UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 19 dicembre 2007

Mercoledì 19 dicembre 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 dicembre 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 26
Alimentazione. Collaborazione fra un artigiano e un docente della facoltà di Agraria
Il pane sardo si laurea all’università
Secondo una ricerca, tiene bassa la glicemia dei diabetici
 Le proprietà benefiche della lievitazione naturale del pane tradizionale del Campidano
 
Dalla ricerca universitaria al banco del fornaio. È il pane a basso contenuto glicemico, utile per i diabetici e per chi deve tenere sotto controllo il tasso di zucchero nel sangue. «Non è un medicinale, è proprio pane, ma confesionato con lievito naturale, non con lievito di birra», dice il professor Giovanni Antonio Farris, presidente del corso di laurea in Tecnologie alimentari nella facoltà di Agraria dell’università di Sassari. Pecca di modestia, Farris, quando tiene a precisare di non aver inventato niente di nuovo, ma «solo messo in evidenza le proprietà di un prodotto tradizionale sardo». Poi ha incontrato un artigiano di Cagliari, Raffaele Coccodi, che ha voluto mettere in pratica il frutto dei suoi studi. E per una volta, i risultati di una ricerca scientifica non sono finiti nello scaffale di una biblioteca, ma hanno trovato realizzazione pratica.
Così il pane a basso contenuto glicemico è stato presentato l’altro ieri nella sede dell’azienda di Coccodi, in via Barone Rossi, alla presenza di docenti universitari sassaresi e di rappresentanti dell’Associazione diabete mellito e celiachia della Sardegna.
Ma come si è accertata questa particolare proprietà del pane tradizionale? Il metodo è simile a quello che si usa per testare un farmaco. All’esperimento hanno partecipato anche medici diabetologi della Asl di Olbia e dietologi. «Abbiamo scelto un campione di quaranta persone, non col diabete conclamato ma predisposte ad averlo - spiega Farris - alle quali, per un certo periodo di tempo, abbiamo fatto mangiare un tipo di pane fermentato col lievito di birra e un altro col lievito naturale. Durante il periodo di osservazione, abbiamo rilevato che il pane tradizionale sardo consentiva di avere una glicemia più bassa. Nessuna variazione dei valori è stata invece notata quando si è passati al prodotto trattato col lievito di birra».
La "scoperta" non è casuale. Da molti anni il professor Farris e la sua équipe studiano i prodotti sardi: vini, formaggi, salsicce, mieli. E in particolare, le caratteristiche del pane ottenuto col lievito naturale, chiamato, in campidanese, frammentu sardu: «Abbiamo dato rilievo scientifico agli effetti provocati dai micro organismi contenuti nel lievito naturale: lieviti e fermenti lattici. Non si tratta di tornare al passato, ma di ottenere, grazie alle tecnologie oggi in uso, un prodotto con le stesse caratteristiche del pane tradizionale».
L’artigiano Raffaele Coccodi ha conosciuto il professor Farris in occasione di una conferenza e ha deciso di mettere in pratica il risultato dei suoi studi. Senza alcuna difficoltà: «Cambiano solo i tempi di lavorazione. Se per produrre un quintale di pane col lievito di birra impieghiamo quattro ore, col lievito naturale ce ne vogliono da ventiquattro a trentasei, perché i tempi di fermentazione sono più lunghi. Variano anche i costi, perché si impiega la semola, non la farina». Si è entusiasmato Coccodi e ora pensa di completare la filiera «utilizzando il grano prodotto nell’azienda della nostra famiglia».
Gli affetti positivi del pane sardo sono confermati anche dalla dietologa nutrizionista Domenica Obinu, dell’Associazione diabete mellito: «Un calo della glicemia lo avevamo già notato quando abbiamo fatto una sperimentazione con la spianata che si produce nel nord Sardegna. Quei dati hanno trovato ora conferma nel Campidano: la glicemia sale più lentamente e con valori più bassi».
Quanto più bassi? «In alcune persone anche del 30 per cento. Inoltre abbiamo notato che il pane ottenuto con lievito naturale consente di assorbire meglio anche i sali minerali che contiene e quelli delle altre pietanze».
Lucio Salis

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
Università. Progetto Cusma 
Pronto soccorso, tutti pronti per le emergenze 
 
CAGLIARI. Tempo di riconoscimenti per le forze dell’ordine impegnati nei corsi di prima assistenza del Centro universitario di simulazione medico avanzata. Ieri nella sala congressi della facoltà di Medicina ai corsisti sono stati consegnati gli attestati di partecipazione. A tre anni dall’avvio dell’attività, fortemente voluta dal preside della facoltà Gavino Faa, hanno ottenuto l’attestato settecentocinquanta persone, che entro giugno prossimo saliranno a mille.
 Con i corsi Cusma, è stato possibile creare una sorta di santa alleanza tra facoltà di Medicina e diversi corpi delle forze dell’ordine (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, esercito, vigili del fuoco, capitaneria di porto, corpo forestale e anche il ministero di Grazia e giustizia) perché i dipendenti imparassero a gestire le emergenze in quello che si chiama “Apv”: approccio al primo soccorso di assistenza vitale essenziale.
 Per i non addetti ai lavori significa che ai dipendenti delle forze dell’ordine che hanno seguito il corso è stato insegnato come muoversi nelle situazioni d’emergenza, intervenendo ad esempio prima ancora dell’arrivo dell’ambulanza.
 «Il corso - ha detto con una punta d’orgoglio il preside di Medicina, Gavino Faa - era uno dei miei desideri sin dall’inizio della mia presidenza. Con la consegna di mille diplomi abbiamo fatto sì che nell’area vasta di Cagliari possa esserci un livello di sicurezza che in altre realtà d’Italia molti si sognano».
 Soddisfazione e orgoglio, durante la cerimonia, anche nelle parole del supervisore del Cusma, Gabriele Finco. Durante la serata sono stati anche proiettati dei filmati, fatti durante il corso, con diverse simulazioni sulla gestione di situazioni d’emergenza. (s.z.)
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Prima Pagina
ISTRUZIONE E SVILUPPO 
UNIVERSITA’ DIFFUSA MA CHE SIA DIVERSA 
di Francesco Pigliare
 
Quando Tony Blair divenne primo ministro, dettò le tre priorità del suo programma: istruzione, istruzione, istruzione. La giunta regionale ha adottato un punto di vista simile. Giustamente, perché la Sardegna ha pochissimi laureati in una nazione che ne ha pochi: nei paesi avanzati, i laureati rappresentano una percentuale della popolazione di riferimento che va dal 46% al 23%. In Italia siamo al 12, in Sardegna al 10. Il dato è drammatico. In ballo c’è l’equità sociale ma anche la nostra capacità di competere in un mercato mondiale sempre più esigente.
 
Pagina 20 - Fatto del giorno
Università decentrata, servono scelte diverse 
L’importante è che i flussi finanziari siano alla fine realmente produttivi 
Un modello dal quale imparare è quello della Corea del Sud 
 
Prendete la Corea del Sud. Nel 1960 il suo reddito pro-capite era uguale a quello del Ghana, pari più o meno al 20% di quello italiano di allora. Oggi è al 72% del nostro reddito. Questo miracolo economico è stato preceduto e accompagnato da un enorme investimento in istruzione: nel 1970 esistevano 142 istituti per l’istruzione post-secondaria, ora sono 411. Di questi, 171 sono vere e proprie università, moltissime delle quali distribuite nei territori regionali, lontani da Seul. Il risultato è che oggi i laureati sono il 32% della popolazione. Sono essenziali molte università “diffuse” per avere molti laureati? In Corea sembra di sì: esiste una università ogni 280.000 abitanti. In Sardegna ne abbiamo una più o meno ogni 800.000 persone.
 E negli altri paesi quante università ci sono? In quelli con una percentuale di laureati superiore al 30%, come Canada, Svezia, Australia e Finlandia, si va da un massimo di una ogni 210.000 a un minimo di una ogni 115.000 abitanti. Negli Stati Uniti i numeri sono ancora più sorprendenti: una università o un college ogni 71.000 abitanti. Un fenomeno che non sembra arrestarsi nemmeno di fronte allo sviluppo dell’e-learning.
 Nel mondo, molti laureati si accompagnano dunque a molti istituti universitari distribuiti nel territorio. Naturalmente, dietro questi numeri c’è anche altro. Soprattutto, in ogni paese ci sono diversi tipi di università: alcune puntano su eccellenza e ricerca, altre si concentrano sull’insegnamento di primo livello. Le prime sono poche, grandi, spesso localizzate nelle principali aree urbane. Le “università di insegnamento” invece si distribuiscono anche nel territorio. Un giovane di una cittadina americana ha un intero ventaglio di opzioni: può succedere che inizi gli studi nel college sotto casa e che poi, favorito da un sistema flessibile, faccia il salto verso una università più prestigiosa.
 Le enormi differenze tra i numeri che ho citato e quelli sardi dovrebbero farci riflettere, prima di arrivare a conclusioni affrettate sui destini della nostra “università diffusa”. A proposito della quale sono stati espressi giudizi molto severi, spesso fondati e condivisibili. Di fatto, da noi è prevalso un modello particolare di università diffusa, mal disegnato e malissimo gestito, basato su scelte sbagliate e talvolta assurde. In oltre quindici anni di presenza a Nuoro, l’Università di Cagliari non ha creato neanche un posto di ricercatore a sostegno dei corsi lì localizzati. Una situazione che sarebbe inconcepibile anche per il più modesto college americano, perché ogni seria università ha bisogno di infrastrutture adeguate e soprattutto di un corpo docente formato da persone che lavorano e vivono in loco. Qualcosa di molto diverso da ciò cha abbiamo visto in Sardegna finora.
 Concludere che non abbiamo alcun bisogno di università diffusa solo perché l’esperienza fatta finora è in gran parte negativa, potrebbe essere un serio errore. I numeri che ho citato suggeriscono molta prudenza: se si vuole aumentare in modo significativo il numero dei laureati, è rischioso rinunciare a presenze universitarie di primo livello in posti come Nuoro e Olbia.
 Chi pensa che le sedi di Sassari e di Cagliari siano sufficienti per l’intera Sardegna, probabilmente sbaglia, e inoltre rischia di condannarle a una crescita non sostenibile. Chi continua a difendere l’attuale modello di università diffusa, sbaglia di sicuro. La soluzione è valutare l’esperienza fatta, definire i requisiti necessari per creare un paio di buone “università di insegnamento” nel territorio, e calcolare le risorse da investire; alla fine è possibile che siano inferiori a quelle sprecate in questi anni di equivoci.
Francesco Pigliaru 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 36 - Sassari
Second Life, oggi i master on line 
 
 PORTO TORRES. La Sardegna virtuale di Second Life, realizzata dai fratelli turritani Mario e Marco Pireddu, manderà in onda oggi dalle 21,30 i master on line in Economia della cultura e in Cultura dell’alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche. La presentazione dei master a distanza è organizzata dal sistema di cultura Baicr, consorzio formato da cinque prestigiosi istituti culturali romani, con l’intento di offrire al pubblico degli studenti sardi un percorso di alta formazione che amplia l’offerta formativa locale, attraverso una piattaforma di e-learning che permette di studiare e formarsi rimanendo nella propria regione d’appartenenza. Il web Sardigna Sl (www.sardignasl.com) vuole far conoscere la storia e la cultura isolana attraverso uno spazio innovativo e sperimentale, ed è proprio per questo che è nata una affinità con la missione del consorzio Baicr che è stato trai primi consorzi italiani ad introdurre i master in partnership con l’università di Roma Tor Vergata. I due master formano professionisti nei settori del marketing territoriale e del turismo culturale, e operatori in grado di promuovere le tradizioni enogastronomiche come fattore di identità e sviluppo. La presentazione dei master è affidata a quattro esperti: Lucio D’Amelia, Teresa Di Giovanni, Fabio Severino e Dario Simonetti.
Gavino Masia 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Nuoro
Colza o cavolo per la centrale elettrica 
L’Università di Sassari: «Coltivazioni nel raggio di 70 km da Ottana» 
 
NUORO. È in atto la sperimentazione da parte da parte di un gruppo di ricercatori del dipartimento di scienze agronomiche e genetica vegetale dell’Università di Sassari, in collaborazione con il Cnr-Ispaam, l’Agris e la Sageva, uno studio sulla produzione ed utilizzazione di materie prime agricole come fonte di energia mediante impianti da biomasse e biogas.
 Ieri, nella sede dell’Assoindustria, Roberta Farci, vincitrice di una specifica selezione, insieme a 6 ricercatori, e i responsabili scientifici e tecnici Leonardo Sulas, Pier Paolo Roggero, Tigellio Erdas e Paolo Clivati, hanno illustrato il progetto “BioPower Sardegna” legato alla riconversione della centrale elettrica di Ottana. Si tratta di sperimentare l’offerta di energia ottenuta da fonti rinnovabili. Per la prima volta si analizzerà la potenzialità di evoluzione del sistema agropastorale con l’introduzione di colture industriali. Potenzialmente - ha osservato il gruppo di ricercatori - sarebbero interessati i terreni di 50 comuni distribuiti nel raggio di 70 km da Ottana. La sperimentazione avrà luogo in aziende private con la collaborazione degli agricoltori e di soggetti istituzionali, in sinergia con i progetti regionali e nazionali. Tra i materiali utilizzati la colza e la brassica-carinata (volgarmente cavolo abissino), vegetali che hanno bisogno di terreni argillosi, freschi e umidi in primavera, tolleranti la siccità.
 Ricercatori ed esperti hanno sottolineato che, a supporto delle scelte strategiche sulla produzione di bioenergie, è necessario investire sulla ricerca sperimentale in modo da valutare gli aspetti agronomici e ambientali, insieme alle relative implicazioni nei contesti locali. Rientra nel progetto “BioPower Sardegna” lo sviluppo di una filiera locale di produzione di olio vegetale che copra solo parzialmente i fabbisogni del nuovo impianto, pari a 60.000 tonnellate l’anno. Quindi va è necessario uno studio di fattibilità dell’introduzione di colture per la produzione di olio combustibile nella Sardegna centrale. La sperimentazione andrà avanti per 3 anni, così da valutare l’adattamento ambientale e le potenzialità produttive delle varietà di Colza e Brassica-carinata disponibili sul mercato. Oltre a raccogliere le indicazioni sui punti di forza e di debolezza derivanti dall’introduzione su ampia scala di colture oleaginose nella Sardegna centrale.
 Dalla sperimentazione sarà possibile sapere quali saranno le specie più adatte e produttive; quali le tecniche agronomiche più idonee alle condizioni ambientali; quali i possibili problemi di carattere fitosanitario e quali saranno le implicazioni per l’attuale sistema agro-zootecnico. Solo dopo la sperimentazione si conosceranno le implicazioni socio-economiche; la quantificazioni dei costi; le sinergie agricoltura-industria.

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