo in via Roma non risolve nulla.
 «Appunto, non risolve nulla se non viene inquadrato in una strategia che riguardi l’intero centro della città. Non c’è neppure un piano del traffico, mi pare che l’incarico di studiarlo sia stato conferito dall’assessore Sandro Cosentino nel 1994 ma ancora non è pronto. La sa una cosa? Le norme prevedono che il piano del traffico venga aggiornato ogni due anni, a Cagliari tredici anni non sono bastati a elaborarne uno qualsiasi».
 - Allora su quali basi è stata scelta l’area di via Roma?
 «Questo non lo so, certo le alternative non mancherebbero. Penso all’area delle Ferrovie, a Santa Gilla... non credo che sia stata fatta una valutazione complessiva».
 - Forse, per dare alla città un centro vivibile, sarebbe bastato pedonalizzare via Roma, il Largo e la prima parte di viale Trieste...
 «Lo dice a me? Guardi Firenze, ha un centro storico infinitamente più vasto di Cagliari ed è chiuso al traffico. Pedonalizzare l’area attorno a via Roma sarebbe semplicissimo e non costerebbe nulla. Solo che manca il coraggio e l’impegno».
 - Probabilmente si teme un impatto elettorale negativo...
 «Guardi il corso Vittorio Emanuele, come si fa a non chiuderlo al traffico? I miei colleghi, quando vengono in città, si mettono a ridere. Sì, c’è il timore che i cittadini non apprezzino le scelte di cambiamento. Invece i cagliaritani sono spesso molto più disponibili di chi decide per loro».
 - Eppure gli esempi non mancano: Londra tassa le auto che vanno in centro, Amsterdam bandisce il traffico da gran parte della città, Milano fa esperimenti di ecocompatibilità urbana...
 «Sì, ma con una differenza: in queste città i parcheggi sotterranei sono stati realizzati venti-trent’anni fa, Cagliari è in ritardo. E una quota fisiologica di posti-auto bisogna comunque prevederla, perchè le automobili esistono. Io non contesto la scelta di fare parcheggi, critico l’approssimazione con cui il comune di Cagliari decide. Si punta sempre alla scorciatoia, all’opera risolutiva, come se il problema della mobilità si risolvesse con un intervento. Ma non è così, purtroppo. Servono politiche più serie».
 - Per via Roma si potrebbe sperimentare una chiusura al traffico temporanea, sei mesi o un anno. Per capire quali sono gli effetti sarebbe sufficiente, no?
 «Ma certo, un esperimento a tempo. Ma la mia impressione, lo ripeto, è che le alternative non siano state neppure valutate. Il comune voleva fare il parcheggio sotterraneo e lo farà, punto. Sarei già felice se servisse a togliere tutte le automobili dalla superficie stradale, purtroppo gli esempi visibili mi dicono che non sarà così».
 - Si riferisce alla gestione della sosta nelle altre zone della città, ormai praticamente privatizzata?
 «Certo. Siccome i parcheggi sotterranei li hanno fatti le imprese ma non bastano a soddisfare i bilanci privati, allora le aree di sosta in superficie restano e i ricavi vanno al gestore. Così non si risolve nulla, perchè l’automobilista preferisce lasciare l’auto dov’è più comodo e dove magari risparmia qualche euro. Ma allora dove sta il vantaggio per la circolazione? Se l’obbiettivo era di ridurre i volumi di traffico, non mi pare che sia stato raggiunto. E’ rimasto più o meno tutto come prima».
 - E qui ritorna il problema dell’approssimazione...
 «Non c’è strategia, lo ripeto. Un altro esempio? I lavori per il parco della musica, in piazza Giovanni XXIII. Era così difficile prevedere l’impatto che avrebbe avuto sulla circolazione la chiusura di via Cao di San Marco? Bene: vada a vedere gli ingorghi alle ore di punta. E’ un disastro, ma non mi sorprende perchè non c’è proprio capacità».
 - A proposito, che impatto prevede sulla circolazione con la chiusura dell’area di via Roma?
 «Si potrebbe sfruttare la situazione con intelligenza, chiudere l’intero centro alle auto e vedere che cosa succede. Chi vuole andare in via Roma può andarci a piedi, lasciando l’auto altrove. Oppure prendere l’asse mediano e fare il giro esterno. In questi tre-quattr’anni, se saranno solo tre o quattro, si potrebbe stabilire come muoversi nel futuro. Finalmente sulla base di dati reali, valutando la situazione giorno dopo giorno. Insomma, è un’occasione. Almeno questa andrebbe colta».
 - Intanto però bisognerà valutare il progetto esecutivo del parcheggio, che secondo alcune voci critiche potrebbe essere del tutto slegato dalle esigenze reali e dal rispetto di quanto esiste. Si parla di palme da abbattere, di falde e scarichi da gestire, di resti archeologici destinati a mettere a rischio l’intero progetto o di ritardarne la realizzazione, com’è accaduto a Olbia.
 «Chi vincerà la gara d’appalto dovrà elaborare il progetto esecutivo, fino a quel momento è impossibile fare valutazioni. Mi auguro che una volta fatta la scelta le approssimazioni finiscano».

Questionario e social

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