Lunedì 3 marzo 2008

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
03 marzo 2008
Rassegna stampa a cura dell’Ufficio stampa e web
 
Selezionati 4 articoli del quotidiano L’Unione Sarda
. L’articolo di fondo, Riforme. l’università non può attendere di Gaetano Di  Chiara, evidenzia che "il governo Prodi sarà ricordato come il più avaro di risorse per la didattica e la ricerca universitaria". E che per il prossimo futuro "il programma del Pdl è scarno e quello del Pd a dir poco incerto".
 

 
1 - L’Unione Sarda
Prima pagina
Ricerca, concorsi e politica
RIFORME, L’UNIVERSITÀ NON PUÒ ATTENDERE
di Gaetano Di Chiara  
Il governo Prodi sarà ricordato come il più avaro di risorse per la didattica e la ricerca universitaria. E questo non certo per mancanza di fondi ma per una precisa scelta politica, visto che la finanziaria 2006 ha consentito alle Università di imbarcare indiscriminatamente e senza alcun concorso nel ruolo tecnico-amministrativo i cosidetti precari. In questo l’Università di Cagliari si è particolarmente distinta.
Intendiamoci, non si tratta di una rivedicazione di categoria. Infatti, l’ultima cosa che auspichiamo è che il futuro governo vari un’analoga legge per i docenti universitari, una riedizione di quelle famigerate «ope legis» che, a scadenze regolari, hanno tagliato fuori dall’Università intere generazioni di giovani.
I docenti universitari, il cui cuore, si sa, batte prevalentemente a sinistra, facendo proprio il detto «chi è causa del suo mal, pianga se stesso», non si lamentano, anzi, se interpellati, giustificano il trattamento che il governo Prodi ha riservato loro con la necessità di risanare i conti dello Stato, dissestati dal precedente governo. Chi conosce gli universitari sa però che dentro, molto dentro, sono delusi e sognano un’altra università. Quale?
Questa domanda è opportuna visto che il programma del Pdl è scarno e quello del Pd a dir poco incerto. Veltroni inizialmente ha parlato di istituire entro il 2010 cento (100) nuovi campus scolastici e universitari diventati poi semplicemente scolastici. Al di là dell’oscura natura dei campus veltroniani, conforta il sapere che non si tratta di nuove sedi universitarie.
Perché non di nuove sedi ha bisogno l’Università ma di migliorare le esistenti attraverso una riforma profonda. Si tratta di porre la ricerca, che nell’Università è la fonte della didattica e l’interfaccia con l’impresa, al centro di un circolo virtuoso che attribuisca ai dipartimenti, i luoghi della ricerca, una quota consistente del finanziamento statale sulla base di una valutazione oggettiva della ricerca prodotta. Questo meccanismo, rendendo i dipartimenti arbitri del proprio destino, conferirebbe loro anche la scelta dei nuovi docenti.
Niente più concorsi nazionali governati da lobby di «amici», o doppie idoneità, una per il candidato della sede che bandisce e l’altro per un esterno sostenuto dalla lobby dominante, ma una scelta diretta da parte del dipartimento tra coloro che risponderanno a un bando pubblicato sulle riviste scientifiche del settore. Il dipartimento non potrà permettersi di scegliere i nuovi docenti sulla base dell’appartenenza a un gruppo o una scuola, perché sarà in gioco il suo benessere, se non la sua sopravvivenza.
Un meccanismo siffatto, che mette in concorrenza le università tra di loro, va necessariamente accoppiato all’eliminazione del valore legale del titolo di studio.
Questa, in nuce, l’università che sommessamente chiedono i docenti universitari, con l’incrollabile fede che supera anche la probabilità, se non la certezza, di rimanere inascoltati.
 
2 - L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari - Pagina 12
Medicina non convenzionale
Terapie alternative, incontro con Manconi
La medicina non convenzionale è definita come quell’insieme di tecniche terapeutiche non ancora sufficientemente conosciute dal punto di vista del meccanismo d’azione e dell’ efficacia terapeutica. Ma ormai da tempo hanno preso piede in Italia e anche a Cagliari con pratiche molto diverse e fra loro eterogenee. Qual è oggi il ruolo delle cosiddette medicine "non convenzionali" e come si pongono i medici di fronte a queste terapie? Di questo argomento sempre più attuale ne parlerà domani alle 18,30, all’ex Lazzaretto, il professor Ettore Manconi, del dipartimento di Scienze Cardiovascolari dell’università, durante l’incontro organizzato dal Lions Club Karel presieduto dal diabetologo Marco Songini. 
  
3 - L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari - Pagina 13
Clinica ginecologica
Una donna su 10 ha l’endometriosi Da oggi la settimana di informazione
Al via oggi anche in città le iniziative della settimana europea contro l’endometriosi promosse dalla clinica Ostetrica dell’Azienda ospedaliero-Universitaria e dalla Società europea di endoscopia ginecologica (Esge). L’endometriosi è una malattia che colpisce il 10% delle donne ed è caratterizzata dal fatto che l’endometrio (il rivestimento interno dell’utero che viene normalmente eliminato ciclicamente con le mestruazioni) si impianta all’interno dell’addome fuori dall’utero invadendo gli organi pelvici tanto da determinare sintomi gravi come sterilità e dolore cronico nelle donne affette. È una malattia progressiva ed il dolore da ciclico (durante e poco prima delle mestruazioni) diventa molte volte continuo tanto da condizionare la qualità di vita.
Nella clinica Ginecologica e Ostetrica dell’Azienda mista è in funzione un ambulatorio dedicato al dolore cronico e all’endometriosi a cui hanno libero accesso tutte le donne che ne hanno bisogno e vede coinvolti un gruppo di ginecologi che si occupano specificamente di questi problemi per suggerire le terapie mediche o chirurgiche più indicate. 
 
4 - L’Unione Sarda
Cultura - Pagina 7
Scorie nucleari, bugie e cattiva scienza
La stampa dello Utah ne parla da quattro mesi. Ma in Italia sembrano essersene accorti solo i numerosi Blog che osservano il mondo con maggiore attenzione. L’acceso dibattito negli Stati Uniti infuria da quando il Salt Lake Tribune ha rivelato che 20 mila tonnellate (36 mila metri cubi) di scorie nucleari italiane sono destinate allo stato dell’estremo ovest degli Usa. Si tratta di un quantitativo ingente, distribuito in 5 anni, che dovrà percorrere oltre 10 mila km in nave e 500 km in treno fino alla discarica. Pur essendo classificate di prima categoria, ovvero a bassa radioattività (indumenti e oggetti debolmente contaminati) queste scorie suscitano vivaci discussioni a partire da novembre. L’assenso all’operazione proviene dalla massima autorità statale, il Governatore dello Utah, ma un numero crescente di cittadini dello stato critica l’importazione radioattiva.
La sindrome del Non in my backyard (non nel mio giardino) vale in tutto il mondo.
Alcuni quotidiani negli Usa seguono la vicenda dal primo momento.
Sicuramente anche in Italia gli argomenti di discussione non mancherebbero. Magari per approfondire il tema e analizzare, con il serio metodo dell’inchiesta (quello insegnato nei corsi di giornalismo, non si pretende di scomodare il metodo scientifico) i risvolti e l’origine del problema. Intanto non è incoraggiante constatare che a distanza di venti anni dal referendum che ha abolito l’energia nucleare in Italia restano ancora da smaltire 53 mila metri cubi di scorie radioattive: quelli dalle quattro centrali italiane (Caorso, Garigliano, Latina, Trino) che in 23 anni di attività hanno prodotto 81 mila GWh (Gigawattora) di energia elettrica. E dato che i numeri isolati non hanno molto senso è indispensabile confrontare questo dato con il consumo annuo: quello del 2006 è stato di 359.075 GWh. Si capisce allora che nel complesso l’energia energia prodotta dalle 4 centrali nucleari italiane in 23 anni risulta essere appena un quarto del consumo di un solo anno. La sproporzione tra impegno richiesto per la costruzione e il mantenimento di queste centrali e la loro resa effettiva appare enorme. Senza contare il problema scorie: un impianto di media grandezza ne genera circa tre metri cubi all’anno.
Allora, se è vero che l’energia, insieme ai rifiuti e all’acqua, rappresenta uno dei tre temi dominanti del nostro secolo, l’atteggiamento di sostanziale superficialità dimostrato dalla stampa italiana appare inspiegabile: possibile che in quattro mesi nessuno si sia accorto della notizia? Possibile che l’informazione sia tutta e sempre all’affannosa rincorsa del gossip, della politica e dello sport, relegando la scienza e la tecnologia nel cantuccio del sensazionalismo? Forse il tema energia non si tocca perché gli interessi in gioco sono talmente alti da imporre il silenzio come strumento di precauzione preventiva?
Dell’incestuoso rapporto tra comunicazione e scienza, e del perverso intreccio a tre con la politica, si è parlato il 28 febbraio al dipartimento di fisica dell’università di Cagliari (cittadella universitaria di Monserrato) nel corso di un seminario tenuto dal giornalista Gianfranco Bangone sul tema La comunicazione scientifica nell’era del villaggio globale . Il direttore del bimestrale Darwin, sardo di nascita ma romano d’adozione, ha illustrato con alcuni esempi eloquenti cosa accade quando la comunicazione interna alla scienza (le pubblicazioni su Nature, Science e le riviste di settore, attraverso le quali si misura il valore di una ricerca) sfocia nei grandi media. Non succede sempre, certo, ma quando capita i risultati sono il più delle volte devastanti. Allarmi ingiustificati, affermazioni non documentate, titoli sparati, da cui si originano errori e ignoranza di ritorno. Cosa fare? Gianfranco Bangone non ha dubbi: dovrebbe essere il mondo scientifico a far sentire la propria voce, a inserire elementi di razionalità. Per aiutare a capire. E per aiutare la politica a uscire dal perenne stato di deroga, anche ai temi scientifici.
Andrea Mameli 

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie